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PARTE I Titolo, Traduzione e Comunicazione

CAPITOLO 2: Gli aspetti della traduzione tra normative, etica e buon senso

2.2. Il compito del traduttore

Lawrence Venuti106descrive la figura del traduttore attraverso sette parole chiave, ciascuna correlata da una citazione autorevole (Tab. 1).

Tab. 1: rielaborazione personale delle sette caratteristiche di un traduttore descritte da L. Venuti.

INVISIBILITA'

“Vedo la traduzione come il tentativo di produrre un testo così trasparente da

non sembrare tradotto. Una buona traduzione è come una lastra di vetro. Si nota che c'è solamente quando ci sono delle imperfezioni: graffi, bolle.

L'ideale è che non ce ne siano affatto. Non dovrebbe mai richiamare l'attenzione su di sé”.

NORMAN SHAPIRO

CANONE

“Words in One Language Elegantly us'd

Will hardly in another be excus'd, And some that Rome admir'd in Caesars Time

May neither suit Our Genius our Clime. The Genuine Sence, intelligibly Told, Shews a Translator both Discreet and Bold”.

CONTE DI ROSCOMMON

NAZIONE

“Il traduttore che si attiene da vicino all'originale rinuncia più o meno

all’originalità della sua cultura. Ne nasce un prodotto ibrido, a cui il gusto del lettore comune deve avere il tempo di abituarsi”.

JOHANN WOLFGANG GOETHE

DISSIDENZA

“L'errore fondamentale del tradurre consiste nello stabilizzare lo stato in cui si

trova il suo linguaggio invece di promettergli di lasciarsi potenzialmente scuotere dal linguaggio straniero”.

RUDOLF PANNWITZ

MARGINE

“La traduzione di una poesia di qualsiasi profondità finisce per diventare una

di queste due cose: o l'espressione del traduttore, di fatto una nuova poesia, oppure una fotografia, per così dire, quanto più possibile esatta, di un solo

fianco di una statua”.

EZRA POUND

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SIMPATICO

“Quante persone vivono ancor oggi in una lingua che non è la loro? Oppure

non conoscono neppure più la loro e conoscono male la lingua maggiore di cui sono costretti a servirsi? E' il problema degli immigrati, e soprattutto dei loro figli. E' il problema delle minoranze. Problema d'una letteratura minore e

tuttavia anche nostro, di noi tutti: come strappare alla propria lingua una lettera minore, capace di scavare il linguaggio e di farlo filare lungo una sobria linea rivoluzionaria? Come diventare il nomade, l'immigrato o lo

zingaro della propria lingua?”.

GILLES DELEUZE E FÈLIX GUATTARI

RICHIAMO ALL'AZIONE

“Il traduttore è il maestro segreto della differenza delle lingue, non per

abolirla, ma per utilizzarla, al fine di risvegliare nella propria, con i cambiamenti violenti o lievi che le apporta, una presenza di ciò che, in

origine, è differente nell'originale”.

MAURICE BLANCHOT

Il titolo di questo paragrafo (Il compito del traduttore) richiama uno scritto di Walter Benjamin107. Il filosofo tedesco (nella versione tradotta da Antonello Sciacchitano) scrive: “[…] per quanto buona sia, la traduzione non può mai significare qualcosa per l’originale”108. Le traduzioni che vanno oltre la semplice trasmissione, per Benjamin, emergono solamente quando l’opera che le sopravvive raggiunge la fama. Inoltre, afferma che: “[…] la traduzione tende a esprimere il rapporto più intimo tra le lingue, che resta tuttavia segreto”109. La traduzione, quindi, cerca di preservare la parentela delle lingue, senza però accompagnarsi necessariamente alla somiglianza. Benjamin rileva anche le sostanziali differenze e, allo stesso tempo, i legami tra poesia e traduzione. Lo scrittore afferma: “[…] mentre la parola del poeta sopravvive nella propria lingua, anche la più grande traduzione è destinata a essere presa dallo sviluppo della lingua a perire nel suo rinnovamento”110; la traduzione, dunque, a differenza del testo poetico, è sempre soggetta a modifiche nel corso della storia, dove si ristruttura e cambia attraverso il rinnovamento. Per il filosofo tedesco la traduzione resta una forma letteraria propria ed il compito del traduttore è nettamente distinto da quello del poeta, anche se risulta difficile smentire il postulato che “i traduttori più importanti sarebbero poeti e i poeti trascurabili sarebbero traduttori”111. La sua trattazione, infatti, arriva in seguito ad

107

W. Benjamin, Il compito del traduttore, 1923, pubblicato in Aut Aut, 334, 2007, pp. 7-20. 108

W. Benjamin, op. cit., p. 2. 109

W. Benjamin, op. cit., p. 3. 110

W. Benjamin, op. cit., pp. 4-5. 111

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affermare che l’intenzione del poeta è ingenua, primitiva ed intuitiva, mentre quella del traduttore è derivata, ultima e tutta ideale. L’originale non è mera riproduzione; nel processo traduttivo, anzi, si eleva in un’atmosfera linguistica più alta e pura, dove però non potrà sopravvivere per sempre. Il concetto di intenzione è il primo punto cruciale dello scritto di Walter Benjamin ed è riassunto in questo passo: “Il compito del traduttore è di trovare quell’intenzione rispetto alla lingua di arrivo dove si ridesti l’eco dell’originale”112 (grassetto mio).

I termini tradizionali delle argomentazioni in merito alla traduzione sono sempre fedeltà e libertà, nella misura in cui abbiamo libertà della restituzione sensata e, al suo servizio, fedeltà alla parola. Partendo da qui Benjamin arriva a trarre molte conclusioni lungimiranti affermando:

La traduzione deve amorevolmente ricostruirsi all’interno dei dettagli dei modi di significare della propria lingua al fine di rendere riconoscibile un frammento di una lingua più ampia. La traduzione deve prescindere in grande misura dall’intenzione di comunicare qualcosa, un senso. L’originale è essenziale alla traduzione solo nella misura in cui ha già liberato il lavoro del traduttore dalla fatica di comunicare113.

Viene esplicitato, poi, il secondo aspetto cruciale dello scritto: “Il valore della fedeltà, garantito dalla letteralità, è di esprimere nell’opera l’aspirazione all’integrazione linguistica. La vera traduzione è trasparente, non copre l’originale”114.

L’unico e autorevole potere della traduzione risulta quello di far riguadagnare al linguaggio la sua natura di “lingua pura” che non significa più nulla e, soprattutto, svincolata dal senso, non esprime più nulla. Si arriva, quindi, al nocciolo conclusivo dello scritto, quello della definizione del compito del traduttore, ovvero: “[…] di sciogliere nella propria la lingua pura che è stata esiliata, liberandola dalla prigione del rifacimento letterario”115. Il traduttore deve, cioè, rompere le barriere della propria lingua ed ampliarne i confini, con l’obiettivo di arricchirla di nuovi codici e significati.

L’errore basilare del traduttore scrive, poi, è quello di: “[…] attenersi allo stato contingente della propria lingua invece di lasciarsi potentemente commuovere dalla lingua straniera”.

Lo studioso, infine, utilizza una metafora geometrica per spiegare la natura dell’approssimazione di traduzione, paragonandola alla tangente di un cerchio, che prima si avvicina e poi, inevitabilmente, si allontana. Preservare il senso del testo originale, quindi, non è un ideale irraggiungibile; in qualunque traduzione, però, se raggiunto, si perde inesorabilmente con il passare del tempo.

Il compito del traduttore, quindi, sta proprio nel reinventare e riproporre un nuovo senso. Così, quando un testo appartiene alla pura lingua o alla scienza, diventa traducibile per definizione.

112

W. Benjamin, op. cit., p. 7. 113

W. Benjamin, op. cit., p. 8-9. 114

W. Benjamin, op. cit., p. 9. 115

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Soprattutto nei testi sacri (per Benjamin espressione di massima scrittura) esiste già tra le righe una traduzione virtuale. Il filosofo conclude il proprio scritto con questa frase: “L’interlinearità dei testi sacri è il prototipo o l’ideale di ogni traduzione”116 (grassetto mio).

I concetti di intenzione ed interlinearità enucleati da questo saggio sono, a mio avviso, quelli più rilevanti per questo elaborato. Il primo, infatti, va a delineare uno degli obiettivi principali del traduttore, ovvero la ricerca della giusta intenzione di comunicazione, che adatti il senso del testo originale nella lingua d’arrivo; l’altro, invece, introduce il concetto di influenza reciproca tra i testi, che possono fungere da traino uno con l’altro, modificando le scelte alla base del processo traduttivo. Per Hans-Georg Gadamer il compito del traduttore viene esplicitato con questa frase: “Non si distingue qualitativamente, ma solo per diverso grado di intensità, dal compito ermeneutico generale che ogni testo ci impone”117

. L’utilizzo del dizionario da parte del traduttore per Umberto Eco è solo un punto di partenza, poiché il resto deve seguire il metodo della comparazione, dove la sua scelta finale si rivelerà come il risultato della negoziazione tra traduttore, lettore e autore originario. Riprendendo il De interpretatione recta118, inoltre, lo studioso afferma il traduttore deve affidarsi anche al giudizio dell’udito per non manipolare quello che in un testo è espresso con eleganza e senso del ritmo. Non bisogna, dunque, assolutamente storpiare parole cantanti e musicali come “ronde”. Fortunatamente possiamo notare come il titolo del film francese La ronde (Max Ophüls, 1950) è rimasto invariato. Così non è stato, purtroppo, per un altro film francese intitolato sempre La ronde (Roger Vadim, 1964) tradotto in italiano con Il piacere e l'amore. Uno dei problemi fondamentali per il traduttore è denominato da Eco “falsa referenzialità”119. Lo scrittore rileva come testi celebri (ad esempio l’Amleto di William Shakespeare) non possono e non devono essere modificati nemmeno per spiegare e favorire la comprensione di un gioco di parole. Al contrario testi meno referenziali ed autoriali (come Il pendolo di Foucault del 1988 dello stesso Eco) possono permetterlo e possono, dunque, venire modificati. Allo stesso tempo il traduttore sembra sempre giocare una partita, come posto davanti alla roulette: scommette su un dettaglio, ma deve sempre confrontarsi con un’intera cultura.

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W. Benjamin, op. cit., p. 11. 117

H. G. Gadamer, Warheit und Metode, Tübingen: Mohr, III, 1960, tr. It. Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1983, pp. 441-457, cit. in U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, p. 231.

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Opera di Leonardo Bruni del 1420. 119

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