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Prima di compiere il passaggio al fronte di autori come Derrida e Nancy, è necessario guardare all’intera prospettiva di Maurice Merleau-Ponty e alla sua

teorizzazione del corpo-agente.

2.3. Il corpo agente

Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) riesce finalmente a concludere la guerra contro il criterio cartesiano della evidenza. Già Husserl ha riportato qualche vittoria, ma con il filosofo francese la speculazione è ricondotta effettivamente su un piano esistenziale. Se adottiamo una prospettiva più distante dalle riflessioni che in questo capitolo si stanno analizzando, possiamo notare una tendenza contraria a quella che si è analizzata nel primo capitolo. Mentre nel corso della storia del pensiero occidentale il verso è quasi sempre stato quello di una certa necessaria emancipazione dal corpo e dalla corporeità, perché inficiano una certa purezza della ragione; nel corso del Novecento e in ambito fenomenologico ed esistenzialistico, la tendenza è di verso e segno opposto. Si può dire che, senza problemi, la disincarnazione è la misura unica del pensiero occidentale e che, solo dal Novecento, abbiamo iniziato a incarnarci e abitare il nostro stesso corpo.

Merleau-Ponty è talmente convinto di questo che suggerisce di far partire il nostro pensiero, in maniera originaria, da una dimensione precedente all’instaurazione di quella condanna che è stato il dualismo sostanziale e antropologico sin dai miti platonici. Per il filosofo francese non dobbiamo guardare alla nostra condizione originaria di uomo a partire dai nostri sforzi conoscitivi, puri e astratti, tendenti al mondo delle idee, ma dal mondo sensoriale, dal mondo della percezione che è modalità natale dell’uomo. Rispetto a Brentano e a Husserl, Merleau-Ponty scardina, quindi, il modo dell’interno e dell’esterno, poiché non c’è, nella sua filosofia, quella caratteristica riflessiva dell’interno che, era ancora presente in Husserl; si muove in un territorio ancora non marchiato dalle categorie di soggetto ed oggetto, di coscienza e di mondo. Mondo e soggetto, in un momento iniziale, non sono separati, si implicano l’uno con l’altro, si scambiano, si

confondono e non sono distinguibili. In questo momento di unione e scambio continuo e interagente si attua la percezione. Notiamo come la percezione di Merleau-Ponty non è presieduta da alcunché di riflessivo, appare come esperienza primaria pre-discorsiva (Palmiero, Borsellino, 2018). L’opposizione mente-corpo è discorsivamente operata in un momento successivo, quando cioè il soggetto si scopre nel mondo e avverte il mondo come definito di per sé. La differenza è sostanziale: la riflessione, l’atto con cui il soggetto guarda il mondo, non costituisce, come abbiamo detto finora, il mondo, ma lo trova e lo trova come preesistente rispetto alla stessa riflessione. Spesso quando si fa riferimento alle riflessioni di Merleau-Ponty si parla di percezione come esperienza esistenziale. Proviamo a spiegare perché. La percezione non va intesa né dal punto di vista del prodotto della relazione tra il soggetto e l’oggetto e neppure, semplicemente, come risposta elaborativa dei dati provenienti dai sensi ad opera della coscienza, che legge il mondo come assolutamente esplicito. Queste due accezioni, sebbene provino ad uscire fuori dal dualismo, rimangono imbrigliate nelle trame della relazione tra soggettività e oggettività, sempre intese o come atto o come potenza. Nel precedente capitolo, abbiamo visto, come anche alcune teorie della mente contemporanee siano irretite da questa difficoltà. Cosa significa, allora, percezione come esperienza esistenziale? Per Merleau-Ponty, c’è una dimensione del vivere, una esperienza esistenziale della vita nella quale e dalla quale solamente e concretamente ha senso parlare di percezione. In questa dimensione, l’atto e la potenza sono colti insieme, non devono e non possono, essere separati. L’atto della percezione non può essere separato dal suo riferimento concreto, poiché nella esperienza, fenomeno e percezione sono dati come coesistenti. Questa modalità di intendere la percezione non implica un mondo preriflessivo disordinato e caotico, che aspetta l’evento raziocinante ordinatore e significante, non è ordinato da alcuna astrazione concettuale perché ha già da sé una struttura. La struttura di questa percezione, che subisce indubbiamente l’influenza della Gestaltpsychologie, è fondamentale. La percezione diventa, per Merleau-Ponty, un’apprensione di un’esistenza (1945) per sottolineare proprio l’unitarietà e l’esserci concreto del percepito con la percezione stessa. Nel lessico gestaltico, la percezione così intesa permette di cogliere insieme la forma e lo sfondo. La forma sarà il riflesso,

percepito attivamente, lo sfondo, l’irriflesso inconsapevolmente avvertito. Non bisogna credere che lo sfondo inconsapevole su cui si staglia la forma consapevole dell’oggetto sia eludibile dalla percezione stessa, perché questa si dà solo nella contemporanea lettura d’insieme di sfondo e forma.

Merleau-Ponty raccoglie l’eredità dei maestri e accetta il concetto di intenzionalità come movimento che in-tende, tuttavia ne modifica la natura. Il filosofo differenzia una intenzionalità d’atto da una intenzionalità fungente. La prima ha la caratteristica della volontarietà. La seconda, quella caratteristica del mondo della vita husserliano, è quella intenzionalità che permette, come abbiamo visto, la ricostruzione delle singole percezioni di un oggetto e la sintesi unitaria. Merleau-Ponty immagina, invece, una costruzione a posteriori, per la quale le momentanee percezioni, come strutture gestaltiche, sono irriducibili rispetto ai componenti singoli della percezione stessa. Questo intende quando dice:

[…] considerato nella sia ingenuità, non effettua esso stesso questa sintesi, ma beneficia di un lavoro già fatto, di una sintesi generale costituita una volta per tutte: è quanto esprimo dicendo che percepisco con il mio corpo e con i miei sensi essendo appunto questo sapere abituale del mondo, questa scienza implicita e sedimentata (Merleau-Ponty, 2014, p.208).

Il “lavoro già fatto” inteso dal filosofo è quel lavoro compiuto prima della riflessione dal corpo, un corpo che ha una coscienza preriflessiva, una certa percezione, potremmo dire prerazionale, che trova il suo essere corpo nel corpo e il suo essere nella carne del soggetto embodied.

Si potrebbe concludere qui la parabola della fenomenologia, con il recupero dell’intenzionalità e l’attenzione fortissima alla percezione, con le dinamiche di quel movimento che, dall’interno si rivolge all’esterno, percepisce il corpo stesso come oggetto di quel esterno e ri-comprende sinteticamente l’io e l’altro, ma il cambiamento più rivoluzionario è la posizione di questo corpo. Il corpo diventa quel luogo di investigazione che è da sempre stato la mente, l’anima, il cervello. Il corpo del soggetto, come corpo incarnato, come corpo la cui razionalità, come ragione d’essere, non è geograficamente collocata nella testa, ma nella carne è la vera rivoluzione.

Merleau-Ponty guarda al soggetto come soggetto corporeo. Nel corpo e attraverso il corpo il soggetto guarda il mondo e ne scruta gli eventi; il corpo è oggetto tra gli oggetti ed è soggetto che vede l’oggetto e lo tocca. La prospettiva, che sembra quella husserliana, presenta una importante caratteristica. La mano che tocca la cosa, la mano del corpo è quella mano che, mentre tocca, nello stesso momento è toccata dalla cosa. Il corpo è ciò che percepisce e, insieme, ciò che si percepisce. Qual è la differenza con Husserl? Anche il padre della fenomenologia guarda al corpo come relazione effettiva con il mondo; Husserl riconsidera questo corpo in un Io che definisce empirico. In questo io è ricompresa sia l’esperienza del proprio vissuto come atto psichico, ancora posto in un interno mentale, sia quell’io che ha, cartesianamente, le sue estensioni. Tuttavia, lo sforzo di Husserl è quello di sussumere l’esperienza dell’io empirico in un io trascendentale. Senza ritornare alla filosofia husserliana, che è gremita di spazi infiniti di riflessione, basti sottolineare che ancora il corpo husserliano è semplice veicolo di dati sensoriali e riesce a definirsi Io solo attraversi un atto psichico, riflessivo e trascendentale. Questa trascendenza è totalmente eliminata da Merleau-Ponty.

Colui che percepisce non è dispiegato di fronte a se stesso come deve esserlo una coscienza, ma ha uno spessore storico, riprende una tradizione percettiva ed è confrontato con un presente. Nella percezione noi non pensiamo l’oggetto e non ci pensiamo come pensanti tale oggetto, ma ineriamo all’oggetto e ci confondiamo con questo corpo che ne sa più di noi sul mondo, sui motivi e sui mezzi che abbiamo per farne la sintesi (Merleau-Ponty, 2014, p. 318).

Il corpo indagato e che si indaga da sé del filosofo francese è corpo, e corpo intenzionale da se stesso, senza l’appello a una trascendenza rispetto alla sua materialità e senza la subordinazione ad un io riflessivo che ne ordini l’esperienza frammentaria. Quello che Husserl chiama io empirico è, infatti, per Merleau-Ponty un corpo proprio: la differenza dei termini mostra in maniera univoca la sostanziale differenza. Il corpo non è più l’elemento che determina la distinzione tra l’oggetto e il soggetto, poiché come corpo vivente non veicola semplicemente i dati sensoriali ma diventa veicolo di intenzionalità operante. È proprio il corpo a diventare il catalizzatore di quella sintesi che la percezione attiva trova già compiuta. Il campo di lavoro del corpo è quell’irriflesso, lo sfondo, per dirla con la filosofia della

gestalt, che la nostra azione riflessiva trova già svolta. Oltre Husserl, il corpo diventa attivo perché è capace di rispondere attivamente alle esigenze pratiche di cui è intessuta l’esistenza. Proprio a partire dal pensiero del corpo come sintesi, capace di elaborare lo sfondo su cui la nostra percezione volontaria si innesta, Merleau-Ponty introduce un concetto, che non solo è fondamentale nell’ambito della successiva scienza embodied, quello di schema corporeo, ma che, di più, fornisce ai filosofi della scienza un nuovo modo di pensare al corpo, lontano e opposto alla estensione geografica imposta dalla tradizione cartesiana. Cos’è lo schema corporeo? Non è certamente possibile dire che lo schema corporeo sia una creazione esclusiva di Merleau-Ponty, poiché da vari altri campi e contemporaneamente alle riflessioni del fenomenologo francese si riflette sulla natura del corpo stesso. Basti pensare, nel campo delle scienze naturali alle indagini di Head (1920) o alle riflessioni più moderne e dentro il dibattito embodied, di Gallagher e Zahavi (2009), di Gallese (2015). Per Merleau-Ponty, lo schema corporeo è una conoscenza sempre e immediatamente disponibile del nostro essere nel mondo. Lo schema corporeo, non solo segna la nostra posizione fisica nell’ambiente, il nostro esserci spaziale e la relazione di questo esserci con l’esserci di tutti gli altri esserci nello stesso ambiente, ma anche la situazione in cui si dà questa relazione. In altre parole, lo schema corporeo è il sistema di tutte le funzionalità senso-motorie che caratterizzano la possibilità delle azioni. Ecco la grande novità, lo schema corporeo è quella conoscenza che determina il nostro modo di stare al mondo, non un modo definito prerazionalmente, ma una capacità sensomotoria di determinare le infinite possibilità alternative dell’esserci.

In questo contesto e nell’ottica di questo lavoro, l’importanza della fenomenologia, e nella fattispecie, del pensiero della fenomenologia di Merleau- Ponty è nodale. Un corpo, sostituito ad una mente, che determina l’azione, in virtù delle infinite possibilità del corpo stesso, nel suo intendimento sensomotorio è quello che poi, attraverso la fascinazione dell’affordance della psicologia ecologica (Gibson, 2014), delle teorie della semplessità (Berthoz, 2019) e, infine, dei meccanismi della previsione (Rivoltella, 2014), sarà l’elemento fondamentale della neurodidattica (Rivoltella, 2012) e della teoria delle corporeità didattiche (Sibilio, 2014).

La componente sensomotoria, estremamente rivalutata, non è il sottoprodotto di atti psichici, ma comincia ad avere un ruolo determinante nel dominio mentale. Lo schema corporeo permette al corpo di agire, di intenzionare l’ambiente e l’esterno senza la necessità di una rappresentazione, mediata da una componente riflessiva. In definitiva, il corpo e la percezione che ha luogo in essa sono letti dalla fenomenologia, come modo originario dell’uomo di stare al mondo. È il corpo che determina cosa intenzionare e come rispetto allo sfondo indefinito del mondo. Se tutto parte dal corpo e dalla sua percezione come atto sensomotorio che definisce le possibilità di azione sul mondo stesso, occorre chiarire quale sia la natura dell’oggetto. L’oggetto è il riferimento immediato di una possibilità motoria. L’oggetto non è più sfumato dalla rappresentazione mentale, diventa il bersaglio, lo scopo di quello stimolo che proviene dall’incontro dell’oggetto stesso con lo schema corporeo. L’oggetto diventa il fine di quella azione determinata dal corpo tra le infinite alternative e questo stesso fine non è un fine elaborato da una riflessione mentale; risponde alla natura pratica dell’attività dell’individuo. Il corpo non è più il contenitore dell’uomo, diventa il centro da cui hanno origine tutte le intenzioni dell’uomo. Per comprendere bene il ruolo del corpo, lo stesso Merleau- Ponty fa menzione del campo da gioco per un calciatore. La sua azione è determinata dalla posizione del suo corpo nell’ambiente, dalla relativa distanza dell’obiettivo, dalla distanza degli altri giocatori ma, anche e, forse, soprattutto, dalla gamma delle potenziali azioni del giocatore. Il corpo agente del giocatore è quel corpo che è più della somma delle determinazioni delle azioni ed è meno della somma in relazione al fine che il soggetto vuole compiere e per il quale sceglie un’azione e non un’altra.

Cosa è dunque la libertà? Nascere, è nascere dal mondo e al tempo stesso nascere al mondo. Il mondo è già costituito, ma non è mai completamente costituito. Sotto il primo rapporto noi siamo sollecitati, sotto il secondo siamo aperti a una infinità di possibili […]. Noi scegliamo il nostro mondo e il mondo ci sceglie. È comunque certo che non possiamo mai serbare in noi stessi un recesso in cui l’essere non penetri, senza che immediatamente, per sol fatto che è vissuta, questa libertà si configuri come essere e diventa motivo e appoggio (Merleau- Ponty, 2014, pp. 578-579).

Ancora una importante sfumatura. Se il corpo agente è somma e differenza della possibilità di azione, questo corpo è continuamente in relazione ad un ambiente che è esso stesso a cambiare, azione dopo azione. Questa sfumatura carica il recupero del corpo, operato dai fenomenologi, di istanze anche politiche ed etiche, che sono al centro delle prospettive della filosofia francese del secondo Novecento. Inoltre, si inserisce qui la relazione continua, ciclica e multiforme e mai definitiva, schema- corporeo-ambiente, che è oggetto dell’approccio ecologico gibsoniano.

Prima di inoltrarsi nel campo specifico delle indagini del paradigma embodied sembra opportuno, seppure brevemente, fare cenno ad alcune filosofie, difficilmente inquadrabili all’interno della sola corrente fenomenologica. Autori del panorama francese, come Jean-Luc Nancy, Gilles Deleuze e Jacques Derrida, non hanno mancato di fare menzione di corpo e corporalità nelle loro speculazioni e, a volte, anche più di Merleau-Ponty, ne hanno sottolineato il carattere originariamente ontologico.

2.4. Dalla fenomenologia al decostruzionismo: la nudità del corpo

Il pensiero degli autori citati, sebbene non immediatamente connesso alle prospettive della scienza incarnata, ispessisce la questione del corpo e dona una ricerca di termini e specificazioni importanti per definire al meglio le successive dinamiche scientifiche e speculative.

È questo il caso di Jean Luc Nancy (1940). In molte delle sue opere, ma soprattutto in Corpus (2007), è analizzato il tema del corpo, proprio a partire dalla precisazione dei termini tedeschi Körper e Leib. Per Nancy, nella traduzione dal tedesco al francese, sotto l’influenza di Derrida, si commette già un errore. La nozione fenomenologica di proprietà del corpo è per il filosofo deturpante. Non a caso, in molti recenti articoli, alla traduzione di Leib con “corpo proprio” si preferisce una versione più corretta e tematica con “corpo vivo”. Tuttavia, l’interesse di Nancy è più profondo. Nell’esame delle posizioni fenomenologiche fino a qui condotto, abbiamo fatto riferimento a un corpo, che, eliminata la contrapposizione soggetto-oggetto e ricompresa, nella immediatezza sensomotoria

la posizione centrale della relazione con il mondo, rimane il mio corpo, il corpo di cui dispongo, seppure immediatamente. Anche nella variante performante di Merleau-Ponty, il corpo è quello di cui dispongo e che mi dispone. Il rapporto di proprietà è il problema di Jean Luc Nancy.

Nancy ha insistito soprattutto nel sottolineare che il corpo si caratterizza per essere non già “proprio”, bensì inappropriabile.

Hoc est enim corpus meum è forse la ripetizione per eccellenza, fino all’ossessione. L’angoscia, il desiderio di vedere, di toccare e di mangiare il corpo di Dio, di essere questo corpo e di non essere altro che questo sono il principio di (s)ragione dell’Occidente. Il corpo per noi è sempre sacrificato: ostia. Se hoc est enim corpus meum dice qualcosa, è oltre la parola, non è detto, ma scritto – a corpo morto. (Jean Luc Nancy, 2007, p. 36)

Per definire questa inappropriabilità, per la quale il corpo se fosse in nostro assoluto possesso sarebbe corpo morto, il filosofo conia, piegando la lingua francese, il termine ex-peau-sition. L’incarnazione del e nel corpo avviene, in Nancy, già nello stesso termine. All’interno del concetto di esposizione, è inserito il francese peau, pelle, per dimostrare che il corpo è sempre immediatamente esposto e, quindi, da sempre passibile di sottrazione a regimi di proprietà. Nancy dice anche di più. Proprio questa eterna sottrazione che rende il corpo inevitabilmente estraneo a noi nella sua interezza, non può garantire quella unità irriducibile, analizzata da Merleau-Ponty e descritta nel precedente paragrafo. Per il filosofo, se guardiamo al corpo come unità del corpo siamo ancora irretiti da un paradigma di stampo platonico di subalternità alla concezione dell’unità, inteso come primaria. L’unità del corpo, così codificata, costringe, ancora una volta, dentro il vicolo cieco del corpo come meccanismo organico, come corpo organico. Per criticare l’unità del corpo organico, il filosofo riprende l’esempio della sinestesia, spesso usato dai fenomenologi a suffragio della tesi del corpo vissuto. La sinestesia dimostrerebbe per la fenomenologia che la percezione, proveniente da un determinato campo sensoriale, trova corrispondenza in un altro campo sensoriale. Questo garantirebbe la comprensione del corpo come unità e sintesi dei dati della percezione, anche quando derivati da sensi diversi. Dire “suono amaro” ed esprimere una immediata comunicazione tra il dato acustico e quello gustativo

non è, però, per Nancy, una spiegazione del corpo come Leib, ma la manifestazione del corpo organico, come esteso e, dunque, come reiterazione del corpo come Körper.

Cosa è il corpo se non è il mio corpo; se non è l’unità organica e sinestetica della percezione per come i fenomenologi l’hanno descritta? Il corpo è l’essere dell’esistenza (Nancy, 2007). Per il filosofo, il vero corpo come corpo ontologico non è ancora stato pensato. L’ontologia è sempre stata ontologia dell’essere e mai ontologia dell’essere corpo, mai ontologia del corpo. L’intento di Nancy è quello di trasformare il ruolo stesso del pensiero del corpo, di impostare nuovamente il corpo come quell’elemento unificante di quella decostruzione attuata dalla tradizione occidentale tra essere ed esistenza, che diventa esistenza corporea e per la quale pensare è pensare i corpi (Nancy, 2007).

Non solo Nancy si batte contro la concezione unitaria del corpo. L’unità del corpo come organizzazione indivisibile di organi è anche la misura della speculazione antifenomenologica di Gilles Deleuze.

Gilles Deleuze (1925-1995) pensa addirittura ad un corpo senza organi (Deleuze, 1969). L’obiettivo della critica non è quello di mettere in discussione la nozione funzionale di organo. Deleuze disapprova la concezione di corpo come insieme unitario di organi e si serve di questa disapprovazione, nel solco di Nancy, per mettere in dubbio la questione della proprietà. Anche per Deleuze, il corpo non può mai dirsi propriamente mio. Bisogna comprendere cosa sia un corpo senza organi. La definizione di questo concetto è molto difficile perché è stato più volte rimaneggiato dallo stesso filosofo, in collaborazione con Fèlix Guattari, in molte opere. In generale, l’idea di corpo senza organi, vuole porsi come alternativa alla polarità husserliana. Il corpo senza organi è quel corpo che, fuori dalle logiche del dominio raziocinante, rompe gli schemi e si caratterizza come corpo di tensioni e forze, come il desiderio. Un corpo libero perché non imbrigliato dal controllo della mente. È senza organi perché la sua identità corporea non risponde a nessuno scopo preciso. Si risente chiaramente l’influenza della psicanalisi, tanto da essere legittimo accostare il corpo senza organi a una sorta di inconscio. In questo ambito,