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Una questione ontologica: la trasparenza come principio, obiettivo o insieme d

Data la portata del dato testuale ―trasparenza‖, non pare inopportuno interrogarsi circa gli effettivi limiti ontologici della nozione giuridica in esame, tradizionalmente indicata come ―principio‖. È, in effetti, il caso di ricordare che, fin dalle origini, la riflessione giuridica è stata contraddistinta dall'incertezza circa la natura del concetto di trasparenza.

Inizialmente, quando la sua introduzione nell'ordinamento italiano rappresentava una novità e la sua applicazione assumeva i contorni di una vera e propria sfida interpretativa, si puntava prevalentemente sulla sua

(146) Secondo M.MAGRI, Diritto alla trasparenza e tutela giurisdizionale, cit.,

431 ss., il diritto di accesso civico di cui all'art. 5, d.lgs. n. 33/2013 (distinto e strumentale rispetto al generale diritto alla conoscibilità delle informazioni relative all'azione amministrativa) «riceve [...] la tutela tipica dell'interesse legittimo»; anch'egli nega che a difesa del diritto di accesso civico si ponga un'azione popolare in senso tecnico (ivi, 436 ss.).

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consistenza di finalità a cui l'attività dell'amministrazione doveva essere rivolta. Questo orientamento determinava la possibilità che il riferimento normativo alla trasparenza fosse reputato come dotato di valenza meramente programmatica e richiedesse necessariamente l'emanazione di norme attuative. Inizialmente, infatti, l'art. 31 della l. n. 241/1990 subordinava la piena efficacia delle disposizioni sul diritto di accesso ai documenti all'emanazione della relativa normativa di rango regolamentare, di cui all'art. 24 della legge. Col passare del tempo, però, anche a fronte della progressiva e inesorabile implementazione della trasparenza, si è intensificata la sua percezione come principio generale.

Il legislatore del 2013 si è, allora, trovato nella condizione di dover riservare grande attenzione all'armonizzazione della disciplina contenuta nel decreto n. 33/2013 con quella rintracciabile in altre fonti: un buon operato in tal senso avrebbe offerto una soluzione ―a monte‖ al possibile conflitto fra disposizioni eventualmente contrastanti.

Tuttavia, dato che la riforma ha offerto una definizione di trasparenza in parte innovativa, non pare irrilevante riconsiderare, sin nelle fondamenta, il senso più profondo dell‘espressione letterale ―trasparenza‖.

Da una più attenta disamina della l. n. 241/1990, emerge innanzitutto quanto fosse riduttivo attribuire alla trasparenza natura meramente programmatica, essa risultava, infatti, essere:

- innanzitutto principio, dal momento che l'art. 1 della legge la indica espressamente come uno dei «criteri» che reggono l'azione amministrativa, configurandola quindi, come dato normativo sovraordinato;

- obiettivo, dato che il c. 2 dell'art. 22 della legge n. 241, parla dell'accesso (rectius, l'accessibilità) ai documenti amministrativi

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«principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza»; - strumento operativo, considerato che il c. 5 dell'art. 27 impone alla

Commissione per l'accesso di redigere una relazione annuale sulla trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, come se quest‘ultima fosse, per l‘appunto, strumentario tecnico dalla cui incidenza misurabile in base a parametri (anche) quantitativi.

Per quanto osservato, risulterà evidente come la legge n. 241/90 abbia prediletto un‘impostazione polisemantica del termine trasparenza.

Con l‘avvento del d.lgs. 33/2013 si assiste, però, ad una virata verso la predominanza della ―trasparenza come principio‖: illuminante risulta, in tal senso, l'art. 1 del decreto, rubricato, per l‘appunto, ―Principio generale di trasparenza‖. Tale prevalenza non deve, tuttavia, far pensare ad un appiattimento della valenza giuridica del concetto giuridico in esame, che, invero, era ed è rimasto assai multiforme. Infatti, nonostante sia descritta perlopiù come corollario dei macro-principi che, ex art. 97 Cost., stanno alla base dell'operato della p.a. (147), in varie occasioni la trasparenza si pone come insieme di meccanismi puntuali, attuativi del principio di buon

andamento, dal quale derivano doveri specifici in capo

all'amministrazione (148). Inoltre, la concezione accolta nel decreto non

(147) In questi termini, v. per tutti M.R. SPASIANO, Trasparenza e qualità dell'amministrazione, cit., 154 ss., e IDEM, I principi di pubblicità, trasparenza e imparzialità, cit., in particolare 90. Sul fondamento costituzionale del principio di trasparenza amministrativa, v. vari contributi contenuti in F. MERLONI, G. ARENA,G.

CORSO, G. GARDINI, C. MARZUOLI (a cura di), La trasparenza amministrativa, cit., nonché E.CARLONI, I principi del codice della trasparenza, cit., 34 ss.

(148) Non a caso, si precisa, nel definire l'oggetto del decreto, che esso individua gli «obblighi di trasparenza concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la sua realizzazione»: v. così l'art. 2, c. 1, del decreto. Analogamente, si parla di «obblighi di trasparenza» gravanti sull'amministrazione anche in altre disposizioni: nell'art. 43, c. 2, è stabilito che il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità debba fissare, tra l'altro, «specifiche misure di monitoraggio

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pare essere estranea neppure all'idea della trasparenza come obiettivo, dato

che nello stesso si afferma – per esempio l'art. 4, c. 2 – che essa «integra

una finalità di rilevante interesse pubblico nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali».

Insomma, anche per il legislatore del 2013, la convivenza fra le varie dimensioni dello stesso concetto non ha rappresentato un problema; del resto, la compresenza di diversi profili ontologici è probabilmente insita nella sostanza stessa della trasparenza amministrativa. Tale polivalenza potrebbe tuttavia produrre incertezze di non poco conto in un settore di primario rilievo quale l'applicazione delle regole sul processo dal momento che l'art. 50 del decreto n. 33/2013 afferma, in termini estremamente generali, che «le controversie relative agli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vigente sono disciplinate dal decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104». Il Codice del processo amministrativo è dunque richiamato nel suo insieme e non con riferimento a specifiche disposizioni. Vero è che

alcune di queste – ossia gli artt. 23, 87 e 133 – sono state modificate

appositamente per consentirne l'applicazione nella fattispecie di lesione del ―nuovo‖ principio di trasparenza, cionondimeno il rinvio generale al Codice è suscettibile di sollevare non poche perplessità per quel che concerne la natura dell'azione proponibile a fronte della condotta di

sull'attuazione degli obblighi di trasparenza»; nell'art. 44 si dice che gli organismi indipendenti di valutazione utilizzano, fra l'altro, i dati relativi al livello di attuazione di tali obblighi per misurare la qualità della performance e l'art. 45, c. 2, precisa che queste informazioni devono essere trasmesse, su sua richiesta, alla Commissione per la valutazione, l'integrità e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni; l'art. 46 predispone le sanzioni per la violazione degli «obblighi di trasparenza» (anche se, a fronte della rubrica formulata esattamente in questi termini, il testo della disposizione parla di «inadempimento degli obblighi di pubblicazione»: sulla confusione fra trasparenza e pubblicità; l'art. 50 rinvia al Codice del processo amministrativo per la disciplina delle «controversie relative agli obblighi di trasparenza» e nei medesimi termini è avvenuta l'integrazione testuale degli artt. 87, c. 2, lett. c), 116, c. 1, e 133, c. 1, lett. a), n. 6, del Codice.

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un'autorità incompatibile con le norme contenute nel decreto n. 33/2013 diverse (149) dall'art. 5 sull'esercizio del diritto di accesso civico (150).

È ragionevole supporre, in generale, che la fattispecie più frequente fra quelle contestate sarà quella in cui la p.a. abbia tenuto comportamenti omissivi. La via maestra sembra essere, dunque, quella dell'esperimento di un'azione di condanna (151), per ottenere dal giudice l'emanazione di un ordine di pubblicazione delle informazioni (eventualmente, congiuntamente alla richiesta di risarcimento del danno, subito a causa dell'inadempimento agli obblighi di legge da parte dell'autorità). Ove permangano, eccezionalmente, margini valutativi in capo all'amministrazione, il giudice potrebbe comunque essere adito con un'azione di adempimento, salvo ovviamente nominare un commissario ad acta per l'adozione delle conseguenti iniziative (152). In questo caso la soluzione più logica sembra essere quella che prevede la coincidenza soggettiva fra il commissario e il responsabile della trasparenza.