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Le versioni provenzali della "Visio Sancti Pauli": edizione del testo del Canzoniere R (Paris, BnF fr. 22543) con annessa miscellanea religiosa ed edizione del testo del ms. 894, Bibliothèque Municipale de Toulouse

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Università degli Studi di Pisa

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea Magistrale in Letterature e Filologie Europee

Tesi di Laurea in Filologia Romanza

Le versioni provenzali della “Visio Sancti Pauli”: studio

ed edizione dei testi (Paris, BnF, fr. 22543; Toulouse,

BM, ms. 894)

Candidato

Andrea Cassini

Relatore

Prof. Fabrizio Cigni

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Indice

• Premessa p. 3 • Il genere del “viaggio nell'aldilà” dall'antichità al Medioevo p. 5 • La tradizione latina e volgare della Visio Sancti Pauli: sua influenza e fortuna p. 12 • Edizione dei testi p. 28

◦ Criteri di trascrizione p. 31 ◦ Canzoniere R (Paris, Bnf, fr. 22543) – Visio Sancti Pauli, versione R p. 34 ◦ “Miscellanea religiosa”: i sette sacramenti, le sette bontà, i sette peccati mortali,

le sette virtù, i dieci comandamenti, dei salassi p. 37 ◦ L'Enfant sage: Dialogo tra l'Imperatore Adriano e Epitteto p. 40

(Toulouse, Bibliothéque Municipale, ms. 894) – Visio Sancti Pauli, versione T p. 46 ◦ Note filologico-letterarie p. 50 ◦ Traduzione dei testi p. 56 ◦ Commento linguistico: Visio Sancti Pauli, versione provenzale R e “miscellanea

religiosa” (Los VII sagramens, las VII bontatz, los VII peccatz mortals, las VII

vertutz, los X mandamens, De las sanguias, Enfant sage) p. 71

Commento linguistico: Visio Sancti Pauli, versione provenzale T p. 84 • La collocazione delle versioni provenzali R e T nella tradizione manoscritta della

Visio Sancti Pauli p. 86

L'influenza della Visio Sancti Pauli sulla letteratura medievale p. 95 ◦ La cultura provenzale e la lirica trobadorica p. 95 ◦ La letteratura italiana del Dodicesimo secolo e Dante p. 108 ◦ L'Umanesimo e i secoli successivi p. 126 • Conclusioni p. 130 • Bibliografia p. 134

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Premessa

Soltanto da pochi decenni, grazie ai contributi di studiosi quali Peter Dinzelbacher, Maria Pia Ciccarese e Claude Carozzi, si è ravvivata la fiamma dell'interesse intorno alla letteratura di stampo visionario. È stato possibile recuperare, individuare e catalogare gran parte del materiale narrativo che tali testi contengono, valutandolo secondo categorie nuove. Si tratta quindi di una direzione degli studi piuttosto giovane, che si trova a fare i conti con generi letterari di difficile identificazione come il “viaggio nell'aldilà”: la sua autonomia e le caratteristiche intrinseche risaltano però, ed in modo molto evidente, al confronto con aree affini come quella che riguarda le grandi opere visionarie di stampo profetico.

Più che quello colto, intellettuale, il campo a cui facciamo riferimento è quello popolare, spirituale: l'oggetto di studio è esteso nel tempo a coprire un arco che va dall'antichità agli albori del Rinascimento, ma è soprattutto profondo, integrato nella società medievale a più livelli. Le leggende incentrate sui viaggi ultraterreni, con protagonisti santi, monaci o uomini comuni, sono amplificate dalla produzione letteraria delle istituzioni religiose ma confluiscono con facilità nella memoria collettiva, esaltando l'importanza del canale di trasmissione orale, sfruttato pienamente, del resto, da sermoni ed omelie. È la tensione escatologica a rendere questa tradizione così viva ed adattabile ad ogni contesto, è la naturale disposizione a sporgersi verso l'aldilà che ogni uomo conosce nel suo animo e che il Medioevo assunse come punto fermo della propria dimensione spirituale, in special modo nell'Occidente cristiano. Il fatto che tutto abbia inizio da testi apocrifi, quali per l'appunto la Visio Sancti Pauli, non costituisce in nessun modo un ostacolo; la ricchezza e la qualità delle testimonianze manoscritte ci confermano senza possibilità di smentita che da tali libri non inclusi nel canone si generò un intero flusso culturale, ricco di elementi che in breve tempo divennero autonomi e si combinarono in nuove forme accettate e divulgate da chiese e monasteri. Tuttavia, dobbiamo essere disposti a pensare che la tradizione sommersa, quella che si muove per via orale a livelli sociali più bassi rispetto a quelli a cui siamo abituati a fare riferimento in letteratura, possa aver rivestito un ruolo di primo piano in questo contesto, interferendo su più piani ed a più riprese con quella manoscritta, tangibile, lasciando tracce che non sarà inutile investigare.

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Tra quei testi apocrifi su cui si fondò la letteratura dei viaggi nell'aldilà, capaci di plasmare il modello mitologico della discesa dell'eroe agli Inferi secondo i dettami più umani e comunicativi della cristianità, la Visione di San Paolo non fu il primo in senso cronologico ma fu sicuramente il più popolare ed il più influente, estendendo la sua ombra fino all'epoca di Dante. Non mancano approfondimenti sulla sua origine né resoconti della sua tradizione latina, tuttavia la mole stessa del materiale manoscritto ad essa collegato rende impossibile adottare una prospettiva che comprenda ogni dettaglio ed ogni sua valutazione. È necessario procedere con cautela, un passo per volta, tentando di mettere insieme quello che è emerso in immagini sempre più grandi. C'è, ad esempio, ancora tanto lavoro da fare riguardo ai rifacimenti vernacolari dell'opera, volgarizzamenti presenti in gran numero in tutta Europa e tramandati da testimoni che vanno dal Decimo al Diciassettesimo secolo. Abbiamo scelto, per contribuire alla marcia intrapresa in questa direzione, di concentrarci sulle forme che la Visio Sancti Pauli assunse in area provenzale, presentando l'edizione di due versioni differenti, tratte da due manoscritti distinti. Uno è Paris, Bnf, fr. 22543, comunemente conosciuto come canzoniere R, prezioso documento della letteratura occitana risalente agli inizi del XIV secolo; da esso pubblichiamo anche una miscellanea religiosa che si mostra connessa al testo della Visio. L'altro, più tardo ma non meno interessante, è Toulouse, BM, ms. 894, un codice esemplato negli anni '60 del XV secolo. Cercheremo di collocare queste versioni in uno scenario il più ampio possibile, analizzandone la data e la provenienza ed inserendole nella tradizione del testo; sarà d'obbligo, in un caso come questo, rendere conto di ogni interferenza, intreccio e richiamo in una prospettiva che travalica le distinzioni tra il mezzo espressivo latino e quello volgare e che accantona, almeno temporaneamente, una certa concezione dell'opera scritta in quanto tale per indagare più in profondità gli elementi culturali, singoli ed agglomerati, e la strada che hanno percorso nei secoli del Medioevo.

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Il genere del “viaggio nell'aldilà” dall'antichità al Medioevo

Quello del viaggio ultraterreno è un mito che affonda le proprie radici in profondità nella storia dell'uomo. Esso si presenta a partire dalle prime grandi civiltà la cui cultura ci è stata tramandata da reperti scritti e, in coincidenza con la concezione religiosa di quei popoli, tende ad assumere una connotazione tipicamente ctonia configurandosi come una discesa agli Inferi. È questo il caso, tra i primi di cui abbiamo conoscenza, di Gilgamesh nell'omonima epopea mesopotamica; una simile avventura vede protagonisti anche l'alter ego dell'eroe, Enkidu, nonché la divinità femminile Inanna e la sua omologa babilonese, Ishtar. Si introduce fin da subito anche l'elemento allegorico. La conoscenza che si ottiene affrontando la prova è infatti tipicamente cifrata, accessibile a pochi; in un racconto in accadico di origine assira, risalente al VII secolo a. C., un principe reale raggiunge l'aldilà in una cornice onirica ed assiste all'apparizione di quindici creature infernali, ciascuna dotata di aspetti e nomi simbolici1.

Nell'Antico Egitto il mito fiorisce in un contesto culturale che pone una grandissima attenzione al destino dell'anima dopo la morte e alle celebrazioni funerarie; la vicenda di Osiride, ben nota già nel mondo classico, vede il Dio rinascere a nuova vita nell'aldilà dopo essere stato ucciso, con l'inganno, dal fratello Seth, e si ricorda inoltre il viaggio notturno del dio-sole Ra.

Il fronte di espansione indoeuropeo, man mano che avanzava verso occidente, dovette senza dubbio portare con sé una propria elaborazione del motivo che si diffuse in tutti i popoli dell'antichità europea, a partire dalle prime attestazioni nella penisola indiana e nell'Asia centrale2. Nella religione

vedica si riscontra una versione primitiva del mito in cui Ushas, la personificazione dell'alba, è liberata da Indra che discende nel Vala, una caverna di pietra, permettendo quindi al giorno di nascere. Più avanti, nel poema epico Mahābhārata, l'imperatore Yudhisthira compie un viaggio nel

Naraka, l'equivalente induista dell'Inferno.

1 F. Pomel - Les Voies de l’au-delà et l’essor de l’allégorie au Moyen Âge, Paris, Champion, 2000, p. 25.

2 D. R. R. Owen - The Vision of Hell: Infernal Journeys in Medieval French Literature. New York, Barnes & Noble, 1971, p. ix.

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Lo sviluppo della civiltà greca costituì un ambiente assai fertile per questo tema che divenne un elemento imprescindibile nel suo ricco e complesso mosaico mitologico. Il suo valore e la sua capacità suggestiva si manifestarono pienamente nel momento in cui le vicende delle divinità trascesero nella letteratura; tra i primi tòpoi riconoscibili vi è proprio quello della catabasi, una generica discesa che presto finì per identificarsi con l'esperienza oltremondana di un uomo vivo, unendosi e spesso confondendosi con il concetto della nekya, un rituale volto ad evocare le anime dei defunti per dialogare con loro. Attraverso i viaggi oltremondani di Dioniso, Eracle, Orfeo, Ermes, Teseo, Piritoo e, infine, con quello di Ulisse nell'Undicesimo canto del poema omerico, si affrontano riflessioni sulla natura eccezionale dell'eroe, vicina all'immortalità, e si producono considerazioni escatologiche sulla ciclicità del tempo e dell'esistenza, con la possibilità di valutare la morte da prospettive nuove e diverse.

Simili resoconti non mancano nemmeno nelle aree più marginali del continente europeo, come nella mitologia nordica o in quella celtica del Galles: nel Mabinogion l'eroe Pwyll discende nell'annwn mentre il più tardo Llyfr Taliesin riporta un'antica leggenda, risalente ai primordi della letteratura arturiana, secondo cui Re Artù guidò una spedizione all'Inferno.

Il fatto che questo mito abbia travalicato confini geografici e culturali non deve soprendere in quanto esso scaturisce direttamente dalla tensione escatologica che l'uomo percepisce in maniera innata, elaborando nelle varie forme che assume la sua cultura interpretazioni sempre nuove sul destino ultimo della propria anima; il privilegio dell'anticipazione è concesso a pochi esseri eletti ma l'esperienza diventa leggenda a beneficio dell'intera comunità. Si capisce quindi come il motivo del viaggio nell'aldilà si sia sviluppato in stretta comunanza con quello delle visioni profetiche, delle epifanie che spesso si presentano sotto forma di sogni come quelli narrati da Erodoto. In certi frangenti i due temi combaciano, come nel caso di Ulisse che nell'Ade riceve le premonizioni di Tiresia mentre Enea incontra l'anima del padre Anchise e con un essa dialoga, in un Inferno molto più fisico e più geograficamente caratterizzato rispetto a quello omerico. Il motivo del sogno, attraverso il quale il protagonista riceve premonzioni e ammonizioni, fu poi particolarmente fertile nell'antichità romana, come mostra efficacemente il celebre Somnium Scipionis che chiude il sesto libro del De re publica di Cicerone.

L'entrata in scena del Cristianesimo apportò una serie di importanti novità generate da una concezione religiosa tutta nuova ed un rinvigorito rapporto dell'uomo col divino. I testi paleocristiani che fiorirono nei primi secoli dopo Cristo resero evidente un pesante debito nei confronti della cultura ellenistica sul cui sfondo il nuovo culto si stava muovendo a grandi passi, unitamente all'influenza dell'eredità giudaica che, tuttavia, in quest'ambito si limitava a visioni

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profetiche affidate a “specialisti”, profondamente metaforiche e dotate di un impatto meno diretto3.

Il “contenitore” del viaggio nell'aldilà era invece perfetto per veicolare il contenuto escatologico della nuova religione e non tardò a fare la sua comparsa nei numerosi testi apocrifi che si diffondevano rapidamente, in particolar modo in quelli di stampo apocalittico. Si potranno citare, a titolo di esempio, il Pastore di Erma con le sue cinque visioni, composto nella prima metà del II secolo, il Libro di Enoch o il Vangelo di Nicodemo, che funzionò da cassa di risonanza per il motivo, tratto da alcune suggestioni presenti nelle scritture, della discesa all'Inferno di Gesù Cristo. A quel secolo ed a quelli immediatamente successivi si fanno risalire anche le prime menzioni dell'Apocalisse di Esdra, del vangelo gnostico della Pistis Sophia, dell'Apocalisse di Pietro e, infine, di quella di Paolo che, come vedremo, si manterrà estremamente fertile e ricca d'influssi per tutto il Medioevo. Anche i Padri della Chiesa, nelle loro considerazioni di carattere teologico sulla natura dell'anima e sul suo destino nell'aldilà, iniziarono ad occuparsi dei testi visionari. A Tertulliano si attribuisce il resoconto del martirio delle Sante Perpetua e Felicita, noto come Passio Sanctarum

Martyrum Perpetuae et Felicitatis, nel quale sono contenute ben quattro visioni premonitrici che

raffigurano scene dall'Inferno, dal Paradiso e da una sorta di Purgatorio dove le preghiere dei vivi possono migliorare la condizione di sofferenza.

Più avanti, autori come Sant'Agostino saranno preoccupati dalla popolarità sempre crescente dei racconti visionari, il cui impatto emotivo sui credenti doveva essere sicuramente forte, al punto di sconsigliarne la lettura in quanto esclusi dal canone biblico. Niente però poteva ostacolare la loro diffusione, nemmeno la generale scarsità di produzioni letterarie nei secoli immediatamente precedenti e seguenti la caduta dell'Impero Romano; in un contesto così arido i viaggi nell'aldilà costituivano un punto d'orientamento, uno di quei sottili canali di trasmissione che permisero alla cultura dell'Occidente europeo di non sgretolarsi e di proseguire la propria evoluzione.

Bisogna attendere la comparsa di due tra le prime grandi figure che si stagliano nella storia del Mediovo, Gregorio di Tours e Gregorio Magno, perché gli elementi che componevano le suggestioni visionarie dei testi apocrifi, dispersi nelle tumultuose vicende della cultura dell'epoca, si riuniscano in un contesto coerente e coeso dove alcune caratteristiche si cristallizzano in una forma adatta per essere tramandata nel futuro. Da semplici idee nascono tòpoi ed il viaggio nell'aldilà acquista la dignità letteraria – basti pensare che l'opera prima di un poeta di alta caratura come Valafrido Strabone è proprio una redazione in versi di un resoconto visionario4 - segnando l'atto di

nascita di quello che possiamo definire un genere5, senza ovviamente dimenticare la prudenza con 3 F. Vanni - “Visiones” e viaggi immaginari. Tipologie e ricerca delle relazioni concettuali tra due tòpoi

altomedievali, primi approcci tassonomici, in Stopani, R., Vanni, F., «Visioni e viaggi immaginari nel Medioevo»,

Firenze, Centro Studi Romei, 2006, p. 1.

4 M. P. Ciccarese – Visioni dell'Aldilà in Occidente, Firenze, Nardini, 1987, p. 402.

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cui è necessario accostarsi ad una simile definizione in ambito medievale. L'idea di una “letteratura edificante” non fornisce un appoggio sicuro, in quanto la funzione delle visiones può essere quantomai varia6; esiste anche una corposa rassegna di testi, tra cui la Visione di Carlo il Grosso,

dove il materiale visionario è utilizzato con al fine di discutere e propagandare idee politiche7. Esso

ha infatti la rara capacità di adattarsi ad innumerevoli contesti pur mantenendo inalterato il legame che unisce ogni suo elemento e che nasce da pochi, ma decisivi, punti fermi8. Non ci troviamo di

fronte ad un'entità individuabile in una sua forma precisa, omogenea, tuttavia è proprio su questa indeterminabilità che poggia la fortuna del viaggio dell'aldilà; una situazione che, a ben vedere, rappresenta ottimamente la stessa cultura medievale in cui prende vita9.

Nella sua Historia Francorum (Libro IV, capitolo 33), Gregorio di Tours ci trasmette il racconto della Visione di Sunniulfo, abate di un monastero, che trae ispirazione dal proprio viaggio interiore per governare i monaci con maggiore severità10. Qualche anno dopo, nel quarto libro dei Dialogi di

Gregorio Magno compaiono tre visioni: quella del soldato, quella di Pietro e quella di Stefano, che mostrano le diverse reazioni che l'uomo può avere una volta risvegliato dall'esperienza ultraterrena. Il contesto è quello di un'affabulazione morale che si muove in direzione dell'exemplum ma si intravedono i primi accenni di una descrizione geografica, elemento imprescindibile degli Inferni estremamente “fisici” che troveremo nelle opere seguenti; inoltre, i motivi tratti dai testi apocrifi iniziano a dispiegarsi in un ordine preciso e caratteristico che sarà portato al suo definitivo compimento nei secoli successivi da testi di alto calibro letterario come la Visione di Baronto, la Visione del monaco di Wenlock narrata da San Bonifacio e, in area anglosassone, le due leggende raccolte da Beda il Venerabile nell'Historia Gentis Anglorum11. È proprio questa “stagione insulare”

a giocare il ruolo forse di maggiore importanza per la sopravvivenza e per lo sviluppo del genere del viaggio nell'aldilà; in un'epoca in cui la letteratura continentale faticava ad imporsi la cultura

Peter Dinzelbacher, Maria Pia Ciccarese e Claude Carozzi. Vedi P. Dinzelbacher - Le “visiones” nella cultura

medievale in «Scrinium-Schede medievali» XIV (1990), p. 266 e seguenti.

6 P. Serra- Il viaggio allegorico tra visioni dell'aldilà e romanzo arturiano nella letteratura medievale francese, in: D. Caocci, R. Fresu, P. Serra, L. Tanzini. «La parola utile. Saggi sul discorso morale nel Medioevo», Roma, Carocci, 2012, p. 19.

7 P. Dinzelbacher - Le “visiones” cit. pp. 277-279.

8 C. Carozzi - La geographie de l'audelà et sa signification pendant le haut moyen âge, in «Popoli e paesi nella cultura altomedievale», Spoleto, Centro italiano di studi sull'alto medioevo (Settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, 29), 1983, t. 2, p. 425.

9 Vedi M. P. Ciccarese – Visioni dell'Aldilà cit. p. 9, dove si parla di “genere anziché forma”.

10 Vedi M. P. Ciccarese - Alle origini della letteratura delle visioni: il contributo di Gregorio di Tours, in «Studi storico-religiosi» V (1981), pp. 251-266. La datazione della visione è discussa: l'autore la cita come pressoché contemporanea all'esondazione di Taurendunum, il celebre evento che secondo le descrizioni sarebbe dovuto assomigliare ad uno tsunami lacustre; egli lo colloca nel 571, mentre la Chronica dello storico gallo-romano Mario di Avenches riporta che avvenne nel 571. Vedi P. Sims-Williams – Religion and Literature in Western England,

600-800, Cambridge ; New York, Cambridge University Press, 1990, p. 266.

11 Su queste ed altre visiones ci soffermeremo più avanti, nel capitolo successivo, trattando delle loro relazioni con la Visione di San Paolo.

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irlandese ebbe il merito, con la sua straordinaria curiosità e sensibilità per i temi spirituali, di recepire i motivi visionari, rielaborandoli col supporto delle proprie originali influenze e infine diffondendoli nuovamente nel continente tramite l'attività missionaria, come si può evincere dai numerosi tratti provenienti da quell'area che riemergono disseminati nelle visiones di tutta Europa – in seguito illustreremo alcuni esempi a proposito della situazione della Visio Sancti Pauli. Essi si connettono in maniera estremamente armonica con concezioni tipiche dell'immaginario escatologico celtico12 come la quadripartizione dell'aldilà, l'idea ancestrale del fuoco come elemento

purificante, la necessità di una peregrinatio per raggiungere e fare proprie le qualità edeniche della natura, l'anima invisibile che costituisce un ritratto speculare dell'uomo, una sorta di

doppelgänger13.

Si afferma subito una grandissima differenza nei confronti delle visioni oltremondane dell'antichità: il soggetto protagonista non è più un eroe ammantanto dall'aura divina ma un semplice uomo, spesso un religioso. Egli non compie l'avventura di sua spontanea volontà, motivato da grandiosi ideali, ma è in balia di Dio che lo sceglie per suoi imperscrutabili motivi quando non addirittura per una casualità, come i “morti per errore14” a cui si riferisce Gregorio Magno, rispediti nel mondo

terreno dopo breve tempo poiché non era ancora giunto il loro momento. Molto spesso il viaggiatore è accompagnato da una guida celeste, un angelo che lo protegge e gli introduce lo scenario che ha di fronte. Si tratta di vere e proprie esperienze prossime alla morte, fortemente imparentate con le visioni profetiche e l'immaginario rituale sciamanico con cui condividono alcuni motivi ancestrali15, con l'eccezione che in questo caso non si richiede nessuna competenza o dote

premonitrice innata; è Dio che sceglie a chi e cosa mostrare, affinché l'evento abbia funzione edificante e serva come monito per chi vive. L'uomo, sottoposto a questa sorta di cerimonia d'iniziazione, assiste solitamente al giudizio delle anime secondo le loro opere e, successivamente, alle pene che esse sono obbligate a scontare. Tuttavia, si rintracciano frequenti riferimenti alla transitorietà di tale situazione, che diverrà definitiva soltanto in seguito al Giorno del Giudizio; i peccatori paiono trovarsi nella condizione dei receptacula agostiniani, lo stato temporaneo che l'anima assume nell'attesa, un motivo perlatro approfondito ed amplificato da Gregorio Magno16.

Rispetto ai testi apocrifi, in epoca medievale si opera ben presto una riduzione nella quantità dei

12 Tali temi sono ottimamente esemplificati, ad esempio, nel De ordine creaturarum, testo di esegetica irlandese, anonimo, databile tra il 680 e il 700, che contiene peraltro un capitolo intitolato De igne purgatorio. Similmente, i testi della Collectio canonum hibernensium raccolgono materiale dello stesso genere.

13 C. Carozzi - Le voyage de l’âme dans l’au-delà d’après la littérature latine (V-XIII siècle), Roma, École française de Rome (Collection de l'École française de Rome, 189), 1994, p. 297.

14 P. Dinzelbacher – Le “visiones” cit. p. 267. 15 C. Carozzi – Le voyage de l'âme cit. pp. 137 e 247. 16 P. Serra – Il viaggio allegorico cit. p. 28.

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contenuti; l'esperienza visionaria si limita sempre più al solo scenario infernale, senza dubbio il più vicino ed il più vivo nell'immaginario di chi leggeva ed ascoltava, mentre sono pochissimi i testi che includono l'ascensione al Paradiso – tra questi la redazione VI della Visio Sancti Pauli, la Visione di Baronto e la Visione di Seneca tramandata da Alcuino di York.

Un altro degli stilemi che caratterizzano questo genere è la distanza tra il narratore e la materia narrata. Essa è solitamente molto breve poiché questa tipologia di testi acquisice autorità, e di conseguenza capacità di penetrazione, quanto più forte è nel lettore l'invito a credere che la vicenda sia vera: il narratore si presenta quindi molto spesso come una persona molto vicina a colui che è stato protagonista del viaggio ultraterreno, magari un suo stesso confratello, oppure si riferisce di una leggenda di cui l'autore ha sentito parlare con entusiasmo e dovizia di particolari da persone familiari coi fatti. Tuttavia, la distanza non giunge quasi mai ad azzerarsi ed il racconto non si svolge in prima persona. Questo punto rappresenta forse lo scarto più rilevante che separa il genere del viaggio nell'aldilà dalle grande opere visionarie del Medioevo, quali quelle di Ildegarda di Bingen o di Elisabettta di Schonau, caratterizzate inoltre da una più marcata letterarietà e da una dimensione profonda ed intellettuale17 che le inserisce pienamente nella tradizione dei testi profetici.

Quando si parla di visiones si può generalmente far riferimento anche a quest'ultima categoria di componimenti ma nel presente studio ce ne discosteremo, preferendo restare all'interno della definizione di “viaggio nell'aldilà”: un'opera come lo Scivias, pur essendo costruita sul fulcro delle visioni, proviene da, e s'indirizza verso, direzioni culturali e sociali differenti, con un'impronta teologica che esula dal contenuto del materiale che prendiamo in esame.

Spesso la condizione scatenante del viaggio è una crisi: una malattia oppure una situazione di difficoltà che induce a pentirsi di un grave peccato. L'avventura è in un certo senso un pellegrinaggio purgatoriale, che permette all'uomo di tornare a casa guarito, rinsavito e rinato ad una nuova e devota esistenza. Lo strumento del viaggio è sempre l'anima, mai il corpo, tuttavia le descrizioni diventano, col passare dei secoli, sempre più ricche di dettagli geografici e la spettacolarità degli eventi ha caratteristiche spiccatamente corporee: l'anima non subisce sofferenza ma avverte sensazioni di ogni genere e sperimenta la più onesta paura quando, come accade nella Visione di Fursa, si trova sotto l'attacco dei diavoli. È evidente l'influenza esercitata da un altro genere di racconti laici, tra cui spiccano gli irlandesi immrama ed echtrae: avventure per mare spesso finalizzate al raggiungimento di una meta edenica, diffuse in epoca cristiana ma profondamente legate alla precedente mitologia. Questi due mondi giungono definitivamente a contatto con la Navigatio Sancti Brendani ed infine, nel Purgatorio di San Patrizio, il cavaliere

17 C. Carozzi – Le voyage de l'âme cit. p. 641, definisce quella di Ildegarda una “vision intellectuelle” opposta ad una “vision spirituelle”. Lo studioso francese è colui che più accuratamente si è soffermato sulla distinzione tra le due tipologie di testi, una posizione sulla quale ci troviamo in totale accordo.

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Owein viaggia nell'aldilà con il suo proprio corpo.

Ci siamo già spostati al secolo XI, epoca in cui la letterarietà del tema visionario è riconosciuta dalla comparsa delle prima raccolta dedicata integralmente all'argomento. Si tratta del Liber

Visionem di Otlone di Sant'Emmerano, un monaco benedettino di Ratisbona, che ripropone racconti

già comparsi ed altri inediti senza mancare di citare, con ammirazione e rispetto, le proprie fonti: tra tutti spiccano Gregorio Magno, Gregorio di Tours e Beda la cui autorità e, quel che più ci interessa, la cui posizione di primo piano nello sviluppo del genere dovevano essere già allora pienamente accettate. Più tardi, testi di questo tipo compariranno anche nelle cronache di Matthew Paris e di Hélinand de Froidmont e in composizioni del calibro della Legenda aurea di Jacopo da Varazze e dello Speculum Maius di Vincenzo di Beauvais; si attesta così il pieno diritto di cittadinanza dei temi del viaggio nell'aldilà all'interno della cultura enciclopedica medievale.

È in questo scenario che prende il via il nostro studio, con i motivi visionari quantomai fertili nell'intelletto vivace e curioso degli uomini colti del Basso Medioevo, pronti a riversarsi copiosamente nella produzione letteraria delle nascenti lingue volgari in ambienti ora laici, ora religiosi. Sarà una finestra di tempo relativamente breve ma intensa, prima che la Commedia di Dante sublimi l'idea del viaggio ultraterreno chiudendo il cerchio della letteratura visionaria; soltanto pochi decenni dopo, una società tutta tesa in direzione dell'Umanesimo confinerà l'aldilà in una posizione marginale e l'osserverà con uno sguardo estremamente diverso da quello dell'uomo medievale.

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La tradizione latina e volgare della Visio Sancti Pauli: sua

influenza e fortuna

Tra i resconti dei viaggi ultraterreni che circolavano nel Medioevo, la Visio Sancti Pauli fu senza dubbio il più fortunato e il più generoso nell'influenzare gli altri testi18.

Cercheremo in questa sede di tracciare una breve storia della sua tradizione per individuare quali furono quei tratti che determinarono il suo successo, portandola ad assumere la forma di numerose redazioni latine e volgarizzamenti che proliferarono dopo l'anno Mille.

La prima menzione di un'Apocalisse paolina di origine greca è rintracciabile in Origene, in particolare nella quinta omelia sul Salmo 36, ed in una sua citazione riportata dal Nomocanone di Gregorio Barebreo19; ciò permetterebbe di collocare una prima apparizione del testo già sul finire

del Secondo secolo a. C. Non tutti gli studiosi sono, in verità, concordi su questa ipotesi di datazione, che assume tratti decisamente problematici. Pierluigi Piovanelli obietta che i passi attribuiti ad Origene non contengano elementi che rivelino con sicurezza un riferimento all'Apocalisse di Paolo, ed è piuttosto propenso ad ipotizzarne la nascita sul finire del Quarto secolo20; in quell'epoca è infatti certo che la leggenda tornò in auge, quando Sozomeno,

verosimilmente nel 433, la menzionò chiaramente accompagnandola e paragonandola all'Apocalisse di Pietro, rispetto alla quale essa gli appariva “nuova”21. Egli dedicò poi particolare attenzione al 18 Di seguito forniamo un elenco comprensivo degli studi che hanno presentato un'edizione critica del testo latino

della Visio. H. Brandes - Visio Sancti Pauli; ein Beitrag zur Visionsliteratur mit einen deutschen und zwei

lateinischen Texten. Gesellschaft für deutsche Philologie. Festschrift 5. Halle: M. Niemeyer, 1885. C. Carozzi - Eschatologie et Au-delà : recherches sur l'Apocalypse de Paul, Aix-en-Provence, Publications de l'Université de

Provence, 1994. L. Jirouskova - Die Visio Pauli: Wege und Wandlungen einer orientalischen Apokryphe im

lateinischen Mittelalter : unter Einschluß der alttschechischen und deutschsprachigen Textzeugen, Leiden, Brill

Academic Publishers, 2006. T. Silverstein, A. Hillorst - Apocalypse of Paul; a new critical edition of three long

latin versions, Geneve, P. Cramer, 1997. T. Silverstein - ̀ Visio Sancti Pauli: the history of the Apocalypse in Latin together with nine texts, London, Christophers, 1935.

19 T. Silverstein – Visio Sancti Pauli cit. p. 3. Vedi anche M. P. Ciccarese– Visioni dell'Aldilà cit. pp. 41-42.

20 P. Piovanelli - Les origines de l'apocalypse de Paul reconsiderées, in «Apocypha» 4 (1993), pp. 25-64. Vedi anche N. Bremmer, I. Czachesz - The Visio Pauli and the Gnostic Apocalypse of Saint Paul, Leuven, Peeters, 2007, pp. 47-49.

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prologo che accompagnava il testo, in cui si raccontava del ritrovamento dell'opera proprio nella città di Tarso, indagandolo in base a sospetti di eresia e confutandone l'autenticità. Nell'ipotesi di una datazione anticipata al Secondo secolo, questa prefazione assumerebbe la forma di un'interpolazione successiva che contribuì a rinvigorire la popolarità della leggenda; anche in questo caso, tuttavia, non vi sono evidenze sufficienti affinché gli studiosi dell'argomento si trovino in unanime accordo.

In quegli stessi anni anche Sant'Agostino si occupò del testo22. Egli sorvolò sul problema della

scoperta di Tarso e si concentrò sullo screditare i contenuti del testo, ritenuto criticabile per la sua natura apocrifa e per certi elementi dottrinali che suggeriva, come la prevalenza del libero arbitrio e del pentimento sull'ottenimento della grazia tramite i sacramenti23.

Il vescovo di Ippona era sicuramente preoccupato dalla crescente diffusione di un libro non appartenente al canone, come stabilito dal Decreto Gelasiano, ma la sua e le altre obiezioni non fanno altro che confermare la sua popolarità ed il fascino che doveva suscitare nel pubblico. Esistevano già versioni copte24, armene25, slave26, arabe27 e siriache28 e si propagavano altri apocrifi

come il Testamento di Abramo, l'Apocalisse della Vergine e quella di Esdra che mostravano di aver recepito l'influenza della leggenda paolina. In questo contesto si può collocare il più antico testimone che ci tramanda l'opera: il codice Paris, BnF, Nouv. acq. Lat. 1631, redatto nell'VIII secolo d. C. ma, come svela l'analisi linguistica del documento29, dipendente da un archetipo

risalente quantomeno al VI.

In quel lasso di tempo dal testo avevano iniziato a scaturire le prime redazioni latine che abbreviavano il materiale narrativo, ed esso aveva poi raggiunto l'area slava e quella insulare, come testimoniato da Aldelmo che lo citò nel De laudibus virginitatis. Egli ebbe probabilmente accesso ad un'antica trascrizione greca o latina, circolante, secondo le sue parole, nell'Inghilterra del sud30,

perché fa riferimento ad un dettaglio, quello della nave dorata che tramite il lago Acherusa conduce al Paradiso, presente soltanto nell'originaria versione lunga dell'opera.

A questo punto della sua tradizione l'Apocalisse di San Paolo, che inizia ad essere più propriamente

http://letterepaoline.net/20117127167apocalisse-di-paolo/

22 C. Carozzi- Le voyage de l’âme cit. p. 13. Sant'Agostino vi fa riferimento nel Trattato sul Vangelo di Giovanni. 23 R. Casey - The Apocalypse of Paul, in «Journal of Theological Studies» 34 (1933), p. 29.

24 E. A. Wallis Budge - Miscellaneous Coptic Texts in the Dialect of Upper Egypt, London, 1915, pp. Lix-lxi, clxii, clxiii.

25 P. Vetter - Die Armenische Paulus-Apocalypse, in «Theologische Quartalschrift», LXXXVIII (1906), p. 570 e LXXXIX (1907), pp. 65-66.

26 N. Tichonravov - Pamjatniki Otrechennoj Ruskoi Literatury, II, Mosca, 1863, p. 40.

27 A. Bausi - A first evaluation of the arabic version of the “Apocalypse of Paul”, in «Parole de l'Oriente» 24 (1999), pp. 131-164

28 G. Ricciotti - L'apocalisse di Paolo Siriaca, Brescia, 1932. 29 T. Silverstein – Visio Sancti Pauli cit. p. 6.

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nota come Visione, poté contare sulla cassa di risonanza offerta dai lavori di Gregorio di Tours, Gregorio Magno, Beda il Venerabile ed altri intellettuali che permisero ai motivi visionari di circolare in tutta Europa. Si contano più di cento manoscritti latini, suddivisi in undici diverse redazioni, mentre più avanti compariranno numerosissimi rifacimenti vernarcolari basati su quest'ultime. Il testo ricevette interpolazioni di vario genere, come il ponte che conduce al Paradiso e che appare stretto e scivoloso alle anime malvagie o il motivo dell'innumerabilità delle pene infernali associato al tòpos virgiliano delle lingue di ferro, e le diffuse a sua volta negli altri resoconti di viaggi ultraterreni insieme ai suoi tratti originali, tra cui il riposo domenicale concesso ai peccatori, il pozzo dei sette sigilli dove è rinchiuso chi negò l'Incarnazione di Cristo, il fiume bollente dove i peccatori sono immersi a vari livelli secondo la gravità della loro colpa.

Tra tutti questi elementi sarà opportuno procedere ad analizzarne alcuni, quelli più meritevoli d'interesse, come quello del ponte che si diffonde sotto forma di interpolazione nelle redazioni basso-medievali della Visio sulla spinta innovativa di Gregorio Magno e Gregorio di Tours, che per primi lo resero popolare in Occidente. Ma la strada per la quale il motivo aveva raggiunto i due autori è tortuosa e lunga al punto di stendere le proprie radici fino alle più antiche testimonianze della cultura indoeuropea31. Se ne trova una prima menzione all'interno delle gāthā, le liriche di

Zarathustra che compongono la parte più antica dell'Avestā; questa viene poi sviluppata nella seconda parte, più recente ed attribuibile al Quarto secolo d. C., del materiale che ci è pervenuto riguardo a questo testo sacro di origine iranica. Inizialmente il termine çinvat faceva riferimento ad un passaggio stretto, difficoltoso, ma l'immagine prese rapidamente ad evolversi in un ponte vero e proprio32. Troviamo questo processo, ritratto esattamente nella sua fase di transizione, nel IV Libro

di Esdra, un testo apocrifo di genere apocalittico i cui elementi sono databili tra il I secolo a. C. ed il II d. C. e la cui influenza giungerà alla più tarda Visio Beati Esdrae33. Appare evidente, per una mera

questione cronologica, che la tradizione giudaico-cristiana elaborò il tema del ponte, che acquista la peculiarità di mutare aspetto a seconda di chi lo attraversa, parallelamente a quella iranica, sviluppandolo secondo le proprie suggestioni escatologiche da un antico motivo indoeuropeo34.

Esso doveva essere peraltro ben diffuso in area medioerientale nei primissimi secoli dell'era volgare

31 Vedi P. Dinzelbacher - Die Jenseitsbrücke im Mittelalter, Dissertationen der Universitat Wien, Vol. 104, Wien, 1973, dove si sottolinea come antiche leggende indiane menzionino un sentiero stretto come un rasoio.

32 Vedi A. D'Ancona – I precursori di Dante, riedito in Scritti danteschi, Firenze, Sansoni, 1912-1913, cap. 3. Qui si specifica che il ponte è menzionato anche nei libri zendici Vendidat,e Yacna oltre che nel Bundehesh, un motivo fatto risalire alle più antiche tradizioni ariane come testimoniato dal setu del Rigveda IX, 41, 2 del Sàmaveda II, 3.1, 3.2, e delle Katha Upanishad 4, 14.

33 I. P. Culianu - “Pons subtilis”, storia e significato di un simbolo, in «Aevum» Anno 53, Fasc. 2 (maggio-agosto 1979), p. 306.

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se consideriamo che compare nel mira'j, la narrazione dell'ascesa notturna di Maometto che costituì una leggenda ben nota in Occidente col nome di Libro della Scala. Qui il ponte è denominato sirat, “sentiero pericoloso”; si sottolinea la sua sottigliezza e, con un richiamo rintracciabile anche nella mitologia babilonese, lo si presenta suddiviso in sette parti35. Alcuni studiosi, fra tutti Miguel Asìn

Palacios, hanno argomentato che l'influenza araba potesse essere stata decisiva per la diffusione della maggior parte dei motivi della letteratura visionaria, compreso il ponte36, ma alla luce delle

ricerche che si sono susseguite nel corso del secolo scorso oggi appare chiaro come quella islamica sia stata soltanto una delle varie correnti culturali che confluirono nella nascente Europa Cristiana apportando temi e suggestioni37. Nel nostro caso, specifico, è del tutto probabile che Gregorio di

Tours e Gregorio Magno avessero attinto la leggenda del ponte infernale direttamente dal IV Libro di Esdra o dalla Visio che ne fu tratta, per una serie di motivazioni che spaziano dalla collocazione cronologica, geografica e dalla formazione culturale dei due autori. La spinta innovativa proveniente dall'espansione araba raggiunse invece con più facilità le aree periferiche dell'Europa, con una direttrice che tramite le rotte navali dell'Atlantico passava dalle coste della Spagna a quelle dell'Irlanda e che fu probabilmente capace di ravvivare un tòpos latente nella tradizione d'origine celtica38. Nell'immram Màel Dùin troviamo infatti un ponte di vetro collocato in mezzo al mare,

invisibile, che impedisce il passaggio; si tratta di una scena che sarà recuperata anche nella

Navigatio Sancti Brendani. Quello che appare, quindi, come un elemento autonomo

dell'immaginario mitologico celtico si unisce rapidamente ai temi cristiani: nel Libro Rosso di

Hergest, tra il materiale narrativo più antico che compone il libro gallese del Mabinogion, si

rintraccia un ponte simile alla lama di una spada che tuttavia si allarga e permette un facile transito a determinate categorie di persone; nella Fís Adamnáin il ponte è semovente e la sua ampiezza dipende dalle opere buone compiute dalle anime; nella visione tramandata dall'epistola di Bonifacio questo invece è costruito in legno. In tal modo l'Irlanda contribuì, con la sua vasta produzione di narrazioni visionarie culminate nella celebre Visio Tnugdali, alla diffusione del motivo del ponte infernale nel continente che giungerà a contaminare persino la materia bretone; nello Chevalier de

la Charrette, infatti, Lancillotto è costretto ad attraversare con piedi e mani nude un ponte sottile e

tagliente come la lama di una spada39. 35 Ibidem, pp. 305, 307.

36 M. Asìn Palacios - La escatologia musulmana en la Divina Comedia, Madrid, Tipografía de la Revista de Archivos, 1919, p. 275-276.

37 T. Silverstein - Dante e la Leggenda del Mi'raj : il problema dell'influsso islamico nella letteratura escatologica

cristiana, a cura di Cherchi, P., in «Critica del Testo» IV 73, (2001), pp. 530-532. Vedi anche E. Cerulli - Il “Libro della Scala” e la questione delle fonti arabo-spagnole della Divina Commedia, Roma (Città del Vaticano),

Biblioteca Apostolica Vaticana, 1949.

38 Ibidem, p. 274. I. P. Culianu - “Pons subtilis” cit. p. 311. 39 Ibidem, p. 304.

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Degno di nota è il caso della Visione di Olav Asteson, norvegese, del XIII secolo, dove il protagonista, accompagnato da alcuni animali-guida che rimandano all'immaginario sciamanico e ancestrale40, assiste ad un giudizio da parte di San Michele nei pressi del Gjallarbrù, l'equivalente

del motivo nella mitologia norrena, un ponte che congiunge le due rive del fiume Gjöll e consente l'accesso all'aldilà.

Interessante è anche la questione che riguarda il tema del riposo dei dannati, uno di quelli che maggiormente caratterizzò lla Visio Sancti Pauli e che accompagnò la sua espansione fin dai primissimi secoli dopo Cristo. Ne fanno menzione, fra gli altri, Sant'Agostino nel capitolo 112 dell'Enchiridion e e Prudenzio negli inni del Cathemerinon, associandolo al motivo del refrigerium che la preghiera dei vivi può concedere alle anime dei morti41. Non è chiaro tuttavia se i dannati

godessero di un solo giorno di riposo all'anno, coincidente con la Pasqua, come sembrarono suggerire i testimoni più antichi della Visione di San Paolo ai primi studiosi che se ne occuparono42,

o se ad essi fossero concesse alcune ore ogni settimana, tra il sabato e la domenica; quest'ultimo caso è ampiamente il più diffuso in tutte i resoconti di viaggi ultraterreni di epoca medievale, tra cui le varie redazioni della Visio Sancti Pauli. Anche questa circostanza fu presa in esame da Miguel Asìn Palacios col fine di avvalorare la sua tesi riguardo l'influenza dominante dell'immaginario arabo sulla letteratura europea del settore, mostrando come il Libro della Scala potesse aver introdotto il concetto del riposo settimanale. Tuttavia, studi più recenti dimostrano come non siano rintracciabili riferimenti espliciti all'annualità della concessione nella tradizione delle versioni lunghe dell'apocalisse paolina43, di conseguenza il motivo dovette stabilizzarsi per una naturale

convergenza delle varianti intorno ad una posizione culturalmente più definita, associata al riposo settimanale osservato anche nel mondo terreno.

In epoca medievale il territorio anglosassone si rivelò subito come quello più ricettivo nei confronti della Visione di San Paolo, in virtù della sua grande vivacità culturale unita alla sua attenzione per i temi spirituali. Non soltanto appartiene a quest'area la maggior parte dei testimoni manoscritti della

Visio, ma la sua popolarità è attestata anche dalle opere ad essa affini, principalmente nelle omelie

che mostrano da subito come il materiale narrativo ben si potesse adattare ai presupposti dell'educazione religiosa. Si possono senz'altro citare l'omelia 46 dello pseudo-Wulfstan,

40 Ibidem, p. 302. Vedi anche C. Donà - Per le vie dell’altro mondo. L’animale guida e il mito del viaggio, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, p. 11 .

41 C. Rapisarda - La rappresentazione dell'oltretomba in Prudenzio, in «Miscellanea di studi di letteratura cristiana antica» I, Catania, 1947, pp. 2-29.

42 A. Graf – Il riposo dei dannati, in «Miti, leggende e superstizioni del Medioevo», Milano, Mondadori, 1996. 43 T. Silverstein – Visio Sancti Pauli cit. pp. 79-81.Vedi anche C. Carozzi - Eschatologie et Au-delà cit. pp. 121-164.

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denominata “Larspell”, che recupera l'espisodio del rapimento dell'anima buona e dell'anima malvagia invertendone tuttavia l'ordine44; l'omelia C raccolta nelle Homeliae Subdititiae, attribuita

originariamente a Beda ma oggi considerata spuria, con diversi tratti ispirati alla vicenda paolina compreso il riposo concesso ai dannati45; infine, alcune omelie di Aelfric il Grammatico, che

tuttavia la denunciò come non ortodossa46, nonché la XVI all'interno della celebre raccolta delle

Blicking homilies, un frammento di discendenza irlandese che reca traccia dei motivi del ponte

infernale, del fiume di fuoco e dei peccatori appesi agli alberi47.

La tradizione irlandese svolse un ruolo preponderante e Beda il Venerabile vi si appoggiò senza dubbio quando incluse nella sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum la Visione di Fursa e quella di Drythelm. La prima prende spunto da un'agiografia latina ed amplifica l'elemento visionario. L'Inferno che appare al santo è quadripartito secondo la distinzione agostiniana tra valde boni,

valde mali, mediocriter boni e mediocriter mali48 che preannuncia in area irlandese il concetto del

purgatorio e che si connette, in questo caso, al richiamo ancestrale della funzione purificatrice del fuoco49. Nel riportare questo racconto Beda realizzò una mirabile fusione tra temi antichi, di

tradizione celtica, e la natura prettamente cristiana del testo; il battesimo, infatti, è correlato proprio all'uso rituale del fuoco50. Per il resto, egli dimostrò una profonda conoscenza della Visione di San

Paolo, con tutta probabilità in una sua versione lunga latina, dal momento che inserì anche l'ascesa dell'anima del visionario al Paradiso, uno dei primi elementi che fu eliminato dalle redazioni abbreviate. Si noti che Cellanus, confratello dello stesso Fursa presso il monastero di Lagny, affermò in un suo documento la conoscenza del De laudibus virginitatis di Aldelmo, tra i primi motori della diffusione della Visio in Inghilterra51. È presente poi l'immagine delle quattro fiamme

che consumano il mondo, tratta proprio dal Paradiso paolino, con ombre di fuoco che rappresentano i peccati.

Nella Visione di Drythelm il protagonista è un monaco che, all'arrivo nell'Inferno, è attaccato da una

44 A. Healey Di Paolo - The Old English Vision of St. Paul. Speculum Anniversary Monographs 2. Cambridge, MA,

Medieval Academy of America, 1978, p. 51.

45 R. F. Johnson - Saint Michael the Archangel in Medieval English Legend, Woodbridge, Suffolk, UK ; Rochester, NY, Boydell Press, 2005, p. 96.

46 S. Cartwright - A Companion to St. Paul in the Middle Ages, Leiden, Brill Academic Publishers, 2012, p. 451. 47 Vedi R. Morris - The Blickling Homilies of the Tenth Century. Early English Texts Society [EETS] os 58, 63, and

73. London, Oxford University Press, 1874–80. Reprinted as one volume in 1967.

48 G. P. Maggioni - Il fuoco dell'altro mondo nelle “Visiones”, in «Il fuoco nell'alto Medioevo», Spoleto, Settimana di studio della fondazione Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, 2012, pp. 121.

49 Vedi anche la Cosmographia, probabilmente irlandese, del VII-VIII secolo con protagonista Aethicus Ister. L'Inferno è nel baratrum, sottoterra, diviso in quattro parti. L'anima si purga attraverso il fuoco, che ha un valore “transitorio”; ricorda il ruolo rivestito dal fiume e permette di passare al refrigerium, come forse accadeva in una versione primitiva della Visio Sancti Pauli che oggi non conosciamo. Da tale opera pare tratta anche la divisione tra fuoco e freddo nei diversa tormenta che affliggono i peccatori.

50 C. Carozzi - Eschatologie et Au-delà cit. pp. 166-170. 51 C. Carozzi - Le voyage de l’âme cit. p. 109.

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pattuglia di diavoli in una scena molto fisica, dal forte impatto visivo, che si risolve con l'intervento degli angeli. Anche in questo caso è presente l'elemento purgatoriale rappresentato dal fuoco; il ruolo del vero e proprio Inferno è assunto dal pozzo dei sette sigilli della Visio Sancti Pauli, qui trasformato in un abisso simile alla gehenna biblica, destinato a chi nega l'Incarnazione di Cristo. I testi di Beda, composti con grande perizia letteraria, costituirono una cornice perfetta per il materiale narrativo visionario che per questa via fu recuperato e incluso nei lavori Vincenzo di Beauvais, Hélinand de Froidmont ed Alcuino da York, il quale compose una versione in esametri della Visione di Drythelm52.

Esistono tuttavia numerose altre opere che riproducono spiccate caratteristiche dell'immaginario celtico mostrando l'interessante fenomeno della loro integrazione coi motivi cristiani provenienti dalla letteratura apocrifa. La più peculiare è probabilmente la Fís Adamnáin, divisa in due sezioni redatte in anni e contesti differenti53. Nella seconda troviamo nuovamente menzionato l'episodio del

giudizio dell'anima buona e dell'anima malvagia, con la seconda che per punizione è data in pasto a dodici draghi di fuoco. È inoltre presente il motivo del ponte infernale, circondato da serpenti, che muta la propria ampiezza a seconda delle colpe di chi lo attraversa e consente il transito solo ai giusti; vi è un'elaborazione morale incentrata sul riposo concesso ai dannati, debitrice nei confronti di quella operata da Gregorio Magno e confluita poi nella redazione IV della Visio Sancti Pauli, dove si sottolinea come all'Inferno l'unica gioia sia rappresentata dall'attesa della ricompensa dopo il Giorno del Giudizio; è quest'ultima una suggestione condivisa dal cosiddetto poema delle cinquanta risposte, il Duan in choìcat cest54, anch'esso di provenienza irlandese.

Nella prima parte invece si allude direttamente alle visioni avute dagli apostoli, ricordando come Paolo e Pietro pregarono per le ricompense dei giusti e per le punizioni dei peccatori. Nel Paradiso ci viene mostrato anche Elia nell'atto di indirizzare una preghiera a delle anime che avevano assunto la forma di uccello, del tutto simili a quelle che compariranno nella Navigatio Sancti Brendani e nella Visione del monaco di Wenlock: in quest'ultimo esempio esse si sporgono sopra un pozzo infuocato e, se prima di cadere verrà concesso loro un momentaneo riposo, capiranno che dopo il Giorno del Giudizio saranno ricompensate55.

52 Ibidem, p. 300-303.

53 Vedi W. Stokes - Fís Adamnáin. Slict Libair na Huidre. Adamnán's Vision transcribed and translated from the Book

of the Dun Cow [p. 27a]. With notes. Fifty copies privately printed, Simla, Calcutta, 1870, e W. Stokes - Adamnán's Second Vision, in «Revue Celtique» 12 (1891), pp. 420-443. C. S. Boswell - An irish precursor of Dante; a study on the Vision of heaven and hell, ascribed to the eighth-century Irish saint, Adamnań , London, David Nutt, 1908. K.

Oga - Fís Adamnáin: Vision and Metaphor of Heaven, Tesi (M.A. dissertation in Celtic Christianity), University of Wales Lampeter, 2005.

54 S. J. D. Seymour - The Vision of Adamnán, in «Proceedings of the Royal Irish Academy. Section C: Archaeology, Celtic Studies, History, Linguistics, Literature» Vol. 37 (1924 - 1927), p. 311. Vedi anche K. Meyer - Mitteilungen

aus irischen Handschriften. V. Aus Egerton 1782. Dūan in chōicat cest innso sīs, in «Zeitschrift für celtische

Philologie» 4 (1903), pp. 234—240.

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L'influenza diretta della Visio si dimostra poi attraverso le indicazioni numerologiche; dodici è la cifra dominante, con uno spazio marginale per il sette che diverrà topico soltanto in seguito56. Ma è

soprattutto un richiamo testuale piuttosto preciso a riportare l'attenzione sul particolare interesse che la Fís Adamnáin nutrì' per la leggenda di San Paolo. Si legge infatti: “Hanc animam multo

peccantem angelo Tartari tradite et demergat eam in infernum”; il riferimento ad un messaggero

infernale è con tutta probabilità derivato da una lettura originale o difficoltosa di quel tartarucho, un nome presente nella versione lunga del testo che coincide con un raro aggettivo greco57. Nella

redazione IV esso è incluso nell'interpolazione dello strumento di tortura della ruota infuocata, ma la creatura diventa un angelus tartareus. Un testo apocrifo priscillianista giunge in nostro soccorso per meglio chiarire questo processo di trasformazione; si tratta di un'epitome del brano dei Sette Cieli, proveniente da Reichenau e databile tra VIII e IX secolo, che si può considerare un estratto o un prodotto correlato ad una versione latina del testo che fece da base, insieme alla Visio Sancti

Pauli, per la Fís Adamnáin58. Vi si può leggere questo passo significativo: “...in medio eius rotam et

angelo Tartarucho cum uirgis ferreis percutientis rotam...”, con il nome dell'angelo che appare nella

sua forma originaria ed è tuttavia connesso al motivo della ruota della redazione IV. Degni di nota sono inoltre i dodici anni di punizione riservati a chi è ospite della fornace di fuoco e le dodici torri che si stagliano nello scenario dell'Inferno, presidiate da altrettanti draghi.

Si osserva poi tutta una serie di punizioni infernali che costituiscono un'innovazione rispetto a quelle tramandate dai testi apocrifi cristiani; i falsi testimoni con lingue, mascelle ed occhi trafitti da dardi infuocati, padri spirituali giudicati inefficaci e tormentati dai loro stessi figli, stregoni che indossano abiti in fiamme – tutti motivi che compaiono con grande continuità in opere irlandesi come il Transitus Mariae, la Visione di Laisren59, l'immram Curaig Ua Corra e nella redazione VI

della Visione di San Paolo, sulla quale torneremo a breve, mostrando una straordinaria coesione tra l'antica tradizione locale e la cultura cristiana60.

L'ultima opera che abbiamo citato costituisce un caso particolare sul quale sarà meritevole soffermarsi brevemente. Inclusa tra le redazioni della Visio Sancti Pauli perché ne condivide la provenienza e la base narrativa, essa presenta tuttavia una tale quantità di elementi originali da potersi considerare alla stregua di un testo autonomo. Tramandata da un solo manoscritto, rinvenuto

56 C. Carozzi - Le voyage de l’âme cit. p. 610.

57 Vedi D. N. Dumville - Towards an Interpretation of the Fís Adamnán, in «Studia celtica» 12–13 (1977–78), pp. 62– 77, che approfondisce ottimamente la questione.

58 Edito in D. De Bruyne - Fragments retrouves d'apocryphes priscillianisteś , in «Revue Benedictiné ́ » vol. 24 (1907), pp. 318-335. Vedi inoltre T. Silverstein – Visio Sancti Pauli cit. p. 76 e C. Carozzi – Le voyage de l'âme cit. p. 489. 59 K. Meyer - The Vision of Laisrén, Stories and Songs from Irish Mss., in «Otia merseiana» I (1899), pp. 113-119. 60 D. N. Dumville – Towards an interpretation cit. pp. 75-76.

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a San Gallo61, si può identificare nell'Irlanda la sua regione d'origine per via dei dettagli citati in

precedenza; si noti anche che San Paolo, giunto all'Inferno con la guida dell'angelo Raffaele, anziché pregare per il riposo dei dannati – questo motivo, tra quelli portanti della Visio, è del tutto ignorato – chiede il perdono per i propri parenti affinché possano giungere in Paradiso, un altro tratto di matrice celtica. A questo motivo è connessa una curiosa allusione, il cui valore simbolico è difficile da cogliere: si parla di un cammello che trasporta i parenti di Paolo verso i cieli, un episodio che ricorda da lontano un passo degli Actes de Pierre et Andrè ma ancor più convincente è l'accostamento con l'opera di Notkero Balbulo, Gesta Karoli I, 31, dove ad un ufficiale di palazzo appare in sogno un gigante che cerca il prefetto al fine di condurlo all'Inferno sul dorso di un cammello62.

La redazione VI dev'essere poi particolarmente antica, tra l'VIII e il IX secolo, perché, caso raro tra le versioni abbreviate latine, riporta cenni dell'aspetto integrale originario della Visio Sancti Pauli63.

Nel primo cielo, ad esempio, è ritratto un albero con mille rami pieni di frutti; ci troviamo nel Reame di Dio, popolato dai giusti e dagli innocenti, del tutto simile alla Città di Dio della Visione di San Paolo64.

Degno di menzione anche il caso del Saltair na Rann65, altro poema irlandese che ai versi 877-896

del canto V riprende dalla redazione III il motivo del drago dotato di mille teste, occhi e denti, nominato Prothimeon, una delle varianti accettate dalla Visio sulla base di Parthemon66. Poco più

avanti, ai versi 925-932, si menzionano 144 pene infernali collegate al motivo virgiliano della

61 T. Silverstein – Visio Sancti Pauli cit. pp. 214-218.

62 Ibidem, p. 89. C. Carozzi - Le voyage de l’âme cit. p. 268-269.

63 Ibidem, pp. 270-276. Viene formulata un'ipotesi di datazione approfondita da riferimenti storici mirati a collocare i peccati di cui si fa menzione nel testo con le posizioni dottrinali dei concili dell'epoca. Lo studioso immagina che il testo sia stato composto tra i missionari anglosassoni intorno a Bonifacio, in quanto si riscontrano allusioni precise alle leggi di Alamanni, Bavari e Burgundi, il tutto in accordo con il rinvenimento dell'unico testimone manoscritto a San Gallo.

64 Al singolare caso della redazione VI è collegata un'altra peculiare opera, edita in D. Hyde - 'Críocha

Déigheannacha an Duine ag a mBí Droch-Bheatha. The Last End of the Man who Leads a Bad Life', in «The

Religious Songs of Connacht», Dublin, 8 parts. (1905-6), VII, pp. 314-30, VIII, pp. 331-49, e D. Hyde - Legends of

Saints and Sinners. Collected and Translated from the Irish, New York, Barnes & Nobles, 1973, pp. 95-109. Si

tratta di un testo irlandese che compie, in un contesto evidentemente omiletico, una profonda interpolazione tra i temi della Visio Sancti Pauli, tratti per l'appunto dalla redazione VI ma che non escludono la conoscenza di un esemplare latino non abbreviato, ed il motivo del dibattito tra anima e corpo: l'arcangelo Michele guida infatti San Paolo presso il letto di un uomo morente, e qui egli assiste all'uscita dell'anima dal corpo. Un'eco di questa scena è presente peraltro nella Visione del monaco di Bernicia, raccolta da Beda il Venerabile, dove un uomo rifiuta di pentirsi in seguito alla visita di un angelo e di un diavolo presso il suo letto di morte. Secondo Hyde, vi sono altri due testi di origine irlandese che traggono spunto dalla redazione VI della Visione di San Paolo, vale a dire la Visione di Merlino (R. A. S. Macalister - The Vision of Merlino, in «Zeitschrift für celtische Philologie» 4 (1903), pp. 394-455.) e l'omelia Domine quis habitabit (R. Atkinson - Passions and homelies from leabhar breac: Text,

Translation, and Glossary, Dublin, Todd Lecture Series II, 1887, p. 226 ss.). Per ulteriori approfondimenti vedi J. E.

C. Williams - Irish Translations of the Visio Sancti Pauli, in «Eígse» 6 (1948–52), pp.127–143.

65 Vedi W. Stokes - The Saltair na rann : a collection of early Middle Irish poems, Oxford, Clarendon press, 1883, e B. O. Murdoch - The Irish Adam and Eve story from Saltair na rann, Vol. II, Commentary, Dublin, Dublin Institute for Advanced Studies, 1976, pp. 24-47.

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lingua di ferro; si tratta di un'allusione all'innumerabilità dei tormenti, tanto che nemmeno cento uomini dotati di lingue di ferro potrebbero elencarle67. Questa suggestione comparve sotto forma di

interpolazione nella maggior parte delle redazioni abbreviate latine della Visio Sancti Pauli, dove le pene sono 144.000, e tramite quest'ultime si diffuse nella letteratura medievale. Il motivo fu tutt'altro che sconosciuto in Irlanda; di esso recano traccia anche la Visio Tnugdali e il Cogad

Gaedel re Gallaib68. È probabile che il Saltair na Rann abbia attinto da una versione ibrida tra la

redazione III e la IV, che per certi versi assomiglia alla VII, la quale tuttavia non potrebbe spiegare la presenza dell'enumerazione dei 144 tormenti69.

Abbiamo già accennato agli immrama, racconti di viaggi per mare come il Curaig Ua Corra, che contiene peraltro riferimenti al riposo domenicale e condivide con le visioni irlandesi quelle peculiari pene infernali che abbiamo descritto in precedenza70. Questo genere letterario, ispirato alla

tradizione mitologica celtica, si spostò sempre più verso l'ideologia cristiana e confluì nella

Navigatio Sancti Brendani che, pur trattando di un tragitto più fisico che spirituale, non ignorò

l'influenza della Visio Sancti Pauli e delle opere da essa derivate71. Ritroviamo infatti il tema del

ponte, quello del riposo domenicale nonché una terra repromissionis sanctorum che coincide con il Paradiso72. Ancora più interessante è il fatto che solo tre punti cardinali vengano citati

esplicitamente, con l'esclusione dell'ovest73: una caratteristica peculiare condivisa dalla Visione di

Drythelm, contemporanea o di poco anteriore alla Navigatio.

L'attrazione esercitata dalla letteratura visionaria nel territorio insulare non accennò a diminuire col tempo. L'Inghilterra, tramite l'educazione di alto livello impartita nei suoi monasteri, fu capace di raccogliere gli stimoli irlandesi tramandandoli nell'Europa continentale dove questi non si arrestarono; la produzione letteraria passò da una situazione frammentaria ad una più compatta dove emersero opere lunghe, complesse e di grande spessore che divennero rapidamente molto celebri. È il caso del Purgatorio di San Patrizio, che nel suo aspetto estremamente variegato conserva uno

67 Vedi P. Courcelle - Histoire du clichè virgilien des cent bouches, in «Revue des etudes latines», 33 (1955), pp. 231-240.

68 J. H. Todd - Cogadh Gaedhel Re Gallaibh, The war of the Gaedhil with the Gaill, or, The invasions of Ireland by

the Danes and other Norsemen : the original Irish text, edited, with translation and introduction, London,

Longmans, Green, Reader, and Dyer, 1867.

69 J. Carey - Visio Sancti Pauli and the Saltair’s Hell, in «Eîgse» 23 (1989), pp. 39–44.

70 Vedi W. Stokes - The Voyage of the Ui Corra, in «Revue celtique» XIV (1893), pp. 22-69, e C. Breatnach - The

transmission and structure of Immram Curaig Ua Corra, in «Ériu», Vol. 53, (2003), pp. 91-107.

71 Vedi C. Selmer - Navigatio Sancti Brendani abbatis. From early latin manuscripts, Notre Dame, Indiana, University of Notre Dame Press, 1959, pp. 81/7-8, e G. Orlandi - Introduzione alla Navigatio sancti Brendani, Milano, Ist. Ed. Cisalpino,1998, p. 126. Vedi anche D. A. Bray - Allegory in the Navigatio Sancti Brendani, in «Viator. Medieval and Renaissance Studies» 26 (1995), pp. 1-10.

72 C. Carozzi - Le voyage de l’âme cit. p. 282.

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spazio per il tema dei dannati immersi nel fiume, per la ruota del tormento e per il ponte scivoloso ed arduo da percorrere che conduce al Paradiso74. Ci troviamo ormai nell'XI secolo e la letteratura

visionaria, a quel punto della sua evoluzione, aveva già dato vita a così tanti rifacimenti che risulta difficile capire quali specifiche suggestioni stiano alla base di una composizione ricca come il Purgatorio di San Patrizio; tuttavia si deve sempre prendere in considerazione l'idea di una conoscenza diretta di una versione della Visione di San Paolo, per via della sua grande diffusione nei manoscritti nonché in una prospettiva di trasmissione orale, spesse volte sottovalutata. Siamo di fronte ad un ambito culturale che ritaglia il suo spazio in una dimensione marginale, soltanto in parte coincidente con quella dell'erudizione, afferente piuttosto alla sfera della conoscenza popolare e ad un'educazione religiosa costruita su sermoni, omelie, letture comuni e prediche.

Considerazioni simili valgono anche per la Visio Tnugdali, straordinariamente diffusa in ogni zona d'Europa con più di centocinquanta testimoni manoscritti75, una narrazione che intreccia un gran

numero di spunti in virtù di una crescente maturità del genere letterario del viaggio ultraterreno. La struttura generale pare modellata su quella della Visione di Drythelm tramandata da Beda; si assiste alla definitiva consacrazione della concezione quadripartita dell'aldilà, tipicamente irlandese, con i tormenti che divengono una trafila purgatoriale ed un pozzo infuocato destinato a chi non potrà mai ottenere il perdono, nemmeno in seguito al Giorno del Giudizio76. A completare l'architettura vi è un

muro, un luogo di transizione, dove i giusti che hanno tuttavia peccato nell'orgoglio attendono la venuta del Cristo presso la porta della Gerusalemme Celeste. Non mancano nemmeno in quest'opera reminiscenze del capostipite tra le visiones: si rintracciano infatti una disputa tra i diavoli per il possesso di un'anima dannata, il motivo dell'innumerabilità delle pene infernali in coincidenza col tòpos delle lingue di ferro nonché l'immagine di un drago, del tutto simile a quello delle redazioni latine. Il suo nome è Acharon, una variante piuttosto originale che tuttavia trova un riscontro nella tradizione manoscritta della Visio, per la precisione in Paris, BnF, Nouv. Acq. Lat. 526677.

In un'area più marginale della sfera d'influenza irlandese si colloca la rielaborazione del materiale visionario operata da Bonifacio nell'epistola alla badessa Eadberga, che tramanda la Visione del monaco di Wenlock. Grazie ad un riferimento alla morte di Ceolred, Re di Mercia, è possibile datare questo testo al 719 o 717, quindi prima ancora che il Santo passasse al nome con cui è

74 I. P. Culianu - “Pons subtilis” cit. pp. 303-304.

75 Vedi A. Wagner - Visio Tnugdali, Erlangen 1882, p. XXIX-59 , e N. F. Palmer - Visio Tnugdali: The German and

Dutch Translations and Their Circulation in the Later Middle Ages, in «Münchener Texte und Untersuchungen der

deutschen Literatur des Mittelalters» 76, Munich and Zurich, Artemis, 1982. 76 C. Carozzi - Le voyage de l’âme cit., p. 610.

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divenuto celebre78. In questo caso la Visio Sancti Pauli esercitò la propria influenza principalmente

grazie al tramite di Beda il Venerabile e dei suoi resoconti. Lo si nota nella geografia dell'Inferno, che è tipicamente quadripartito, con il puteus abyssi destinato a contenere chi non può sperare nella vita eterna: un motivo, quest'ultimo, che la Visione tramandata da Bonifacio pare aver contribuito grandemente a diffondere79. Questo fu inoltre uno dei primi casi in cui l'interpolazione del ponte

infernale, proveniente con tutta probabilità da Gregorio Magno, fu associata al fiume di fuoco della

Visio Sancti Pauli originaria. Entrambi assolvono una funzione purgatoriale; i beati raggiungono la

Gerusalemme Celeste, i peccatori cadono e restano immersi a vari livelli nel liquido, tuttavia possono, con fatica e sofferenza, raggiungere la riva a nuoto dopo aver scontato le proprie colpe. Si tratta di un'elaborazione sul motivo del fuoco purificante che l'autore potrebbe aver tratto da un'omelia di Origene sul Vangelo di Luca, conosciuta tramite la traduzione di San Girolamo, che menziona proprio un fiume infuocato da attraversare a nuoto80. Egli lo nomina Tartareum flumen,

sfruttando forse una reminiscenza di quel angelo tartarucho della Visione di San Paolo che abbiamo citato in precedenza e che, nei testi della redazione IV, diveniva angelus tartareus o, più probabilmente, un suggerimento accolto dal fiume di fuoco di Prudenzio, collocato specificamente nel Tartaro inteso come fondo dell'Inferno. È presente anche il materiale edenico; il monaco viene condotto in alto, sopra la Terra, e gli si offre la visione di una sfera infuocata che ingloba il mondo intero: “totius mundi machinam”, questa la locuzione scelta dall'autore, che compare nel

Cathemerinon di Prudenzio e da cui a loro volta la traggono Beda, Aldelmo ed Eugenio di Toledo: terra, coelum, fossa ponti, trina rerum machina81.

La visione contenuta in quest'epistola possiede, come si è visto, svariati punti di interesse principalmente in virtù della cultura dell'autore, Bonifacio, che ci permette di rintracciare riferimenti dotti da inserire nel fitto intreccio di interferenze e richiami che la Visio Sancti Pauli lasciò dietro di sé nella sua tradizione.

Esiste anche un'altra lettera precedentemente attribuita al missionario Benedettino ma oggi considerata spuria, successiva al 757, ma tuttavia rilevante poiché pare conservare alcuni tratti primitivi del materiale narrativo visionario, come una serie di peccati piuttosto inconsueti82. Essa

mantiene inoltre il motivo del globo terrestre visto dall'alto, ma in questo caso le colpe dell'uomo diventano un mantello nero che l'avvolge completamente, portando la notte tra le genti.

Degna di nota è anche l'opera di Pietro di Cornovaglia, che nel Liber revelationum di inizio XIII

78 Vedi P. Sims-Williams – Religion and Literature cit. pp. 243-272. 79 M. P. Ciccarese – Visioni dell'Aldilà cit. p. 290.

80 C. Carozzi - Le voyage de l’âme cit. p. 213. 81 Ibidem, p. 203.

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