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I PTPC delle singole amministrazioni

Stante quanto sinora esposto, è doveroso richiamare l‘operato condotto dall‘ANAC in ordine alla valutazione dei PTPC e finalizzato ad accertare la qualità degli stessi per come adottati dalle singole

diritto pubblico, I, 1933, p. 38; R. RESTA, Natura e criteri di identificazione delle persone giuridiche pubbliche, in Giurisprudenza italiana, I, 1938, p. 1931.

(72) La dottrina minoritaria cui si fa qui riferimento può essere esaustivamente esemplificata nel pensiero di F. Galgano, secondo cui la natura pubblica di un ente è determinata dal regime a cui esso viene sottoposto da parte dell‘ordinamento giuridico.

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amministrazioni e dai soggetti ad esse equiparati, sì da determinare, in via consequenziale, unitamente alla considerazione di altri fattori, il funzionamento del sistema di prevenzione della corruzione nel suo complesso. Dette analisi dei PTPC hanno portato a dei primi risultati, approvati, già nel 2014 con un‘apposita relazione (73).

Gli esiti dei controlli condotti dall‘Autorità, in via preliminare, hanno rivelato un livello pressoché generalizzato di adozione e pubblicazione dei Piani Triennali: infatti, più del 90% delle amministrazioni incluse nel campione, ha adottato questo nuovo strumento, tra queste, più del 50% ha esercitato la facoltà di aggiornare il documento.

Osservando i singoli comparti, essi si collocano tutti sopra il 95%, ad eccezione del comparto dei ―comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti‖ che fanno registrare la pubblicazione dei PTPC in un numero di casi inferiore alla media (85% dei casi). Inoltre, i piccoli comuni sono gli enti che hanno provveduto in minor misura all‘aggiornamento dei Piani triennali (solo il 40% circa ha aggiornato il PTPC nell‘ultima annualità). Pare quindi che la dimensione organizzativa dell‘amministrazione produca, in media, impatti sul livello di attuazione della disciplina prevista dalla l. 190/2012 concernente adozione e pubblicazione dei PTPC. Al contrario, la localizzazione geografica (nord, centro, sud, isole) non incide sic et simpliciter in maniera sostanziale sul livello di attuazione delle disposizioni in materia di adozione e pubblicazione dei PTPC.

Desta invece non poche perplessità il fatto che nella maggior parte dei casi analizzati dall‘ANAC – vale a dire oltre l‘80% − sia risultata pressoché assente una qualsivoglia analisi del contesto esterno in cui l‘amministrazione di volta in volta esaminata ha operato. Scarsa è stata,

(73) Ci si riferisce alla Relazione Annuale ANAC, pubblicata in data 02.07.2014, precedentemente citata e rinvenibile in anticorruzione.it.

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quindi, finora, la considerazione che i Piani triennali hanno avuto per quei fattori che pure possono incidere, e in misura rilevante, sul fenomeno corruttivo. Si pensi, in proposito, alle variabili culturali, criminologiche, sociali ed economiche del territorio.

Si è registrato, per contro, una forte attenzione, se non altro formale, verso il contesto interno (74) e, in particolare, rispetto alla mappatura dei processi organizzativi: infatti, quasi tutte le amministrazioni − circa il 90% − hanno formalmente passato al vaglio analitico i fattori contestuali interni, i risultati sono però stati qualitativamente altalenanti, sia con riferimento alle aree di rischio obbligatorie che in relazione all‘individuazione di ulteriori aree di rischio. Per un verso, dunque, la mappatura dei processi produttivi ha restituito esiti mai pienamente sufficienti; per altro verso, è mancato impegno nella ricerca e nell‘integrazione di aree di rischio che non fossero quelle espressamente prescritte dalla normativa.

Un siffatto quadro d‘insieme risulta agevolmente spiegabile alla luce dell‘assenza di coinvolgimento di operatori esterni e dal limitato coinvolgimento di quelli interni: il latitare in seno alle amministrazioni di conoscenze di tipo specialistico in materia di valutazione del rischio non può che sostanziarsi in compromettenti difficoltà operative in ordine alla corretta attuazione delle metodologie e degli strumenti che la materia de qua chiama in causa (75).

(74) I controlli interni cui qui si sta facendo riferimento, consistono in quella serie di operazioni volte a valutare l‘operato dei singoli uffici e – più nel dettaglio – dei singoli operatori delle PP.AA. Come è noto spetta agli organi dirigenziali impegnarsi per definire e attuare le misure idonee a prevenire e combattere i fenomeni corruttivi (sul punto si veda P.BARRERA, Istituzioni locali, controlli interni e garanzie di legalità,

in F.MERLONI-L. VANDELLI (a cura di), op. cit. p.369).

(75) Interessante, sul punto del coinvolgimento degli operatori (tanto esterni quanto interni) e dunque, di riflesso, sull‘acquisizione delle competenze necessarie ad una consapevole valutazione del rischio, risulta essere il pensiero di Vannucchi, secondo cui si deve guardare ad alcuni elementi ―esterni‖. Per un maggior

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Tali difficoltà nelle attività, per così dire, ―a monte‖ impattano inevitabilmente sulla qualità della vera e propria programmazione delle misure di prevenzione; per altro verso, poi, l‘inadeguatezza dell‘organizzazione e del know how rispetto alle finalità perseguite paiono precludere interventi simmetrici sulla materia delle misure di prevenzione e sulla materia della trasparenza.

L‘assai dubbio collegamento tra le responsabilità organizzative discendenti dai PTPC con i sistemi di misurazione e valutazione delle performance (76), unitamente alla mancanza di un‘adeguata e generalizzata sensibilizzazione interna ed esterna al fenomeno, rischia di inficiare il sistema di responsabilizzazione interna.

Certamente è possibile che le successive analisi che saranno condotte sul punto smentiscano queste prime indicazioni fornite dall‘ANAC ma, fino a quell‘eventuale momento, non si può fare a meno di evidenziare la difficoltà delle amministrazioni nel predisporre efficaci misure di prevenzione a causa di un approccio che può sinteticamente essere descritto come ―passivo‖, orientato cioè a trasporre nei PTPC le misure obbligatorie previste dalla normativa, senza particolari e/o ulteriori apporti sostanziali, alla stregua di quanto accade con un adempimento meramente formale.

approfondimento sulla materia, che esula dall‘oggetto della presente trattazione, si rimanda a: A. VANNUCCHI, Inefficienza amministrativa e corruzione. Elementi per

un‘analisi del caso italiano, in Rivista trimestrale scienza amministrativa, 1997, pp. 29- 55.

(76) L‘analisi delle performance dei dipendenti pubblici non può, come sostenuto da B. G. Mattarella, prescindere dall‘osservazione che ‹‹una volta che un cittadino ha assunto una carica pubblica, egli è soggetto a una serie di regole di comportamento, che nel loro complesso costituiscono esplicazione della previsione fondamentale dell‘articolo 54 della Costituzione›› (cfr. B. G. MATTARELLA, Doveri di

comportamento, in F. MERLONI-L. VANDELLI (a cura di), op. cit., p.225). Per ulteriori

approfondimenti sul tema della valutazione dell‘operato di un dipendente pubblico si rimanda a B. G. MATTARELLA, La responsabilità disciplinare, in giornale di diritto amministrativo, n.1/2010, p.37; ed ancora G. LOMBARDI, Contributo allo studio dei

doveri costituzionali, Milano, Giuffrè, 1967, passim.

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I risultati evidenziati dovrebbero incentivare un incremento degli sforzi a tutti i livelli, affinché lo strumento dei Piani triennali venga utilizzato al massimo del potenziale in esso insito.

In proposito, si auspica una semplificazione degli indirizzi ed una differenziazione degli stessi per comparti di amministrazioni che tenga in debito conto la dimensione organizzativa e le fasi, oltre che di programmazione, di rendicontazione ed attuazione delle misure.

Sarebbe ancora opportuna una maggiore chiarezza nella

distribuzione delle responsabilità e dei ruoli nelle amministrazioni, come pure una rivisitazione delle logiche sanzionatorie che renda perseguibile non solo la mancata adozione del Piano triennale, ma anche la redazione dello stesso secondo regole non conformi agli indirizzi metodologici previsti dal PNA.

Infine, pare coerente con le prospettive di sviluppo sinora indicate riconsiderare le facoltà dell‘ANAC: gli attuali poteri di vigilanza ad essa riconosciuti – in virtù dei quali essa ha il potere di sindacare e valutare l‘operato dei pubblici dipendenti (77) – ne rendono il ruolo collaborativo già solido, ma ulteriori facoltà, magari di tipo eminentemente sanzionatorio, potrebbero considerevolmente irrobustirne la posizione di garante dell‘effettività e dell‘efficacia del sistema di prevenzione. Dunque l‘insufficiente adozione di misure di contrasto alla corruzione dovrebbe essere rilevata dall‘ANAC nell‘esercizio dei suoi poteri di vigilanza, ai quali seguirebbero, nei casi più gravi, i poteri di ordine e di sanzione.