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PARTE I Titolo, Traduzione e Comunicazione

1.3. Grafica e logo

In questo paragrafo verrà approfondita l’importanza del logo nella costruzione di un’immagine corporativa efficiente ed efficace allo scopo di far emerge il parallelismo che sussiste tra la funzione del logo stesso, rapportato all’azienda, e il ruolo del titolo, in relazione al film. Così come il logo è il primo impatto con il consumatore, così il titolo rappresenta, dunque, il primo contatto con lo spettatore.

La corporate identity include la progettazione e la realizzazione di un vastissimo apparato di oggetti, dal packaging alla cancelleria, dalle brochure agli opuscoli informativi interni, dall’architettura alla logistica degli showroom. I designers, però, hanno sempre considerato il logo come il modulo generatore e centro di gravità attorno a cui ruota l’intera progettazione dell’immagine aziendale. Consultando gli scritti di Stephen J. Eskilson50

e di Barbara B. Capitman51, in particolare, emerge come il logo debba comunicare l’identità di un’azienda (o di un’istituzione) restando al contempo flessibile per poter essere utilizzato in più ambiti.

Lo scopo del marchio è quindi di trasmettere l’essenza di un’entità complessa e stratificata, che non può essere compresa nella sua interezza solo in apparenza. La forza di un marchio sta, dunque, nel suscitare associazioni positive, fungendo da sintesi dell’azienda rappresentata, complessa, vasta ed impersonale, al fine di stabilire un contatto immediato con i consumatori. Il compito del designer è, perciò, quello di riuscire a condensare all’interno di un’immagine una molteplicità di valori.

Nel momento di maggior fioritura della corporate image, ovvero gli anni Cinquanta, il marchio fu oggetto di completi restyling; svecchiamento di alcuni marchi per il nuovo mercato da un lato e creazioni ex novo, concepite soprattutto in funzione del packaging, dall’altro. La confezione del prodotto era infatti mostrata in televisione, raggiungendo così una clientela sempre più ampia che stabiliva un’identità tra marchio, confezione ed azienda. Dal punto di vista stilistico, negli anni d’oro della creazione di loghi e marchi, si possono riscontrare due tendenze. La prima, ancora conservatrice, asseconda il pubblico e si arricchisce di riferimenti figurativi e decorazioni complesse. La seconda, invece, si rifà agli insegnamenti del Bauhaus e della scuola di Ulm attraverso la tipografia e i simboli di natura astratta. Il designer tratta le lettere come pure linee e forme che interagiscono tra di loro nello spazio, andando oltre alla pura funzione di grafema. Vuoto e pieno si alternano per creare un’immagine aziendale dotata di plurimi strati di significati e valori propri, come la modernità o l’efficienza. Sebbene la seconda tendenza non fosse precisamente allineata alla visione tradizionalista della maggioranza dei consumatori, l’eleganza e l’aspetto

50

S. J. Eskilson, Graphic Design: A New History, New Heaven, Yale University Press, 2007. 51

B. B. Capitman, American Trademark Design: A Survey with 732 Logos, Marks and Corporate Identity Symbols, New York, Dover Publications INC., 1976.

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sofisticato di questo tipo d’iconografia ha stimolato affezione e abilità in un pubblico sempre più vasto, che ha imparato a leggere i significati più o meno nascosti52.

L’analisi condotta da Jean-Marie Floch53

risulta esaustiva ed interessante al fine di comprendere l’importanza di un logo a livello aziendale. Il confronto del semiologo francese tra il logo Ibm e quello Apple inizia spiegandoci la dicotomia tra identità visiva che è differenza e identità visiva che è permanenza. La prima assicura riconoscimento e peculiarità, mentre la seconda segna la continuità dei valori aziendali, quali ad esempio quelli economici e sociali.

Floch, riprendendo il concetto di “invarianti plastiche” del pittore André Lhote54, amplia e denomina quelle caratteristiche o tratti differenziali emblema del corporate design. Se il logo Ibm creato dal grafico Paul Rand nel 1956 si basa su di una struttura complessa, monocromatica e fredda, quella di Apple ideata da Rob Janov nel 1977 ha una fisionomia nettamente più semplice, policromatica e calda. Ciò che rende il saggio di Floch significativo è l’unione tra l’aspetto visivo e quello comunicativo; l’intenzione di raccontare un messaggio, di narrare una storia ad un cliente- utente. L’identità aziendale è, inoltre, rafforzata da messaggi visivi che possono contenere ulteriori meta-messaggi al fine di criticare le scelte dei concorrenti. Simbolo di continuità aziendale e sfida ai rivali è, infatti, lo spot (cfr. videografia) diretto da Ridley Scott nel 1984 per il lancio del Macintosh. Allusioni all’universo orwelliano del nemico e innovazione la fanno da padrone. Mi sembra interessante sottolineare come Floch utilizzi più discipline per spiegare quanto importante possa essere il logo con la sua carica visiva e la sua funzionalità. L’autore, infatti, riprendendo lo schema del noto antropologo strutturalista Claude Lévi-Strauss riguardo allo studio delle maschere di due società indiane della costa nord-ovest degli Stati Uniti55, evidenzia il rapporto di correlazione e di opposizione che intercorre tra le invarianti plastiche di Ibm e Apple e il rovesciamento semantico delle loro funzioni, proiettate sullo spettatore/consumatore. Per Floch, dunque, la produzione di un’identità visiva non si costituisce solo sul piano del segno, ma anche su quello del linguaggio, diventando “semiotica”56

. E’ proprio nella dimensione figurativa che si rendono attuali le “connotazioni”57

, ovvero le significazioni seconde. Egli afferma, in conclusione, che: “La

52

Si rimanda alla tesi di Laurea Magistrale di E. Baruffaldi, Da Saul Bass a Game of Thrones. Il title design come nuova frontiera della creatività contemporanea, anno accademico 2011/2012.

53

J. M. Floch, Identità Visive. Costruire l’identità a partire dai segni, Milano, Franco Angeli, 1997, capitolo III: La via dei logo.

54

A. Lhote, Les invariants plastiques, Paris, Ed. Hermann, 1967, cit. in J. M. Floch, op. cit., p. 64. 55

C. Lévi-Strauss, La via delle maschere, Torino, Einaudi, 1985, cit. in J. M. Floch, op. cit., p. 77. 56

J. M. Floch, op. cit., p. 83. 57

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figuratività di un logo dota quest’ultimo di un certo ‘spessore’ culturale agli occhi di questo o quel pubblico o di questo o quel target, e rende più efficace il suo messaggio denotativo”58.

Oltre al messaggio corporate di base, che definirei istituzionale, infatti c’è altro. L’occhio del consumatore che si posa sul logo deve attivare altri sensi, deve andare oltre e scoprire nel substrato semantico ciò che risponde alle proprie esigenze.