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La compatibilità con alcuni fondamentali principi del nostro ordinamento

Nel documento Il trust familiare: problemi e prospettive (pagine 110-114)

Una volta ammesso che il trust convenzionale possa avere quale unico elemento di estraneità la legge regolatrice, è necessario verificare se il c.d. trust interno sia compatibile con alcuni inderogabili principi del nostro ordinamento.

Infatti, tale istituto, dando vita ad una limitazione della responsabilità patrimoniale di fonte apparentemente pattizia, parrebbe violare il secondo comma dell’art. 2740 c.c., il quale non ammette deroghe all’universalità della responsabilità patrimoniale, se non nei casi espressamente previsti dalla legge51.

evidenziando che «ormai da tempo la migliore dottrina e la giurisprudenza assolutamente prevalente hanno

riconosciuto la compatibilità tra il trust e il nostro ordinamento giuridico […] e che, proprio grazie all’avvenuto riconoscimento del c.d. trust interno questo istituto ha trovato interessanti applicazioni proprio nella materia della tutela dei soggetti deboli». Nello stesso senso, un paio d’anni prima, si era espresso anche il Giudice

Tutelare del Tribunale di Firenze, decr. 8.04.2004, che aveva autorizzato l’istituzione di un trust in favore di un minore disabile, avente ad oggetto l’immobile destinato ad abitazione del beneficiario, evidenziando come il

trust risultasse «manifestamente utile per il minore».

Sui vantaggi del trust rispetto alla sostituzione fedecommissaria si veda infra, capitolo IV.

49 Si spinge oltre AMORE G.,Criticità sistematiche e rilevanza normativa del trust nella “Legge sul dopo di noi”,

in La nuove leggi civili commentate, 2017, 6, p. 1210 ss., secondo cui «la “legge sul dopo di noi”, per il relativo

apporto sistematico ben oltre le finalità agevolativo-fiscali espressamente menzionate, potrebbe essere considerata una prima e sia pure incompleta legge sul trust, atta a scoraggiare l’istituzione di trusts c.d. “interni” regolati dalla legge straniera: essa rileva cioè non tanto per il contenuto agevolativo, quanto piuttosto per l’impatto innovativo sistematico, rappresentando non una mera «implicita apertura del sistema a strumenti negoziali» quali il trust, ma un importante tassello nel sistema della destinazione e della separazione patrimoniale, in quanto fonte di una sia pur scarna disciplina del trust».

50 SEPIO G., Il “dopo di noi” e le misure fiscali a tutela del patrimonio delle persone con disabilità grave, in Il

fisco, 2016, 28, p. 2735.

51 In questo senso si veda, in dottrina, CASTRONOVO C., Trust e diritto civile italiano, in Vita notarile, 1998, 3, I-II, p. 1323 ss. Particolarmente critico GAZZONI F., In Italia tutto è permesso, anche quel che è vietato (lettera

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-In realtà, l’effetto segregativo prodotto dal trust è solo in apparenza frutto della volontà delle parti. Esso, infatti, discende da specifiche disposizioni di legge e, in particolare, dall’art. 2, comma 2, lett. a), della Convenzione dell’Aja, dove si afferma che i beni conferiti in trust formano una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee, e dal successivo art. 11, che prevede che il riconoscimento del trust, da parte degli Stati firmatari, implica, quantomeno, che i beni in trust rimangano distinti dal patrimonio personale del trustee. Quest’ultima disposizione, in particolare, come evidenziato dalla giurisprudenza, assume «la natura di norma di diritto materiale uniforme: solo così si spiega, difatti, il motivo per cui il testo convenzionale sancisce espressamente l’effetto minimo ed automatico della distinzione del patrimonio in trust da quello personale del trustee, caratteristica che è essenziale ai trust tradizionalmente conosciuti nei paesi di common law e che, perciò, non sarebbe stato necessario ribadire»52.

La legge n. 364/1989, poi, «dando piena ad intera esecuzione alla Convenzione de L’Aja, l’ha elevata a norma di rango ordinario»53, con la conseguenza che il trust interno appare perfettamente in sintonia con il secondo comma dell’art. 2740 c.c.

A ciò si aggiunga che le numerose deroghe all’universalità della responsabilità patrimoniale introdotte dal legislatore italiano tramite la previsione di patrimoni separati54, inducono a ritenere che la segregazione patrimoniale non possa più «essere considerata un “tabù”» e che l’unitarietà della garanzia patrimoniale, di cui all’art. 2740 c.c., non possa più valere come un «dogma sacro ed intangibile» del nostro ordinamento55.

Alcuni hanno, poi, obiettato che, laddove il trust interno venga istituito a scopo di garanzia, verrebbe eluso il divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., il cui rispetto viene fatto salvo dall’art. 15, lett. d), della Convenzione dell’Aja, che prevede che la Convenzione

alle osservazioni di Lupoi sulla compatibilità del trust con l’art. 2740 c.c., scrive: «che cosa replichi tu a questa

ovvia e banale considerazione? Che la norma da applicare al trust non sarebbe l’art. 2740 c.c., ma l’art. 2 (e quindi l’art. 11) della Convenzione dell’Aja, perché, tu sostieni, nessuno nega, ed infatti non lo nego ovviamente nemmeno io, che la Convenzione ratificata in forza di legge, sia, appunto, legge dello Stato; essa, peraltro, non derogherebbe all’art. 2740 c.c., ma introdurrebbe una disposizione diversa per fattispecie diverse.

Ma, di grazia, caro Maurizio, non hai avuto forse notizia del fatto che la Convenzione dell’Aja, per essere applicata, necessita di un conflitto tra norme di diversi ordinamenti e non è quindi essa stessa fonte di un diritto interno italiano, senza contare il limite delle norme imperative?».

52 Trib. Reggio Emilia, 27.08.2011, cit.

53 Idem. Nello stesso senso anche Trib. Firenze, 2.07.2005, cit., e Trib. Brescia, 12.10.2004, in Trusts e attività

fiduciarie, 2005, 1, p. 83.

54 Si veda retro, capitolo II, paragrafo 7.

55 Trib. Bologna, 1.10.2003, cit. In dottrina, CARBONE S. M., Trust interno e legge straniera, in Rivista

internazionale di diritto privato e processuale, 2003, 2, p. 361 ss. La tutela dei creditori è, allora, affidata

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-non ostacoli l’applicazione delle norme imperative dell’ordinamento cui appartiene il giudice adito relative, tra l’altro, al trasferimento della proprietà ed alle garanzie reali56.

Al riguardo, deve precisarsi che l’art. 2744 c.c., allo scopo di tutelare i debitori di fronte al possibile approfittamento da parte dei creditori, sanziona con la nullità l’accordo tra debitore e creditore con cui si conviene che, in caso di inadempimento, la proprietà del bene offerto in garanzia venga trasferita al creditore.

La giurisprudenza ha evidenziato che la disposizione in parola colpisce qualsiasi negozio, anche astrattamente lecito, che venga impiegato per coartare illecitamente la volontà del debitore, inducendolo ad accettare preventivamente che, in caso di inadempimento, la proprietà del bene dato in garanzia passi al creditore, a prescindere dal momento in cui si realizza il trasferimento della proprietà57.

Lungi dal ritenere a priori il trust un istituto incompatibile con l’art. 2744 c.c., sarà, allora, necessario verificare, caso per caso, se lo specifico trust violi o meno il divieto di patto commissorio, nell’ampia accezione offerta dalla giurisprudenza. Nel compiere tale valutazione, nessun rilievo assumerà la circostanza che la fuoriuscita dei beni dal patrimonio personale del disponente si verifichi al momento dell’istituzione del trust e non al momento dell’inadempimento, né che il trasferimento venga effettuato in favore di un trustee diverso dal creditore o, ancora, che sia il trustee e non il debitore disponente a realizzare il trasferimento del bene in favore del creditore58, essendo sufficiente, ad integrare il patto commissorio vietato, che le parti, attraverso quell’operazione, intendessero in concreto realizzare quell’indebito arricchimento della parte creditrice che l’art. 2744 c.c. intende evitare.

Tradizionalmente, poi, un ostacolo all’ammissibilità del trust interno viene rivenuto nel principio del numerus clausus dei diritti reali, che si basa, «da un lato, sulla necessaria tutela dei terzi, ai quali, in presenza di un diritto reale, incombe un dovere di astensione, che può conseguire solo ad una disciplina normativa e non già, anche con riferimento all’art. 1372, comma 2 c.c., frutto di autonomia privata, pur se l’interesse sia in astratto meritevole di tutela, e, dall’altro, sulla necessaria tipicità degli atti soggetti a trascrizione (di regola,

56 Per un approfondimento sulla portata del divieto di patto commissorio e sulla compatibilità del trust con l’art. 2744 c.c. si veda, SANTORO, Il trust in Italia, cit., p. 128 ss.

57 Ex plurimis, Cass. Civ., 20.02.2013, n. 4262, in Giustizia civile, 2013, 3-4, I, p. 567 ss.

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-appunto, quelli che hanno ad oggetto diritti reali), per ovvie esigenze di certezza dei traffici e di organizzazione dei registri»59.

In particolare, il trust violerebbe tale principio nella misura in cui sembrerebbe dare vita ad uno «sdoppiamento del diritto di proprietà originario in due nuovi diritti di proprietà, contemporanei, investiti in soggetti diversi ed aventi il medesimo oggetto», così che «il contenuto normale del diritto di proprietà, che […] contiene […] le facoltà di disposizione e le facoltà di godimento, viene diviso in due parti, e le facoltà di disposizione vengono […] attribuite al trustee, quelle di godimento al cestui que trust»60.

Tale tesi, che ha avuto un certo seguito anteriormente alla ratifica della Convenzione dell’Aja, è stata successivamente superata sia in dottrina, che in giurisprudenza. Si è, infatti, correttamente rilevato che il trust è fonte di un’unica proprietà, che è quella di cui è titolare il trustee, mentre al beneficiario compete un diritto di natura solamente obbligatoria61.

In altre parole, «di diritto reale se ne vede, nel trust, uno solo, quello del trustee; se ne deve vedere uno solo, perché l’equity proprio per questo può intervenire, per tutelare chi (l’originario disponente o i beneficiari) diritti reali non può vantare. Se potesse vantarli, ci penserebbe la common law a proteggerlo»62.

La crescente consapevolezza circa la natura solamente obbligatoria del diritto facente capo ai beneficiari, oltre a comportare il superamento del preteso contrasto tra tale istituto e il dogma dell’unicità e dell’assolutezza del diritto di proprietà, da un lato, ed il numerus clausus dei diritti reali dall’altro, ha favorito anche, come si vedrà infra, il diffondersi del convincimento favorevole alla trascrivibilità del trust nel nostro ordinamento.

59 In questo senso GAZZONI F., Tentativo dell’impossibile osservazioni di un giurista «non vivente» su trust e

trascrizione, in Rivista del notariato, 2001, I, 1, p. 15 ss. Sulle problematiche connesse alla trascrizione del trust

si veda, infra, paragrafo 20.

60 FRANCESCHIELLI R., Il trust nel diritto inglese, Padova, 1935, pag. 23 ss. e 34 ss. Nello stesso senso si veda, in dottrina, GAMBARO A., GIARDINA A.,PONZANELLI G. (a cura di), Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al

loro riconoscimento, in Nuove leggi civili commentate, 1993, 6, p. 1214, in BENEVENTI I. (a cura di), I trusts in

Italia oggi, Milano, 1996, p. 57 ss. (da segnalare che l’Autore, pochi anni dopo, muterà indirizzo. Si veda, infatti,

GAMBARO A., Trusts, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione Civile, vol. XIX, Torino, 1999, p. 456 ss) e CASTRONOVO, Trust e diritto civile italiano, cit., p. 1323 ss. In giurisprudenza, invece, nel senso della configurabilità di uno sdoppiamento della proprietà si è espresso soltanto il Tribunale di Oristano, nella citata sentenza 15.03.1956.

61 Il diritto spettante ai beneficiari, pur avendo natura obbligatoria, diversamente dal diritto di cui è titolare il fiduciante nell’ambito del negozio fiduciario, è opponibile ai terzi. In questo senso BARTOLI, Il trust, cit., p. 98.

62 Così, LUPOI M., Il trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, in Vita notarile, 1992, 5/6, p. 975. Sulle ragioni per cui il diritto dei beneficiari non può avere natura reale si veda, LUPOI, Trusts, cit., p. 609.

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