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La consulenza filosofica come sostegno

La consulenza filosofica è una professione nata in Germania nel 1981 quando Gerd Achenbach, considerato il padre della consulenza filosofica, aprì il primo studio di Philosopsische Praxis. E’ importante notare che al centro delle sue motivazioni sta in primo luogo l’insoddisfazione per il modo in cui la filosofia viene praticata oggigiorno:

“[…] rinchiusa in un ghetto accademico, dove ha perduto il rapporto con qualsiasi problema che opprime realmente gli uomini”.49

Achenbach, attraverso quest’esigenza di rinnovamento della filosofia interna all’ambito della filosofia stessa, si pone come intento quello di restituire alla materia una veste pratica: la consulenza filosofica viene annunciata come la nuova forma che la filosofia deve assumere in futuro. Quello che l’autore vuole mostrare è la possibilità che la filosofia ha di far vedere che è ancora in grado di rapportarsi ai problemi quotidiani della gente, riflettendo sull’esistenza reale del singolo individuo. Si tratta, dunque, di indirizzare la filosofia verso pensieri e problemi che non siano quelli astratti di cui essa tradizionalmente si occupa; ma che, piuttosto, siano problemi legati alle domande esistenziali che ogni individuo può porsi e che, di fatto, si pone. E’, quindi, un tentativo di fare filosofia con la quotidianità di donne e uomini a prescindere dal fatto che essi siano filosofi o meno, o esperti della materia.

Dopo Achenbach, questa pratica si diffuse in varie parti del mondo, ad esempio in Olanda e negli USA. In Italia si può iniziare a parlare di consulenza filosofica a partire dal 1999 con la nascita della prima organizzazione (AICF, Associazione italiana di Counseling Filosofico) e l’apertura dei primi studi professionali.

Ma chi è il filosofo e cos’è “veramente” la consulenza filosofica? Scrive Achenbach: “Il filosofo è colui che deve conoscere, perché vive”.50

Da questa frase si evidenzia come il pensiero sia una componente fondamentale per l’esistenza umana; non possiamo semplicemente limitarci ad esistere, ma dobbiamo anche prendere posizioni sulla nostra vita, produrre pensieri e, ancora, riflettere su di

49 G. Achenbach, Il filosofo come consulente, in La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, Feltrinelli, Milano, 2009, p. 24.

50 G. Achenbach, La filosofia da tavolo, ovvero, chi è il filosofo, in La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, cit., p. 34.

essi; non produciamo solo pensieri ma con essi ci confrontiamo, filosofiamo su di essi. Ecco allora che appare più chiaro ciò che Pollastri intende quando parla di consulenza filosofica, un vero e proprio esercizio al pensiero.

“Consulenza filosofica, attività che si propone di fornire a chi lo richieda (individui, gruppi, organizzazioni), sulla base di un approccio filosofico, supporto, aiuto o orientamento nell’ambito di processi intellettuali, esistenziali, decisionali o relazionali, senza avere finalità terapeutiche”.51

Da questa definizione è possibile delineare alcuni temi fondamentali della consulenza filosofica; la prima cosa che può essere detta è che essa è essenzialmente un dialogo; è un dialogo nel quale i partecipanti dialogano e, in maniera cooperativa, producono un logos, un discorso.

“Non tutti i dialoghi però sono uguali: quello della consulenza è un dialogo filosofico. Ciò significa in primo luogo che in esso i due (o più) dialoganti hanno pari dignità razionale, e per questo anche umana ed etica. Non ha alcuna importanza che uno dei due sia più colto o più esperto nell’elaborazione concettuale e che l’altro si trovi in difficoltà personali anche piuttosto gravi o si aspetti dal primo delle risposte, che uno sia retribuito economicamente e l’altro, invece, debba pagare: entrambi sono esseri razionali con le loro idee, le loro esperienze, i loro sentimenti. Diversi sì, ma pari grado capaci di argomentare, osservare, riflettere assieme collaborando. Entrambi, in altre parole, sono capaci di esaminare la vita- attività che secondo una definizione di Socrate definisce la filosofia- e perciò in grado di filosofare assieme”.52

E’ proprio per questo suo carattere paritetico che la peculiarità di questa disciplina, secondo Achenbach, è quella di non possedere regole né metodi predefiniti: il metodo è invece creato nel dialogo, che, appunto, Achenbach definisce “libero”. La consulenza di Achenbach vuole tenersi, insomma, il più lontano possibile da un eccessivo rigore che è del tutto controproducente per lo sviluppo del pensiero. In tal modo, l’idea di consulenza filosofica, restituisce al singolo la sua unicità; non viene “trattato” come un oggetto al quale vengono applicate teorie già validate, ma viene rispettato e valorizzato nella sua singolarità.

51 N. Pollastri, Il pensiero e la vita. Guida alla consulenza e alla pratica filosofica, Apogeo, Milano,

2004, p. 200.

Il fatto che essa non possegga teorie né metodi precisi non significa che sia una tecnica abbandonata al caso. Semplicemente non è una tecnica e non ci sono metodi per insegnarla né per impararla, poiché non è né formazione né insegnamento esplicito.

Quello di cui dispone la consulenza filosofica, tuttavia, sono secoli e secoli di tradizione del pensiero, cioè la filosofia stessa, da cui può infinitamente attingere; con una prospettiva di rinnovamento, secondo Achenbach.

La filosofia, infatti, è stata “confinata” per anni all’interno delle università, occupandosi solamente di questioni astratte e perdendo il contatto con le questioni che riguardano la realtà, la quotidianità, i problemi delle persone.

“La consulenza filosofica deve quindi guardare alla tradizione del pensiero, riportando però la filosofia “in terra” e utilizzando le ampie risorse che la tradizione offre per poi “applicare” il pensiero alla vita e ai problemi che essa comporta. Solo così essa può venire in aiuto all’individuo, di cui la filosofia “cattedrica” sembra essersi dimenticata. La novità della consulenza filosofica è, dunque, nei fatti un ritorno alle origini della filosofia, una svolta in direzione del dialogo socratico, il cui ambiente naturale era la

polis”.53

Infatti, un lavoro di consulenza, condotto secondo genuini principi filosofici e riguardante qualsiasi tipo di problema di cui siano portatori uomini e donne, non può basarsi che sul principio socratico del “non sapere”, il quale conferisce alla filosofia il carattere di libera ricerca.

Il principio socratico del “non sapere” emerge, in particolar modo, nell’Apologia. Qui Socrate, condannato a morte, cerca di chiarire il significato delle parole dell’Oracolo di Delfi, che lo ha indicato come “il più sapiente tra gli uomini”. La spiegazione consiste nello spiegare l’esperimento che Socrate ha messo in atto per comprendere le parole dell’oracolo. Socrate, infatti, recandosi presso uomini che reputava sapienti, si era accorto non solo che questi ultimi non erano realmente sapienti, ma che, oltretutto, non volevano riconoscere di non esserlo:

“Andai da uno di coloro che hanno la fama di essere sapienti […]. Esaminando dunque costui […] mi parve che quest’individuo apparisse, sì, sapiente a molti e soprattutto a se stesso, ma non lo fosse realmente. Allora cercai appunto di fargli

53 R. Soldani, Introduzione, in G. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, cit., p. 13.

notare che si credeva sapiente senza esserlo, attirandomi così l’ostilità non solo sua ma di gran parte dell’uditorio. Nel tornarmene via mi resi conto che sì, più sapiente di quell’uomo lo ero: forse nessuno di noi due sapeva alcunché di bello e buono, ma almeno, mentre lui riteneva di sapere e non sapeva, io non sapevo ma neanche presumevo di sapere: mi sembrava perciò di essere, come minimo, più sapiente di lui per il semplice fatto che, quel che non so, neanche m’illudo di saperlo. Recatomi poi da un altro, scelto fra quelli con fama di essere più sapienti del precedente, ne ricavai la stessa impressione […]”.54

La conclusione del suo argomento è dunque che, per l’oracolo, il più sapiente tra gli uomini è colui che sa di non sapere; e questo non è un approccio negativo, ma un assunto connesso con l’idea stessa di filosofia in quanto essa stessa è “amore per la conoscenza” e che, in quanto tale, non è già un sapere ma una ricerca del sapere e della conoscenza:

“La filosofia non è dunque sapienza ed è necessario “sapere di non sapere per tendere

al sapere”, perché chi già fosse sapiente non vi tenderebbe più: sarebbe sapiente, ma non più filosofo. Svelare il filosofo che è in ogni uomo è la missione di Socrate, che la svolge rifiutando di rispondere alle domande dei discepoli (cioè, di far riferimento ad un sapere già dato), rivolgendo loro viceversa nuove e sempre più sottili interrogazioni e con ciò ponendo l’interlocutore di fronte alla responsabilità di dare, di volta in volta, da solo la propria risposta”.55

Fare proprio il principio socratico del “non sapere”, quindi, significa assumere la filosofia non come insieme di conoscenze dottrinarie, bensì come atteggiamento, stile di vita, come modalità di volgersi ai problemi; e questo permette anche di considerare la consulenza filosofica in primo luogo come una ben precisa forma di filosofia e non come una sua “applicazione”, in piena coerenza con l’interpretazione data a essa da Gerd Achenbach.

Un altro tema che emerge dalla definizione di “consulenza filosofica” citata in una delle pagine precedenti, e sul quale anche Achenbach insiste, è la relazione tra consulenza filosofica e le varie forme di psicoterapia.

Il punto su cui Achenbach insiste è la distinzione tra queste discipline e la consulenza filosofica. Questa distinzione è data dal fatto che, innanzitutto, la consulenza

54 Platone, Apologia di Socrate, Critone, Bur, Milano, 2009, p. 115.

filosofica, a differenza delle terapie, non possiede metodi ben precisi che riguardano la sua applicazioni e il suo modo di procedere; in secondo luogo, un’altra differenza sostanziale, riguarda il fatto che la consulenza filosofica non si occupa dell’inconscio del soggetto, interpretandolo, ma lavora con e sul discorso che la persona fa al consulente. Il tutto sempre sulla base del principio per cui la singolarità dell’individuo va rispettata, ma in che modo? Evitando di “classificarlo” in base alle nette distinzioni categoriali quali sano/malato, normale/anormale e così via e di non metter in evidenza quel tipo di relazione, che è alla base di ogni psicoterapia e che è assolutamente squilibrata, tra “terapeuta” e “paziente”, che riduce il soggetto ad un mero oggetto da “sottoporre a terapia”.56

Dello stesso avviso è anche Pollastri, che converge con Achenbach riguardo ai motivi che alimentano la nascita di questa disciplina ovvero rendere dignità di persona a coloro che altrimenti finirebbero per essere considerati solo malati, concludendo poi con il ritenersi tali essi stessi, loro malgrado:

“Quando una persona malata entra nello studio di un consulente filosofico, lascia la malattia fuori dalla porta assieme al soprabito, ed entra solo in quanto persona. Solo all’uscita, se lo vorrà, potrà riprendere soprabito e malattia. Questo non è solo un principio fondamentale della consulenza filosofica, ma anche uno dei suoi “segreti”: perché la filosofia non può curare, ma può fare molto, molto di più- può portare in mondi nuovi, nei quali la malattia non ha né posto, né status alcuno”.57

La filosofia, nella forma pratica della consulenza, e dunque sia per Achenbach che per Pollastri, un’interazione dialogica tra due partecipanti posti su un piano di perfetta parità. Essi elaborano insieme un discorso che tenta di andare al di là delle opinioni imposte, dei luoghi comuni nei quali ci rifugiamo, nel tentativo di dare la possibilità al pensiero di svilupparsi ulteriormente.

E ancora:

“non troviamo […] un alleggerimento per problemi, preoccupazioni, domande, dubbi tentazioni e confusioni; al contrario, essa procura il combustibile per infiammarli. Tira

56 G. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, cit. 57 N. Pollastri, Consulente filosofico cercasi, Apogeo, Milano, 2007, p. 30.

fuori ciò che non vogliamo vedere e ci sbarra la strada con ciò che minaccia di buttarci fuori dalla carreggiata”.58

La consulenza filosofica infatti non viene incontro e non asseconda il “bisogno” della persona, ma cerca di opporvisi, insegnando a controllarlo, a razionalizzarlo, a comprenderlo, quindi: essa intende aiutare l’individuo, attraverso un percorso di riflessione, a capire che non esiste una sola verità che ci viene imposta ma che si deve tentare di capire le proprie verità, farle proprie in modo profondo, e aprirsi al dialogo.59

“La consulenza filosofica, dunque, non ha per niente di mira e né pretende di risolvere i problemi dei consultanti. Né potrebbe, dato che la filosofia non “risolve” i problemi, ma li analizza per comprenderli, li riformula alla luce delle sue scoperte, li trasforma, li contestualizza, dà loro un senso, li include in modo nuovo all’interno di una più ampia e profonda visione del mondo”.60

Dalle considerazioni che sono state fatte fino ad ora consegue direttamente che la consulenza filosofica è filosofia, e nient’altro; con essa condivide i tratti essenziali, ma li mette in pratica su un terreno diverso da quello della filosofia tradizionale, ovvero quello della realtà concreta e quotidiana, con individui particolari e “non filosofi”. La sua missione sarà quella di andare alla ricerca degli aspetti che caratterizzano la realtà quotidiana del singolo individuo.61

In questo panorama, la consulenza filosofica propone un modo, tanto nuovo quanto antico, di aiutare le persone a riflettere sulla propria vita e a chiarificarne gli aspetti problematici, senza però dare risposte o soluzioni “già pronte”. Il suo “scopo” è di andare incontro all’individuo per accompagnarlo nella riflessione, attraverso il libero dialogo; lo “scopo” della consulenza filosofica, per citare un frammento di Novalis inserito nel libro di Achenbach, è quello di vivificare, ravvivare il modo di pensare di colui che cerca una consulenza sulla vita:

58

G. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, cit., p.118.

59

N. Pollastri, Il pensiero e la vita. Guida alla consulenza e alle pratiche filosofiche, cit.

60 N. Pollastri, Consulente filosofico cercasi, cit., p. 45. 61 Id.

“[…] ciò che la consulenza filosofica intende essere; lo posso dire in forma brevissima con un aforisma di Novalis: “filosofare è deflemmizzare e vivificare””.62

In altri termini, l’esperienza comune a tutti noi, di non riuscire a vedere un problema che in una sola prospettiva, cosa che di norma ci fa credere di essere senza via di uscita e di non farcela proprio a risolverlo, è il caso tipico per la consulenza filosofica, che attraverso la riflessione aiuta l’individuo a districare e ad “aprire” il pensiero, a vedere nuove prospettive, a cogliere, insomma, altri aspetti del problema. Nel libro Il pensiero e la vita, l’autore Neri Pollastri, racconta la sua esperienza personale, aggiungendo, inoltre, che la maggior parte delle persone con cui ha intrattenuto consulenze filosofiche avevano problemi riconducibili alla sfera delle relazioni: crisi sentimentali, rapporti difficili con l’altro sesso o, più in generale, con le altre persone, anche in ambito lavorativo. Ma perché queste persone si sono rivolte proprio ad un consulente filosofico? Come testimonia l’autore, per alcuni, ad esempio, era stimolante l’idea di potersi confrontare con una persona abituata a riflettere e ad occuparsi dei “grandi problemi” e dei grandi del pensiero, sebbene il confronto che li interessava non vertesse su queste cose, ma su loro stessi. Altri, invece, ritenevano il filosofo la persona più adatta ad occuparsi dei loro problemi. Altri ancora, racconta Pollastri, erano persone che avevano già avuto esperienze insoddisfacenti con psicoterapeuti e, per questo motivo, sentivano la necessità di trovare forme di verse di ricerca interiore.63

“La consulenza, quindi, regala l’opportunità alla filosofia (sempre più in decadenza) di essere rilanciata a livello sociale, rinnovandone forme e contenuti e mostrando, finalmente, come la filosofia, sempre più nel corso dei secoli e della sua storia, abbia scordato e reso irrilevante il peso della vita reale, trasformandosi in una riflessione che, troppo spesso, si conclude in un teorizzare astratto. Non perché del tutto sbagliata, ma perché mancante di un collegamento diretto con la vita”.64

Per adempiere correttamente a questo compito, quindi, non basta essere un mero “esperto” della filosofia, ma è necessario che si sia maturato la capacità di vivere filosoficamente, cioè tenere e mantenere un atteggiamento filosofico di fronte ai problemi della vita. Questo è di fondamentale importanza non solo perché il

62 G. Achenbach, Filosofia come professione, in La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, cit., pp. 78-79.

63 N. Pollastri, Il pensiero e la vita. Guida alla consulenza e alle pratiche filosofiche, cit. 64 N. Pollastri, Consulente filosofico cercasi, cit., p. 76.

consulente potrebbe risultare incapace di fare quel che serve, ad esempio riducendosi a mero dispensatore di consigli (magari anche poco attinenti con la problematica vissuta dal consultante), ma anche e soprattutto perché il consulente deve affrontare con la massima serenità l’incontro.

E’ importante, infatti, che il consulente, in perfetta linea con la concezione “socratica”, ritenga che la condizione da cui può prendere avvio la ricerca filosofica consista nella coscienza della propria ignoranza, al fine di compiere una ricerca, in maniera continua e attraverso il dialogo, sui problemi umani. Per questo motivo il filosofo deve astenersi dall’insegnare, dal consigliare, stimolando, invece, il consultante ad esaminare la sua vita e i suoi problemi da un diverso punto di vista. Il fine del dialogo filosofico non è la risoluzione di un problema specifico quanto piuttosto la comprensione dello stesso in una luce più ampia.

“La consulenza filosofica è un libero dialogo” in cui “si mette il pensiero in movimento” e “si filosofa”65

A partire da questa affermazione di Achenbach sorge spontaneo chiedersi se tutto ciò, al giorno d’oggi, possa davvero diventare un lavoro retribuito o comunque, se lo possa diventare senza degenerare in un qualcosa d’altro (vale a dire ridurre il consulente filosofico ad un mero dispensatore di consigli) che andrebbe a tradire le intenzioni di partenza. Lo stesso Achenbach se lo chiede pervenendo, tuttavia, ad una risposta negativa.

E’ bene ricordare, anche se pochissimi consulenti al mondo vivono solo di essa, che la consulenza filosofica è diventata un lavoro retribuito. Sorge spontaneo chiedersi, a questo punto, da dove nasce questa esigenza; è forse aumentata la richiesta di filosofia? O forse, che tale professione ha dovuto rinunciare ad essere un qualcosa di prettamente filosofico, per rendersi più appetibile presso il largo pubblico, travestendosi da “professione di cura”? Probabilmente molti consulenti filosofici hanno optato per questa seconda versione della consulenza filosofica.66

Va comunque affermato che la consulenza filosofica, nel senso stretto del termine, esiste, tuttavia non deve la sua esistenza ad una vera e propria richiesta di filosofia. Come testimonia un buon numero di consulenti filosofici, la maggior parte delle

65 G. Achenbach, Filosofia come professione, in La Consulenza filosofica. La filosofia come opportunità di vita, cit. pp.69-70.

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persone che richiede una consulenza, lo fa per risolvere dei problemi molto pratici e non tanto con l’intenzione di “filosofare”.

Ma, come è stato affermato poco sopra, se il dialogo che si attua nella consulenza filosofica non mira a risolvere i problemi ma solo a chiarirli e a comprenderli nel migliore dei modi, sarà compito del consulente filosofico fare luce su quelli che sono i fini della sua pratica. In questo modo, il consultante, potrà decidere se proseguire con questa strada oppure rivolgere la sua richiesta di aiuto altrove. Tutto ciò rappresenta una vera e propria sfida per la filosofia stessa. Essa, infatti, in tal modo, si propone di educare alla domanda di senso, di cercare di condurre ad una conoscenza più chiara dei fatti che riguardano la nostra esistenza e, sostanzialmente, ad una maggiore consapevolezza di sé e del mondo circostante.67

Ed è proprio in tal senso che, la consulenza filosofica, può assumere la forma di relazione di aiuto filosofico; educando alla domanda di senso, infatti, la consulenza filosofica permette di guardare in modo diverso il mondo che ci circonda (e anche quello interiore) cercando, così, di condurre alla consapevolezza della propria forza di dominare il dolore. Quindi, anche in casi di dinamiche familiari e/o di coppia