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L’INCARNAZIONE: IL CORPO AL CENTRO

3.1. Embodied cognition: approccio tra gli approcci

Nel 1991 appare un’opera che cambierà radicalmente il linguaggio delle scienze cognitive. L’opera in questione è The Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience, scritta a 6 mani da Francisco Varela, Eleanor Rosch e Evan Thompson. Da questo libro prende le mosse lo sfondo teorico dal quale emerge la scienza cognitiva incarnata. Lo scopo dell’approccio incarnato non è determinare quale dei due termini, che si sono ampiamente analizzati, nei capitoli precedenti, del mind-body problem sia il prevalente, ma consiste nella comprensione degli stretti legami, che fanno del corpo il corpo vivo del soggetto che vive nel mondo e che è avvinghiato al mondo. Non a caso, si è dedicato l’intero secondo capitolo alla lezione fenomenologica della percezione. Proprio gli autori dell’opera del 1991 indicano in Merleau-Ponty e nel suo intendimento della percezione uno dei nuclei fondamentali del radicamento delle abilità cognitive nel corpo.

Negli ultimi tre decenni, l’Embodiment Theory ha prodotto una serie di studi che hanno caratterizzato ogni disciplina e che possono essere grossolanamente raccolti sotto la dicitura, ormai diventato, ombrello, di embodied cognition. Tuttavia, dalla semplice matrice teorica degli anni Novanta, gli studi e le ricerche in questo campo si sono moltiplicati e differenziati, a volte talmente tanto, da non essere più assimilabili tra loro (Caruana, Borghi, 2013). Alcuni autori propongono addirittura una gerarchia tra le diverse istanze della teoria generale, attraverso i concetti di grounded, situated, enacted e embodied. Pur mantendendo l’assetto di base della posizione del corpo come preminente nella strutturazione dell’esperienza

nel mondo e nella costituzione dei processi mentali, è necessario chiarire quali spessori teorici si annidano nelle specificità degli aggettivi indicati. Ogni specifica teoria si muove all’interno di un certo stravolgimento della maniera cartesiana. Alcuni approcci, pur garantendo l’attenzione al corpo e ad alcuni passaggi fisiologici precisi, che avvengono nel corpo, non sono o non possono dirsi completamente embodied.

Tuttavia, anche nella diversità, tra poco analizzata, dei punti di partenza e di arrivo delle singole teorie, pare che tutti i sistemi, complessivamente raccolti sotto la grande categoria embodied, non possano non prendere in considerazione la spinosissima questione della rappresentazione mentale. A questo riguardo tutto il paradigma dell’Embodiment ha una duplice movenza: da un lato, si accetta l’idea che il corpo sia basale nella costruzione delle rappresentazioni mentali e che i processi cognitivi siano condizionati a partire da rappresentazioni corporee, dall’altro si nega che queste stesse rappresentazioni siano necessarie.

Oggi, non sono state ancora formulate delle teorie per l’estromissione del concetto della rappresentazione dal paradigma e, anzi, ogni declinazione possibile sembra indicarne l’essenzialità, sia teorica sia empirica. Da ogni prospettiva emerge chiaramente come la questione della rappresentazione sia fondamentale per comprendere come la polarità cartesiana non sia più da leggere come geometricamente opposta, ma, finalmente come modello di interazione organismo- mondo.

In questa direzione si muovono anche alcune importanti intuizioni della teoria della Grounded cognition.

3.1.1. L’approccio della Grounded cognition

Se traduciamo letteralmente dall’inglese il termine grounded notiamo immediatamente quale sia la differenza che interviene rispetto all’approccio generale dell’Embodiment. Il vocabolario suggerisce di tradurre cognizione ancorata. L’ancora a cui si fa riferimento non è il corpo. Secondo Lawrence W. Barsalou (2008), autore di riferimento di questo approccio, psicologo e scienziato cognitivo, l’ancora della nostra cognizione è il terreno, il mondo. Per la teoria grounded occorre fare attezione in particolare alle simulazioni mentali, poiché le

simulazioni mentali implicano l’attivazione di stati percettivi, acquisiti durante l’esperienza con il mondo. È utile comprendere come il cervello, quando si verifica un’esperienza, registra, rappresenta e articola gli stati percettivi. Quando, per esempio, facciamo esperienza del letto, il cervello registra la percezione del letto stesso, formando una rappresentazione multimodale che è immagazzinata dalla memoria. La rappresentazione multimodale è l’organizzazione dell’insieme plurimo delle esperienze che si provano quando si fa esperienza del letto: percezione visiva, sensazioni al tatto e tutti gli altri stimoli possibili. Questa organizzazione permette la formazione di simboli percettivi, vere e proprie registrazioni delle attivazioni neurali, attivate nelle regioni senso-motorie del cervello. I simboli percettivi non fanno altro che attivarsi per produrre, esperienza dopo esperienza, simulazioni dell’esperienza stessa, che sono al servizio della conoscenza. Queste registrazioni sono schematiche e non complete perché le attivazioni neurali che le determinano dipendono da molti altri fattori, tra cui anche la selezione di parti di informazioni ambientali, durante l’esperienza stessa. La selezione è operata dal soggetto stesso, che, di volta in volta, è interessato da esigenze specifiche nella relazione con il mondo. Oltre ad essere schematici, i simboli percettivi sono, quindi, fortemente specifici.

Le rappresentazioni, schematiche e specifiche, passano, nel corso della vita e della costruzione della conoscenza, che per questo è ancorata, alla memoria a lungo termine. Qui, queste rappresentazioni come sottoinsiemi neurali possono attivarsi in maniera indipendente e contemporanea.

Benché il corpo non sembri fondamentale in questo approccio, una caratteristica funzionale è proprio la multimodalità del processo di formazione dei simboli percettivi, che garantisce l'interposizione dell’esperienza corporea, più largamente intesa. Non è solo l’esperienza sensoriale spessa, e in particolare, quella visiva, infatti, a determinare le rappresentazioni. Per Barsalou (2008) le esperienze si estendono anche alle modalità sensoriali propriocettive e introspettive. Barsalou nota che anche le esperienze introspettive sono determinanti nel processo di ancoraggio della conoscenza al mondo e specifica che esse possono essere lette come stati rappresentazionali, stati emozionali ed operazioni cognitive. Nel primo caso, si hanno le rappresentazioni di eventi o entità non presenti fisicamente, nel

secondo si hanno le rappresentazioni di emozioni, affetti e stati d’animo e il terzo è delineato da elaborazioni, ricerca, confronto e recupero delle stesse rappresentazioni (Palmiero, Borsellino, 2018).

Così pensati, i simboli percettivi hanno un altro grado di dinamicità e in virtù di questa dinamicità, come si è detto, sono contemporanei e indipendenti. Se si ammette che essi derivano anche da esperienze propriocettive, come un’emozione o come il confronto tra elaborazioni di sottoinsiemi neurali, occorre riconoscere un’altra peculiarità: l’interdipendenza. I simboli percettivi sono studiati da Barsalou come poli attrattivi, per nulla neutrali e neutri, nella categorizzazione degli atti percettivi, organizzati in una rete, e possono subire modificazioni, alterazioni e affinamenti. Le connessioni neurali interagiscono tra loro diversamente, dando luogo ad attivazioni sempre possibili. Il sistema ricercato dallo scienziato cognitivo inglese fa luce sulla corrispondenza tra il possesso del concetto, derivato dall’esperienza, e il possesso mentale di simulare l’oggetto stesso e, dunque, ancora una volta, ci avvicina alle ricerche sulla previsione, rilevanti per il processo di apprendimento e costruzione di conoscenza nell’ambito degli studi di didattica e di neurodidattica.

La simulazione di oggetti e di confronti di oggetti permette di pensare, come accade nell’ambito delle scienze cognitive, a svariati e più complessi processi neuronali, sempre, tuttavia, collegati al radicamento corporeo. Il meccanismo di inclusione di istanze in maniera plurale e multimodale, che consente, appunto, al sistema cognitivo di simulare, offre la possibilità di pensare a un processo cognitivo estremamente flessibile e, nell’ottica, cara alla prospettiva situated, e, più ancora a quella enacted, interessato economicamente all’elaborazione dell’azione.

Sebbene il concetto della grounded theory sia riferito maggiormente all’idea di basare i processi cognitivi su tutto quello che proviene, internamente ed esternamente, da elementi sensoriali, e appaia contrario ad un approccio embodied ortodosso, che, invece prevede l’incarnazione della cognizione e un vincolo corporeo necessario affinché la stessa cognizione funzioni, non si può fare a meno di notare gli aspetti innovativi di tale teoria. Tra questi, per esempio, il concetto di multimodalità, che è alla base delle innovazioni delle pedagogie corporee, siano esse tradizionali o speciali, come si vedrà nel quinto capitolo.

3.1.2. L’approccio della Situated cognition

Se la teoria grounded ha messo in luce l’ancoraggio del sistema cognitivo al dato che proviene dall’esterno, ma anche come abbiamo analizzato dall’interno, l’approccio situated guarda alla cognizione come naturalmente portata verso l’esterno, e, nello stesso tempo, come fisiologicamente incarnata, radicata nel corpo.

L’espressione situated cognition traduce proprio la situazionalità dell’organismo che conosce il suo ambiente. Difatti, la teoria che ne deriva trova nel paradigma della psicologia ecologica di Gibson e nella sua intuizione sulle affordance una straordinaria paternità. Non solo Gibson influenza quest’approccio. Tutta la scuola storico-culturale di Ginevra è fondamentale per i numerosi studi che si ascrivono a questa idea di cognizione. Secondo Gibson, come abbiamo visto nel precedente capitolo, gli oggetti fisici influenzano l’organismo verso l’azione e la scelta dell’azione nella complessa relazione con l’ambiente. Ancora di più Wilson nel 2002 considera la cognizione situata come l’unica cognizione umana.

L’approccio situated è stato spesso definito e giustificato come evolutivo. Il motivo di questa affermazione risiede nel fatto che per questo approccio la sopravvivenza dell’organismo sia dipesa e dipenda dalla capacità dell’organismo stesso di rispondere con l’azione a situazioni, immediate, cioè alla capacità dell’organismo di rimodulare il proprio sistema cognitivo in funzione di emergenze adattive, in risposta a situazioni non mediate dalla possibilità di elaborare dati e riflettere sulle rappresentazioni stesse. Da qui si comprende come la posizione della teoria situated rifiuta l’organizzazione categoriale del dato dell’esperienza, sulla quale abbiamo riflettuto nel paragrafo precedente.

Generalmente, si può definire la teoria situated come quella teoria che studia la mente e il sistema della conoscenza, situandoli nell’ambiente in cui vive l’organismo. Se fino alla teoria grounded l’ambiente è qualcosa di esterno, dal quale al massimo provengono dati e stimoli che ancorano la conoscenza alle cose del mondo, con la prospettiva situated, l’ambiente acquista un ruolo cruciale e

determinante. Mentre prende forma il processo cognitivo, le informazioni percettive non smettono di fluire dall’ambiente al processo di elaborazione mentale. L’ambiente influenza i processi mentali senza subire nessuna interruzione e in maniera continua. La nostra risposta è una risposta motoria che, a sua volta, influenza l’ambiente, attraverso le azioni che scegliamo di compiere (Wilson, 2002). È innegabile il peso che su questo approccio ha la fenomenologia di Merleau-Ponty, come non è possibile negare l'ascendente degli studi sulla intelligenza artificiale. La grammatica e il vocabolario della cibernetica e degli studi che da essa derivano sono fondamentali per la teoria situated, che, non a caso, parla di stimoli, percezioni ed elaborazione, e, più in generale, di relazione organismo- ambiente, attraverso termini come input ed output e la distinzione di attività mentali on line e off line. L’esempio tipico che riesce a rendere immediato il paradigma situated, con tutte le sue implicazioni è quello della guida. Quando siamo alla conduzione di un’automobile, riceviamo continuamente stimoli, informazioni dalla strada, che è il nostro ambiente. Ricevute queste informazioni, siamo in grado di determinare la nostra azione: frenare, accelerare, evitare un ostacolo, tutte espressioni di attività situate on line. Diversamente, alcune attività come, per esempio il ricordare qualcosa, sono attività off line poiché non necessitano di una interazione attiva con l’ambiente. Al di là delle distinzioni descritte, però, il paradigma si è spinto anche oltre. La cognizione situata studia, in maniera più specifica, tutte quelle situazioni in cui, come si è cercato di dire, l’elaborazione della sensorialità è immediata. La situated cognition si interessa di comprendere come il nostro cervello funzioni nel momento emergente, nel momento in cui dall’ambiente provengono condizionamenti urgenti e sovraccaricati. Cosa succede, in termini di processi mentali, quando siamo di fronte a una strada sconosciuta e intensamente trafficata? Come ormai è ampiamente dimostrato, il nostro cervello ha limiti sia sotto il profilo della capacità attentiva sia sotto il profilo della memoria di lavoro. Il nostro cervello con i suoi limiti, in situazioni particolari e caratterizzate dal collo di bottiglia rappresentazionale, ovvero dall’effetto di overload informativo potrebbe risultare altamente deficitario. Nel caso della strada sconosciuta e trafficata il nostro cervello deve sopportare e supportare un aggiornamento, per il quale ha due strategie. La prima è l’affidarsi alle

rappresentazioni di cui è già in possesso e che ha, quindi, preventivamente appreso; la seconda, nell’ottica di una riduzione del sovraccarico, è quella di gestire le informazioni che provengono dall’ambiente e scegliere di utilizzarne alcune e tralasciarne altre. Queste operazioni riguardano quelle situazioni per le quali il nostro cervello è impreparato. Un esempio tradizionale è l’esperienza delle scelte in alcuni videogiochi di puzzle, per i quali il fattore tempo è fondamentale, come Tetris. Preferiamo ruotare la tessera, fisicamente, quindi attivare una risposta motoria per modificare l’ambiente, tante volte, fino a quando non corrisponde al vuoto che vogliamo riempiere, senza compiere l’elaborazione del dato attraverso l’immaginazione della rotazione della tessera stessa ed eseguire, dopo l’elaborazione, l’azione stessa.

L’esempio del videogame permette un passaggio ad una dei modelli, che proprio a partire dalla cognizione incarnata, sono oggi più studiati: l’extended mind. La mente estesa, come l’hanno immaginata Clark e Chalmers, nel 1998, è quella mente che trova l’estensione delle sue capacità fuori dal corpo stesso, oltre i confini del corpo, al di là dei limiti del corpo stesso. A ben pensare, anche azioni cognitive più basilari come leggere e scrivere prevedono l’ausilio di supporti extracorporei di vario tipo e di vario materiale, come, la carta e la penna, o, per azioni più complesse, l’ausilio di smartphone e computer. Anche in didattica, come si esamina nei capitoli successivi, molti studi si concentrano sulle protesi e sulle corpo-protesi. Le domande, in ogni campo sono diverse. È possibile immaginare il nostro corpo senza quelle estensioni che sono diventate per noi, per l’appunto, delle protesi? E di più: possiamo distinguere nel mondo delle protesi contemporanee, sempre più ingerenti e capaci, protesi fisiche e protesi socioculturali? La risposta a queste domande è tentata da molti. I fautori dell’intelligenza artificiale immaginano un mondo ed organismi sempre più protesizzati, al contrario, coloro che, pur ammettendo le infinite possibilità dell’intelligenza artificiale, studiano il cervello e il comportamento umano e animale, distinguono il valore effettivo della corporeità come insostituibile. Il motivo per cui queste indagini diventano veramente interessanti è proprio l’investigazione, in termini evoluzionistici e nel caso delle protesi, co-evoluzionistici, per la quale gli oggetti del mondo esterno sono il risultato dell’attività mentale ma, una volta prodotti, essi possono fungere da

sostegno per l’attività cognitiva e per la mente stessa. Per questa sua interna versatilità, l’approccio situated trova ampio plauso anche tra gli studiosi di cibernetica.

Si può, quindi, affermare che studiare la relazione tra l’ambiente e l’organismo è di fondamentale importanza. I processi di apprendimento modificano lo stato di interazione organismo-ambiente e i pattern di interazione determinano cambiamenti importarti nell’ambiente, che, come la teoria situata ha saputo leggere, non è soltanto rappresentato dalle cose del mondo ma anche dalla relazione stessa delle cose del mondo con gli organismi, relazione utile ed interessata al raggiungimento di obiettivi. La lezione della situated cognition è chiara: organismo e ambiente non sono due sistemi separati e distinti, quanto piuttosto un unico sistema interagente, per il quale il corpo è l’ambiente e l’ambiente è il corpo (Clark, 1998).

3.2.Enacted cognition: autopoiesi e nuove emergenze

L’Enattivismo è ormai considerato in maniera univoca come l’approccio più vicino alla definizione ombrello di embodied. La novità messa in scena dalla teoria dell’enacted cognition è il rifiuto di tutte le teorie rappresentazionali della cognizione che si sono analizzate. L’enattivismo rivaluta il ruolo del corpo e il contemporaneo ruolo dell’azione nel processo di conoscenza. Enfatizzando il triangolo costituito da processi cognitivi, corpo e ambiente, quest’approccio è anche stato considerato come Embodiment di secondo grado, come doppio embodiment poiché prevede l’incorporazione della mente nel corpo di un organismo considerato storicamente, culturalmente e biologicamente situato in un contesto più ampio. Il fossato galileiano è oltrepassato per sempre. Varela, Thompson e Rosch donano al soggetto un corpo con una sua precisa struttura biologica, neurologia, senso- motoria, una struttura capace e abile, un corpo che sceglie di agire sulla realtà e come agire sulla realtà e in interazione con tutto ciò che è altro da sé (1991). Il paradigma enattivo, ormai convintamente corporeo deve riformulare anche l’idea di mondo e di realtà. Il mondo delle cose non esiste fuori dalla co-implicazione tra colui che lo abita, con gli occhi, le mani, il naso, la bocca, le orecchie, la testa e gli arti, l’organismo tutto, e il mondo stesso. Come ha chiarito l’approccio situated,

non serve solo pensare a una bidimensionalità organismo-mondo, ciò che occorre, e l’enattivismo ha il merito di aver mostrato perché, è comprendere univocamente la relazione di organismo e ambiente, in quel momento stesso in cui la relazione si compie, ovvero quando nel circolo virtuoso di scambio di informazioni tra soggetto e mondo si costruisce la somma delle istanze singole, che è più delle stesse singolarità, come Maturana e Varela dimostrano nei fenomeni di auto-poiesi e auto- organizzazione (1985).

Il termine enazione serve proprio ad enfatizzare quanto la cognizione e i processi cognitivi non siano rappresentazioni di una mente che comunque rimane distaccata; non siano rappresentazioni di un mondo preesistente al processo stesso della cognizione e dato extra-soggettualmente. En-azione indica proprio il processo come generazione dall’interno di un mondo, che è un mondo di significati, un mondo storico di azioni e interazioni che il soggetto cuce tra le trame dell’ambiente in cui vive. Molti autori contemporanei pensano, infatti, all’enattivismo come un costruttivismo di natura biologica, poiché è l’organismo a generare, con le sue azioni, il suo mondo. Ma c’è chiaramente di più di una costruzione biologica.

Many people would accept that we do not really have knowledge of the world; we have knowledge only of our representations of the world. Yet we seem condemned by our constitution to treat these representations as if they were the world, for our everyday experience feels as if it were of a given and immediate world (Varela, Thompson, Rosch, 1991, p.142).

Ciò che si conosce, per gli scienziati del testo citato è ciò che è tirato fuori dall’esperienza della interazione con il mondo, per questa interazione, dunque, ogni lato del triangolo mente-corpo-ambiente è fondamentale.

Compresa quale sia l’importanza dell’enattivismo, proviamo ad analizzare brevemente quali siano le idee di fondo dell’approccio.

L’autopoiesi di Humberto Maturana e Francisco Varela ha una forte influenza nella definizione della teoria enattiva. Il termine auto-poiesi, autocreazione, deriva dall’unione delle parole greche autos e poiesis e indica la capacità di alcuni sistemi di autogenerarsi ricorsivamente. In questa ottica, molta importanza hanno, fra gli altri, tutti gli studi sulla generazione della vita per come appaiono descritti, per esempio, da Fritjof Capra nel libro La rete della vita (2001), il cui sottotitolo,

Perchè l’altruismo è alla base dell’evoluzione, evolve la stessa questione degli organismi organizzati in rete e la nascita delle teorie sistemiche di tutti quegli autori che confluiscono, insieme a Maturana e Varela, nel filone della Filosofia della Complessità. Tra le pieghe della realtà, pieghe piene di soggettività autopoietica perché relazionale, si annida la possibilità della chiusura operazionale, ovvero la conservazione, nella relazione con l’esterno, della integrità del soggetto e della sua ferma identità nello squilibrio del rapporto con l’ambiente. In altri termini, ogni cambiamento cui il nostro cervello va incontro nella sua relazione con l’esterno è un cambiamento finalizzato a mantenere la sua stessa identità. Il nostro cervello, quindi, è dotato di chiusura operazionale. Per spiegare meglio questo concetto, si fa riferimento alla membrana cellulare che, sebbene sia preposta alla separazione tra interno ed esterno, permette l’osmosi. L’osmosi come scambio di input con l’esterno rompe l’equilibrio della cellula, le cui strutture devono riorganizzarsi, dopo la perturbazione. Questa capacità riorganizzativa è proprio l’autopoiesi. Non bisogna, però, cadere nella falsa credenza che vede la chiusura operazionale del