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L E COMMISSIONI PER LA V ERITÀ E LA R ICONCILIAZIONE IN A MERICA L ATINA «Presupposto della riconciliazione è dunque che si faccia luce sull’accaduto, attraverso quelle

LA TERZA VIA ALLA RESA DEI CONTI: DAL MODELLO ARCAICO DEL RYB ALLE COMMISSIONI VERITÀ E RICONCILIAZIONE

B. L E COMMISSIONI PER LA V ERITÀ E LA R ICONCILIAZIONE IN A MERICA L ATINA «Presupposto della riconciliazione è dunque che si faccia luce sull’accaduto, attraverso quelle

che sono state chiamate Commissioni Verità. Si tratta di esperimenti istituzionali avviati nel corso degli anni ottanta e che si sono moltiplicati e hanno dato risultati nel decennio successivo, a partire dalla Comisión nacional para la desaparición de personas in Argentina (1983-1984), la Comisión

nacional para la veridad y reconciliación in Cile (1990-1991), le Commissioni Sudafricane, in

particolare la Truth and Reconcilation Commission (1995-1998): molte altre hanno poi seguito l’esempio, per quanto si debbano anche annoverare casi in cui una molteplicità di fattori ha impedito che si mettesse mano alla pur necessaria chiarificazione del passato169. Nonostante le diversità dei contesti generatori e le differenze nell’attuazione, tutte queste istituzioni presentano le seguenti caratteristiche comuni: 1. analizzano il passato, 2. forniscono un quadro complessivo delle violazioni dei diritti, 3. hanno un arco di vita limitato, che si conclude con la presentazione di un rapporto, 4.

164Dionìsio (o Dionigi) di Alicarnasso. Storico e retore greco (60 circa - 7 a. C.). Autore di opere retoriche e della Storia

antica di Roma, che comprende la storia romana dalle origini al 264 a.C., inizio delle Storie di Polibio.

http://www.treccani.it/enciclopedia/dionisio.

165Di fatto, per tutta l’epoca precedente all’era della stampa la retorica è stata il medium principale attraverso cui trasmettere alle generazioni future il sapere, fino a che appunto non arrivò Gutemberg, inaugurando un’era in cui per trasmettere e immagazzinare la conoscenza, la retorica e l’oralità vennero sostituite dal libro stampato. Cfr. ANDREA GRANELLI, FLAVIA TRUPIA, Retorica e business. Intuire, ragionare, sedurre nell’era digitale, Egea, Milano 2014.

166PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. pp. 181-187.

167MARK FREEMAN, Truth Commissions and procedural fairness, Cambridge University Press, Cambridge 2006. L’autore è richiamato in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 189.

168PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 189.

169PRISCILLA H. HAYNER, Unspeakable truths. Confronting state terror and atrocity, Routledge, London 2011, che documenta 40 casi di Commissioni verità tra il 1974 e il 2009. Un caso paradigmatico in senso negativo è quello afghano: Cfr. PATRICIA GOSMANN, Truth, justice and stability in Afghanistan, in NAOMI ROTH ARRIAZA, JAVER MARIEZCURRENA (a cura di), Transitional justice, Cambridge University Press, Cambridge 2006, pp. 255-257. Gli autori sono richiamati in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 190.

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hanno accesso privilegiato alle informazioni e sono protette durante le indagini170. A differenza dei procedimenti giudiziari (e, sul versante opposto, delle amnistie), le conclusioni stilate nei rapporti in realtà lasciano aperti tutti gli sviluppi, salvo quello della rimozione (dimenticare non è più consentito laddove esiste una verità riconosciuta consensualmente). La loro funzione primaria consiste comunque nell’affermazione di un’identità collettiva capace di volontà politica e di rigenerazione morale. La richiesta di Commissioni verità ha caratterizzato in particolare l’esperienza dell’America latina, dove l’ingiustizia andava sul conto della criptopolitica171 e del terrorismo di Stato praticato dai

servizi segreti di dittature militari172.

Dove il regime politico si è divaricato nell’esistenza di istituzioni parallele, la magistratura si vede sottratto il controllo dei settori strategici dell’apparato repressivo, che si muovono ormai al di fuori della legalità. Rientra nella natura del “doppio Stato” post-totalitario albergare sotto le parvenze di un ordinamento quasi democratico (o a democrazia controllata o a democrazia quasi sospesa) un altro ordinamento, che è in fondo un’organizzazione criminale in regime d’impunità. Lo smantellamento delle barriere pseudolegali che impediscono l’accesso alla verità è in questo caso la precondizione perché il meccanismo giudiziario possa rimettersi in moto.

A questo fine serve però una mobilitazione della società civile e il recupero dell’iniziativa politica da parte delle rappresentanze popolari. Come il processo alla Junta militar argentina è il primo rilevante processo per crimini politici (democidio) dopo Norimberga, così la Commissione verità argentina (Comisión nacional para la desaparación de personas) è quella che propriamente inaugura la serie delle commissioni verità (di quelle che avrebbero avuto un ruolo strategico nel processo di transizione alla democrazia). La relazione che concluse i suoi lavori, e che nel 1985 venne pubblicata con il titolo Nunca más, non tardò a diventare uno dei punti di riferimento fondamentali per gli attivisti dei diritti umani in diverse parti del mondo. Essa costituisce un precedente importante anche in un altro senso, essendo stata seguita a breve anche da processi: a dimostrazione del fatto che

170Si tratta, nei casi analizzati dalla letteratura, quasi esclusivamente di commissioni istituite da poteri pubblici nazionali (presidenti, governi, assemblee legislative) o internazionali (Onu). Un ruolo marginale, ma non trascurabile soprattutto quando abbiano funto da apripista e da pungolo per le official truth commissions, è svolto in una serie di circostanze da commissioni gestite da ONG ed espressione quindi di associazioni civili nazionali e transnazionali: Cfr. PRISCILLA H. HAYNER, Unspeakable truths. Confronting state terror and atrocity, cit. L’autore è richiamato in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 190.

171Un neologismo che indica “l’espressione di poteri occulti (tra i quali, i servizi d’informazione politica e finanziaria e la criminalità organizzata), che, camuffati politicamente, vanno ad occupare progressivamente gli spazi dai quali è stata allontanata dissimulatamente la politica”: Cfr. PRIMO SIENA, La spada di Perseo. Itinerari metapolitici, Solfanelli, Chieti 2013.

172KATHRYN SIKKINK AND CARRIE BOOTH WALLING, Argentina’s contributions to global trends in transnational justice, in NAOMI ROTH ARRIAZA, JAVER MARIEZCURRENA (a cura di), Transitional justice, cit., pp. 301-324. L’autore è richiamato in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 191.

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Commissioni verità e procedimenti giudiziari non sono reciprocamente esclusivi ma possono combinarsi e operare in sinergia173.

La Commissione verità cui si deve l’adozione di una denominazione che ha avuto fortuna e cui si può attribuire il maggior successo è poi quella cilena (Comisión nacional para la verdad y

reconciliación), istituita dal presidente Aylwin nel 1990, con un mandato limitato a far luce sugli

omicidi e sulle sparizioni. Questa commissione ha lavorato, nonostante le intimidazioni che provenivano dagli ambienti militari, in modo sorprendentemente rapido, indagando in soli nove mesi su 3400 casi: i suoi risultati sono stati resi pubblici nel febbraio 1991. L’esecutivo ha raccolto molte sue proposte, in particolare quella relativa all’istituzione di un’agenzia nazionale della riconciliazione dotata di mezzi adeguati e possibilità d’intervento174»175. La Commissione per la riconciliazione e la

verità in Cile, ha rappresentato la “madre ideale di tutte le commissioni per la verità176”, fornendo l’esempio a cui si sono ispirati, più o meno esplicitamente, non solo l’organo d’indagine sudafricano, ma la stessa commissione per il chiarimento storico guatemalteca. La massiccia distruzione di documenti custoditi negli archivi ad opera dei servizi di sicurezza ha creato molte difficoltà nella ricerca dei colpevoli dei crimini commessi durante il regime di Pinochet; ciononostante la Commissione ha utilizzato per lo scopo prevalentemente testimonianze orali o memorie scritte che, comunque, non hanno potuto costituire la base documentale per perseguire i responsabili della repressione177.

Per le sue dimensioni (uno staff di 500 persone, che ha raccolto le testimonianze di 17.000 vittime, e un budget di oltre 13 milioni di dollari) la Commissione verità e riconciliazione peruviana è stata infine la terza per ordine d’importanza del continente americano. La Comision por la verdad

y la reconciliatiòn fu istituita nel giugno del 2001 dal Presidente provvisorio del Perù, Valentin

Paniagua con il compito di accertare quanto avvenuto tra 1980 e il 2000 nel “conflitto armato interno” tra il Partido Comunista Peruano Sendero Luminoso e ilMRTA, Movimiento Revolucionario Tupac Amaru), con la Polizia e le Forze Armate. La Commissione era presieduta dal Rettore dell’Università

Cattolica di Lima e costituita da dodici personalità indipendenti. In due anni, fino al 28 agosto 2003,

173KATHRYN SIKKINK AND CARRIE BOOTH WALLING, Argentina’s contributions to global trends in transnational justice, in NAOMI ROTH ARRIAZA, JAVER MARIEZCURRENA (a cura di), Transitional justice, cit., pp. 306 e 310. L’autore è richiamato in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 192.

174RICHARD J. GOLDSTONE, Frieden und Gerechtigkeit – Ein unvereinbarer Gegensatz?, in GARY SMITH, AVISHAI MARGALIT (a cura di), Amnestie, Suhrkamp, Frankfurt 1997, pp. 40-41. L’autore è richiamato in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il

passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 192.

175PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. pp. 190-192.

176MARCO DE PONTE, Amnesty International, Nunca Más – Mai più al di sopra della legge, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole – Firenze 1997, pag. 36.

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data della diffusione del Rapporto conclusivo (Informe final), la Commissione ha svolto un lavoro straordinario per mole e per lucidità di analisi. Nelle sue raccomandazioni finali ha proposto riforme istituzionali per fare del Perù uno Stato di diritto, riparazioni integrali alle vittime, un piano nazionale di accertamento delle fosse comuni, diffusione dell’Informe, chiamata in giudizio dei responsabili, tutela dei testimoni e amnistie e indulti solo negli stretti limiti stabiliti dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani178.

C. L’

ESPERIENZA SUDAFRICANA

:

LA

T

RUTH AND

R

ECONCILATION

C

OMMISSION

«La fortuna della sigla TRC è legata all’esistenza della Commissione verità e riconciliazione

sudafricana, che ha operato tra il 1996 e il 2001 sotto la presidenza del vescovo anglicano Desmond Tutu. Istituita nel 1995 dal Promotion of National Unity and Reconciliation Act n. 34 a conclusione di un lungo processo di “rivoluzione negoziata”, e composta da 17 membri, di cui 6 bianchi, essa aveva competenza di indagare sulle violazioni dei diritti umani che avessero avuto luogo tra il 1° Marzo 1960 e il 6 Dicembre 1993 (arco di tempo superiore a quello di tutte le altre che l’avevano preceduta). Nel caso sudafricano la via dei processi era impraticabile: distrutte le prove dei crimini commessi in regime di apartheid; nulla la disponibilità a cooperare o a confessare; in mano ai bianchi il sistema della giustizia, per cui l’accusa di processi-farsa sarebbe stata assicurata179. Avvalendosi di

un dispositivo complesso, risultato dell’articolazione di tre comitati (per le violazioni dei diritti, per l’amnistia e per le riparazioni), si è cercato pertanto di dar vita a un modello procedurale che assicurasse innanzitutto le basi conoscitive per un’elaborazione del passato, offrisse la possibilità di garantirsi la collaborazione del maggior numero di individui coinvolti e ponesse le condizioni per una politica di riparazione dei torti. Del procedimento messo in atto dalle Commissioni verità e riconciliazione faceva parte, come precondizione per neutralizzare la spirale della vendetta, il dispositivo dell’amnistia, in quella specifica variante che sola risulta compatibile con gli standard del diritto internazionale umanitario e del diritto costituzionale di uno Stato democratico, e che è stata definita accountable amnesty, perché implica comunque la preliminare assunzione di una colpa180. Mentre il sistema della Commissione per la verità e la riconciliazione in America del Sud permetteva, ad esempio, di perseguire penalmente dopo il deposito del rapporto, anche in base alle informazioni ivi contenute, nel sistema sudafricano la testimonianza sui propri crimini consente di ottenere

178http://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/14447.html.

179HERIBERT ADAM, Widersprüche der befreiung: Wahrheit, gerechtigkeit und versölmung in Südafrika, in AA.VV.,

Vergangenheitsbewärothltigung am Ende des zwanzigsten Jahrhunderts, Leviathan, Sonderheft 18/1998, p. 365.

Autore richiamato in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 193.

180RONALD SLYE, The legitimacy of amnesties under international law, Virginia Journal of International Law, n. 43 (2002). Autore richiamato in Ivi.

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l’amnistia dopo che la Commissione abbia verificato che il crimine sia stato commesso per scopi politici e che sia stata resa una confessione precisa e dettagliata. È forse il solo caso in cui la giustizia ricostruttiva si presenta allo stadio più compiuto, ovvero per se stessa e non come succedaneo della giustizia. Contro la tesi che gli accordi di pace sono semplicemente il prodotto di negoziazioni tra le

élites, si è giustamente argomentato che il caso del Sudafrica è una convincente esemplificazione di

come, per quanto importante sia l’iniziativa delle élites (e di personalità carismatiche) nell’avvio e nella conduzione delle trattative, la tenuta delle intese possa essere garantita solo dal consenso e dall’approvazione comunitaria.

Il ruolo di soggetti motivati religiosamente risulta fondamentale a questo fine. La componente religiosa, simbolizzata dalla presidenza della Commissione da parte del vescovo anglicano Desmond Tutu, per questa ragione è stata considerata decisiva da molti interpreti: essa ha operato nella generazione di un rimorso collettivo, nella ricostruzione dell’identità delle vittime attraverso la restituzione della loro dignità e nell’amministrazione delle interazioni comunicative e della funzione terapeutica dell’intero processo181. Il retroterra religioso della TRC ha così consentito di mostrare

come non fosse impossibile dare al perdono una dimensione comunitaria, come il perdono presupponesse e non escludesse la memoria, e come dalla pratica discorsiva potesse nascere la volontà del riscatto. Il bilancio di questa esperienza, che fonde insieme procedimento giudiziario, inchiesta storica, pratica della confessione e perdono negoziato, è apparso a molti tanto positivo da poter essere additato come terza via rispetto alla soluzione, in larga misura moralmente (prima che giuridicamente) improponibile, delle amnistie, e alla soluzione, per i grandi numeri impraticabile, dei processi182. Si è messo in luce come lo stesso castigo non fosse escluso dalla pratica della Commissione, ma “parte del suo stesso codice di trasparenza, della pubblicità degli atti, della partecipazione collettiva alle sue udienze”183. A dire il vero, però, il comitato con le competenze più

estese (e dotato di effettivo potere) è risultato essere proprio quello sull’amnistia, che poteva prendere decisioni giuridicamente vincolanti (per il Parlamento e per il Presidente), mentre le altre Commissioni avevano soltanto una funzione consultiva e propositiva (tant’è che molte delle raccomandazioni da esse formulate sono rimaste lettera morta)184. Andrebbe inoltre rilevata la

181MARKUS A. WEINGARDT, Religion macth Frieden. Das Friedenspotential von Religionen in politischen Gewaltkonflikten, Kohlhammer, Stuttgart 2007, pp. 336-349. Autore richiamato in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta,

amnistia, giustizia, cit. p. 194.

182ANTONIO CASSESE, Clemency versus retribution in post-conflict situations, cit., pp. 10-11. Autore richiamato in Ivi.

183MARCELLO FLORES (a cura di), Verità senza vendetta. Materiali della commissione sudafricana per la verità e la

riconciliazione, Manifestolibri, Castel San Pietro Romano (Roma) 1999, p. 57. Autore richiamato in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 195.

184La Commissione ha sofferto in ogni sua fase per l’insufficienza del personale: dovette registrare, avvalendosi di circa 200 collaboratori, oltre 20.000 deposizioni; il Committee on Human Rights Violation aveva 9 componenti e 10 collaboratori esterni, che non erano certo in grado di controllare l’attendibilità di tutte le deposizioni. CLARISSA RUGE,

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delusione delle vittime per le deposizioni: molte di esse dovettero lamentare di non essere state informate del loro esito. Anche se molte centinaia di domande di amnistia vennero respinte, egualmente scandalosi appaiono al lettore dei verbali molti casi di concessione dell’amnistia (per esempio quello concernente un noto torturatore della polizia sudafricana, Jeffrey Benzien)185. I grandi

responsabili e gli ideologi del sistema dell’apartheid, infine, non si presentarono a deporre. Nel 1998, per la prima volta nella storia del Sudafrica, fu avviato un procedimento contro un ex capo di stato, il presidente Pieter Willem Botha, accusato di non essersi presentato alla convocazione della TRC e di

averla boicottata: il procedimento si concluse però con la condanna a una modesta pena pecuniaria»186.

«Se alcuni la presentano come una forma più compiuta del processo, altri, invece, sono più critici e le rimproverano una certa emotività (si parla di «Commissione Kleenex» tanto vi si è pianto), il suo tratto religioso troppo marcato, la sua incapacità di coinvolgere alcuni grandi responsabili dell’apartheid, l’assenza di una seconda verifica sulle testimonianze rese da coloro che hanno chiesto l’amnistia, la mancanza di risarcimento economico per le famiglie delle vittime, il suo abdicare infine davanti al potere non applicando a nessuno pene detentive. Non si è forse svenduta la giustizia – quella vera – accontentandosi di un surrogato del processo, di una giustizia in saldo? Ma era possibile scegliere? La Commissione sudafricana deve la sua esistenza a un rifiuto comune delle varie fazioni, e cioè il Partito Nazionale187 e l’ANC188, di vedere i propri membri giudicati e condannati per gli atti

che ritenevano giustificati per ragioni diverse, benché simmetriche. La scelta era adatta alla peculiare situazione del Sudafrica, dove si è messo fine all’apartheid mediante un accordo politico e non con una vittoria militare. In seguito la Commissione si trovò a fronteggiare l’accusa di essere una giustizia dei vincitori. Ecco perché la sua prima preoccupazione fu quella di riunire neri e bianchi, membri del Partito Nazionale e dell’ANC (ma fu un fallimento con il Partito Inkhata zulu189, che rifiutò di

Versöhnung durch Vergangenheitsbewältigung?, Peter Lang, Frankfurt 2004, p. 230, riporta il caso di un uomo che

deponeva in qualità di vittima dell’apartheid e denunciava di aver subito torture in carcere, trascurando però di ricordare alla ignara Commissione di essere stato in precedenza condannato all’ergastolo per l’omicidio di cinque persone. Autore richiamato in PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. p. 195. 185MARCELLO FLORES (a cura di), Verità senza vendetta, cit., p. 52. Autore richiamato in Ivi.

186PIER PAOLO PORTINARO, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, cit. pp. 192-196.

187Il National party (Afrikaans nasionale party) Partito del Sudafrica, governò il Paese dal 1948 al 1994. Fondato dal generale J.B.M. HERTZOG nel 1914, divenne la formazione politica di riferimento del nazionalismo afrikaner e di molti bianchi anglofoni. Nel secondo dopoguerra il National Party istituzionalizzò la discriminazione razziale attraverso l’apartheid. Nelle prime elezioni multirazziali (1994) fu sconfitto dall’African national congress. Lasciato il governo di unità nazionale (1996), prese il nome di New national party (1998), ma in crisi di consensi si sciolse nel 2005. http://www.treccani.it/enciclopedia/national-party_(Dizionario-di-Storia)/.

188Il Congresso Nazionale Africano (African National Congress, ANC) è il più importante partito politico sudafricano. Fondato nell'epoca della lotta all'apartheid, è rimasto ininterrottamente al governo del paese dalla caduta di tale regime, nel 1994, a oggi. http://www.treccani.it/enciclopedia/african-national-congress_(Dizionario-di-Storia)/. 189Il Partito Inkata per la Libertà (Inkatha Freedom Party, IFP), precedentemente noto come Movimento Culturale Inkata

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parteciparvi). La Commissione cilena ebbe anch’essa a cuore di far figurare nella composizione alcuni anziani partigiani di Pinochet a fianco delle vittime. La Commissione sudafricana è stata quindi criticata per il fatto di non essere sufficientemente giudiziaria, ma anche per il fatto di non essere sufficientemente politica. Thabo Mbeki190, già presidente della Repubblica sudafricana, allora braccio

destro di Nelson Mandela, ha rimproverato alla Commissione di non aver debitamente evidenziato la differenza tra l’illegittimità dell’apartheid e la giusta causa di coloro che avevano avuto il coraggio di combatterla. Allo stesso modo, in Argentina, le vittime della repressione si dimostrarono riluttanti ad essere considerate come vittime di violazioni di diritti umani: si ritenevano innanzitutto vittime di una repressione politica. Malgrado tutti i difetti da non minimizzare, non va comunque negato che, la Commissione sudafricana ha inaugurato un nuovo genere di giustizia che si affranca dalle costrizioni del processo penale. La Commissione ha privilegiato, nel complesso, la dignità delle vittime a discapito della punizione dei colpevoli; di tutte le vittime: non solo quelle di ciascun campo, ma anche le “vittime del campo delle vittime”. I racconti più tragici furono quelli di alcuni giovani bianchi uccisi da una bomba anonima in un dancing quando non solo non sostenevano l’apartheid, ma anzi erano venuti in Sudafrica per combatterla, o di alcuni neri che parlarono sotto tortura, che furono massacrati dai servizi segreti sudafricani, insomma, che non si mostrarono all’altezza dell’eroismo della loro causa.

La Commissione del Sudafrica ha compiuto, come già argomentato in precedenza, una seconda scelta originale proponendo agli autori dei crimini l’amnistia a patto di rendere confessione delle loro azioni. Essa, non solo sperava di ottenere così delle informazioni che non avrebbe avuto altrimenti, ma soprattutto di ottenerle dalla bocca degli stessi interessati. Perché la verità, per un periodo così turbolento come quello dell’apartheid, rappresenta una sfida collettiva e storica. Tutto il mondo – comprese le generazioni future – ha interesse a conoscere ciò che è successo, e la confessione

nel 1975 da GATSHA MANGOSUTHU BUTHELEZI, ex leader della Lega Giovanile del Congresso Nazionale Africano, rappresenta in modo particolare le aspirazioni indipendentiste del popolo zulu, e gode di un forte consenso nella