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L’interpretazione dello spettatore e la domanda di prodotti creativi

PARTE I Titolo, Traduzione e Comunicazione

CAPITOLO 3: Comunicazione, marketing e distribuzione nel mercato cinematografico

3.4. L’interpretazione dello spettatore e la domanda di prodotti creativi

Risulta molto interessante, ai fini dell’indagine sul rapporto tra produttore e spettatore, la sezione dedicata alla domanda di prodotti creativi proposta dall’economista Richard E. Caves nel suo manuale181. Le caratteristiche del consumo, infatti, sono determinanti tanto quanto domanda e offerta interagiscono per determinare le dimensioni del mercato della creatività. Scrive il docente di Economia politica alla Harvard University: ”Il consumo di prodotti creativi dipende, come per tutti gli altri beni, dalle preferenze individuali; nel caso dei prodotti creativi, tuttavia, le preferenze o i ‘gusti’ emergono da processi peculiari”182

. I gusti individuali dei consumatori e la loro disponibilità a pagare per fruire di un prodotto culturale, inoltre, svolgono un ruolo determinante nel processo di innovazione, indipendentemente dalla funzione promozionale svolta dai certificatori. Anche se i prodotti creativi sono protetti da copyright (cfr. 2.4) contro la pirateria e la contraffazione, infatti, “le innovazioni stilistiche si diffondono rapidamente, e altrettanto rapidamente sono imitate e svalutate”183

. Una delle caratteristiche essenziali del consumo di beni creativi è rappresentata dagli effetti positivi dell’esperienza e della formazione sulle attività di consumo definiti di “dipendenza razionale”184; in quest’ottica il consumo è sempre influenzato da due variabili: la disponibilità di tempo e di risorse finanziarie. Per quanto riguarda il consumo culturale nel suo contesto sociale, poi, non si possono ignorare gli effetti di imitazione e di snobismo, racchiusi nel fenomeno del comportamento imitativo di massa e nel meccanismo del passaparola. Piuttosto che investire nell’acquisto di informazioni, infatti, il consumatore preferisce osservare il comportamento degli altri consumatori. Le informazioni fornite attraverso la pubblicità, inoltre, ci dice Caves: “Svolgono la funzione di allineare i prodotti creativi con le preferenze dei potenziali consumatori, ma il trasferimento di informazioni di sostanza è piuttosto limitato, interessando soprattutto lo stile e i contenuti generali del prodotto, oppure l’identità dei partecipanti creativi più importanti”185

. I fruitori di opere culturali e creative, dunque, andranno alla ricerca anche di altri certificatori, come le opinioni contenute nelle recensioni dei critici. Essi, se obiettivi, contribuiscono a risolvere in due modi i problemi dell’informazione recepita dal consumatore. Oltre a fornire una descrizione dettagliata del bene in oggetto, infatti, eliminano il processo di trasferimento dell’informazione ed internalizzano i gusti dei potenziali consumatori, tentando di prevedere le possibilità di successo del prodotto. Anche ricercando informazioni in questo costoso mercato delle critiche, però, Caves ci

181

R. E. Caves, L’industria della creatività. Economia delle attività artistiche e culturali, Milano, Etas, 2001.

182

R. E. Caves, op. cit., p. 223. 183

R. E. Caves, op. cit., p. 261. 184

R. E. Caves, op. cit., p. 226. 185

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dice che: “L’utilità ottenuta attraverso questi beni esperienza rimane incerta fino al momento del loro acquisto, o meglio del loro consumo”186. In ogni caso, comunque: “I critici continuano a svolgere la propria attività creativa e i consumatori non ritendono di essere stati ingannati abbastanza da ignorare i loro giudizi”187

. Oltre al mercato delle critiche troviamo, dal lato di questo cosiddetti certificatori, l’ecologia dei premi e dei riconoscimenti in campo artistico. Un esempio lampante, un compromesso tra arte e commercio, è quello degli Academy Awards, meglio conosciuti come premi Oscar; l’effetto positivo per un film, generato dal conferimento del premio si riscontra, soprattutto, quando le altre fonti d’informazione presentano un valore informativo molto inferiore. Attraverso questa disamina, Richard E. Caves riscontra alcune differenti tipologie di consumatore, tra le quali quella dei distratti e quella dei consumatori colti. Questa classificazione deriva dai diversi gradi di coinvolgimento riscontrabili nell’eterogeneità della domanda di prodotti creativi. I più coinvolti e competenti risultano essere gli esperti, che investono moltissimo nell’introspezione piuttosto che nell’azione, cercando di comprendere fino in fondo il contenuto culturale offerto, ponendosi a fianco del creatore stesso. Queste figure possono, inoltre, donare risorse e conoscenze direttamente all’attività creativa, essendo interessate più allo spessore culturale proposto che all’esecuzione tout court. In genere, tuttavia, il pubblico più vasto è quello meno impegnato, ossia quello che non necessariamente possiede una formazione specializzata o una diretta aspirazione al talento creativo; questa tipologia si affida, ad esempio, alla figura della superstar, che possiede uno status tale da disporre di una scelta economica invidiabile, che proietta sul consumatore e determina le sue scelte. Questa distribuzione asimmetrica modifica le disposizioni dell’organizzazione dell’attività creativa, poiché condiziona la domanda per le diverse tipologie di prodotti, rappresentazioni ed esecuzioni offerte. Utilizzando delle nozioni di Sociologia, potremmo sintetizzare questi concetti nella forte dicotomia tra cultura popolare e cultura alta, tra pop e snob. E proprio riconoscendo il valore delle classi sociali come attori economici, Pierre Bourdieu188 riscontra che le categorie con disponibilità di investimento limitate cercano nel prodotto creativo una soddisfazione immediata.

Elisa Perego esplicita così le esigenze dello spettatore: “L’esigenza di ogni spettatore, indipendentemente dalla sua sensibilità e dal suo interesse per le lingue straniere, è quella di comprendere in modo immediato il film che ha scelto di vedere”189.

186

R. E. Caves, op. cit., p. 243. 187

R. E. Caves, op. cit., p. 251. 188

P. Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, Il mulino, 1983. 189

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Christian Metz, inoltre, aggiunge:

In realtà ci sono a livello dell’espressione più sostanze. La molteplicità delle sostanze espressive vale anche per sistemi non verbali: nella manifestazione filmica contano certamente le immagini, ma anche il ritmo o la velocità del movimento, la parola, il rumore e altri tipi di suono, sovente diciture scritte, per non dire della grammatica dell’inquadratura e della sintassi del montaggio190.

Ci sono, quindi, diverse sostanze di espressione e di contenuto. Di conseguenza, riscontriamo più livelli interpretativi anche, se non soprattutto, nella manifestazione filmica.

Per il semiologo Umberto Eco, per di più, nell’opera di traduzione perdite e compensazioni sono spesso necessarie. Unendo i concetti di traduzione ed interpretazione, dunque: “La traduzione, come ogni interpretazione, è una chiarificazione enfatizzante”191

. Il traduttore, infatti, prima interpreta e poi traduce, non restituendo l’ambiguità iniziale, ma la propria interpretazione, eliminando determinati aspetti e, di contro, scegliendo e privilegiando alcune sfumature. Umberto Eco, però, sottolinea come interpretare non significa tradurre, poiché non esiste un’equivalenza assoluta tra i due termini. Facendo il punto sul concetto di interpretazione, possiamo dire che: “Interpretare significa fare una scommessa sul senso di un testo. Questo senso […] è solo il risultato di una serie di inferenze che possono essere condivise o meno da altri lettori”192

. Pur non essendo autorizzati a prendere qualsiasi tipo di licenza e di libertà traduttiva, ci sono alcuni problemi insormontabili che portano il traduttore a fare delle scelte obbligate che, inevitabilmente, si riflettono sul lettore o sullo spettatore cinematografico. Uno di questi dilemmi è la ipotiposi, ovvero un: “Effetto retorico per cui le parole possono rendere evidenti fenomeni visivi”193. In questo caso si rinvia solitamente ad un’esperienza precedente del lettore, ma se la visione sollecita un ricordo di qualcosa che non si è mai visto, si reagisce facendo comunque finta di aver visto qualcosa. Ecco che, quindi, l’ipotiposi può anche “creare il ricordo” nel fruitore dell’opera. Identico problema, poi, per l’ekfrasi, intesa come una: “Descrizione di un’opera visiva, quadro o scultura che sia”194.

Hans-Georg Gadamer sottolinea come: “Ogni traduzione è sempre una interpretazione”195, essendo essa stessa una forma del dialogo ermeneutico, nel quale il traduttore sceglie la miglior soluzione attraverso prove e tentativi adottando infine un compromesso (il traduttore si comporta come un negoziatore). George Steiner afferma che: “La traduzione in senso stretto è solo un caso particolare

190

C. Metz, Langage et cinéma, 1971, tr. It. C. Metz., Semiologia del cinema. Saggi sulla significazione nel cinema, Milano, Garzanti, 1972, p. 174.

191

U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, p. 111. 192

U. Eco, op. cit., p. 154. 193

U. Eco, op. cit., p. 197. 194

U. Eco, op. cit., p. 208. 195

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del rapporto di comunicazione che ogni atto linguistico riuscito traccia all’interno di un dato linguaggio”196

. E lo segue Paolo Fabbri che sostiene: “L’atto di traduzione è il primo atto di significazione. L’universo delle interpretazioni, dunque, è nettamente più vasto”197

. Conclude Umberto Eco sottolineando come: “C’è un limite della traduzione quando si ha diversità nella materia dell’espressione”198. Molto completa ed interessante per questo paragrafo risulta essere la suddivisione proposta da Umberto Eco dei tipi d’interpretazione in tre grandi classi199. Ovvero:

1) Interpretazione per trascrizione (automatica, come il codice Morse); 2) Interpretazione intrasistemica:

2.1: Intrasemiotica, all’interno di altri sistemi semiotici;

2.2: Intralinguistica (o riformulazione generale), all’interno della stessa lingua naturale; 2.3: Esecuzione;

3) Interpretazione intersistemica:

3.1: Con sensibili variazioni nella sostanza (Interpretazione intersemiotica. Interpretazione interlinguistica o traduzione tra lingue naturali. Rifacimento);

3.2: Con mutazione di materia (Parasinonimia. Adattamento o trasmutazione).

2.1: Parliamo metaforicamente, ad esempio, di “traduzione in scultura” quando una statua viene riprodotta mediante un calco.

2.2: Lo stesso contenuto viene espresso in sostanze diverse per conoscere sempre qualche cosa in più dell’interpretato. La riformulazione generale non è considerata traduzione; può, però, risultare necessaria per disambiguare dei termini in base al contesto, ma resta sempre un momento ancillare rispetto a quello vero e proprio della traduzione. Partendo da questo presupposto: “Una interpretazione precede sempre la traduzione […] e una buona traduzione è sempre un contributo critico alla comprensione dell’opera tradotta”200

. L’atto della decisione interpretativa, dunque, è sempre precedente e determina le scelte traduttive future.

2.3: L’esecuzione è una particolare forma di interpretazione in cui una parte scritta (sempre ancillare al sistema semiotico a cui rinvia) si realizza. Si pone da anello di congiunzione tra queste interpretazioni intrasistemiche e quelle che fanno parte della terza categoria.

3.1: All’interno dei profondi cambiamenti di sostanza Eco pone le diverse estetiche che riguardano ad esempio la scelta dei caratteri tipografici, visti come degli elementi di forma del sistema grafico. Non solo, si parla anche di rapporti quantitativi tra sostanze linguistiche. La brevità delle frasi,

196

G. Steiner, Dopo Babele. Aspetti del linguaggio e della traduzione, Milano, Garzanti, 1994, capitolo La comprensione come traduzione.

197

Paolo Fabbri, La svolta semiotica, Roma, GLF editori Laterza, 2001. 198

U. Eco, op. cit., p. 234. 199

U. Eco, op. cit., p. 236. 200

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infatti, può essere considerata come un elemento di adeguatezza di una traduzione. I cambiamenti di sostanza, invece, raggiungono gradi molto elevati in poesia, dove metrica, rime ed assonanze complicano ancora di più l’attività del traduttore. Ecco perché, traducendo, si dice quasi la stessa cosa. Ogni traduzione, inoltre, invecchia inevitabilmente con il passare del tempo, muovendosi in un orizzonte di tradizioni e convenzioni letterarie che fatalmente influenzano le scelte di gusto. Nella traduzione poetica, dunque, si punta spesso all’effetto estetico ed al rifacimento radicale, in quanto la traduzione viene colta come una sfida al fine di ricreare il testo originale in un’altra forma e in altre sostanze. Per Eco il rifacimento totale è una “licenza interpretativa”201. Si presenta soprattutto quando si deve tradurre un pun (o mot-valise).

3.2: La parasinonimia si ritrova quando per chiarire il significato di una parola o di un enunciato si ricorre ad un interpretante espresso in diversa materia semiotica. Quando si parla di cambiamenti di materia, comunque, saltano all’occhio soprattutto trasmutazioni o adattamenti (il caso più consueto è la versione di un romanzo in un film). Il vero limite della traduzione, però, si situa nella diversità delle materie dell’espressione, poiché ad esempio i movimenti della macchina da presa non possono essere tradotti in parole. Da un lato, quindi, la trasmutazione di materia aggiunge significati rendendo rilevanti degli elementi del contesto; dall’altro, però, rendendo esplicito ciò che era un’inferenza implicita si interpreta il testo in maniera non conforme all’intenzione primaria dell’originale. Nel passaggio da materia a materia, dunque, l’interpretazione (sotto forma di rilettura) non deve essere lasciata alla mercé del destinatario, ma deve essere mediata dall’adattatore. L’adattamento costituisce sempre una presa di posizione critica poiché si impone e viene isolata la propria interpretazione del testo fonte. Una trasmutazione può scegliere quegli elementi che permettono al testo di arrivo di tradurre le ambiguità e le aperture semantiche del testo di partenza. Non si deve, però, rischiare di sbagliare nel senso opposto, ovvero il comunicare meno dell’originale. Umberto Eco chiude così: “Una traduzione non deve dire più di quanto non dica l’originale, ovvero deve rispettare le reticenze del testo fonte”202

.

201

U. Eco, op. cit., p. 299. 202

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Conclusioni prima parte

Nei tre capitoli precedenti ho cercato di far emergere gli aspetti riguardanti la funzione e l’importanza del titolo nel cinema, nel linguaggio giornalistico, nella letteratura e nella pubblicità. Attraverso lo studio degli elementi verbali e grafici, ho dedicato molto spazio all’effetto visivo del titolo presente sullo schermo e nelle locandine cinematografiche.

Inoltre, ho cercato di delineare l’ambito della traduzione, anche quella audiovisiva, partendo da un excursus storico per arrivare alle normative che la regolano.

In aggiunta, ho definito le fasi della produzione, della distribuzione e del marketing nel mercato cinematografico, approfondendo alcuni aspetti dell’acquisizione delle risorse finanziarie, tra cui le diverse tipologie di Product Placement e la coproduzione.

Infine, ho concluso la prima parte del mio elaborato esaminando i due cardini del mercato dei prodotti creativi: l’offerta ed il ruolo del produttore da un lato e la domanda e l’interpretazione dello spettatore dall’altro.

La prima parte di questa tesi, dunque, funge da ampia introduzione per la mia ricerca successiva. I riferimenti bibliografici e le teorizzazioni esposte risultano necessari al fine di creare una solida base di partenza, tale da poter presentare con una diversa consapevolezza la personale classificazione proposta in seguito, attraverso l’analisi di un corpus di pellicole molto vasto.

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