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Come abbiamo visto in precedenza, la tradizione della Visio Sancti Pauli nel Basso Medioevo dà luogo ad uno scenario complesso che coinvolge l'intera Europa e si frammenta in una vasta serie di testimoni manoscritti tra i quali è difficile riconoscere rapporti di parentela. È stato tuttavia possibile individuare una linea che, da un'antica versione lunga, contenente anche l'ascesa al Paradiso dell'apostolo, conduce a diverse redazioni brevi latine, contraddistinte da alcuni legami che hanno permesso di includerle in uno stemma codicum176. Nulla di simile invece è stato tentato per

quanto riguarda i volgarizzamenti della Visio che, esaminati nel loro complesso, presentano una situazione maggiormente problematica. Il numero dei testimoni è ingente e, soprattutto, suscettibile di continue variazioni per via della scarsità di studi ed informazioni disponibili sull'argomento, con certi testi che risultano ancora inediti. Prima di passare ad una visione d'insieme, quindi, sarà necessario approntare un resoconto preciso dei singoli esemplari ed è quello che ci accingiamo a fare per quanto riguarda i testi di cui proponiamo l'edizione, le versioni provenzali R e T della Visio

Sancti Pauli. Ci appoggeremo alle considerazioni ed allo stemma costruito da Silverstein sulla base

delle redazioni latine nel tentativo di delineare la provenienza dei nostri volgarizzamenti.

Si può da subito affermare che la versione R risulta strettamente connessa alla redazione IV, sicuramente la più diffusa nel Basso Medioevo coi sui ventinove testimoni latini su un totale di quarantatré, nonché la base più produttiva per le traduzioni vernacolari. Sono presenti infatti tutte le sue interpolazioni ed i motivi più caratteristici, sebbene con qualche interessante distinzione che passeremo ad analizzare nel dettaglio.

L'introduzione è breve e si concentra sull'osservanza della Domenica come giorno da dedicare al Signore: Dies dominicus dies est electus, in quo gaudent angeli et archangeli maior diebus ceteris,

176 T. Silverstein - Visio Sancti Pauli cit. pp. 60-63. Vedi anche il più recente T. Silverstein, A. Hillorts - Apocalypse of

questa è la formula tipica di apertura della redazione IV, che è ripresa in modo pressoché speculare nel nostro testo.

Successivamente sono introdotti San Paolo con la sua guida, l'arcangelo Michele, ed appaiono gli alberi di fuoco con le fiamme che rappresentano i sette tormenti177. In questo punto il manoscritto è

danneggiato ed è presente un termine, torresalh (§8), privo di attestazione nella letteratura occitana, ma si riesce tuttavia ad intuire l'ordine in cui questi sono presentati: neve, ghiaccio, fuoco, sangue, serpenti, folgore, fetore. Si tratta di un motivo che si presta a variazioni nel numero e nella qualità dei tormenti, ma anche in questo caso la versione provenzale R pare seguire i dettami più comuni della redazione IV.

Non altrettanto si può dire del passo seguente, dove risulta del tutto assente una delle interpolazioni tipiche di tale redazione, vale a dire la ruota di fuoco. Si tratta di un motivo di antica discendenza, da ricondurre probabilmente al ben noto mito del supplizio di Issione; si rintraccia, ad esempio, un approfondimento sul tema e sull'etimologia del nome nel commento a Eneide VI, 601 ad opera di Bernardo Silvestre178. Nelle redazioni IV, V e VIII della Visio la ruota è uno strumento di tortura

approntato per mille anime alla volta e la sua menzione è inserita in una breve riflessione a carattere omiletico dell'autore. Essa è presente anche in testi estranei alla Visione di San Paolo ma che sembrano viaggiare nella sua orbita, come un apocrifo priscillianista dei Sette Cieli, di area irlandese, dove su di essa un singolo uomo è torturato per dodici anni. Nella Visione di Gunthelm, tramandata grazie alla Chronica di Hélinand de Froidmont e, in una versione leggermente rielaborata, in una dozzina di altri manoscritti179, l'individuo soggetto al supplizio diventa Giuda; in

effetti, il motivo aveva assunto una certa ambiguità rispetto alle sue origini spostandosi verso una connotazione cristologica, tanto da associarsi al tema solare di Cristo – seguendo una linea già tracciata dalla ricostruzione etimologica di Bernardo Silvestre -, come mostra una vetrata del XII secolo della Cattedrale di Chartres180. La versione R, pur mantenendo l'intermezzo omiletico,

elimina completamente tale menzione limitandosi a ricordare il fuoco d'Inferno e il dolore interminabile che da esso scaturisce.

Non manca invece la più celebre e fruttuosa delle interpolazioni, quella del ponte infernale, ma è interessante notare come in questo caso l'autore eviti l'approfondimento morale operato da Gregorio Magno trascurando anche l'importante dettaglio di come il ponte appaia effettivamente più stretto per le anime malvagie; non si menziona nemmeno l'idea che, secondo la gravità del peccato, l'anima rimanga più o meno tempo sul ponte prima di cadere. Il testo si mostra poi decisamente fedele alla

177 In D. D. R. Owen- The Vision of St. Paul cit. p. 50, si considera indice di corruttela il fatto che le fiamme si trovino intorno agli alberi ma esso pare un tratto comune nei testimoni della redazione IV.

178 C. Carozzi - Le voyage de l’âme cit. p. 490. 179 Ibidem, p. 476.

redazione IV nell'elencare le colpe dei dannati immersi a vari livelli nel fiume di fuoco, un altro elemento che, per la sua natura, tollera generalmente un certo numero di variazioni.

Nella parte centrale del volgarizzamento si riscontrano altre assenze significative. In primo luogo, l'episodio delle donne nere che scontano la colpa della perdita prematura della verginità e dell'aver ucciso e abbandonato i primi figli non cita, accanto a serpenti e draghi di fuoco, i quattro diavoli che le tormentano. Mancano poi completamente le pene dei malfattori nei confronti di vedove e orfani, di coloro che spezzarono il digiuno e sono costretti ad osservare frutti appesi ai rami senza poterli mangiare e del vescovo negligente punito da quattro diavoli.

Il testo passa direttamente alla scena in cui Michele mostra a San Paolo il pozzo sigillato con sette sigilli, e da qui in avanti la vicinanza con la redazione IV è decisamente marcata nell'ordine in cui sono presentati gli elementi, nella struttura dei periodi e nel lessico utilizzato. È lecito supporre che il copista avesse ben presente un esemplare latino a cui appoggiarsi: oltre alla frase d'esordio numerose altre trovano il loro corrispettivo nelle lezioni del codice 362 della Nationalbibliothek di Vienna, edito da Hermann Brandes181.

Dopo l'apparizione del Cristo con la concessione del riposo alle anime emergono ulteriori divergenze nella parte conclusiva. Innanzitutto è singolare come Cerbero sia indicato direttamente come il portiere dell'Inferno, anziché come il suo cane182: un errore che tuttavia compare anche in

alcuni testimoni delle redazioni latine e che potrebbe far pensare ad una svista del copista oppure, ma non vi sono per il momento elementi sufficienti per spingerci oltre ad una semplice ipotesi, ad un guasto situato in una posizione piuttosto alta dello stemma che non in tutti i rifacimenti del testo è stato emendato allo stesso modo. Ad esempio, in Oxford, Bodleian Library, Cod. Laud Miscellany 527, fol. 264, si legge: Et ostiarus inferni qui dicitur Serberus, qui canis est, exaltauit capud suum

super omnes qui erant in inferno... E ancora: Quando hoc audivit hostiarius inferni, qui vocatur Cerberus, et qui cum eo erant in inferno, gracias egerunt deo... in Oxford, Bodleian Library, Cod.

Rawlinson C 108, fol. 81v.

Si conserva l'interpolazione sull'innumerabilità delle pene infernali, contenente il motivo delle lingue di ferro, con l'originale dettaglio del numero cinquantaquattromila che non rispecchia l'unanimemente diffuso centoquarantaquattromila. Si tratterà di un banale errore di trascrizione, che può anche derivare da una lacuna nella fonte del copista, in cui sono state dimenticate le prime due lettere nella cifra romana CXLIII. Vi sono peraltro alcuni esempi simili, come in London, British Museum, Cod. Royal 8. C. VII, fol. 121v: pene inferni sunt .C.XI mille millia.

181 H. Brandes - Visio Sancti Pauli cit.

182 Nel manoscritto si legge: […] lo portier de Ifern, lo cal es dig Cherubus, levet son cap (R, §43), con una porzione della pagina danneggiata che rende illeggibile l'inizio del paragrafo. Vedi la nota al testo corrispondente per ulteriori chiarimenti.

La predica finale risulta estremamente ridotta, occupa solo un paragrafo e si limita ad un invito:

gardem lo dimenge (§45), mentre nella maggior parte dei testimoni della redazione IV essa risulta

espansa e maggiormente elaborata.

Quest'ultima osservazione conferma l'impressione generale che ci offre il testo di questa visione provenzale, vale a dire quella di un rifacimento dal carattere prettamente letterario183. La natura

della trasmissione dell'opera rimane sicuramente quella divulgativa, strettamente connessa all'educazione religiosa, ma nel caso che abbiamo sotto gli occhi sembra venir meno l'elemento omiletico che invece rappresenta una pesante impronta nella maggioranza delle redazioni latine e dei volgarizzamenti, specialmente quelli tramandate dai codici più tardi che includono la Visio tra i materiali “di lavoro” utilizzati dai religiosi per allestire sermoni ed omelie184. Il nostro testo è breve,

conciso e con poche concessioni allo stile, ma come abbiamo visto le prediche sono ridotte all'osso e risultano assenti anche alcune elaborazioni morali come quella fondata su motivi gregoriani nella scena del ponte. Difficile spiegarsi poi l'assenza di quel blocco narrativo che precede l'apertura del pozzo da parte dell'arcangelo Michele. Potrebbe trattarsi di una vasta lacuna nell'esemplare su cui si è basato il lavoro del copista, oppure di una scelta autonoma da parte di quest'ultimo che, nell'intento di abbreviare il materiale del racconto, ha scartato proprio uno di quegli elementi che doveva risultare di particolare impatto per un pubblico religioso, vale a dire la pena del vescovo negligente tormentato dai diavoli. L'opera appare, in definitiva, indirizzata ad una conoscenza da parte di un pubblico principalmente laico, ed in tutto questo un ruolo di grande importanza lo riveste la collocazione del volgarizzamento all'interno del canzoniere R, un testimone che si può considerare di diritto uno dei più antichi nello scenario dei riadattamenti vernacolari della Visio

Sancti Pauli e che rappresenta gli interessi di una cultura cittadina vivace come quella della Tolosa

del primo quarto del XIV secolo. Si potrebbe persino prendere in considerazione l'ipotesi che l'episodio concernente la punizione del vescovo sia stato eliminato coscienziosamente per evitare riferimenti all'Inquisizione: le persecuzioni ed i processi a carico di Catari e Spirituali avevano lasciato un forte ricordo in quell'area, accompagnato sicuramente da una sensazione di timore, tanto che il Consistori del Gay Saber pose tra i propri principi quello di ricondursi prudentemente all'ortodossia cattolica onde evitare di sollevare la benché minima questione religiosa.

La versione provenzale T, tramandata dal manoscritto 894 della Bibliothéque Municipale di Tolosa, presenta una situazione del tutto differente. Nella prima edizione del testo, a cura di Jeanroy e

183 In D. D. R. Owen– The Vision of St. Paul cit. p. 49, una simile presentazione del materiale tematico della Visio è accomunata a quella messa in atto dal templare del Lincolnshire Henry d'Arcy nella sua versione in alessandrini, in cui risultano assenti il motivo della ruota di fuoco e l'amplificazione moraleggiante della scena del ponte.

Vigneaux, esso è descritto come un rifacimento basato sulla redazione IV che tuttavia contiene delle

omissions reiterées elencate in una tabella185. Ad una disamina più attenta appare evidente come in

realtà il testo non abbia nulla a che fare con la più comune delle redazioni latine186: esso accomuna

tratti delle redazioni I, II e III in un contesto originale che suscita pertanto un particolare interesse. Le interpolazioni caratteristiche della redazione IV mancano del tutto, come la ruota di fuoco, il ponte, l'innumerabilità delle pene infernali collegata al motivo delle lingue di ferro e la menzione del portiere dell'Inferno. La breve introduzione poi non contiene nessun riferimento all'osservanza della domenica, come invece avviene nel tipico esordio omiletico della redazione IV: la versione T mostra da subito la sua discendenza con le redazioni I e II, strettamente connesse a loro volta, descrivendo il rapimento di Paolo dalla prigionia e facendo iniziare il suo viaggio, condotto da San Michele, con la visione del fiume Oceano e del drago infuocato che vi abita. Il nome del mostruoso animale non è citato ma le sue caratteristiche fisiche coincidono con quanto riportato dalle versioni latine con sottili differenze, del tutto tollerabili, nella numerazione dei suoi occhi, teste e denti, ciascuno dei quali è coma .i. cotelh agut (T §3). La prima parte del testo si mostra debitrice soprattutto nei confronti della redazione II: condivide con essa la mancata elencazione dei quattro fiumi infernali e l'assenza di rane, vermi e del riferimento a Salomone nella scena del drago. La versione T segue ancora la redazione II nell'inserire, subito dopo, la visione dell'albero a cui sono appesi i peccatori, contrariamente alla I che la evita. Troviamo qui un elemento originale e di particolare interesse: in un corrispettivo speculare di quanto accade per i dannati immersi nel fiume di fuoco, sono elencate le colpe e le rispettive punizioni delle anime che sono appese ai rami con varie parti del corpo. Non si riscontra nulla del genere in nessun'altra redazione latina e si può facilmente pensare ad un'innovazione apportata dal copista con l'intenzione di tracciare un parallelo con la scena del fiume187. Tuttavia, una tale elaborazione esisteva già nella versione in rima del

manoscritto Paris, Bibliothéque Nationale de France, fr. 2094. Si tratta di un testo anonimo, attribuito all'area dell'Île-de-France di metà XIII secolo188, che sembra rifarsi principalmente alla

redazione latina III con alcuni elementi che fanno pensare ad un recupero di tratti primitivi, facenti parte della tradizione sommersa della Visio189. Coloro che sono appesi per i capelli sono detti

“contro natura”, una rielaborazione originale del motivo della cosmesi e dell'utilizzo di unguenti che trova appoggio solamente nell'antica versione copta; nel nostro testo provenzale tuttavia si legge: aquels que pendo per los pels son aquels que an mes lor entendement a penchenar e noyrir

los pels an gran erguelh (T §6). Possiamo interpretare questo accostamento come un segno di un

185 A. Jeanroy, A. Vignaux - Voyage au Purgatoire de St. Patrice cit. p. XXIX.

186 T. Silverstein - The Source of a Provençal Version of the Vision of St. Paul, in «Speculum» 8 (1933), p. 353. 187 Ibidem, p. 355.

188 Edito in L. E. Kastner - Les versions francaises inédites cit. pp. 49–62. 189 W. Meiden – Versions of the Descent of Paul cit. pp. 92-95.

legame che unisce queste tre versioni, con il possibile tramite di una redazione latina, ad oggi sconosciuta, che recuperò tali tratti primitivi tramandandoli nella Provenza del XV secolo190.

Nella sezione successiva del viaggio oltremondano di San Paolo l'autore di T inserisce alcune rivisitazioni personali, ma potrebbero anche essere imputate ad una particolare connotazione del suo esemplare di riferimento. Dopo la descrizione della pene e delle colpe delle anime immerse nel fiume, che non si discosta dalla linea guida tracciata dalle redazioni I e II, è presentata una fornace dove ardono peccatori in gran quantità. La menzione della profondità del luogo è ripresa da I, mentre le fiamme che circondano il luogo di tortura appartengono soltanto a II; T ne ignora tuttavia il suggerimento riguardo al loro numero, sei, associato a quello dei tormenti. Inoltre, il destino dei malfattori nei confronti di donne e bambini, che per metà ardono e per metà gelano in un luogo di punizione tutto loro, è qui associato agli altri.

Nella successiva rassegna di pene infernali il testo sembra allontanarsi ancora di più dalla redazione II, che nel testimone che ce la tramanda si arresta intorno a quel punto del racconto. Risulta assente, infatti, la punizione destinata al vescovo negligente mentre ci si affida a I nell'aggiungere al tema delle donne nere, coperte di pece e di zolfo, anche la colpa dell'aver praticato divinazioni e sortilegi191.

Nell'introdurre la scena del pozzo dei sette sigilli l'autore della versione T si affida ad un'ultima suggestione proveniente dalla redazione II, situando il luogo a settentrione. Degno di nota è il fatto che in realtà si faccia menzione di un poggio (pueg, T §20), una variazione che può tuttavia essere spiegata come una semplice ambivalenza nella traduzione francese dal latino puteus192. Il testo

recupera l'influenza della redazione I nel citare la discesa del Cristo all'Inferno, un'interpolazione tipica di quella versione latina che per prima si discosta dall'originale più antico, ma successivamente si allontana dalle sue fonti per alterare, probabilmente di propria iniziativa, la spiegazione dell'arcangelo Michele su coloro che saranno dannati in eterno; ad esempio, è assente quella frase molto diffusa che precisa come Dio non avrà memoria di essi.

Giunge poi il momento del raptus animae, descritto con la concisione tipica della redazione III: un'anima giusta è condotta in cielo dagli angeli mentre un'anima malvagia è rapita da una pattuglia di diavoli e portata all'Inferno. Questo elemento è decisivo nell'indicarci come la fonte a disposizione dell'autore di T raggruppasse elementi riscontrabili in diverse redazioni latine, poiché tale scena risulta del tutto assente nelle prime due. La redazione III termina con la concessione del

190 D. D. R. Owen – The Vision of St. Paul cit. p. 43.

191 Una pena per maghe e divinatrici è menzionata anche in London, British Museum, Cod. Royal 8. C. VII, fol. 121r. 192 T. Silverstein – The Source of a Provencal Version cit. p. 356, smentisce con ottime argomentazioni la proposta di

A. Jeanroy, A. Vignaux - Voyage au Purgatoire de St. Patrice cit. p. 126, che interpretavano il termine come derivante da podium.

riposo domenicale ai dannati193: il nostro testo vi aggiunge un'ammonizione finale ad aver paura ed

a rispettare il giorno della settimana dedicato al Signore. Si esalta quindi l'intento omiletico con un'elaborazione personale che non dimostra nessuna conoscenza delle interpolazioni che arricchiscono la conclusione delle altre redazione latine, quali lo sconforto del portiere dell'Inferno, l'innumerabilità delle pene infernali, il tema delle lingue di ferro e la lista di maledizioni che si prospettano a chi raggiungerà l'Inferno, caratteristica della I.

Dalla disamina che abbiamo effettuato risulta evidente come la composizione della versione provenzale T sia stata influenzata allo stesso tempo dalle prime tre redazioni latine. Il corpo principale del testo è tratto da II, con tuttavia alcune connessioni con I in certe scene significative. Noi conosciamo entrambe per il tramite di un testimone unico: Vienna, Nationalbibliothek, Cod. 362, ff. 7v-8v e Vienna, Nationalbibliothek, Cod. 3881, ff. 182-183, il quale si conclude bruscamente nel bel mezzo della scena della concessione del riposo ai dannati; dopo tale punto l'autore di T compie un'aggiunta omiletica originale senza recuperare altro materiale appartenente alla Visio, il che ci permette di supporre che anche la sua fonte si arrestasse a quella scena.

Queste due redazioni da sole non bastano tuttavia a spiegare tutti gli elementi presenti nel testo, che attinge senza dubbio anche da III, quantomeno nell'episodio del raptus animae; si noti peraltro che quest'ultima redazione possiede una tradizione più ricca e complessa, al punto di essere suddivisa in gruppi, e soprattutto tramandata da un numero maggiore di testimoni manoscritti.

Nell'impossibilità di determinare se l'autore di T avesse davanti agli occhi una singola copia o più di un esemplare di riferimento, aprendo quindi possibili scenari di interferenza tra le fonti, si dovrà concludere che egli ebbe come base un testo, a noi non pervenuto, dotato di un aspetto ibrido fra quei tre diversi esiti, prodotto in uno stadio primordiale della tradizione prima che essa di diramasse nei suoi numerosi rifacimenti; non a caso, come abbiamo visto in precedenza T contiene allusioni ad alcuni tratti primitivi della Visio Sancti Pauli. Considerando lo stemma, ci si dovrà forzatamente collocare in una posizione piuttosto alta, agli albori della tradizione delle versioni abbreviate latine: potremmo trovarci all'altezza di α o, più probabilmente, a quella di β, che dà origine a II e III ed è sullo stesso livello di I nel dipendere da α194.