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come determinanti dei movimenti generali dei prezzi

i.

Per capire le profonde ripercussioni economiche della guerra attuale è indispensabile rivolgere dapprima uno sguardo all'azione esercitata dalia guerra e dalla pace sui movimenti generali dei prezzi.

Ognuno sa infatti che il livello dei prezzi è allo stesso tempo una causa ed un ottimo sintomo della situazione economica di un paese. Contrariamente ad un'opinione molto diffusa questi ultimi anni, i periodi di rincaro generale delle merci sono normalmente periodi di grande prosperità, di rapido incremento della ricchezza comune, mentre i grandi ribassi indicano il più sovente una generale depressione, un generale malessere economico.

Ogni industriale sa infatti che i movimenti generali dei prezzi, come ci vengono rivelati dai numeri-indici costruiti dall'" Economist », dallo

« Statist », dal « Bureau of Labor », sono accompagnati da movimenti analoghi dei guadagni commerciali ed industriali, dal tasso dell'interesse, dai salari e redditi di ogni genere. Rialzo dei prezzi significa in gene-rale prosperità commerciale ed industriale, mentre il ribasso dei pro-dotti costringe il produttore a vendere con perdita, a restringere le proprie spese, se non la produzione stessa, a licenziare operai, ecc.

L'azione che la guerra esercita sui prezzi ci darà dunque la chiave per la comprensione dei suoi effetti economici.

Prima d'analizzare quest'influenza occorre dire una parola delle cause che determinano normalmente i movimenti generali dei prezzi. Niente di più contraddittorio delle spiegazioni date finora di questo fenomeno. Senza perderci nell'enumerazione delle principali ipotesi emesse fino a questo giorno, possiamo classificarle brevemente in tre grandi gruppi. Gli uni sogliono spiegare i rialzi ed i ribassi generali dei prezzi mercè la quantità di moneta in circolazione, osservando non senza un'appa-renza di ragione che ogni domanda di beni economici è accompa-gnata da un'offerta di moneta, ogni offerta di beni da una richiesta

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di moneta. È questa la cosidetta spiegazione monetaria o quantitativa del rincaro. Un altro gruppo invoca massimamente le variazioni nella domanda e nell'offerta dei principali beni economici e nell'attività eco-nomica che le determina. Un terzo grappo, finalmente, rinuncia ad emettere delle supposizioni sul « livello generale » dei prezzi e si contenta coli'analizzare il costo — e con ciò il prezzo — dei princi-pali prodotti, presi uno per uno. Alla spiegazione quantitativa o mone-taria abbiamo dunque da aggiungere la spiegazione basata sull'offerta e sulla domanda e quella basata sul costo dei principali prodotti. Sono l'una e l'altra delle spiegazioni induttive, basate non sulle forze inerenti ad un supposto livello generale dei prezzi, ma sulle variazioni osser-vate nei prezzi singoli.

La spiegazione più ampia e più soddisfacente data finora dei movi-menti generali dei prezzi è senza dubbio quella « quantitativa » e più specialmente quella condensata nella famosa « equazione dello scambio » del Fisher. Sarebbe dunque giusto cominciare la nostra spiegazione con un esame accurato di tale teoria che meglio di ogni altra ci rivela l'enorme complessità del problema che ci occupa. Senonchè la confu-tazione della teoria fisheriana — tentata dall'autore in diversi articoli dell'" Archiv fur Sozialwissenschaft » e del « Jahrbuch » di Schmoller — richiederebbe per sè sola una trentina di queste pagine almeno. Pos-siamo dunque limitarci a ricordare brevemente due rimproveri fatti alla spiegazione neo-quantitativa dai critici appartenenti ai campi più diversi.

Anzitutto essa prende per la causa ultima dei movimenti dei prezzi ciò che ne è al massimo un sintomo, un corollario — la crescente circolazione monetaria — e non spiega affatto in che modo questa circolazione possa modificare il livello dei prezzi senza agire dapprima sul « volume dello scambio », che essa suppone invariato.

Tutta la spiegazione fisheriana crolla se noi ammettiamo che l'au-mento della circolazione dia luogo ad un aul'au-mento — anche parziale — delle transazioni, del « volume del traffico » (che si confonde a torto col volume dei soli beni materiali). Ora, come può la quantità mone-taria (o la sua velocità di circolazione) agire sui prezzi se non accre-scendo o restringendo dapprima il numero delle compravendite ai prezzi precedenti ? Il gran torto dei quantitativisti è quello di consi-derare ii « volume del traffico » come qualcosa d'assolutamente fisso, dipendente unicamente dal numero dei prodotti materiali, mentre l'espe-rienza dimostra ad ogni istante che con una stessa quantità di beni materiali il numero delle transazioni può variare quasi all'infinito, che niente è più variabile del numero delle transazioni e dei servizi

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teriali (di trasporto, d'informazione, di mediazione, ecc.) a cui ogni bene materiale dà luogo.

Supponete la quantità monetaria accresciuta senza aumento corri-spondente della ricchezza : essa dovrà o restare al di fuori della cir-colazione o rallentare d'altrettanto la circir-colazione del medio già esistente. Se essa agisce (bensì mai in misura completamente pro-porzionale !) sui prezzi, lo fa unicamente perchè — al dire dello stesso Fisher — agisce come se la ricchezza fosse veramente accresciuta, dando luogo cioè ad un maggior numero di transazioni.

Senza quest'azione sulle transazioni, sul « volume del traffico » ogni azione della quantità monetaria sui prezzi è inconcepibile. Ammesso l'aumento delle transazioni, l'azione sui prezzi non può più essere che parziale, non mai proporzionale alla circolazione monetaria.

Ammesso che la quantità monetaria non possa influenzare i prezzi se non dopo aver previamente agito sul numero delle transazioni è giuocoforza attribuire alla quantità monetaria — o, più generalmente, all'aumento o alla diminuzione del potere d'acquisto della nazione — un'azione ben diversa a seconda che essa accresca la richiesta di un bene esistente in quantità limitata o ad un bene (o servizio) aumen-tabile a volontà.

Supponiamo rafforzata la domanda di un bene esistente in quantità limitata, per es., dei quadri di un pittore classico o di qualsiasi altro oggetto avente « valore di rarità » : niente di più convincente del ragionamento fisheriano che il prezzo dell'oggetto in questione debba salire finché esso sia in proporzione dei nuovo potere d'acquisto totale dedicato all'acquisto dei beni in questione. Supponete raddoppiata la ricchezza destinata a comprare quadri di Rubens, di Raffaello, ed i loro prezzi dovranno salire esattamente nella stessa proporzione.

Ma tutt'altro è il caso degli oggetti e servizi in numero non limi-tato, ma aumentabile più o meno facilmente. Il maggiore potere d'ac-quisto loro dedicato non si ripercuoterà tanto sul loro prezzo quanto sul numero degli acquisti e perciò sulla loro produzione.

Supponiamo un servizio aumentabile ad libitum e senza aumento di costo, come i servizi d'informazione o di pubblicità di un grande giornale, il numero delle copie di un'edizione popolare: l'effetto più diretto dell'aumento della clientela sarà quello di accrescerne il consumo.

La conseguenza indiretta potrà essere un aumento di prezzo prò unità di prodotto (per riga di annunzio o per copia o pagina di gior-nale), ma potrà anche essere una riduzione di questi prezzi. Se l'uno o l'altro accadrà dipende quasi interamente dalla volontà del produttore e dai suoi principi commerciali, dall'acuità della concorrenza, ecc.

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Laddove si tratta di prodotti facilmente moltiplicabili, come nel caso suaccennato o in quello di trasporti o divertimenti collettivi, spesso il maggiore consumo spingerà il produttore non a rialzare il prezzo per unità di prodotto, ma ad abbassarlo ancora per fruire di un'ulteriore riduzione dei costi.

Laddove manca la concorrenza o lo spirito d'iniziativa, spesso i pro-duttori preferiranno elevare i prezzi di vendita. Gli ostacoli psicologici all'aumento della produzione prenderanno così il posto degli ostacoli materiali. Il prodotto, aumentabile materialmente ad libitum, cesserà di esserlo per ostacoli d'ordine soggettivo.

Si vede quanto poco si possa predire ad un dato aumento del potere d'acquisto — o della circolazione monetaria — di un popolo un effetto determinato sui prezzi. Tale effetto non dipende soltanto dalla dire-zione che prende il potere d'acquisto nuovamente sorto, dalla natura dei beni o servizi a cui esso si destina, ma di un'infinità di momenti psicologici da parte dei produttori e venditori, dalla loro prontezza ad accrescere od a limitare la produzione in questione. Dipenderà anche dal livello di benessere sociale, dallo « standard of life » già raggiunto dalla popolazione e dalla classe sociale in cui l'arricchimento si produce. Supponiamo un aumento di potere d'acquisto in una nazione o classe sprovvista dei generi di prima necessità : esso si destinerà quasi esclu-sivamente all'acquisto di cibo, di abiti, di case, cioè dei prodotti materiali soggetti alla ben nota legge del rendimento decrescente. La conseguenza sarà perciò un rincaro generale — forse più che propor-zionale — dei prodotti del suolo, la cui influenza preponderante nei numeri-indici è nota.

II.

Tuttavia vi è nella teoria quantitativa un fondo di verità che non può essere trascurato in una teoria completa dei movimenti generali dei prezzi : l'importanza da essa attribuita al credito nell'estensione del potere d'acquisto d'una nazione.

Senza dubbio sarebbe erroneo vedere nel credito unicamente una inflazione della circolazione monetaria. Poiché all'estensione del credito corrisponde normalmente un aumento non meno notevole delle tran-sazioni, del volume del traffico ed una relativa tensione monetaria, sarebbe davvero assurdo incolpare il credito di uno svalutamento dei medio circolante. Finché la circolazione di chéques e di cambiali si regola automaticamente sul movimento degli affari, finché praticamente tutto il credito bancario è credito produttivo, il bisogno monetario deve

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essere al pari della quantità monetaria, la richiesta al pari dell'offerta. Se si può fare un rimprovero al credito sarà quello di dar luogo ad un numero esagerato di transazioni e per ciò ad uno rialzo dei prezzi, mai quello di essere troppo abbondante riguardo al volume del traffico. Nei momenti dei prezzi più alti vi è quasi sempre tensione monetaria, la richiesta di strumenti di pagamento eccede quasi sempre l'offerta, ciò che è in contraddizione evidente con la teoria quantitativa che spiega il rincaro coli' « inflazione » monetaria.

Ci manca lo spazio per riassumere quanto abbiamo scritto altrove (1) intorno all'azione del credito sui prezzi. Ricordiamo brevemente che se normalmente la domanda totale di beni e di servizi economici deve trovarsi in una relazione quasi fissa coll'offerta contemporanea (perchè prima di comprare checchessia bisogna vendere un bene o un servizio qualsiasi), tale regola viene infranta allorquando una banca sconta delle cambiali o concede dei crediti emettendo biglietti oltre la coper-tura. Si ha in questi casi un vero anticipo di potere d'acquisto futuro, non soltanto dal punto di vista del debitore, ma da parte della società intera. Mentre nel credito comune si ha semplicemente un trasporto di potere d'acquisto dal creditore al debitore, tutt'altra è la funzione del credito rappresentato dalla circolazione scoperta : esso accresce il potere d'acquisto del debitore senza privarne nessuno. Con ciò l'equilibrio fra l'offerta e la domanda totale di beni economici viene a rompersi: si ha inflazione della domanda senza estensione analoga dell'offerta.

A prova di ciò sta il parallelismo quasi completo fra la circolazione scoperta d'una parte ed i numeri-indici — quelli delle materie prime anzitutto — dall'altra. Tutto ci porta a credere che senza credito o col credito ristretto all'ammontare delle riserve e dei depositi bancari, il livello generale dei prezzi sarebbe press'a poco costante. Ad ogni rialzo o ribasso generale dei prezzi — e più esattamente delle materie prime che sono la merce che questo credito serve normalmente a pro-cacciare — corrisponde, da mezzo secolo almeno, un movimento analogo della circolazione del credito.

La cosa non ha davvero bisogno di spiegazione : è semplicemente la legge dell'offerta e della domanda applicata ai beni economici in generale. Quando la domanda totale eccede — per virtù del credito — l'offerta, i prezzi salgono ; nel caso contrario scemano.

Un'eccezione dev'essere fatta nel caso di un rincaro o ribasso appa-rente, dovuto a vizi di costruzione dei nostri numeri-indici, di cui

sopra, ed in quello d'esportazione od importazione di capitali, di moneta

di potere d'acquisto. ' Con ciò rimane anche spiegata la sorprendente analogia fra i

numeri-indie. e la produzione aurea. Non vi è fra tutti e due alcuna relazione di causa ad effetto, ma esse subiscono in comune una serie d'influenze secondane. Loro non è soltanto, nel moderno mondo economico la base di ogni credito, specialmente tra paese e paese, ma è anche una specie di barometro dello spirito d'impresa, specialmente nei paesi transoceanici. Al principio di ogni grande movimento d'emigrazione vediamo la scoperta di qualche miniera d'oro o d'argento ed una fiori-tura d. industrie che vi si connettono, ed ogni aumento della produ-zione aurea provoca una straordinaria attività economica, vivifica gli scamb. internazionali, spinge ad investimenti colossali di capitali ecc

Basta rendersi conto dell'importanza primordiale che ha il risana-mento - a base d'oro - dei sistemi monetari sullo sviluppo del cre-dito pubblico e privato per spiegarsi il parallelismo prezzi-oro senza prendere niente in prestito alla teoria quantitativa

Senza dubbio la coincidenza delle recenti grandi scoperte auree cogli altri elementi dell'espansione economica (unificazione degli Stati europei, soppressione delle dogane interne, periodo prolungato di pace invenzione di nuovi metodi di trasporto, di nuove macchine-forza, ecc e in parte l'effetto del caso. Senza dubbio l'azione dell'oro è stata più che altro - quella di un engrais complémentaire, come si esprimono i critici francesi della teoria quantitativa, ma non si può disconoscere a complessa relazione d'interdipendenza che corre fra tutti questi fattori. Non si può disconoscere anzitutto che la richiesta del metallo oio - da parte degli Stati e delle banche - non è mai rimasta indietro sulla sua offerta, che ogni oncia d'oro nuovamente e r i

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Ci si può domandare se la produzione aurea sarebbe stata altret-tanto grande se questa richiesta del metallo giallo fosse mancata Dal momento che la produzione aurea ubbidisce al pari delle altre alla

egge dell'offerta e della domanda (determinata da'un sempre c r a l n alla richiesta U Z 1 0 n 6 ^ " C h e ^ ^ d e v e S t a r s i alquanto

L'importanza della guerra e della pace pei movimenti dei prezzi sta massimamente nella loro profonda influenza sul eredito delle nazioni direttamente o indirettamente colpite. Più ancora che distruttrice di uomini e di capitali, la guerra moderna è distruttrice di credito di spinto d'iniziativa, di fiducia commerciale ed industriale.

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Ora, credito significa potere d'acquisto, significa richiesta di beni e dei servizi economici. Nessuno fa uso di credito se non per procurarsi delle merci o dei servizi personali. Restringendo, distruggendo il credito si restringe dunque il potere d'acquisto della nazione, e perciò la richiesta di beni economici, particolarmente di materie prime e di strumenti di produzione. Ora, siccome i prezzi di questi beni dipen-dono massimamente dall'offerta e dalla domanda, la distruzione di credito deve ridurli.

Spesso ciò non accadrà immediatamente dopo la catastrofe. Dovendo emettere dei debiti pubblici ingenti, dovendo lavorare febbrilmente all'equipaggiamento degli eserciti, all'armamento, alla ricostruzione di punti, di ferrovie, di bastimenti, ecc., l'attività del Governo sostituisce l'attività privata, il credito pubblico quello privato. Laddove questo caso si verifica, la richiesta generale di beni economici non subisce nessuna restrizione, ed i prezzi continuano a salire. Ma poco a poco le risorse della nazione vengono esaurite, assorbite come sono dai prestiti patriottici... Un giorno o l'altro l'attività straordinaria alimen-tata mediante i prestiti pubblici deve cessare. È quel che accadde due anni dopo la guerra franco-germanica, nel 1873. Ad un periodo di straordinaria attività industriale, di prodigiosa prosperità, seguì d'un colpo la più terribile e durevole crisi che il mondo ricordi. Si era speso troppo, le imprese nuovamente costituite mancarono d'un colpo di fondi, non poterono giungere a compimento, rimasero improduttive. Consumati i fondi esistenti in materie prime ed in grandiose costru-zioni, in impianti fissi e macchine d'ogni genere, il potere d'acquisto delle nazioni venne a mancare. S'iniziò a Vienna ed a Berlino una crisi edilizia che costrinse ad abbattere le case nuovamente costruite, per salvare quanto si potè dei capitali impegnati.

È vero che crisi di questo genere possono arrivare anche in tempo di profonda pace. Ma senza la guerra la prosperità sarebbe durata di più. La maggior parte delle imprese nuovamente fondate sarebbero giunte a compimento. E sopratutto gli effetti sarebbero stati meno disastrosi. Si avrebbe avuto una crisi simile a quella del 1900 o del 1907, seguita a breve distanza da una reprise, da un nuovo periodo d'espansione. Distrutti i capitali per l'effetto della guerra, distrutto il credito e la fiducia negli affari, la depressione che seguì fu molto più lunga, durò non un anno o due, ma da 12 a 14 anni, finché dopo un periodo d'intensa economia, di ricostituzione dei capitali perduti si produsse la breve prosperità che condusse alla crisi del 1890.

Infatti, fu solo verso quest'ultimo anno che i maggiori sintomi del credito e dello spirito d'impresa mostrano un incremento comparabile

a quello osservato dal 1850 al 1870. Si ebbe bensì un modesto ten-tativo di prosperità e di sovrapproduzione verso il 1881. Ma esso bastò appena a trattenere alquanto la corsa discendente dei prezzi ed urtò ben presto contro la mancanza di potere d'acquisto da parte dei con-sumaton.

Fu soltanto verso il 1900 che si ebbe un nuovo grandioso periodo d espansione, di capitalizzazione e di prosperità economica, superiore perfino a quello che precedette la guerra franco-germanica in Europa la guerra di Secessione in America. Durante più di 20 anni - nuas un quarto di secolo - credito e potere d'acquisto rimasero depressi.

III.

Ma in un altro modo ancorala guerra e la pace debbono esercitare un'influenza profonda sui moviment, generali dei prezzi: per m e " un riorientamento periodico di tutta l'attività economica, dello spirito d impresa e d'invenzione. I periodi susseguenti alle grandi catls refi politiche non sono soltanto, a. pari delle singoli bLes temp di scarso credito, d, scarso potere d'acquisto, di generale scoramento ma sogliono orientare tutta l'attività economica verso la p r o d u r l i economica possibile, verso la riduzione dei costi in tutti i rami di ri -duzione, verso le innovazioni più umili, possibili senza capitale e senza nsch, che in tempi più felici vennero in gran parte trascurate

Invece d, costituire delle imprese grandiose, di creare industrie e prodotti nuovr, di finanziare invenzioni geniali e d'immobilizzare api tali giganteschi in impianti fissi, commercianti e industriali rivolgono a propria attenzione alle innovazioni più umili ed economiche afl in-terno delle imprese esistenti. Costretti a contentarsi dei propri

ate-l e t Pronto dagli impianti esistenti, 2

orien-tano tutto ,1 loro spirito inventivo verso r i n o m a . ] a i d u z i o n e 7e i costi, U consolidamento interno e rimandano a temp, più felici le I n i vazion, costose, produttive soltanto dopo lunghi anni

n e l Z Z d o 1P8 73T e C,atÌV°' ^ ^ ^ ^ ^ d i t a l i - o v a z i o n i ne pei,odo 1873-95 e la mancanza quasi assoluta di nuove creazioni dell importanza della macchina a vapore, della ferrovia, del ^ f del motore elettrico, a gaz ed a olio, dell'automobilismo e della na b gazione aerea, delle innumerevoli applicazioni dell'elettrotecnica, durante lo stesso periodo. La spiegazione di questo fenomeno è fadle per quanto le sue conseguenze sembrino ancora ignote. La difficoltà de credito la scarsa fiducia nell'avvenire, il generale sentimento 'in e cuntà lasciato da una grande guerra e da una serie di profonde

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tensioni diplomatiche, di guerre civili (Francia, Spagna) e di aspre lotte di partiti, dovettero sconsigliare chiunque dall'avventurarsi in imprese rischiose o produttive soltanto fra anni. Per creare delle indu-strie e delle imprese nuove ci vogliono, naturalmente, capitali mag-giori che non per perfezionare o semplificare quelle esistenti. Un periodo di scarso credito e di tensioni internazionali deve dunque dar la preferenza ai progressi più umili e più economici, al consolidamento delle industrie già esistenti.

Non ci fermeremo ad enumerare le innumerevoli invenzioni che dal 1870 al 1896 hanno ridotto il costo di produzione del ferro, dell'ac-ciaio, del rame, del cotone, dei trasporti terrestri e marittimi (e con ciò del grano, della carne). Osserveremo solo che la tendenza verso l'economia fu così universale da ripercuotersi perfino sui bilanci