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- La cultura provenzale e la lirica trobadorica

L'analisi degli elementi che compongono il nucleo di questa versione provenzale della Visio Sancti

Pauli ci ha portato ad una riflessione che nasce come logica conseguenza. Quale ruolo rivestì questo

testo nella cultura occitana del Medioevo? Quale posizione occupò in quell'articolato sistema di fonti da cui i trovatori traevano ispirazione per i loro componimenti?

In verità, più che di un testo stricto sensu sarebbe opportuno parlare di un'idea, una leggenda, una tradizione: tale doveva essere infatti, la condizione primaria con cui la Visione di San Paolo circolava nei secoli intorno all'anno Mille. Talvolta, ad opera di un autore e di un copista, assumeva la forma di un testo scritto ma la sua diffusione dovette essere ben più ampia ed allargata a diversi strati sociali di quanto non indichino i testimoni, pur straordinariamente numerosi, in nostro possesso. Non si spiegherebbe altrimenti, infatti, quella complessa rete di interferenze, ricca di nodi forse impossibili da sciogliere, che impediscono di tracciare uno stemma della tradizione o una linea genealogica completa del testo196. La provenienza dei testimoni, poi, è delle più varie: la Visio

compare in latino così come nelle lingue volgari dell'intera Europa, è situata in raccolte di testi dalle più disparate identità, si presenta talvolta con una veste linguistica curata e grande attenzione formale, talvolta in copie effettuate con minore competenza.

Dovettero esservi, in definitiva, altri canali di trasmissione. Ancora meglio, si potrebbe considerare come la Visio fosse diventata un elemento costitutivo dell'immaginario collettivo medievale, con un suo ruolo ben definito nel pensiero di molte categorie di persone. Non doveva essere necessariamente l'intera vicenda a tramandarsi per via orale. Certi loci, certi temi, come abbiamo visto, davano luogo ad un vivace rapporto di scambi con altre visiones; estrapolati dalla leggenda di

San Paolo acquistavano una propria capacità di trasmissione e si diffondevano in testi d'origine differente, mentre a sua volta le versioni medievali della Visio ne ricevevano molti altri come interpolazioni197. In osservanza di un tratto tra i più caratteristici del genere letterario a cui

appartiene, difficilmente i suoi motivi restavano cristallizzati in un ordine e in una forma: piuttosto accadeva che alcuni di essi raggiungessero la dignità letteraria per essere stati inclusi in opere di vasta portata e di grande spessore, ricevendo così una straordinaria amplificazione nella cultura popolare e nelle opere prodotte negli anni e nei secoli successivi. Gregorio di Tours, Beda il Venerabile e Gregorio Magno sono tra le principali auctoritates che raccolgono e impongono il materiale delle visiones; è proprio quest'ultimo, ad esempio, ad affermare il tema del ponte infernale, eccezionalmente fertile e dalla lunga tradizione.

Nel nostro specifico caso, tuttavia, sarà quantomai opportuno soffermarsi anche sul problema della tradizione manoscritta della Visio Sancti Pauli, per il motivo che una delle due versioni provenzali da noi edite è tramandata da un codice di estrema rilevanza: si tratta del canzoniere R, una raccolta tra le più importanti per ricostruire l'identità della letteratura trobadorica e che si presenta anche come unica nostra fonte di conoscenza per alcune opere narrative di grande interesse, come la Novella allegorica di Peire Guilhem. La straordinarietà della comparsa di una redazione della Visio a stretto contatto con una coerente sequela di poesie trobadoriche desta sicuramente qualche interrogativo, soprattutto alla luce del fatto che tale élite intellettuale appare come una delle categorie sociali più distanti dall'influenza dei testi visionari. Molto diffusi in ambiente monastico, questi ultimi dovevano suscitare scarso interesse nel contesto raffinato delle corti del sud della Francia, la cui produzione letteraria in effetti si distanziò decisamente dalla sfera d'ingerenza delle istituzioni religiose fornendo una grande spinta allo sviluppo di una letteratura di stampo laico198.

Ma, come abbiamo visto, i motivi tramandati dalla Visio si erano ormai sdoganati dall'immaginario strettamente religioso per divenire una delle trame nel tessuto della cultura popolare. Nessun riferimento diretto, esplicito è mai stato evidenziato all'interno della letteratura occitana, ma la nostra analisi, portata avanti principalmente tramite scavi lessicali e confronti, mostra come in qualche rara occasione la sensibilità degli autori sia stata sfiorata dai temi visionari che stabiliscono così un piccolo avamposto anche in un ambiente a loro refrattario. Vedremo anche come, nello specifico, l'interesse per la Visio Sancti Pauli dovette farsi più intenso in occasione dell'allestimento del canzoniere R, tanto che una versione del testo finì sul tavolo del copista insieme al resto del materiale; questo ci permetterà inoltre di fornire qualche spunto di riflessione sulla collocazione

197 T. Silverstein - Visio Sancti Pauli cit. pp. 64 e sg.

geografica e cronologica di tale monumento della letteratura trobadorica.

Abbiamo già citato come esempio il tema del ponte infernale. Si tratta di un elemento dal grande valore simbolico, associato col giudizio che le anime dovranno affrontare nell'aldilà e le prove da superare per poter infine giungere alla vita eterna, evitando la dannazione. In molte delle leggende in cui compare, infatti, il ponte conduce alla città celeste: alle anime giuste esso appare largo e consente un facile transito, mentre per le anime malvagie diventa sempre più stretto finché queste sono costrette a cadere ritrovandosi tra le pene infernali. Di volta in volta, il ponte assume un ruolo di vera e propria punizione oppure di trafila purgatoriale, con l'anima dannata che dopo un certo numero di tentativi sarà redenta dai propri peccati e potrà superare la prova. Le origini della leggenda affondano le proprie radici nell'antichità indiana e persiana: l'impressione è quella di un vero e proprio mito indoeuropeo, che si diffonde in occidente per il tramite greco e arabo ma compare, parallelamente, nelle mitologie del Nord Europa199. Il Medioevo occidentale conosce la

definitiva affermazione del tema quando questo viene incluso nelle opere di Gregorio di Tours e Gregorio Magno; da quel punto in avanti esso diverrà una tappa pressoché immancabile in ogni viaggio visionario nell'aldilà. La Visio Sancti Pauli non fa eccezione: esso non compare nell'originale latino ma viene successivamente interpolato, probabilmente proprio dai Dialogi di Gregorio Magno, e diventa un elemento fisso dei testi facenti capo alla redazione IV, dalla quale poi si svilupperà la maggior parte dei volgarizzamenti. Nella versione provenzale contenuta nel canzoniere R, da noi edita, il ponte infernale permette alle anime giuste di passare ses dopte, mentre le anime peccatrici cadono nel sottostante fiume di fuoco, abitato da bestie diaboliche, e lì restano, immerse a vari livelli di altezza secondo la loro colpa; un altro tema molto diffuso, questo dell'immersione graduale, che spesso compare associato col precedente.

Non è certo raro trovare menzione di un ponte nella letteratura occitana; esso ben si presta a metafore cavalleresche, fornisce un chiaro simbolo dell'ambiente cortese ed è un'immagine imprescindibile nelle scene di battaglia dipinte dall'epica. In alcune occasioni, tuttavia, il riferimento si sposta in direzione della prova infernale delle visiones. Fra i trovatori, il più sensibile al tema è senza dubbio Peire Cardenal: labili tracce affiorano nei sirventesi Quals aventura (PC: 335 043) e Tendas e traps, alcubas, pabaillos (PC: 335 056). La testimonianza più netta però, quella che a nostro avviso appare decisiva, è quella del grieu pon, evidenziato peraltro dalla collocazione in rima, del sirventese Si tot non ai joi ni plazer (PC: 335 051)

Ai tan dolen e tan temen

venrem vas Dieu, quan nos aura mandatz, si non avem satisfaitz los peccatz!

E doncx pus res no'ns pot valer que tug no passem al grieu pon, e quascus dopta lo cazer

del val on hom cai tan preon

(vv. 28-34)

Si tratta del ponte dell'aldilà, che ogni uomo dovrà affrontare e dal quale dovrà temere la caduta; se non avrà ottenuto la redenzione dai propri peccati, finirà in una valle profondissima. Ora, non ci è dato sapere quale sia stata la fonte d'ispirazione dell'autore nell'inserire questo elemento nel suo sirventese. Come abbiamo specificato nell'esordio di questo capitolo non si può assolutamente trascurare l'importanza del canale di trasmissione orale, soprattutto nel caso di un motivo che circola anche in maniera autonoma rispetto alle opere che lo contengono. Se dovessimo considerare i testi di nostra conoscenza, sicuramente potremmo includere la Visio Sancti Pauli tra i candidati: una versione latina della redazione IV oppure già un volgarizzamento provenzale. La data a cui collochiamo il canzoniere R è certamente molto lontana dell'epoca in cui fu attivo Peire Cardenal, ma al tempo stesso la presenza della Visio in tale raccolta lascia presupporre che una o più redazioni del testo circolassero in area provenzale nello stesso lasso di tempo in cui la poesia trobadorica conosceva il suo maggior sviluppo.

Un altro interessante riferimento si può riscontrare nell'opera del trovatore Rigaut de Berbezilh, nel caso specifico della canzone Tot atressi con la clartatz del dia (PC: 421 009).

Per que mos cors plus de vos no'm cambia de tot bon cor vos servir et onrar,

aissi com cel que pass'un estreit pon qui non s'auza nulal part desviar. Qui dreit cami' seg de ren non desvia, per q'eu m'en sui del tot aseguratz

Anche in questo caso pon è in rima, utilizzato per una similitudine a sfondo cortese, ma stavolta si nota la sua larghezza ridotta, tanto che chi lo attraversa è costretto ad incedere in linea retta. Il ponte dell'aldilà è spesso descritto come sottile come la lama di una spada o come un capello.

Avvicinandosi al periodo di tempo su cui convergono le più coerenti ipotesi di datazione del canzoniere R, i contatti tra la poesia occitana ed il tema del ponte paiono farsi, significativamente, più fitti ed evidenti. Bertran de Sant Roscha fu attivo proprio nei primi decenni del XIV secolo: canonico presso la Cattedrale di Santo Stefano di Tolosa, fu premiato nell'ambito dei Jeux Floraux istituiti in quella stessa città dal Consistori del Gay Saber, a partire dal 1324200. In una delle tre

canzoni da lui composte, uniche opere pervenuteci, si legge:

e ferms pilars que totz los dregtz emapra de nostra fe, que d'amors es conquesta, etz vos humils e mars qu'en pretz habonda, e pons am que de l'infernal sisterna

nos deliurech del rey que'l mon governa de mort lo sanchs que sobre totas monda.

(46, vv. 43-48)

L'idea dell'aldilà è rafforzata da l'infernal sisterna e dall'allusione al rey que'l mon governa. Ciò che è interessante rilevare è che la temperie culturale tolosana degli anni '20 del XIV secolo è sovente ricondotta all'allestimento del canzoniere R con argomentazioni convincenti201. Oltre ad una

generale patina linguistica tolosana, infatti, all'interno della raccolta si riscontra la presenza di autori appartenenti a quell'ambiente, come Peire Lunel de Montech, citato come doctor en leys nel registro dei membri del Consistori, che è stato persino suggerito come curatore o possessore del codice202.

La nostra osservazione sulla canzone di Bertran de Sant Roscha si colloca senza sforzo in questo solco, ma ancora più pertinente è il caso della canzone En vos lauzar es, Dona, mos aturs. Si tratta

200 Per l'edizione delle opere di Bertran de Sant Roscha, vedi A. Jeanroy - Poésies provençales du XIV siècle, in «Annales du Midi» 52 (1940), pp. 241-279.

201 F. Zufferey – Recherches linguistiques cit. p. 130.

di una delle due composizioni di cui abbiamo conoscenza ad opera di Bernart de Panassac, signore dell'Arrouède – un grado nobiliare minore, in verità, col titolo di donzel et seigneur - e tra i fondatori del Consistori del Gay Saber203. Essa ci è stata tramandata grazie alla glossa che ne fa

Raimon de Cornet, conservata nel primo dei due manoscritti provenzali presentati in edizione da Camille Chabaneau, conservati dagli archivi dell'Accademia dei Jeux Floraux di Tolosa204. I due

codici contengono 64 componimenti, di cui più della metà attribuibili proprio all'ultimo dei trovatori, l'autore più prolifico e brillante della scuola tolosana del XIV secolo, che si occupa qui di approfondire, strofa per strofa con versi settenari, la canzone di Bernart sciogliendone i numerosi nodi metaforici. L'opera originale, nel caso di nostro interesse, recita:

Le bels palaytz on vos etz de vii murs grans e sobriers es veramen totz claus e de valatz mals e larcx sobre caus ab estreg pon, qu'es lens e mot escurs; per qu'iei vos dic, cors avinens e cars, qu'intrar no y puesc ses del vostre socors

(vv. 1-6)

Con un procedimento che ricorda molto da vicino le operette allegoriche che fioriscono nello stesso contesto in cui compone Bernart, il trovatore arricchisce l'immaginario cortese con elementi simbolici il cui significato rimane celato al lettore pur affermandosi in posizione preminente rispetto alla consueta dialettica che qui rimane ambiguamente sospesa tra la sfera religiosa e quella amorosa; l'allusione alla Vergine infatti è solo velata, mista ai più comuni clichés amorosi. Il fatto è decisamente interessante se consideriamo che il Consistori del Gay Saber nasceva con una precisa connotazione cattolica, volta a stemperare il clima reso rovente dalle persecuzioni di Catari e Spirituali, ed era abitudine che ogni componimento contenesse almeno un elemento riconducibile all'ortodossia religiosa205. È forse questa la chiave di lettura per interpretare la glossa ad opera di

Raimon de Cornet, che in effetti scioglie le ambiguità di Bernart riportandola in una direzione prettamente religiosa, quasi come a correggere una canzone che potesse risultare sconveniente, e nel

203 C. Chabaneau - Origine ed établissement des Jeux Floraux, in «Histoire génerale de la Languedoc», tomo X, Toulouse, Privat, réimpr. 2003-2006, p. 183.

204 C. Chabaneau, J. B. Noulet - Deux manuscrits provençaux du XIVe siècle, Montpellier-Paris: Societé pour l'étude

des Langues Romanes, 1888, pp. 108-140. 205 Ibidem, pp. XII-XIII.

farlo sembra davvero avere sotto gli occhi o nella memoria la versione della Visione di San Paolo conservata dal canzoniere R.

Nei versi che abbiamo citato il poeta chiede infatti il soccorso di una donna, la Vergine oppure l'amata, per entrare nel palazzo circondato da sette mura e difeso da un ponte difficoltoso da percorrere, oscuro, sotto al quale si stende una vallata. Può sembrare già di scorgere un'eco della Gerusalemme Celeste della Visio, cittadella fortificata a cui si accede per via perigliosa – nell'originale latino, prima dell'interpolazione del ponte, era necessario navigare attraverso il lago Acherusa; il commento in settenari di Raimon de Cornet ci conforta in questa suggestione.

Mot precios e cars es le palaytz, som pes, que vers paradis es, lox de mot gran repaus; e'lh vii mur don es claus so li mortal pecat, e'lh sobre cau valat so las penas d'ifern on estan ses govern e ses gaug li perdut; e'l pons, se Dieus m'ajut, es la ferma crezensa

qu'om pren de conoyshensa quan deu ades morir. E car luns oms fugir no pot ges a pecatz, cum savis e membratz, ac temor d'aquel pon, que'l fezes mot prion ins els valatz tombar. Per so volc reclamar fort la verge Maria que, per sa cortezia, li volgues far socors,

quelh passes las temors si cum desus vezetz.

(vv. 68-93)

Le sette mura, dunque, sono i peccati mortali, e non poteva essere altrimenti vista l'ispirazione religiosa della glossa, mentre il palazzo stesso è identificato con il Paradiso, la cui connotazione è quella di lox de mot gran repaus, con l'utilizzo di uno dei termini chiave della versione provenzale della Visio Sancti Pauli che si riferisce al riposo delle anime beate, il meritato refrigerium206, ed a

quello concesso nel giorno della domenica ai dannati. La vallata sovrastata dal ponte, di cui ognuno ha timore, ospita le pene dell'Inferno che attendono chi cade; il ponte, dunque, assume nell'interpretazione di Raimon de Cornet quel ruolo di transito delle anime verso la vita eterna, con la minaccia dei tormenti sottostanti: metaforicamente, egli lo individua come una ferma crezensa, la tranquillità d'animo scaturita dalla bontà delle proprie opere che permette di mantenere il passo deciso e fermo senza scivolare nell'abisso. Non c'è menzione, quindi, della capacità del ponte di allargarsi o restringersi a seconda di quale anima lo attraversi, ma il concetto rimane ed è interiorizzato; la larghezza del ponte, e dunque la facilità nel percorrerlo, sta tutta nello stato d'animo dell'uomo. È notevole anche come, in sede di rima, Raimon sembri rifarsi al suo illustre predecessore, Peire Cardenal, accoppiando pon a prion per esaltare la profondità dell'abisso che attende i peccatori in contrasto con la sottigliezza del ponte, un filo quasi invisibile su uno sfondo vuoto. La glossa di questa strofa si conclude poi con l'equazione che ci attendevamo: il cors avinens

e cars a cui Bernart de Panassac chiede soccorso è reso esplicito nella Vergine Maria.

Un altro motivo topico della Visio, in questo caso presente fin dalla sua versione lunga latina e non frutto di interpolazioni, è quello del pozzo infernale, il puteus abyssi. Si tratta di una separazione operata tra il luogo adibito all'attuazione delle pene ed un'area, sigillata da sette sigilli, destinata a chi non crede in Dio e nell'incarnazione di Gesù Cristo, dei quali non ci sarà memoria nemmeno nel giorno del giudizio. I primi godono inoltre del privilegio di qualche ora di riposo dai tormenti alla domenica. Alcune visiones, in particolar modo quelle di origine irlandese, elaborarono il tema nell'ottica di una quadripartizione dell'aldilà207: i tormenti diventano una sorta di trafila purgatoriale,

scontata la quale le anime potranno entrare nel Regno dei Cieli, mentre l'Inferno vero e proprio è localizzato nel pozzo dal quale non esiste via d'uscita. La Visio Sancti Pauli, in realtà, non sembra

206 C. Carozzi - Le voyage de l’âme cit. p. 20.

aderire a questa interpretazione in nessuna delle sue versioni.

La letteratura occitana non è del tutto immune al fascino di questo tòpos: all'epoca di un trovatore come Cerveri de Girona si possono leggere, nella sua canzone di penitenza Totz hom deu far aquo

que'l vielhs sers fa (PC: 434 015), i seguenti versi:

Potz ampl'e fer, neyr e preyon veyra de foc arden ab aygu' envinagrada cel c'a la fon de l'ayga no pendra, en que n'ira ab cobla ses tornada;

(vv. 29-32)

L'immaginario proposto dall'autore è del tutto affine a quello infernale, con il potz ampl'e fer ed il fuoco ardente.

Come nel caso del ponte, avvicinandosi all'epoca ed al contesto culturale di riferimento del canzoniere R i riferimenti si fanno più fitti e pertinenti. Ancora una volta ci troviamo di fronte alla possibilità che il codice abbia incrociato la sua strada con quella del Consistori del Gay Saber di Tolosa; esaminando le opere composte nei primi decenni di vita di quel circolo culturale, raccolte nelle Joies du Gai Savoir208, emergono dettagli e riferimenti che difficilmente si possono

considerare casuali. Ne forniamo un primo esempio:

naut en la crotz, sul punt de l'hora nona, per prumier crim, qu'era mot cauz'orribla, car autrament m'era cauza impossibla qu'ieu non tombes al cruzel potz d'infern, pueys deservitz era per mal gover; mays per tu foc resemuda natura.

(Joies du Gai Savoir 31, vv. 11-16)

208 A. Jeanroy - Les Joies du Gai Savoir, recueil de poésies couronnees par la Consistoire de la gaie science (1324-́ 1484), Toulouse, Privat, 1914.

I versi si riferiscono al sacrificio di Gesù Cristo sulla croce, che salvò l'autore dalla “caduta nel