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Separazione e divorzio: come i coniugi affrontano la crisi.

segnato il XX° secolo.

3.3 Separazione e divorzio: come i coniugi affrontano la crisi.

Prima di entrare nel vivo della questione che verrà affrontata in questo paragrafo, ovvero il momento in cui due coniugi affrontano il delicato percorso della separazione, è utile osservare come i contributi di taglio demografico e sociologico mettano in evidenza le tendenze che, anche in Italia, stanno modificando le relazioni di coppia, le modalità di “fare famiglia”, le esperienze di paternità e maternità.

Con il termine “instabilità coniugale” si intende l’interruzione volontaria o accidentale di una storia matrimoniale; come osserva la sociologa Laura Arosio81 oggi, sempre più spesso, la rottura del matrimonio avviene in seguito a separazione legale o a un divorzio, frutto di una scelta degli individui. Se infatti, fino agli anni sessanta e settanta del Novecento, in tutti i paesi occidentali la causa principale della rottura del legame coniugale era la morte di uno dei coniugi (nonostante fossero presenti casi di allontanamenti e abbandoni, separazioni di fatto o di diritto), oggi la fine del legame di coppia nasce da una precisa volontà degli individui ed è sempre meno determinata da eventi da essi non controllabili, come ad esempio la morte. Questo fenomeno è stato registrato maggiormente nelle società occidentali contemporanee, sia nei paesi in cui il fenomeno fa sentire un’incidenza maggiore (Stati Uniti, paesi dell’Europa settentrionale e orientale), sia nei paesi in cui i numeri delle separazioni legali e dei divorzi sono ancora relativamente contenuti (i paesi dell’Europa meridionale ad esempio, tra cui l’Italia).

Ma quali sono le spiegazioni più plausibili per interpretare l’aumento dell’instabilità coniugale con conseguenti separazioni legali e divorzi? Sono in gioco svariati fattori che coinvolgono trasformazioni avvenute sia dal punto di vista economico che da quello culturale. Dal punto di vista degli aspetti economici, attraverso il lavoro retribuito, le donne, hanno acquisito una maggiore autonomia finanziaria, fattore questo che ha reso più facilmente percorribile la strada della separazione alle coppie in crisi. Infatti, nelle famiglie di un tempo, il lavoro era svolto all’interno delle mura domestiche e diviso fra i membri della famiglia, porre fine al matrimonio avrebbe significato spezzare l’organizzazione che consentiva il sostentamento di tutti i familiari, fortemente interdipendenti tra loro.

81 L. Arosio, Stabilità e instabilità coniugale: la rottura del matrimonio via separazioni legali e divorzi, in E. Ruspini (a cura di), Studiare la famiglia che cambia, Carocci, Roma, 2012.

Dal punto di vista delle trasformazioni culturali invece, è importante ricordare che si è radicata sempre di più l’idea per cui la gratificazione derivante dal rapporto di coppia sia l’elemento fondante della solidità del legame matrimoniale. Quando questo non avviene, oggi, sempre più spesso, ci si sente autorizzati ad interrompere e a sciogliere la relazione (e magari a sostituirla con una più soddisfacente).

La causa di questo cambiamento, molto probabilmente, è da ricercare nella diffusione di valori quali autorealizzazione, indipendenza e ricerca della soddisfazione personale, che hanno portato conseguenze anche nelle relazioni personali e di coppia facilitando la diffusione dell’instabilità coniugale.82

A tal proposito, di notevole interesse, sono le riflessioni di Pierpaolo Donati: “[…]. Interviene il cosiddetto processo di “individualizzazione degli individui”. Mentre ancora negli anni Settanta si parlava di “narcisismo” di coppia, questo termine sembra scomparso con la fine del secolo scorso. La sostanza resta, ma viene rimossa. Adesso si parla della coppia come luogo in cui due soggetti individuali cercano la propria affermazione attraverso la loro relazione. Ogni individuo pensa la coppia in funzione di sé. E ciò è considerato necessario se non si vuole alienare l’individuo. La struttura sociale e culturale della coppia diventa il frutto delle scelte soggettive dei due partner. Con ciò la relazione di coppia è destinata a svuotarsi, e comunque a incontrare crescenti problemi di comprensione e adattamento fra i partner”.83

Pierpaolo Donati, continuando la sua riflessione sul legame di coppia, parla di “morfogenesi della coppia”. Con tale termine, egli, indica l’attitudine della coppia di oggi ad una incessante ricerca della sua forma attraverso processi che mettono in causa la libertà di ciascun partner, la loro uguaglianza morale e giuridica, la reciprocità negli scambi di vita quotidiana, il bisogno di ridefinire continuamente le ragioni della loro solidarietà.

In questa incessante ricerca della sua forma, le coppie di oggi, sembra, quindi, che valorizzino l’Io di ciascuno dei componenti, lasciando poco spazio al “Noi” della coppia. Questa concezione alimenta un clima di precarietà in cui poche coppie, infatti, riescono a concretizzare il progetto di un “Noi” che sia espressione di dialogo, di comunicazione, di esperienze vissute in maniera “duale”; troppo spesso, invece, si intende il rapporto come una semplice condivisione dei problemi e delle difficoltà.

82 L. Arosio, Stabilità e instabilità coniugale: la rottura del matrimonio via separazioni legali e divorzi, in E. Ruspini (a cura di), Studiare la famiglia che cambia, Carocci, Roma, 2012.

Tuttavia la coppia di oggi non è consapevole e non riesce a vedere le ragioni della propria morfogenesi, ma anzi:

“Il più delle volte si pensa come morfostatica, vorrebbe vivere “sempre così”, come è riuscita ad essere in un qualche momento magico. Vorrebbe riprodursi nella forma in cui si è sperimentata nei giorni della grande sintonia, fusione, compenetrazione intesa reciproca. Deve continuamente negoziare la relazione interna (nella divisione dei compiti, nelle decisioni da prendere, nel fare questo o quello). Deve continuamente bilanciare rapporti con le famiglie di origine, con gli amici, i vicini, i parenti, i colleghi di lavoro, i compagni di associazioni o organizzazioni volontarie, le istituzioni pubbliche, e poi, quando avesse dei figli, con la scuola per i figli e i servizi sanitari e sociali per loro, e così via”.84

E’ quindi facilmente intuibile che, in tutte queste situazioni, risulta difficile bilanciare la libertà e l’uguaglianza nella coppia; solo impegnandosi profondamente per generare un “Noi” volto a valorizzare le individualità senza annullarle, la coppia potrà vivere e crescere e rispondere alle sfide che la moda culturale pone.

“La coppia si assicurerà un buon futuro se saprà gestire la relazione che coesiste tra i due componenti: se la coppia non è in grado di vedere la propria relazione ma pensa e agisce come se fosse costituita da due individualità che si fanno fronte come tali, allora è quasi inevitabile che perisca; la relazione, invece, esiste solo se è continuamente presa a cuore e se viene coltivata come bene in sé, rendendo più autentiche le individualità dei due partner, più libere e più capaci di rispondere all’Altro”.85

Le coppie del terzo millennio sono molto esigenti quando si tratta di amore, soprattutto quando si parla di amore matrimoniale; al giorno d’oggi infatti, investiamo molto sulla qualità del rapporto amoroso, ci conosciamo, decidiamo di convivere e poi sposarci non coscienti del fatto che, proprio quello stesso matrimonio, sarà continuamente confrontato con la soglia minima di soddisfazione che entrambi i partner si aspettano di ottenere.

Oggi, infatti, fa notare Rivolta, è spesso l’andamento piano e lineare a indurre a riflettere e a seminare dubbi sullo stato della coppia; è facile che i coniugi si sentano prede di una relazione senza vitalità.

84Id., p. 152. 85 Id. p.

Di nuovo Rivolta fa notare che, in numerosi incontri di attività clinica tenuti con genitori in piena crisi matrimoniale, la maggior parte questi ultimi descrive una situazione non necessariamente turbata da forte conflittualità e incomprensioni, ma piuttosto una sorta di deserto affettivo, in cui entrambi i coniugi si trovano a dover vagare in cerca di un’oasi di affetti travolgenti e soddisfacenti, che li risvegli da questo torpore che per molti è intollerabile:

“Questo perché la felicità, da obiettivo auspicabile, sembra essersi trasformata in diritto. La trasformazione è avvenuta in modo graduale, sospinta dai movimenti di cambiamento che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni del secolo passato. E’ qui che si radica l’evoluzione del nuovo soggetto umano che oggi si muove sulla scena delle relazioni. […].

Così tra i diritti inalienabili di tutti gli uomini, accanto alla vita e alla libertà, c’è anche la felicità. Se manca, allora ci deve essere un errore, un’ingiustizia. Se è un diritto, e non se ne gode allora, ci deve essere qualcuno che lo nega, o non lo riconosce”.86

Ma da dove nasce questo senso di insoddisfazione, di delusione? Rivolta osserva che ciò che sembra essere andato perduto è la capacità di calarsi nei panni dell’altro. Così ognuno sembra pensare a se stesso concludendo di non ricevere alcunché di buono dalla relazione che sta vivendo, di essere stato ingannato. Nasce quindi, di fronte a questa sorpresa molto sgradevole, un profondo senso di delusione e rabbia.

“Tutto diviene specchio dell’Io, […], il soggetto è tormentato da un interrogativo costante sulla qualità del proprio “sentire”, e l’unica risposta valida alla domanda permanente su se stessi sembra essere: sto bene, sono felice. Il benessere personale, […], costringe i due poli a non poter mediare o, come affermano in molti, a non “accontentarsi””.87

Per poter rimediare alla tranquillità e alla consuetudine che la vita matrimoniale offre, molti escono, evadono in cerca di nuovi inizi, di nuovi brividi che possano rinvigorire l’animo annichilito. Ma questa continua ricerca di un presente sempre migliore non cela altro che l’incapacità, da parte di molte coppie, di immaginarsi all’interno di un percorso di lunga durata in cui vedere la crisi come qualcosa di momentaneo, di passeggero; e non come un movente per porre fine al tutto.

86 S. Rivolta, La nostra famiglia da qui in poi. Affrontare la separazione senza smettere di fare i genitori, cit., pp. 36-37.

Vegetti Finzi osserva che il mal sopportare (il patire) si trasforma in passione quando nel soggetto si insinua l’esigenza di libertà, volta a smantellare il passato, gli obblighi e le necessità familiari, per costruire un nuovo futuro. Ed è in questo momento di crisi che la passione, sconvolgendo l’esistenza del soggetto, mette in gioco nuove sensazioni e nuove percezioni del sé.

Il soggetto, quindi, si lascia travolgere da questo portato passionale, esausto dei costi troppo alti che il vivere insieme impone, speranzoso che questa ventata d’aria nuova sia in grado di risolvere tanti motivi di scontentezza.

Molti, in certa misura tutti, patiscono la famiglia, gli obblighi e le necessità che essa impone; lasciandoci trasportare dalla passione, focalizziamo la nostra attenzione su un oggetto in cui riponiamo speranze e aspettative di rinnovo, nonostante si tratti di un futuro dominato dall’incertezza. Probabilmente, è il brivido dell’ignoto che ci spinge ad andare oltre, che ci fa sentire ancora vivi dentro:

“Nel momento in cui, sottraendosi alla vischiosità della consuetudine, ci si rivela capaci di mettere in crisi l’esistente, di cambiare il corso delle cose, si sperimenta l’inebriante possibilità dell’anticonformismo, della trasgressione, dell’anarchia, della trionfale affermazione di sé.

Sembra allora possibile reimpadronirsi della libertà sacrificata alla convivenza sociale, […].

Chi spezza i vincoli familiari si sente un uomo libero anche se, paradossalmente, nuovi legami lo attendono e motivano la sua decisione ribelle, per cui la libertà appena conquistata è già comunque “condizionata””.88

Quando vivere insieme non significa più condivisione di un progetto comune, ciascuno dei due coniugi- o almeno uno dei due- rientra in se stesso, sentendosi sempre più solo e deluso dalle speranze che erano state riposte in quel progetto di vita e che, invece, sono state infrante. Sono momenti caratterizzati dalla coesistenza di sentimenti positivi (coraggio, amore) e negativi (rabbia, delusione, risentimento); momenti in cui si fa sempre più concreta l’idea della separazione.

Tuttavia, come affermano Anna Coppola De Vanna e Ilaria De Vanna nel loro libro89, di solito i coniugi, al momento della separazione, non arrivano mai preparati e convinti alla stessa maniera; è rarissimo che una separazione sia, a tutti gli effetti,

88 S. Vegetti Finzi, Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, cit., pp. 24-25. 89 A. Coppola De Vanna, I. De Vanna, Ci separiamo. Come dirlo ai nostri figli, La Meridiana,

consensuale per entrambi i coniugi. Nella maggior parte dei casi, infatti, accade che uno dei due decide per primo e comunica la sua volontà di separarsi: il consenso, quindi, diventa una meta da raggiungere.

“Entrambi, uomini e donne, possono imporre oppure subire la separazione coniugale, ma sappiamo che nella maggior parte dei casi è lui a prendere l’iniziativa e lei, più o meno faticosamente, ad accettarla e legalizzarla, anche se ormai l’omologazione tra i sessi tende, come in ogni campo, a livellare progressivamente le differenze”.90

Il coniuge che lascia è, solitamente, esaltato dalle novità che gli si prospettano in seguito alla mutata situazione; si sente forte, temerario, sa che sta affrontando dei rischi ma dal momento che ha deciso lui/lei stesso/stessa di intraprendere questa nuova strada, tutto ciò che gli/le sta attorno viene percepito più distaccatamente. Talune volte, può anche arrivare a vedere le persone più vicine a lui come presenze d’intralcio nella realizzazione del suo progetto.

Può accadere anche che chi lascia non abbia già incontrato un nuovo partner, ma la pretesa di ricominciare da capo è già un motivo sufficiente per sperare di trovarlo.

“In questa fase, il narcisismo, gli impedisce di percepire i sentimenti altrui e di considerare i danni prodotti nella vita delle persone che sino a poco prima gli stavano più a cuore. L’onnipotenza dell’immaginario gli garantisce che tutto sta avvenendo senza colpa e senza danno, come in un sogno. […].

Sentendosi innocente, non esita a rivelare i suoi intenti, a chiedere agli altri partecipazione e approvazione. Solo lentamente le reazioni negative che suscita, le espressioni di stupore, di delusione e di rabbia che il partner ferito gli rinvia, lo inducono a uscire dall’illusione che la rottura possa consumarsi in modo indolore e ad affrontare il fatto che le relazioni si decostruiscono lentamente, molto più lentamente di quanto si siano costruite”.91

Spesso, tuttavia, accade che nel momento in cui risulta evidente e necessario prendere una decisione, emergano timori, ansie, paure e sensi di colpa; così all’euforia iniziale si affiancano la paura di fallire, di essere abbandonati e di non essere capaci di affrontare il passaggio da una storia ad un’altra. Solo quando il senso

90 S. Vegetti Finzi, Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, cit., p. 31. 91 S. Vegetti Finzi, Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, cit., pp. 31-32.

di colpa verrà sostituito da convinzione e responsabilità, il coniuge che ha intenzione di abbandonare il tetto coniugale, sarà veramente pronto ad andarsene. 92

Ecco perché, in quella dolorosa fase che precede la separazione, si insinua quel logorante periodo di incertezza che alimenta le speranze (o forse le illusioni) di chi spera nella ricomposizione del nucleo familiare. E’ in questo periodo connotato da sentimenti negativi quali il dolore, la rabbia, la frustrazione misti a speranze di riconciliazione che, talvolta, può accadere che si instaurino delle dinamiche di potere all’interno della coppia. Vediamo come, partendo con l’esaminare anche la condizione del coniuge passivo. Egli (o ella nel caso in cui si tratti di una figura femminile), anche se razionalmente riconosce la crisi coniugale, non è psicologicamente ed emotivamente pronto a separarsi:

“Può vivere l’evento come uno shock, può reagire con incredulità, minimizzando o negando l’altro e a se stesso la veridicità e la fermezza della decisione; può provare sentimenti di panico, di angoscia, di caos; può mettere in atto tentativi di riavvicinamento, quasi a negoziare un nuovo inizio ora che appare vicina la fine. Questi tentativi possono essere reiterati anche di fronte a costanti rifiuti e ad atteggiamenti di chiusura da parte dell’altro. La conseguenza frequentemente è quella di vivere momenti di grande dolore e di grande rabbia, di alternare le suppliche alle accuse”.93

Come era già stato detto in precedenza, il momento della separazione si carica e porta con se un grande potenziale passionale. Alla stessa maniera di chi lascia, anche colui o colei che ha ricevuto la separazione come un’imposizione, sottolinea Vegetti Finzi, viene travolto dalla passione, ma le connotazioni nel suo caso sono diverse:

“L’abbandono passivo riattiva sensazioni remote, connesse ai primi vissuti infantili, quando la dipendenza dai genitori toccava il picco massimo che trovarsi soli avrebbe significato morire. […].

Sentendosi estremamente fragile, il soggetto che subisce la separazione, teme di smarrirsi, di non farcela, di perdere la sicurezza e la fiducia su cui poggiano le basi dell’identità.

92 D. Francescato, Quando l’amore finisce, Il Mulino, Bologna, 2012.

La paura che il dissolvimento del legame determini un dissolvimento di sé è particolarmente intensa quando una persona, perlopiù donna, non è economicamente autonoma oppure non ha una vita sociale al di fuori della famiglia”.94

Questo può causare casi di depressione nel partner passivo al punto che può accadere anche che, colui (o colei) che lascia possa sentirsi responsabile della fragilità del partner sino ad assumere le vesti del soccorritore, oltre che dell’aggressore andando così ad alimentare, nell’abbandonato, la speranza che tutto possa tornare come prima.95

Pur essendo animati da sentimenti diversi e contrastanti, sia il partner che propende per la separazione sia quello che la subisce, instaurano una sorta di “dominio” l’uno sull’altro, rischiando di cadere in un circolo vizioso dal quale è molto difficile uscire. Come è già stato detto in precedenza, il coniuge che propende per la separazione, nonostante l’euforia di intraprendere un nuova strada che, probabilmente, lo farà sentire di nuovo vigoroso, spesso viene attanagliato da timori, paure e sensi di colpa, prolungando ulteriormente il periodo di riflessione che precede la separazione. In questo modo, oltre ad alimentare le speranze (o forse le illusioni) del coniuge che subisce la decisione, tiene in scacco anche i suoi sentimenti, la sua possibilità di affrontare il “lutto” derivante dalla separazione e, perché no, successivamente, di rifarsi serenamente una vita.

Dal canto suo, il coniuge passivo, può esercitare il suo “dominio” (inconsapevolmente o meno) sull’altro mostrandosi estremamente vulnerabile, fragile, bisognoso di aiuto e insicuro circa il futuro; così facendo, l’Altro, ancor più preda di timori e sensi di colpa, assumerà le vesti del “soccorritore” nonostante i suoi progetti e i suoi desideri reali siano rivolti altrove, al di fuori di quel nucleo familiare. Alimenterà così le speranze di riunificazione del coniuge passivo, di cui si diceva poco sopra.

Inconsapevolmente o meno, i coniugi, prede di sentimenti contrastanti, esercitano l’uno sull’altro uno stato di dominio che non permette loro di vedere e di affrontare le cose razionalmente, lucidamente, per evitare ulteriori sofferenze a tutti i componenti della famiglia, figli compresi:

94

S. Vegetti Finzi, Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, cit. p. 35.

“Ciò che è triste davvero, quando finisce un amore, è rinnegarsi a vicenda, strappare le fotografie, maledire i momenti trascorsi insieme quando c’era ancora l’amore e la passione. Mai buttare a mare i ricordi, le sensazioni di tanti momenti magici. Non bisogna mai sporcare le pagine del libro della nostra vita.

Dovremmo invece imparare a fare l’eutanasia a un amore quando si ha la certezza che esso è diventato un malato terminale, ad accompagnarlo alla morte dolcemente, a guardare avanti senza coltivare sentimenti negativi verso l’ex partner di un anno o di una vita intera. Occorrerebbe doverosamente farlo per noi stessi e soprattutto per i figli. […].

A volte lasciarsi è una salvezza, è l’inizio del secondo tempo della nostra vita, è una rivincita, un atto dovuto, un momento d’amore verso se stessi. Penso che stare insieme a tutti i costi, in una sorta di accanimento terapeutico per salvare un amore malato, sia un crimine morale, un inutile martirio, il viatico di una tragedia”.96

Le parole di Gassani esprimono al meglio il senso della riflessione.

Amare è un soffio verso l’altro; è un cammino che ha inizio con la fase idilliaca dell’innamoramento e si “conclude” con la trasformazione di quest’ultimo in Amore, sentimento ben più profondo e più complesso del primo.

Nonostante ciò può accadere che, ad un certo momento della vita, proprio quel potente e solido sentimento chiamato Amore, si stanchi, cambi strada e si perda.