(77) cfr. F. NARDUCCI e R. NARDUCCI, Guida normativa per l‘amministrazione locale 2015, Rimini, Maggioli editore, 2015, p. 671.
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All‘interno di una logica molto simile a quella della pianificazione delle regole di prevenzione si situano anche i codici di condotta, prestandosi all‘esigenza di evitare la presenza di conflitti di interessi nei luoghi di decisione (78).
Ai codici, nello specifico, spetta il compito di precisare i doveri del pubblico impiegato in modo minuzioso: essi «hanno lo scopo di aiutare a distinguere tra ciò che è corretto e ciò che non lo è, promuovendo comportamenti virtuosi, indipendentemente dalla eventuale sanzione di quelli sbagliati» (79). Anche per questi sussiste un duplice livello di regolazione: da un lato, un codice generale, dall‘altro, singoli codici validi per ogni amministrazione. Il primo costituisce il regolamento di
comportamento generalmente applicabile nel pubblico impiego
privatizzato, per cui rappresenta la base minima e indefettibile di ciascun codice adottato dalle varie autorità pubbliche.
Con riferimento all‘ambito di applicazione, anche nei codici di condotta è stata estremizzata la distinzione tra politica e amministrazione: basta soffermarsi sul fatto che gli obblighi di condotta, previsti dal regolamento n. 62/2013, si applicano al personale professionale privatizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; essi «costituiscono principi di comportamento» per il pubblico impiego, ossia per i rapporto di servizio retti dal diritto pubblico e si estendono, per quanto
(78) In realtà questi dovrebbero rappresentare la concretizzazione dell‘‹‹ideale di buona amministrazione››, così come espressa da S. CASSESE, l‘ideale di una buona
amministrazione: principio del merito e stabilità degli impiegati, Napoli, Editoriale Scientifica, 2007; che a sua volta cita M. MINGHETTI, I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nella amministrazione, Bologna, Zanichelli, 1881 (ristampa: Napoli, ESI, 1992).
(79) Così in B.G.MATTARELLA, Le nuove regole di comportamento dei pubblici funzionari, Relazione al 59° convegno di studi amministrativi (Varenna, 19- 21 settembre 2013), in ASTRID Rassegna, 20 dicembre 2013, n. 193, 22/2013. Sugli originari codici di condotta o deontologici, S. CASSESE, I codici di condotta, in Documenti giustizia, n. 7-8, luglio-agosto 1994, 1373.
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compatibili, al personale con rapporto di lavoro autonomo, collaboratori o consulenti, incaricati negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, ovvero dipendenti di società a cui sono esternalizzati servizi di cui l‘amministrazione si avvantaggia (80).
Avendo contemplato quasi tutte le categorie di personale alle dipendenze delle amministrazioni, se ne ricava, per esclusione, che solo per il personale onorario, scelto per nomina o elezione, gli obblighi di condotta non trovano applicazione. Eppure, tali obblighi contraddistinguono il rapporto di ufficio, presente nel caso di funzionario onorario, e non il rapporto di servizio, giacché è carente l‘obbligo di prestare la propria attività lavorativa a vantaggio dell‘ente pubblico. Essi riguardano il dipendente più nella sua qualità di titolare di un ufficio pubblico, che in quella di lavoratore.
Un profilo problematico discende dall‘intreccio che si viene a creare tra la genericità di alcune previsioni del codice e l‘obbligatorietà dell‘azione disciplinare, dato che qualunque violazione del codice di comportamento è fonte di responsabilità disciplinare, pur perdurando la competenza dei contratti nella definizione di illeciti e sanzioni (81). Ciò, a
(80) A tal fine, negli atti di incarico o nei contratti di acquisizioni delle collaborazioni, delle consulenze o dei servizi, le amministrazioni inseriscono apposite disposizioni o clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di violazione degli obblighi derivanti dal presente codice.
(81) «La violazione degli obblighi contenuti nei codici di comportamento costituisce fonte di responsabilità disciplinare accertata all‘esito del relativo procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni, la violazione di ciascuna regola dei codici costituisce di per sé infrazione rilevante sul piano disciplinare»; «oltre agli effetti di natura disciplinare, penale, civile, amministrativo e contabile, tali violazioni rilevano, infine, anche in ordine alla misurazione e valutazione della performance secondo quanto già indicato con riferimento all‘oggetto dei controlli», come specificato in Delibera n. 75/2013, Linee guida in materia di codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni (art. 54, comma 5, d.lgs. n. 165/2001), della Autorità nazionale anticorruzione. Sul tema, E. D‘ALTERIO, I codici di comportamento e la responsabilità disciplinare, in La legge anticorruzione, a cura di B.G. MATTARELLA, M. PELISSERO, op. cit.; G.M. RACCA,
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ben vedere, trasforma i codici stessi da strumento di orientamento a dispositivi di tipo coercitivo.
Tra gli obblighi previsti dal codice, all‘art. 3, si dispone che il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all‘immagine della pubblica amministrazione. Le prerogative e i poteri pubblici devono essere «esercitati unicamente per le finalità di interesse generale per le quali sono stati conferiti» (82). Oppure il dipendente deve esercitare «i propri compiti orientando l‘azione amministrativa alla massima economicità, efficienza ed efficacia. La gestione di risorse pubbliche ai fini dello svolgimento delle attività amministrative deve seguire una logica di contenimento dei costi, che non pregiudichi la qualità dei risultati».
Né appare così pacifico — come sostiene l‘Autorità nazionale anticorruzione — che le infrazioni ai codici di comportamento non integrino nuove sanzioni, giacché questi ultimi integrerebbero previsioni già contemplate dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Si tratterebbe, allora, solo di «articolare, in relazione alle violazioni dei singoli obblighi contenuti dal codice di comportamento, le sanzioni previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva, e ciò al solo fine di limitare il potere
Disciplina e onore nell'attuazione costituzionale dei codici di comportamento, in Al servizio della Nazione, a cura di F. Merloni e R. Cavallo Perin, Milano, Franco Angeli, 2009, 250 ss.; B.G. MATTARELLA, Le regole dell'onestà, Bologna, il Mulino, 2007, 136 ss.; E. CARLONI, Ruolo e natura dei c.d. codici etici delle amministrazioni pubbliche, in Dir. pubbl., 2002, 319 ss.; U. GARGIULO, Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici: atto terzo, in Lav. p.a., 2012, 751 ss.
(82) D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, rubricato ‗‗Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell‘articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165‘‘. Il nuovo codice sostituisce quello precedentemente adottato con decreto ministeriale, sul punto B.G. MATTARELLA, Il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici, in Giorn. dir. amm., 2013, 927 ss.
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discrezionale dei responsabili degli Uffici per i procedimenti disciplinari, a tutela dei singoli dipendenti» (83).
Eppure i due concetti non sono sovrapponibili, poiché un conto sono i doveri legislativi o contrattuali, che possono anche non essere muniti di strumenti sanzionatori, altra cosa gli obblighi rilevanti sul piano disciplinare. È chiaro che si tratta di misure importanti nell‘attuazione della strategia di prevenzione della corruzione a livello decentrato, ma è pur vero che sono azioni estremamente generiche (84). Il che, se non costituisce un problema per la lotta alle pratiche di corruttela (anzi ne amplia lo spettro), lo pone riguardo alla responsabilità disciplinare, poiché di fatto vengono così ad accrescere in modo eccessivo le ipotesi in cui deve essere obbligatoriamente attivata l‘azione disciplinare (85).
A partire dal decreto Brunetta, infatti, è sanzionabile il dirigente che non attiva il procedimento, con la sospensione dal servizio o con la mancata attribuzione di una retribuzione da risultato. Non solo, la genericità di un obbligo sanzionato disciplinarmente, comprendendo condotte a forma libera, rappresenta una violazione del principio di legalità, il quale impone una chiara definizione in via preventiva delle possibili infrazioni disciplinari. Per giunta, l‘inosservanza dei doveri del pubblico dipendente, canonizzati nei codici di comportamento, può dar luogo a un
(83) Delibera n. 75/2013, Linee guida, cit.
(84) Molti sono gli obblighi di condotta generici. Si pensi, inoltre, all‘art. 11, ai sensi del quale «il dipendente utilizza il materiale o le attrezzature di cui dispone per ragioni di ufficio e i servizi telematici e telefonici dell‘ufficio nel rispetto dei vincoli posti dall‘amministrazione. Il dipendente utilizza i mezzi di trasporto dell‘amministrazione a sua disposizione soltanto per lo svolgimento dei compiti d‘ufficio, astenendosi dal trasportare terzi, se non per motivi d‘ufficio».
(85) Del resto sono i dirigenti responsabili di ciascuna struttura a cui spetta il controllo sull‘attuazione e sul rispetto dei codici; questi ultimi dovranno promuovere e accertare la conoscenza dei contenuti del codice di comportamento, «tenendo conto delle violazioni accertate e sanzionate ai fini della tempestiva attivazione del procedimento disciplinare e della valutazione individuale del singolo dipendente», come specificato nella Delibera n. 75/2013, Linee guida, cit.
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danno da disservizio, oggetto di giudizio contabile, quando vi sia una diminuzione di efficienza dell‘apparato pubblico che si traduce in una mancata o ridotta prestazione del servizio o nella cattiva qualità dello stesso (86).
7. Divieto di cumulo tra incarichi politici e amministrativi.