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Osservazioni in merito all‘attuazione interna

(43) Per una panoramica sul punto, F. MANGANARO, Corruzione e criminalità

organizzata, in L‘area grigia della ndrangheta, a cura di C. LA CAMERA, Aracne, Roma, 2012, pp. 119-132.

(44) Per una ricostruzione della formazione della legge n. 190 si veda F. MERLONI, La legge anticorruzione e le garanzie dell‘imparzialità soggettiva dei funzionari pubblici, in Atti del Convegno di Firenze, 12 aprile 2013.

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La legislazione italiana in materia di ―anticorruzione‖, dunque, appare come una puntuale (ed improcrastinabile oltre che tardiva) risposta agli impegni assunti dal nostro Paese con la comunità internazionale anche per il tramite dell‘U.E.

Questo è il dato che connota la legge 190/2012 (e le misure da essa introdotte) in modo singolare per diverse ragioni.

Per un verso, infatti, non può che apprezzarsi positivamente l‘impegno del legislatore nazionale che – dopo una lunga inerzia e/o un‘attività piuttosto infruttuosa – ha ritenuto di adeguare l‘ordinamento interno alle più recenti istanze provenienti dal contesto internazionale in subiecta materia sottraendo, di tal guisa, il nostro Paese a obiettive critiche di inadempimento rispetto agli obblighi assunti nonché di falsa volontà di accedere a riforme strutturali che potessero garantire un nuovo corso nell‘evoluzione dei rapporti interni e internazionali.

Infatti, dalla lettura del testo dei lavori parlamentari che hanno condotto alla approvazione della legge 190/2012, traspare l‘intento di adeguare l‘ordinamento italiano agli obblighi internazionali; per altro verso, tuttavia, l‘intento parrebbe perseguito senza la dovuta attenzione al profilo del contemperamento delle nuove regole rispetto alla generale disciplina dell‘organizzazione della P.A. nonché alle effettive condizioni della macchina amministrativa interna.

Il tema, a ben vedere, investe la più generale questione degli strumenti e modi di adeguamento del diritto interno ai vincoli derivanti dall‘ordinamento internazionale (45).

(45) Sul punto, si rinvia a P. PUSTORINO, In tema di applicazione nell‘ordinamento italiano delle Convenzioni internazionali sul contrasto alla corruzione, in Il contrasto alla corruzione nel diritto interno e nel diritto internazionale, a cura di A. Del Vecchio e P. Severino, Cedam, Padova, 2014, pp. 473 – 485.

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La costituzionalizzazione di tali vincoli (art. 117, primo comma, Cost.) ha introdotto un modello generale di rapporti diritto interno/diritto internazionale che pone il primo in una posizione di subordinazione rispetto al secondo, tale per cui lo Stato, aderendo ad una convenzione internazionale e rinunciando perciò a parte della propria sovranità, sceglie di imporre un vincolo all‘esercizio della potestà legislativa interna su una determinata materia.

L‘effetto di tale scelta sarebbe la posizione del vincolo sui contenuti della legislazione interna in modo che non sia percorribile una soluzione legislativa difforme (46).

Invero, si potrebbe ritenere che, proprio con riferimento al caso che ci occupa, il processo di adeguamento ai vincoli dell‘ordinamento internazionale (vieppiù di natura programmatica) potrebbe essere per così dire più ―elastico‖, garantendo, per un verso, la conformità al parametro di

(46) Con le note sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007 la Corte Costituzionale ha chiarito che l‘art. 117 Cost. attribuisce alle norme internazionali di matrice pattizia il rango di ―norme interposte‖ fra le fonti costituzionali e quelle primarie di diritto interno. In particolare al par. 6.2 della sent. 349/2007 si legge: ―Non v‘è dubbio […] che il nuovo testo dell‘art. 117, primo comma, Cost. ha colmato una lacuna e che, in armonia con le Costituzioni di altri paesi europei, si collega, a prescindere dalla sua collocazione sistematica nella Carta Costituzionale, al quadro dei principi che espressamente già garantivano a livello primario l‘osservanza di determinati obblighi internazionali assunti dallo Stato. […] Con l‘art. 117, primo comma, Cost. si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata norma interposta‖. Sul tema, in dottrina, C.ZANGHÌ, La Corte Costituzionale risolve un primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell‘uomo interpreta l‘art. 117 della Costituzione: le sentenze del 24 ottobre 2007, in I diritti dell‘uomo. Cronache e battaglie, 3/2007, p. 50 ss.; E.CANNIZZARO, Sentenze della Corte europea dei diritti dell‘uomo e ordinamento italiano in due recenti decisioni della Corte Costituzionale, in Riv. dir. internazionale, 2008, p. 138; G.GAJA, Il limite costituzionale del rispetto degli

obblighi internazionali: un parametro definito solo parzialmente, in Riv. dir. internazionale, 2008, p. 136; G.TESAURO, Costituzione e norme esterne, in Il Diritto dell‘Unione Europea, 2/2009, p. 195; B. CONFORTI, Sulle recenti modifiche della

Costituzione italiana in tema di rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, in Foro. It., V, 2002, p. 229.

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cui all‘art. 117 Cost. e, per altro verso, un più efficace coordinamento fra le nuove norme e l‘ordinamento previgente.

In effetti, si ribadisce che il testo della legge 190/2012 (e dei relativi lavori parlamentari) evidenzia in modo netto la mera volontà di ―adeguarsi‖ agli standard elaborati dalla comunità internazionale e recepiti dall‘U.E.

Il problema è che, con una scelta probabilmente frettolosa e forse anche dettata da un facile entusiasmo, si è scelto di introdurre norme che, da un lato, non si presentano facilmente compatibili con il sistema previgente e, dall‘altro, introducono strumenti e approcci di politica amministrativa molto nuovi, a volte dirompenti, senza una pregressa e compiuta riflessione sugli effetti concreti che ne scaturiscono rispetto al panorama esistente, riflessione che – anche se non in linea con una ―marcia a tappe forzate‖ verso gli standard internazionali e comunitari – sarebbe stata opportuna per evitare di arrivare a considerare la legge 190/2012 una riforma solo apparente (47). Se è vero che la ―bussola (48)‖ per i decisori pubblici nazionali è fuori dallo Stato (49), le strategie di contrasto devono svolgersi efficacemente entro i confini statuali.

(47) F. MARTINES, La Legge 190/2012 sulla prevenzione e repressione dei

comportamenti corruttivi nella Pubblica Amministrazione, in www.federalismi.it, n. 5, 11 marzo 2015.

(48) S. CASSESE, in Regole e amministrazione pubblica, Presidenza del

Consiglio dei Ministri, venerdì 23 marzo 2012.

(49) In argomento, M.S. GIANNINI, in un editoriale del 1992, sosteneva implicitamente l‘insufficienza degli strumenti repressivi ―Si rifletta solo sul fatto che (la magistratura) ha messo più di vent‘anni per accorgersi dell‘esistenza delle tangenti!‖, in Politica e Mezzogiorno, nuova serie, n. 1-2, 1992; anche in ID., Scritti, vol. IX, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 197-199.

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CAPITOLO SECONDO

La prevenzione del malcostume amministrativo. I rimedi “calati dall’alto”

1. I rimedi introdotti nel nostro ordinamento

Seppure è apparso evidente che i rimedi tendono ad assomigliarsi nei vari ordinamenti giuridici, d‘altra parte è anche vero che tra di loro le iniziative contro la corruzione hanno radici diverse, poiché mirano ad obiettivi differenti.

Alcune, ad esempio, prevengono i conflitti di interesse, altre puntano un faro sulle rendite create dal pubblico, altre ancora innalzano il costo morale dell‘eventuale corruzione, altre, infine, operano sul dato reputazionale.

Tutte, alla fine, convergono sullo scopo ultimo, la prevenzione del malcostume, ma attraverso approcci divergenti. Per questa ragione non è apparso semplice procedere ad una loro tassonomia.

È sembrato possibile, tuttavia, tentare una suddivisione in due macro-categorie.

Da una parte, vi sono stati i rimedi preventivi, per così dire, ‗‗calati dall‘alto‘‘, ossia confezionati in via unilaterale, sotto forma di oneri procedurali che hanno implicato controlli e preclusioni obbligatorie, nonché un ricco apparato sanzionatorio: questi sono volti, principalmente, a ridurre le occasioni di corruzione. Dall‘altra, viceversa, vi sono stati gli strumenti che hanno promosso un controllo della collettività, i quali favoriscono e moltiplicano oggi i momenti di verifica: questi si basano sulla constatazione che la pratica della corruzione è direttamente proporzionale al grado di opacità dei relativi processi decisionali, per cui

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rendendo le procedure intellegibili e trasparenti, nonché rendicontabili all‘esterno, si viene ad operare sul giudizio di disvalore, poiché aumenta il disagio sociale legato alla violazione della legge (50). I rimedi della seconda categoria, dunque, tendono a creare un contesto sfavorevole alla corruzione.