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I figli e il divorzio

4.1 Gli effetti sui figli del conflitto e della separazione genitoriale.

4.1.2 Il complesso di Medea

I valori culturali attuali, sempre più attenti alla tutela e alla difesa del minore, considerano l’uccisione di un figlio uno tra i delitti di sangue che più ci lascia increduli e inorriditi.

“Con il termine di figlicidio si indica l’uccisione del figlio da parte di un genitore, sia il padre che la madre.

Il codice penale italiano non contempla il figlicidio, ma l’infanticidio e l’omicidio. L’infanticidio è, secondo l’articolo 578 del codice penale, <<la procurata morte del neonato immediatamente dopo il parto o del feto durante il parto da parte della propria madre, […].

Nel concetto, quindi, di infanticidio, così come previsto dal codice penale, la parte attiva che procura la morte è data dalla madre, […]. I padri e le madri che uccidono il figlio al di fuori della precisa condizione dell’infanticidio saranno imputati, secondo il codice penale italiano, di omicidio. […].

In Italia, secondo un’indagine ISTAT relativa a tutti omicidi volontari compiuti sul territorio nazionale nel 1998, per un totale di 670 casi, 128 risultano essere omicidi effettuati in famiglia; di questi il 17% è rappresentato da casi di figlicidio. […] L’analisi del livello sociale mostra, considerando gli omicidi in famiglia da un punto di vista generale, che questi prevalgono nei livelli sociali bassi (48% dei casi);”150

Il figlicidio è, inoltre, frequente anche tra gli appartenenti al mondo animale: “Ricordiamo ad esempio, le forme di “cannibalismo” della cagna che può uccidere e mangiare i propri piccoli. […] E’ stato infatti provato che la cagna uccide i figli quando, ad esempio, non è sufficientemente nutrita, protetta dal freddo e dal caldo, è costretta a vivere in un contesto in cui l’animale si sente insicuro e pericoloso. Nel mondo animale sono inoltre frequenti le uccisioni dei figli per “omissione ed abbandono da parte della madre”, se fosse lecito trasporre valori e figure giuridiche dell’uomo al mondo animale. Ad esempio, la femmina dell’aquila è solita deporre un piccolo numero di uova, molto spesso due, a distanza di qualche giorno. Cosicché la femmina, covando subito le uova, fa sì che il primo nato sia frequentemente più

150 G. C. Nivoli, Medea tra noi. Le madri che uccidono il proprio figlio, Carocci, Roma, 2002, pp. 15-

robusto e prestante del secondo la cui venuta al mondo si verifica a distanza di qualche giorno”.151

Studi odierni di storia e di antropologia ci mostrano che in passato, ma anche al giorno d’oggi, in molte civiltà uccidere il proprio figlio non solo può essere tollerato e non perseguito dalle leggi, ma addirittura può essere incoraggiato dai contenuti di queste ultime.

“La storia ricorda che nella civiltà della Roma antica, il pater familias aveva il diritto di vita e di morte non solo sugli schiavi, ma anche sui propri figli. […]. Il padre, comunque deciso a disfarsi del bimbo, ma non volendolo uccidere, almeno direttamente, poteva ordinare che il figlio venisse “esposto” fuori dalla porta di casa, oppure che venisse “buttato vivo nello scarico dei rifiuti” se questo presentava qualche difetto, o se il capofamiglia aveva già troppi figli. […].

A volte il figlicidio, l’uccisione dei neonati è stata sancita a livello politico per ridurre, in qualche modo, il numero delle nascite e delle persone cui lo Stato deve provvedere. Introdotta in Cina nel 1970, l “politica del figlio unico” è ancora oggi imposta con severe sanzioni per arrestare la crescita demografica”.152

Il movente di questo gesto estremo può avere molteplici cause; in alcuni casi, ad esempio, la morte del figlio può essere dovuta ad una omissione delle cure basilari da parte della madre, specialmente quando il figlio è ancora in tenera età e, per questo motivo, necessita di attenzioni e cure particolari:

“Queste madri, per ignoranza, incapacità personale, insicurezza, scelta deliberata ecc. sono delle madri che non riescono più “a vibrare in modo naturale” ai bisogni del neonato, ma cominciano a vivere le esigenze del figlio come qualcosa di strano, di minacciante, di estraneo che complica e “rovina” in modo drammatico la loro vita”.153

Ancora, altre madri, uccidono il loro figlio, in piena lucidità mentale, perché non voluto; quel figlio, è il frutto di una gravidanza non desiderata, è il ricordo di momenti tristi della propria vita. Altre arrivano ad uccidere il proprio bambino perché ritengono che abbia rovinato completamente la loro esistenza, altre ancora arrivano a dissimulare a tal punto la gravidanza da gettare il figlio nelle discariche, una volta nato.

151 Id., pp.20-22. 152 Id., pp. 26-26, 30. 153 Id. pp.38-39.

Tra tutti questi casi specifici, ve ne è uno in particolare che vale la pena ricordare; è una dinamica nota con il nome della “Sindrome di Medea” la quale include quei casi in cui la madre arriva ad uccidere il figlio per vendicarsi dei torti subiti dal marito. Prendendo spunto da una delle più famose ed importanti tragedie della Grecia classica, la Medea di Euripide, è interessante notare come, la letteratura contemporanea, abbia proposto il mito di Medea come icona rappresentativa della madre alienante.

Medea, barbara e crudele, esperta in arti magiche, dopo aver aiutato il marito Giasone e gli Argonauti a conquistare il Vello d’oro, e dopo aver ucciso suo fratello Apsirto, facendolo a pezzi, si è trasferita a vivere a Corinto insieme al consorte e ai due figli nati dalla loro unione.

Giasone, però, dopo qualche anno, ripudia la moglie Medea per sposare Glauce, figlia di Creonte, Re di Corinto; questo, infatti, gli garantirebbe la successione al trono. Medea, tormentata dal dolore e, soprattutto, dal disonore, medita la sua vendetta: ucciderà, infatti, prima la futura moglie di Giasone, attraverso l’utilizzo delle sue abilità di maga, e, successivamente, trafiggerà mortalmente i suoi stessi figli.

“Sotto il profilo psicoanalitico, i figli possono essere stati uccisi da Medea non solo perché si interrompe la linea di discendenza di Giasone, ma anche per il desiderio di “realizzazione allucinatoria del possesso totale” dei propri figli, estromettendo il padre. I figli di Medea diventano così un bene materiale di Medea a cui ella nel suo “sentimento di onnipotenza” ha dato la vita, ma cui ella può anche togliere la vita. La spada con cui Medea trafigge i figli potrebbe significare la tipica rappresentazione del fantasma di una “madre fallica”, mascolina, aggressiva, vendicativa”.154

Medea, quindi, medita e formula dei piani, riflette sulle proprie azioni e ne ha consapevolezza, è, cioè, consapevole della propria scissione interiore tra impulsi razionalmente compresi (il desiderio di vendetta e l’amore materno per i propri figli); Medea, infatti, è razionalmente consapevole del fatto che uccidere i propri figli le causerà un grandissimo dolore, però, nello stesso tempo, riesce anche a rendersi

conto che i suoi buoni propositi sono dominati da una forza capace di imporsi non solo a lei, ma in generale a tutti gli uomini155:

“E capisco quali mali dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione, la quale è per gli uomini causa dei più grandi mali”.156

Secondo gli studi, il complesso di Medea delinea il profilo psicologico di quelle madri vendicative le quali solitamente presentano disturbi di personalità con tratti aggressivi verso gli altri e verso se stesse (talvolta anche con tendenza al suicidio). Le relazioni con il loro compagno non avvengono all’insegna della tranquillità ma anzi, sono spesso ostili e caotiche; infatti, tali madri, tendono ad utilizzare il proprio figlio come un oggetto, un’arma per vendicarsi del proprio compagno.157

E’ in fase di separazione dal marito (o dal compagno) che, nella madre, può farsi sempre più forte il desiderio di “sopprimere” il proprio figlio; ma perché questo accade? Perché in una fase conflittuale, troppo spesso si respira un’atmosfera pervasa da odio, rancore, denigrazione e piani di vendetta verso l’altro coniuge. Le madri, molto più di quanto lo siano i padri, sono molto “abili” nel portare avanti una spietata campagna denigratoria verso l’altro coniuge, sperando così di instillare tali sentimenti anche nel figlio e distruggere il rapporto che quest’ultimo ha costruito con il padre. In casi estremi tale desiderio di vendetta nei confronto dell’ex partner va oltre ogni ragionevole controllo e, nella madre che tenta di conquistare il primato di “genitore esclusivo”, si fa strada la malsana idea dell’uccisione del figlio come punto estremo di vendetta nei confronti dell’ex marito; un’uccisione che, di fatto, non mira ad eliminare il figlio stesso ma il legame che ha quest’ultimo con il padre.158 E’ interessante citare, per vedere nel concreto, un caso che Nivoli ha riportato nel suo libro Medea tra noi. Le madri che uccidono il proprio figlio:

“R. G. di 31 anni, madre di una bimba di 26 mesi, convive con un uomo di 52 anni, […]. R. G. viene a contrasto col suo compagno, che manifesta il desiderio di abbandonarla per un’altra donna e toglierle tutto il denaro, l’abitazione e richiedere attraverso gli avvocati l’affidamento della figlia.

155 G. Cupido, L’anima in conflitto. <<Platone tragico>> tra Euripide, Socrate e Aristotele, Il

Mulino, Bologna, 2002.

156 Euripide, Medea, Rizzoli, Milano, 2014, p. 199. 157 G. C. Nivoli, cit.

158 A. Meluzzi, Madri assassine. Dal dramma di Medea alla psicopatologia del quotidiano,

R. G., nel corso di una furibonda lite con il compagno dopo essere stata picchiata, malmenata e insultata, afferra la bimba e la getta dalla finestra del 14° piano provocandone la morte. Dichiarerà nell’immediatezza del fatto: <<Quell’uomo, ingiustamente, ha preso tutto dalla mia vita e mi voleva lasciare senza nulla Non avrei mai tollerato che mi rubasse anche la figlia. Quell’uomo non poteva aver tutto dalla vita come ha sempre avuto…anche lui adesso senza la figlia dovrà imparare a soffrire>>”.159

Si è visto quindi che la presenza di situazioni problematiche all’interno del nucleo familiare (quali ad esempio la separazione) può essere una delle cause che possono indurre una madre, seppur non in rapporto causale diretto, ad uccidere il proprio figlio.

Per quando riguarda la confessione del delitto da parte della “madre Medea”, ella può confessare nell’immediatezza il delitto, cercando di trasformare la sua condizione di madre crudele, spietata e vendicativa in una madre disperata e sofferente; in questo modo ella tenterà di recuperare la sua autostima e di apparire più “accettabile” agli occhi degli altri:160

“<<Ho ucciso mio figlio, così il mio compagno impara anche lui a soffrire, ho voluto vendicarmi di lui>>. Dopo un intervallo di tempo, anche solo poche ore, può affermare: <<Io non volevo uccidere mio figlio, ero fuori di me dalla rabbia e dal rancore; quando ho gettato mio figlio dalla finestra non mi rendevo conto di quello che stavo facendo>>”.161

159 G. C. Nivoli, cit., p. 42.

160 A. Meluzzi, Madri assassine. Dal dramma di Medea alla psicopatologia del quotidiano, cit. 161 G. C. Nivoli, cit., p. 71.