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TEDESCA, SUDAFRICANA E BALCANICA I CASI PLAVŠIĆ E BRALO

E. U N NUOVO MODELLO DI GIUSTIZIA DI TRANSIZIONE : CONVERGENZE TRA LA

RETRIBUTIVE JUSTICE E LA RESTORATIVE JUSTICE

.

LA PRATICA DEL PLEA

BARGAINING NEI CASI

B

ILJANA

P

LAVŠIĆ E

M

IROSLAV

B

RALO

.

Le tematiche finora affrontate ci hanno fornito il quadro d’insieme su due forme di approccio al problema della de-costruzione della violenza e sul divenire di una giustizia di transizione molto diverse fra loro. Da una parte, abbiamo analizzato la logica penalistica e giustizialista di stampo

retributivo, che ha visto salire sul banco degli imputati la Germania di Hitler e tutto l’apparato

militare, economico-finanziario, sociale e scientifico del Terzo Reich. Il regime nazista è stato chiamato a render conto dell’immane tragedia della guerra e dell’Olocausto degli ebrei, secondo un modello di amministrazione della giustizia che ha seguito le regole del processo nella sua visione

classica, nell’attuazione rigida dei canoni del diritto di marca occidentale591 entrato in scena nelle

aule di tribunale di tutto il mondo.

588I ricorsi pendenti sono due: Karadžić e Šešelj.

589Attualmente è previsto il riesame di due posizioni processuali già definite: Stanišić e Simatović. 590Da http://www.unmict.org/en/about/functions.

591In Europa, la dottrina giuridica ha favorito il persistere di concezioni formalistiche della funzione giudiziaria secondo cui il giudice sarebbe solo la “bouche de la loi”, il semplice esecutore del dettato normativo, un tecnico che dichiara il significato della legge e lo applica ai singoli casi senza margini rilevanti di discrezionalità, in modo da non sovrapporre la propria volontà a quella legittimamente espressa dagli organi deliberativi (Francia, Italia, Spagna, Portogallo). Nei sistemi anglo-sassoni, invece, le corti si vedono attribuire una funzione latamente «creativa» che contrasta con quella «esecutoria» propria della tradizione continentale. In base alla dottrina dello stare decisis, infatti, i principi enunciati dalle corti superiori costituiscono “precedenti dotati di forza normativa” e, in quanto tali, vincolano formalmente le corti inferiori (Stati Uniti, Gran Bretagna). In CARLO GUARNIERI, PATRIZIA PEDERZOLI, La magistratura nelle democrazie

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Sull’altro versante, invece, abbiamo assistito alla nascita di una nuova generazione della

giustizia di transizione, quella delle Commissioni per la verità e per la riconciliazione, che hanno

aperto una finestra su quanto, a ragione, può essere considerato l’esperimento più riuscito di giustizia

ricostruttiva, sia per il cambio epocale che ha determinato all’interno di una società plurisecolare

piegata su se stessa in una dimensione bieca e delirante di discriminazione teologico-razziale, come quella sudafricana, sia perché il passaggio dalla forma totalitaria al profilo democratico è avvenuto senza significativi contraccolpi, senza cioè, che la resa dei conti lasciasse alle sue spalle un ulteriore strascico di sangue, morte e devastazione. Ai diversi modi che hanno tradizionalmente accompagnato le società politiche nel cammino di ricomposizione delle loro passate violente divisioni e lacerazioni, se ne sta accostando un altro, del tutto nuovo, inedito, che intende saldare in un punto di incontro taluni aspetti dell’una e dell’altra “dottrina del passaggio”. E di questa moderna frontiera della

giustizia di transizione, basata sull’affermazione di una novella “cultura scientifico-giuridica di

contiguità”, si è fatto promotore e fautore il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, il quale ha interpretato in maniera totalmente innovativa un istituto giuridico che è un pilastro della

giustizia negoziata, di estrazione anglosassone – il cosiddetto plea bargaining – unendone i princìpi

ispiratori dell’occidente agli ideali fondanti delle pratiche ricostruttive delle Commissioni per la verità e la riconciliazione.

Quella negoziata è una forma complessiva di amministrazione della giustizia che include al suo interno il “patteggiamento592” ed altre fattispecie contigue593. Si tratta di modi di soluzione della disputa alternativi a quello ordinario, uniti dalla capacità di assecondare la chiusura anticipata del giudizio grazie al conseguimento di un accordo tra le parti in causa. In particolare, l’istituto del patteggiamento (plea bargaining) appartiene alla tradizione giuridica nord-americana, dapprima inserita come trattativa occulta ampiamente praticata sia dalla pubblica accusa che dagli imputati e, successivamente, come rito formalizzato nell’XI emendamento addizionale annesso alla “Carta dei Diritti” della Costituzione degli Stati Uniti d’America, introdotto nel 1974, e dalla giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti. «Oggetto del bargaining, ossia della transazione tra le parti, è l’offerta della riduzione della pena a fronte di un’ammissione di colpevolezza (guilty plea), che determina il diniego delle garanzie processuali previste nel giudizio ordinario. Nell’ordinamento giuridico nordamericano il guilty plea è, tra l’altro, necessario per poter accedere alla pratica del plea

bargaining, poiché non è ammissibile nel momento in cui venga meno il riconoscimento da parte

592Nell’ordinamento giuridico italiano è prevista una forma di patteggiamento particolare dall’art. 444 c.p.p.

593VITTORIO FANCHIOTTI, Origine e sviluppo della “giustizia contrattata” nell’ordinamento statunitense, in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», 1984, p. 97.

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dell’imputato della propria responsabilità. L’articolo 20 dello Statuto594 del Tribunale Penale

Internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia stabilisce che l’imputato, rispetto ai fatti contestatigli dal pubblico ministero, debba dichiararsi guilty o not guilty595 nel corso della prima udienza. Qualora manchi di prendere posizione in merito alla propria colpevolezza, si ritiene che l’imputato abbia reso un not guilty plea596. Sul modello delle norme statunitensi, gli artt. 62, 62-bis e

62-ter delle Rules of procedure and evidence (RPE), ossia le Regole di Procedura e prova del TPIJ,

elencano le condizioni dell’ammissibilità della dichiarazione di colpevolezza597. Il giudice deve

verificare che tale dichiarazione sia volontaria, informata, inequivoca e che la factual basis, risultante da fonti di prova o dall’accordo tra le parti, sia sufficiente a provare il crimine e la partecipazione dell’imputato al crimine medesimo. Ciò significa che l’imputato deve sua sponte, senza alcuna minaccia e in maniera ambigua ammettere la propria responsabilità ed essere in grado di comprendere le conseguenze della propria dichiarazione598. I termini dell’accordo devono essere comunicati al giudice che, comunque, non ne resta vincolato in alcun modo599. In effetti tale normativa, oggi contenuta nelle RPE, non era inizialmente prevista e fu introdotta soltanto dopo che, per la prima volta, un imputato confessò la propria colpevolezza600.

Dražen Erdemović, soldato delle truppe serbo-bosniache, partecipò all’uccisione di centinaia di bosniaci musulmani disarmati che si trovavano all’interno di una fattoria, a Pilica, nella zona di Srebrenica. Il suo guilty plea non fu l’esito di un plea agreement (patteggiamento); piuttosto egli si dichiarò colpevole quando ancora nessuno lo stava cercando per perseguirlo penalmente per i crimini commessi601. In principio, il primo Presidente dell’ICTY, Antonio Cassese, volle insistere circa

594Articolo 20 - Inizio e svolgimento del processo. Comma 3: La Camera di primo grado dà lettura dell’atto d’accusa, si assicura che tutti i diritti dell’imputato siano stati rispettati, verifica che l’accusato comprenda le accuse e lo invita a dichiararsi colpevole o non colpevole. Da http://www.icty.org/en/documents/statute-tribunal.

595Colpevole o non colpevole. 596Dichiarazione di non colpevolezza.

597MATTEO CAPUTO, Il diritto penale e il problema del patteggiamento, cit. p. 177.

598RALPH HENHAM,MARK DRUMBL, Plea bargaining at international criminal Tribunal for the former Jugoslavia, in «Criminal law forum», 2005, p. 67.

599Diversi sono i casi in cui il Tribunale non si è attenuto ai termini della negoziazione. Ad esempio: Prosecutor v. Nikolić,

First sentencing judgement, Case IT-94-2, 18 dicembre 2003, par. 180, quando i giudici, avendo valutato la gravità dei

crimini commessi dall’imputato, irrogavano una pena pari ad anni 27 di detenzione, nonostante le parti si fossero accordate che questa doveva essere ricompresa tra i 15 e i 20 anni di reclusione. RODNEY DIXON - ALEXIS DEMIRDJIAN,

Advising defendants about guilty pleas before international Courts, in «Journal of international criminal justice», 2005,

p. 693.

600Prosecutor v. Dražen Erdemović, Case IT-96-22. Nel corso del giudizio di primo grado, l’imputato si dichiarava colpevole di crimini contro l’umanità e la Corte accettava la sua dichiarazione e lo assolveva dall’accusa di violazione delle leggi e dei costumi di guerra. Eppure, la Camera di appello riteneva che tale dichiarazione non fosse del tutto completa e consapevole e che perciò dovesse essere ripetuta. In secondo grado, quindi, Erdemović si dichiarava colpevole di aver violato le leggi ed i costumi di guerra e la pena era ridotta da 10 a 7 anni di reclusione. http://www.icty.org/en/action/cases/.

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l’inammissibilità delle negoziazioni tra accusa e difesa: la severità dei crimini rientranti nella giurisdizione del Tribunale non poteva giustificare il riconoscimento di alcun beneficio sanzionatorio a favore dei responsabili e, tanto meno, dell’impunità602. La posizione del Tribunale cambiò quando,

dopo Erdemović, un certo numero di imputati cominciò a dichiararsi colpevole: il passo verso l’adozione della già citata normativa relativa al plea bargaining contenuta nelle Regole di procedura e prova fu breve603. L’utilizzo della pratica della giustizia negoziata, affermata e diffusa soprattutto

nei sistemi giuridici di common law nei processi relativi a serie violazioni del diritto internazionale umanitario ha sollevato, come pocanzi detto, più di una critica. Si tratta dello strumento ideale per evitare lo sperpero di tempo e denaro e deve porsi attenzione soprattutto alla quantità ed alla complessità dei casi che questi Tribunali sono chiamati a decidere. La guerra nella ex Jugoslavia ha portato alla morte centinaia di migliaia di civili ed al dislocamento forzato di milioni di persone: questi numeri sarebbero in grado di paralizzare il sistema giudiziario di qualsiasi Paese. Se da una parte allora il plea bargaining trascura molti dettagli che invece sarebbero vagliati in un giudizio ordinario, dall’altra è garante di efficienza e permette la conclusione di un numero assai più elevato di casi604. Vale a dire che quello di cui difetta in termini di qualità, è compensato in termini di quantità. In definitiva, la negozialità rappresenta il trionfo del pragmatismo605. Il calcolo è semplice: più tempo il Tribunale ad hoc dedica al singolo responsabile, meno tempo avrà per investigare e perseguire altri; ciascun imputato riceverà una pena minore rispetto a quella che avrebbe ricevuto al termine di un full

trial, ma è altrettanto innegabile che meno colpevoli gioveranno de facto dell’impunità. Diventa,

dunque, uno strumento capace di salvaguardare gli obiettivi del diritto internazionale umanitario, a dispetto anche di un’altra componente non meno determinante che influisce sul suo funzionamento: la scarsità delle risorse economiche606. I benefici del plea bargaining sono ulteriormente accentuati

602VIRGINIA MORRIS, MICHAEL P. SCHARF, an insider's guide to the international criminal tribunal for the former jugoslavia, Max Planck Yearbook of United Nation Law, New York 1995, p. 649.

603L’art. 62-bis delle RPE fu adottato nel corso delle sedute plenarie del 20 ottobre e 12 novembre 1997, mentre l’art. 62-ter soltanto il 13 dicembre 2001.

604ALAN TIEGER,MILBERT SHIN, Plea agreements in the ICTY, in «Journal of international criminal justice», 2005, p. 670. 605NINA H.B. JØRGENSEN, The genocide acquittal in the Sikirica case before the international criminal Tribunal for the former

Jugoslavia and the coming of age of the guilty plea, in «Leiden journal of international law», 2002, p. 407.

606L'ICTY è un tribunale internazionale il quale, oltre alle funzioni tipiche comuni con le corti penali nazionali, svolge

diverse altre attività e compiti. I suoi tre organi principali - le Camere di primo grado e di appello, la Cancelleria e l'Ufficio del Procuratore (OTP) – attendono a mansioni che nei sistemi nazionali vengono condotte dai rami legislativo ed esecutivo del governo. Ogni sezione del Tribunale è responsabile della pianificazione e della spesa della sua quota nell’ambito del più ampio bilancio dell'ICTY. L’ufficio del Procuratore organizza e finanzia il viaggio degli investigatori

in tutto il mondo per raccogliere testimonianze e intervistare testimoni. Questo processo, insieme con l'analisi della scena del crimine, l'indagine e l'esame forense, richiede risorse considerevoli che sono tratte dal bilancio del Tribunale. Alcuni Stati hanno generosamente sostenuto le finanze del Tribunale fornendo, ad esempio, risorse economiche per l’espletamento di specifici compiti investigativi, come l'esumazione di cadaveri dalle “fosse comuni”. L'ICTY fornisce protezione e assistenza, organizza il viaggio e l'alloggio nonché le spese di base (come i pasti e i costi medici) di tutti coloro che si recano all'Aia per testimoniare. Finora, oltre 4.000 persone hanno testimoniato davanti al Tribunale. Esso dispone di un importante reparto di traduzione, la Sezione Conference and Language Services (CLSS),

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dalle pressioni esercitate sul Tribunale affinché completi il proprio lavoro nei termini prefissati (31 dicembre 2017): in quest’ottica la negoziazione appare, pertanto, la miglior soluzione al riguardo607. Malgrado tutto ciò, è bene ribadire ancora una volta che, il suo utilizzo nel contesto dei crimini internazionali è parso talvolta inopportuno, considerata la gravità dei fatti commessi, ed ha provocato più di un problema608. Due in particolare destano ancora oggi preoccupazione: una parte della dottrina tende a rimarcare, in questa forma di governo della giustizia di tipo cooperativistico, l’esercizio di una ampia discrezionalità in capo al Tribunale che potrebbe degradare in arbitrio; secondariamente, l’imputato verrebbe incentivato a negoziare nell’ottica di un mero do ut des609»610. Vale la pena di

riepilogare succintamente, oltre alla predominante regolazione del diritto penale internazionale, i termini attraverso i quali è stimata oggi l’amministrazione della giustizia resa dal TPIJ: tempi, costi,

produttività, discrezionalità e convenienza.

In effetti l’applicazione del precetto normativo del patteggiamento di matrice anglo-sassone è stato utilizzato dal TPIJ solo in 20 casi, che costituiscono il 12,41% del totale dei fascicoli

che fornisce la traduzione simultanea in tutte e tre le aule giudiziarie in inglese, francese, bosniaco, croato, serbo e, nei casi legati rispettivamente al Kosovo ed alla Macedonia, in albanese e macedone. Traduce altresì tutti i documenti prodotti dall’attività del Tribunale come le sentenze, nonché le migliaia di pagine di testimonianze e di altri documenti che vengono sottoposti al vaglio della Corte nel corso del dibattimento. Il TPIJ dispone anche di un proprio sistema di assistenza legale, che assicura e garantisce la celebrazione per chiunque di un processo equo. Molti degli accusati, ad esempio, non sono in grado di sopportare le spese per i propri difensori, o anche solo accedere ad una parte dei servizi, ragion per cui queste spese sono coperte interamente dal Tribunale. Il sistema di assistenza legale rappresenta circa l'11% del suo bilancio annuale. Il TPIJ gestisce autonomamente anche la propria unità di detenzione. In un sistema giudiziario nazionale, questo compito non rientrerebbe tra le attività demandabili ad un qualsiasi organo giudicante, ma verrebbe assolto da una struttura ministeriale a ciò deputata. Tuttavia, lo status specifico di questa istituzione giudiziaria internazionale, convoglia gli oneri per il funzionamento dell'unità di detenzione esclusivamente gravando sul bilancio del Tribunale, sebbene il carcere dell'ONU sia alloggiato all'interno delle strutture di un penitenziario olandese. Il governo ospite è responsabile solo del trasporto dei detenuti tra aeroporti e unità di detenzione. All’ICTY

compete anche la vigilanza attiva e passiva dei propri locali, dei membri del personale, dei visitatori e degli accusati. Il costo per la manutenzione degli edifici, le strutture e gli stipendi per tutto il personale sono inclusi anch’essi nel bilancio del Tribunale. A partire dal mese di marzo 2016, il numero delle persone impiegate all’interno dell'ICTY

assommava a 425 unità, in rappresentanza di 69 diverse nazionalità. Gli ultimi bilanci ufficiali (per biennio) presentati e resi pubblici dall’organismo giudiziario hanno evidenziato i seguenti costi di spesa e di funzionamento: 2014-2015: $. 179,998,600; 2012-2013: $. 250,814,000; 2010-2011: $ 286,012,600, con un chiaro trend tendente al contenimento degli oneri. Da http://www.icty.org/en/about/tribunal/the-cost-of-justice.

607DOMINIC RAAB, Evaluating the ICTY and its completion strategy: efforts to achieve accountability for war crimes and

their tribunals, in «Journal of international criminal justice», 2005, p. 86. Basti pensare che il Tribunale avrebbe dovuto

terminare tutte le investigazioni entro il 2004, i giudizi di primo grado entro il 2008 e quelli di appello entro il 2010. Cfr. Risoluzione ONU 26 marzo 2004, n. 1534, par. 6.

608JANINE NATALYA CLARK, Plea bargaining at the Icty: guilty pleas and reconciliation, in «The european journal of international law», 2009, p. 420. Cfr. anche Prosecutor v. Nikolić, First Sentencing judgement, Case IT-94-2, 18 dicembre 2003, par. 47: la Camera notava che anche nelle giurisdizioni nazionali l’uso del plea bargaining è meno frequente nei casi di reati particolarmente gravi.

609RALPH HENHAM,MARK DRUMBL, Plea bargaining at international criminal Tribunal for the former Jugoslavia, cit., pp. 63, 70.

610CLAUDIA COLLI, Il patteggiamento ed il ruolo della vittima nei procedimenti dinanzi alle Corti penali internazionali, cit. pp. 52-53, 59-62, 64.

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complessivamente trattati611. Una prima riflessione porterebbe a sostenere, senza l’adozione di ulteriori riscontri di carattere empirico, l’assoluta “sobrietà” nell’impiego dell’istituto giuridico da parte del Tribunale: ciò allontanerebbe dai commentatori e dagli esperti di dottrina legale il ragionevole dubbio sull’abitudine indiscriminata nel fare largo uso della prassi negoziata. Per contestualizzare le considerazioni fin qui espresse meritano di essere analizzati, nell’ordine di tempo in cui sono stati affrontati, due processi che si sono conclusi con l’applicazione della pratica del patteggiamento: i casi Biljana Plavšić e Miroslav Bralo. Le osservazioni che hanno condotto lo studio

verso questi nominativi sono sostenute da diversi criteri di fondo: 1) la storia di un “colletto bianco”, di un esponente politico che si è lordato le mani di sangue innocente contribuendo ad armare la follia omicida di aguzzini ed assassini senza scrupoli, fomentati e legittimati anche dalla sua alienata ideologia sulla “pulizia etnica” è bilanciata con le vicende legate ad uno di quei tanti esecutori che hanno materialmente perpetrato crimini inenarrabili ed inflitto pene e sofferenze indicibili contro intere comunità di civili inermi; 2) l’esame di posizioni processuali relative a soggetti che hanno militato su fronti opposti (Biljana Plavšić – serba e Miroslav Bralo – croato) è speculare al mantenimento di un doveroso equilibrio narrativo che non sposti pregiudizievolmente opinioni colpevoli verso l’una o l’altra parte in causa; 3) l’adozione di un nuovo elemento di valutazione per la quantificazione della punizione da parte del Tribunale è fattore che influisce in maniera determinante sulla misurazione della pena edittale inflitta in capo ai due imputati non più legata alla semplice guilty plea (ammissione di colpevolezza) ed all’accordo preventivo sancito con il

Prosecutor: questa volta il quid pluris, che può muovere l’ago della bilancia verso un concreto

alleggerimento delle condanne, si dimensiona sul terreno dell’accertamento e del riscontro, da parte del collegio giudicante, di atti tangibili di riconciliazione che i prevenuti hanno posto in essere nei confronti delle vittime o delle comunità che hanno subito la violenza dei loro trascorsi criminali.

Il salto di qualità potrebbe definirsi agevolmente come una “sollecitazione stragiudiziale

riparativa” che trasferisce la dinamica della giustizia retributiva, rigidamente vincolata a ripagare la

società ferita attraverso la comminazione di sole pene detentive, su un nuovo fronte istruito non più sul postulato paradigmatico del processo, condanna, espiazione, bensì sui contenuti più idealistici della giustizia ricostruttiva e della riconciliazione (risarcimento, verità, memoria). Potremmo ben dire che, pur mantenendo l’assetto tipico dell’organo giudicante tradizionale di stampo occidentale e

611Ad oggi sono stati definiti venti accordi: Milano Babić, Predrag Banović, Miroslav Bralo, Ranko Češić, Miroslav Deronjić, Damir Došen, Dražen Erdemovič, Miodrag Jokić, Goran Jelisić, Dragan Kolundžija, Darko Mrđa, Dragan Nikolić, Momir Nikolić, Dragan Obrenović, Biljana Plavšić, Ivica Rajić, Duško Sikirica, Milan Simić, Stevan Todorović, Dragan Zelenović, pari al 12,41% dei casi trattati. Da http://www.icty.org/en/cases/key-figures-cases.

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potendo agire ancora solo ed esclusivamente sulla leva della afflizione della pena, il TPIJ subisce una

parziale metamorfosi istituzionale e sostanziale che lo accosta sempre più marcatamente allo spirito costitutivo delle Commissioni per la verità e la riconciliazione. Riprova ne sono la risoluzione giudiziaria dei due casi attenzionati che subordinano la stima e la risposta socio-legale della sanzione applicata a valori che non rientrano nei canoni della giustizia tradizionale. In diversi passi, i dispositivi delle sentenze emesse a carico di Plavšić e Bralo richiamano concetti come riconciliazione e verità,

pace e giustizia sociale.

Ci si domanda, dunque: è questo il modo attraverso cui il diritto si appropria in maniera genuina