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Il trust nella fase fisiologica del rapporto coniugale. Trust e dote

Nel documento Il trust familiare: problemi e prospettive (pagine 148-151)

Focalizzando l’attenzione innanzitutto sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, considerato che, ai sensi dell’art. 15, lett. b), della Convenzione de L’Aja, la Convenzione non ostacola l’applicazione delle norme inderogabili in materia di effetti patrimoniali del vincolo coniugale, se la fattispecie presenta un elemento di estraneità entrano in gioco le regole di conflitto italiane e, in particolare, l’art. 30, l. 218/1995, che prevede che tali rapporti siano regolati dalla legge nazionale comune, salvo che i coniugi abbiano convenuto per iscritto che gli stessi siano disciplinati dalla legge dello Stato di cui almeno uno dei due è cittadino o in cui almeno uno dei due risiede.

Pertanto, laddove due coniugi, entrambi cittadini italiani, abbiano istituito un trust interno per regolare i loro rapporti patrimoniali, è innanzitutto alle norme imperative dettate dagli artt. 159 ss. c.c. che bisogna guardare, norme che pongono forti limiti alla libertà negoziale dei coniugi30.

Uno dei limiti più stringenti si rinviene all’art. 166 bis c.c., che dichiara nulla ogni convenzione che comunque tenda alla costituzione della dote31, abrogata dalla riforma del diritto di famiglia del 1975.

Supponiamo, allora, che un coniuge conferisca in trust determinati beni, di sua esclusiva proprietà, per assicurare il sostentamento della famiglia, che la qualità di trustee venga attribuita all’altro coniuge e che a quest’ultimo venga riconosciuto un potere di esclusiva amministrazione e gestione dei beni vincolati, fermo l’obbligo di restituire i cespiti nell’ipotesi in cui venga pronunciata la separazione personale o il divorzio.

Al fine di verificare se tale convenzione sia nulla ex art. 166 bis c.c. occorre preliminarmente chiarire l’attuale significato del termine “dote”, che l’abrogato art. 177 c.c. definiva come l’insieme dei beni che la moglie apportava «espressamente a questo titolo al marito per sostenere i pesi del matrimonio» e che oggi, in questa forma per così dire “espressa”, non è dato riscontrarsi. In altre parole, «il divieto introdotto dall’art. 166 bis c.c. deve intendersi non già, semplicemente, come divieto di stipulare atti dichiaratamente costitutivi di dote, ma

30 Il riferimento ai coniugi dovrà intendersi esteso anche alle parti dell’unione civile, considerato che gli artt. 159 e 160 c.c. sono stati sostanzialmente trasfusi nell’art. 1, comma 13, l. 76/2016, mentre gli artt. 162, 163, 164 e 166 c.c. vengono espressamente richiamati dal citato comma 13. L’unica norma a non essere richiamata è, invece, l’art. 166 bis c.c. Sul tema dei rapporti patrimoniali tra partner dell’unione civile, a seguito dell’entrata in vigore della l. 76/16, si veda, OBERTO, I regimi patrimoniali delle unioni civili, 2016, p. 9, in www.giacomooberto.com.

31 Per un approfondimento sulla ratio del divieto di cui all’art. 166 bis c.c. e sulle caratteristiche del regime dotale si veda, VERDE C., Le convenzioni matrimoniali, Torino, 2003, p. 161 ss.

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-come divieto di realizzare o ripristinare con strumenti negoziali la ineguaglianza della condizione dei coniugi che la dote presupponeva e contribuiva a realizzare»32.

Nel silenzio del legislatore della riforma circa il significato da attribuire al termine “dote”, diverse sono le interpretazioni dottrinali relative alla reale portata del divieto contenuto all’art. 166 bis c.c.

In particolare, secondo alcuni, la dote dovrebbe essere individuata in tutti quegli apporti che trovano il loro fondamento nella supremazia di un coniuge, cui viene riservato un potere di esclusivo godimento ed amministrazione dei beni dell’altro33, secondo altri, invece, in ogni apporto realizzato come «indennizzo per aver preso in moglie l’altra metà»34.

La prima tesi presta il fianco a qualche critica nella misura in cui, se la ratio del divieto in questione fosse quella di evitare che ad un coniuge venga riconosciuto un potere di supremazia, a questo rischio si sarebbe agevolmente potuto ovviare attribuendo l’amministrazione dei beni dotali inderogabilmente ad entrambi i coniugi, analogamente a quanto previsto in tema di fondo patrimoniale. La seconda soluzione, invece, non convince nella misura in cui, essendo nulli i soli apporti della moglie, e non anche quelli del marito, si pone in insanabile contrasto con il principio di uguaglianza tra i coniugi, desumibile dagli artt. 3 e 29 della nostra carta costituzionale35.

Più convincente appare, allora, la tesi della prevalente dottrina, secondo cui ricade nel divieto di cui all’art. 166 bis c.c. ogni convenzione che attribuisca ad uno dei coniugi, sia esso la moglie o il marito, una posizione di supremazia rispetto all’altro, attribuendogli il potere di amministrare e di gestire, in via esclusiva, dei beni sui quali non vanta alcun diritto reale36. Se questo è il significato da attribuire al divieto di cui all’art. 166 bis c.c., è facile che, laddove i beni vincolati in trust appartengano ad uno solo dei coniugi e l’amministrazione sia riservata esclusivamente all’altro, obbligato a restituire i cespiti in caso di separazione o di

32 DE LORENZO C., Divieto di costituzione di dote, in BALESTRA L. (a cura di), Della famiglia, in Commentario

Gabrielli, Milano, 2010, p. 1039.

33 GRASSO B., Il regime patrimoniale della famiglia in generale, in P.RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto

privato, vol. 3, Torino, 1982, p. 378, e GABRIELLI G.,CUBEDDU M. G., Il regime patrimoniale dei coniugi,

Milano, 1997, p. 239.

34 CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 15.

35 Per un approfondimento in merito alla portata del divieto di cui all’art. 166 bis c.c. si veda, OBERTO,Trust e autonomia negoziale nella famiglia (parte prima), cit., p. 209 ss.

36 DE LORENZO, Divieto di costituzione di dote, cit., p. 1038 ss. Come evidenziato da CORSI, Il regime

patrimoniale della famiglia, cit., p. 47 ss., questa soluzione trova conferma nella disciplina del fondo

patrimoniale. Infatti, il legislatore, nel momento in cui ha abrogato il regime dotale con la riforma del 1975, ha fatto confluire nel fondo patrimoniale il momento contributivo.

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-divorzio, possa darsi vita ad un regolamento di interessi analogo a quello dell’abrogato e oggi vietato regime dotale37.

In una simile ipotesi, in virtù del combinato disposto dell’art. 15, lett. b), della Convenzione dell’Aja e dell’art. 30, l. 218/1995, la convenzione dovrà certamente ritenersi nulla ex art. 166 bis c.c. e il trust non potrà essere riconosciuto all’interno del nostro ordinamento.

In giurisprudenza non si riscontrano precedenti sul punto.

La problematica è stata, però, affrontata nel 2000 da un notaio fiorentino in una vicenda alquanto singolare.

Infatti, in base ad un fedecommesso contenuto in un testamento del Cinquecento, il testatore aveva lasciato ai tre discendenti maschi un fondo, al fine di costituire una dote in favore delle donne della famiglia che si fossero sposate o avessero preso i voti. Nel corso del tempo il fondo era stato convertito in una somma di denaro ed era transitato di generazione in generazione, finché, a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975, si era posto il problema della sua compatibilità con l’art. 166 bis c.c.

Il notaio fiorentino, interpellato dagli interessati, suggeriva loro di istituire un trust autodichiarato, avente quali beneficiarie le fanciulle e quali amministratori i discendenti maschi più anziani della famiglia e regolato dalla legge di Turks e Caicos, che ammette trusts di durata perpetua.

Al fine di evitare che il trust in questione potesse essere dichiarato nullo per violazione dell’art. 166 bis c.c., al punto 20.2 dell’atto istitutivo si è previsto l’obbligo per i trustees di versare una somma alla fanciulla che «vada in sposa o prenda il velo monacale», adottando, però, a norma del successivo punto 20.3, «la forma giuridica dell’elargizione (che può avvenire una sola volta nei confronti del medesimo soggetto)»38.

37 Sul trust come alternativa alla dote si veda, MARCHESIELLO M., La dote per mezzo di trust secolare, in

DOGLIOTTI M.,BRAUN A. (a cura di), Il trust nel diritto delle persone e della famiglia: atti del Convegno,

Genova 15 febbraio 2003, Milano, 2003, p. 195 ss., che rileva «il curioso destino che sembra tornare ad accomunare un istituto “rampante” come quello del trust a un istituto, come quello assai screditato della dote, ormai cancellato dal nostro ordinamento e addirittura bandito con infamia da taluni ordinamenti quale quello indiano».

Se questo è il significato da attribuire al termine “dote” presente all’art. 166 bis c.c., allora, come evidenziato da OBERTO,I regimi patrimoniali delle unioni civili, 2016, p. 8, in www.giacomooberto.com, «mistero della fede» è

il mancato richiamo dell’art. 166 bis c.c. in materia di unioni civili. Infatti, «così stando le cose, ben sarebbe

immaginabile, in astratto, una convenzione matrimoniale tra partners di un’unione civile in grado di incorrere negli strali comminati dall’art. 166-bis c.c. (però) solo ai coniugi, con ulteriore discriminazione «favorevole» (qui intesa, ovviamente, nel senso di ampliativa dell’autonomia negoziale) per l’unione civile, rispetto al matrimonio. Un indubbio «passo in avanti», verrebbe da commentare amaramente!».

38 L’atto istitutivo è disponibile in Trusts e attività fiduciarie, 2003, 1, p. 126 ss., con nota di LUPOI M., Trust e

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-Può notarsi, allora, come il notaio, qualificando espressamente la corresponsione di una somma alle beneficiarie del trust come elargizione e non come indennizzo ex latere mulieris e, soprattutto, non attribuendo ai mariti delle beneficiarie alcun diritto su dette somme, abbia consentito agli interessati di perseguire la volontà dell’antenato, evitando, al tempo stesso, possibili contrasti con l’ordinamento giuridico italiano e, in particolare, una possibile nullità del trust per violazione del divieto di ricostituzione del regime dotale39.

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