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4.4 WHR in raffinerie del petrolio

5.1.4 Componenti ORC

Scambiatori di calore

Figura 5.8: Struttura di un sistema ORC realizzato da Turboden

Un ORC necessita di almeno due scambiatori di calore per l’adduzione di calore e la cessione di calore del sistema (altri scambiatori come il rigeneratore possono essere inseriti in aggiunta). L’evaporatore può essere suddiviso in una sezione di preriscaldamento e in una evaporativa al fine di ottimizzare la geometria dello scambiatore suddividendo tra singola fase miscela bifase, tuttavia negli impianti di piccola taglia l’evaporatore consiste di un singolo dispositivo per motivi economi- ci. Per molte applicazioni la tipologia degli scambiatori è la solita di quella usata nel campo della refrigerazione. I tipi di scambiatori più usati sono quelli shell and tube, scambiatori a piastre, a spirale e coassiali. I primi sono utilizzate negli impianti più grandi o in tutte quelle applicazioni dove la temperatura o la pressione sono superiori alle massime sopportate dalle altre tipologie di scambiatori.

Nella scelta di uno scambiatore è vitale, compatibilmente con costo e ingombro, minimizzare il valore del pinch point e le perdite di carico. Un vantaggio degli scambiatori a piastre è la com- pattezza che comporta bassi volumi di ingombro a parità di superficie di scambio. L’uso di fluidi organici ad alta temperatura può causare maggiore fouling e corrosione sulla superficie di scambio che portano ad un deterioramento di questa e ad un successivo danneggiamento. Per questo motivo nelle applicazioni geotermiche e in quelle WHR è necessario adottare un materiale di costruzione

più resistente come l’acciaio inossidabile o per fluidi più aggressivi, il titanio. Questo comporta un netto aumento dei costi (1,4 volte più costoso usando acciaio inossidabile).

Dispositivi di espansione volumetrici

L’espansore è il dispositivo più importante di un sistema ORC. A seconda della taglia del sistema possono essere usati espansori dinamici o volumetrici. La scelta dell’espansore deve essere fatta in funzione di:

• potenza dell’impianto;

• titolo del vapore a fine espansione; • portata volumetrica;

• pressione e temperatura di ammissione; • tipo di fluido;

• necessità di sistema di lubrificazione; • costo.

Gli espansori volumetrici sono adatti per lavorare in applicazioni di piccola taglia (potenze anche in- feriori a 100 kWe) a causa del basso costo e della bassa portata elaborabile, mentre i turboespansori sono più adatti per impianti di grossa taglia grazie alla loro efficienza.

(a)Schema di espansore a vite ( Screw) (b)Schema di espansore scroll

Differenti macchine volumetriche hanno buone performance per differenti potenze: gli scroll sono idonei per taglie molto piccole (<100 kW), mentre gli espansori a pistoni e gli screw si

adattano per sistemi più grossi (fino a centinaia di kW per quelli a pistoni e fino a 1 MW (per gli espansori a vite). Altri tipi di espansori volumetrici sono gli espansori a palette mobili e quelli derivati dal motore Wankel. Gli espansori volumetrici sono descritti da un ciclo di riferimento caratterizzato da alcuni parametri che definiscono la performance del dispositivo.

(a) Ciclo ideale di riferimento di un espansore

volumetrico (b)lavoro di un espansore volumetricoSovra-espansione e sotto-espansione nel ciclo di

Il ciclo prevede le seguenti fasi:

• 1-2: ammissione a pressione costante; • 2-3: espansione;

• 3-4: scarico spontaneo a volume costante; • 4-5: scarico a pressione costante;

• 5-6: ricompressione;

• 6-1: ammissione a volume costante;

I seguenti parametri definiscono nel dettaglio un generico ciclo dell’espansore volumetrico: • grado di spazio morto µ = V1

V ; • grado di ammissione σ = V2−V1 V ; • grado di espansione  = V3 V2; • grado di ricompressione γ = V5−V6 V ;

Come si vede dalla figura del ciclo di riferimento, la trasformazione di espansione non è condotta fino alla pressione di scarico, ma si ha un anticipo di apertura della valvola di scarico che determina un deflusso spontaneo del vapore espanso comportando la cosiddetta perdita di lavoro triangolare (si

sta perciò lavorando in condizioni di sotto-espansione) che tuttavia, comporta una limitazione del consumo di lavoro durante la fase di scarico forzato. Nell’operare con fluidi organici è consigliabile lavorare in sotto-espansione al fine di evitare fenomeni di sovraespansioni, i quali si verificano quando la pressione di fine espansione è più bassa di quella di condensazione. Questa sovra- espansione causa una forte perdita di lavoro utile in quanto la parte di ciclo che si viene a formare viene percorsa in senso antiorario e comporta una spesa di lavoro. La massa introdotta in un espansore volumetrico per ogni ciclo di lavoro è data, in condizioni ideali, dalla seguente relazione:

m = σρV + ρV1

P1− P4

P1

!1k

(5.8)

e la portata massica è data da ˙m = m · n

60. Nell’espressione della massa introdotta in ogni ciclo

si noti che il primo termine quantifica l’ammontare di fluido immesso nella fase di ammissione a pressione costante, mentre il secondo termine quantifica quello immesso a volume costante al termine della ricompressione. Generalmente si può esprimere la potenza sviluppata dal dispositivo e il rendimento isoentropico del dispositivo come:

˙ W = n 60· I pdV (5.9) ηis= ˙ W ˙ m∆his (5.10)

Dispositivi di espansione dinamici

Gli espansori dinamici usati nei sistemi ORC differiscono notevolmente dalle turbine a vapore e dalle turbine a gas a causa delle proprietà del fluido. Le turbine per ORC hanno le seguenti caratteristiche:

• basso numero di Mach all’uscita dell’ugello statorico in modo da ridurre la perdita per onda d’urto. A causa della bassa caduta di entalpia specifica e della bassa velocità del suono di un fluido organico dato dall’alto peso molecolare è necessario determinare un grado di reazione ottimale per ridurre la velocità del vapore all’uscita dello statore. La maggiore limitazione di una turbina ORC non è quindi sulla velocità periferica alla punta (tip), ma sul numero di Mach nell’ugello e nel rotore che può causare choking (bloccaggio della portata). La letteratura in questione raccomanda di non andare oltre numeri di Mach di 0,85 [47]); • per una data differenza di temperatura, le turbine ORC hanno a disposizione un rapporto

di espansione maggiore (P1/P2), ma salti entalpici più bassi del vapore, ciò incrementa le perdite del dispositivo;

• i fluidi organici hanno, in fase vapore, un volume specifico più basso di quello dell’aria e del vapore, così che le turbine necessitano di più ridotte sezioni di passaggio. Inoltre, usando fluidi dry, il vapore espanso resta surriscaldato evitando ogni problema di formazione di goccioline;

• fintanto che le turbine per fluidi organici hanno piccole taglie, ci possono essere problemi di sovra-velocità durante le variazioni di carico.

Generalmente nelle turbomacchine le principali cause di perdita sono: • trafilamenti interni attorno al rotore;

• perdite ai cuscinetti;

• perdite aerodinamiche (onde d’urto e attrito ventilante);

• perdita di energia cinetica contenuta nel flusso allo scarico che non viene recuperata. Le turbine assiali, le quali sono le più diffuse turbine per aria e vapore acqueo, non sono così diffuse nella tecnologia ORC. A causa del basso salto entalpico il numero di stadi assiali richiesti è normalmente limitato a due o tre. In molti casi le turbine assiali ORC non sono dotate di sistemi di ammissione parziale (normalmente le turbine assiali ad azione consentono l’ammissione parziale proprio grazie al regime fluidodinamico in cui operano, mentre le turbine assiali ad azione non pos- sono essere parzializzate), ma sono regolate per strozzamento di un’apposita valvola di regolazione, la quale comporta una consistente decurtazione dell’efficienza in off-design.

Le turbini radiali sono normalmente preferite a quelle assiali, in quanto possono avere curve di ren- dimento più valide se paragonate a quelle delle turbine assiali, grazie all’efficiente parzializzazione ottenuta facendo uso di IGV (inlet guided vane). In generale le turbine radiali sono di più semplice e produzione e presentano una maggiore rigidezza strutturale per il modo in cui le palette sono vincolate alla radice. Di solito vengono preferite alle turbine assiali in condizioni di basse portate e/o alti salti entalpici. Le turbine radiali proposte sono sia di tipo centripeto (radial inflow) che di tipo centrifugo (radial outflow). Le prime sono composto da un rotore unico integrato in uno statore che può essere a vani (o ugelli) fissi o variabili. L’ammissione è alla periferia ed è scaricato attraverso un condotto centrale. La geometria è tale da conferire robustezza, specialmente alle alte velocità di rotazione. Le seconde sono state proposte all’inizio degli anni ’70 ma la loro diffusione è ancora limitata. In questo tipo di turbina l’ammissione del vapore è al centro del dispositivo e lo scarico avviene alla periferia. L’area di passaggio disponibile per il fluido è più grande, ciò limita le perdite fluidodinamiche e permette un miglior accoppiamento in caso di installazioni multistadio.

(a)Turbina assiale monostadio per ORC (b)Schema di turbina radiale centripeta con sistema IGV variabile

(c)Triangoli di velocità in uno stadio assiale di espansione

(d) Rappresentazione di una turbina radiale centrifuga

Il maggior difetto della turbina radiale centrifuga è che, l’avere un flusso che attraversa il campo di moto centrifugo da intensità minori a intensità maggiori dello stesso, comporta una riduzione del lavoro specifico estraibile dal kilogrammo di fluido, in accordo con l’equazione di Eulero:

L = c 2 in− c2out 2 + w2 out− win2 2 + u2 in− u2out 2 (5.11)

Ecco che generalmente le tipologie di turbine maggiormente convenienti nei sistemi ORC sono le turbine assiali e le turbine radiali centripete.

Come specificato in precedenza, alti rapporti di espansione, bassi numeri di Mach del fluido organico possono comportare flussi transonici o supersonici che possono portare a onde d’urto che dissipano energia. Per questi motivi e a causa dei diversi gradi di reazioni usati con i fluidi organici è necessario procedere nel design di queste macchine facendo uso di relazioni e metodologie specifiche.

I principali parametri adimensionali utilizzati per caratterizzare le turbine a vapore sono: • coefficiente di lavoro φ = √uin 2∆his (5.12) • velocità specifica ωs= ω p ˙Vout ∆h 3 4 is (5.13) • diametro specifico Ds= Dout h 1 4 is p ˙Vout (5.14)

• il rapporto dei volumi

r = ˙ Vout ˙ Vin (5.15) • grado di reazione R = ∆hrot ∆htot (5.16)

Vin, Vout e ∆his sono noti dal processo in esame e uout, N,Dout e R sono il risultato di un’otti-

mizzazione. Inoltre, uout = π · 60n · Dout perciò è anche possibile ridurre il numero di parametri

adimensionali da utilizzare nella trattazione. La determinazione dei valori ottimali passa attraver- so un processo iterativo, nel quale si massimizza l’espressione empirica dell’efficienza isoentropica tenendo conto di una serie di vincoli legati al massimo Mach consigliato e alla massima velocità periferica consentita. Un ulteriore parametro utilizzato nel design delle turbine è il parametro di taglia, il quale è collegato alla taglia e al costo della turbina; più basso è il parametro di taglia è più piccola è la turbina:

S.P. = p ˙Vout

h14

is

(5.17)

Questo parametro tiente anche conto della diminuzione di efficienza a causa delle forze viscose. Difatti, le forze viscose, le quali sono causa di perdite aerodinamiche sono più consistenti delle forze d’inerzia nelle piccole turbine a causa del più basso rapporto tra flusso volumetrico e superficie bagnata In seguito al processo di ottimizzazione, il risultato ottenuto deve soddisfare i requisiti del sistema in termini di flusso massico. Generalmente le turbine ORC lavorano in condizioni di bloccaggio nell’ugello e il flusso massico può essere espresso come:

˙

m = ρcr· ccr· Ω (5.18)

dove ρcr, ccre Ωsono rispettivamente: densità critica, velocità critica e area di passaggio della gola

determinare la portata massica a partire dalle condizioni di efflusso dell’ugello (ciò non è possibile in caso di efflusso supersonico in quanto le informazioni, le onde di pressioni, non possono risali- re la corrente, la quale viaggia ad una velocità maggiore di quella di propagazione delle onde di pressione). Esistono numeroso parametri che influenzano la selezione dell’espansore, quali l’effi- cienza isoentropica, la potenza da installare, il rapporto delle pressioni, il rapporto di espansione, l’equilibrio dinamico e il costo. Le turbine centripete sono quelle che possono raggiungere i più alti valori di efficienza (>0.85) anche se alte velocità di rotazione di queste (tra 17000 e 100000 rpm), richiede l’utilizzo di cuscinetti ad alta velocità e alti costi di manutenzione. Gli espansori volumetrici rotativi sono caratterizzati da velocità di rotazione molto bassi (anche se gli screw oil-free possono arrivare a 20000 rpm).

Le turbine assiali sono quelle in grado di elaborare le maggiori portate volumetriche e le più adatte ad alte potenze, mentre gli espansori scroll sono adatte per valori assai ridotti di portata volumetri- ca e per potenze in output inferiori a 10 kW. Dal punto di vista del design e del costo di produzione, le turbine sono di assai difficile realizzazione e il loro alto costo è giustificato solo in impianti di grossa taglia. Difatti, turbine di piccola taglia devono essere caratterizzate da altissime velocità di rotazione, dotate di perfetta lubrificazione dei cuscinetti, perfetto allineamento assiale dell’albero e scatola del cambio ad alta velocità o, in sostituzione, un generatore elettrico ad alta velocità. Nel caso di espansori volumetrici invece, il costo totale di installazione è vantaggioso per sistemi di piccola taglia anche perché le basse velocità di rotazione permettono l’accoppiamento diretto con il generatore elettrico, tuttavia un grosso problema dei dispositivi volumetrici è la necessità di avere un efficiente sistema di lubrificazione, che comporta l’installazione di un separatore di olio che aumenta la complessità del sistema. Le macchine oil-free non richiedono lubrificazione ma sono caratterizzate da performance più basse a causa della meno precisa tolleranza di lavorazione adottata nel realizzare la parte fissa e la parte mobile, così che le perdite per trafilamento di fluido sono più alte.

Pompa di alimentazione

La pompa rappresenta un altro componente chiave di un ORC, in quanto ha un’influenza maggiore di quella che ha una pompa in un SRC. Il parametro di Back-work ratio tiene conto del rapporto fra potenza necessaria al pompaggio e potenza utile estratta dall’espansore BW R = W˙p

˙

We, questo

parametro incrementa con la temperatura di evaporazione e diminuisce con l’uso di fluidi ad alta temperatura critica. Un tipico problema delle pompe di alimentazione è la cavitazione che si manifesta all’aspirazione della pompa quando il valore della pressione diventa inferiore di quello

della pressione di saturazione a causa di perdite di carico nella linea di alimento della pompa o a causa dell’accelerazione che il fluido riceve dal vano mobile della pompa o a causa di un riscaldamento indesiderato del fluido. La cavitazione è un fenomeno disastroso che deve essere evitate. Un metodo generale per la prevenzione della cavitazione è l’adozione di valori di NPSH,A (net positive suction head, available) maggiori del valore di NPSH,R(net positive suction head, requested). Per soddisfare questa condizione si adottano tre strategie differenti: innalzamento della pressione idrostatica (pompa sotto battente), sotto-raffreddamento e uso di una pompa di pre-alimentazione. Di norma vengono utilizzate le pompe centrifughe grazie all’efficienza più alta.

Refrigerazione: Produzione di

energia fredda

Oggigiorno la produzione di freddo per il raffrescamento degli ambienti e per la refrigerazione costituisce una voce di costo non indifferente tra le spese di installazioni industriali, edifici e altre applicazioni e processi.

I sistemi di refrigerazione sono generalmente classificati in base alla temperatura di lavoro in evaporazione [50]:

• sistemi a bassa temperatura (−40 °C≤ Tev≤ −18°C);

• sistemi a media temperatura (−18 °C≤ Tev< −0°C);

• sistemi ad alta temperatura (Tev> 0°C).

Una delle applicazioni più frequenti legata alla produzione di freddo è la climatizzazione degli am- bienti in condizioni estive o più in generale, il condizionamento dell’aria nei locali in condizioni di temperatura ambiente superiore a quella di benessere. Per questo genere di utenze è necessa- rio provvedere alle condizioni di benessere sottraendo quantità di calore sia in termini di calore sensibile che di calore latente (umidità dell’aria). In genere le macchine frigorifere atte a generare la potenza frigorifera richiesta lavorano con fluido refrigerante che sottrae calore ad un loop di acqua raffreddata, la quale a sua volta sottrarrà calore all’aria destinata all’impianto di areazione nel quale viene convolgiata nei locali alla temperatura di progetto (è richiesto che la temperatura di quest’aria non sia troppi gradi al di sotto delle condizioni ambiente per evitare mancanza di comfort dovuto all’eccessivo ∆T tra locale climatizzato e ambiente non climatizzato, in genere si

ha T=26 - 28 °C a seconda della fascia climatica in questione). Temperature di progetto per la climatizzazione estiva (Cooling) [50]:

• evaporatore: (0 - 5) °C; in funzione della temperatura del locale da condizionare;

• condensatore: (35 - 45) °C, valore dipendente dalla temperatura calda ambiente: quanto più è alta la temperatura dell’ambiente esterno, tanto più lo sarà la temperatura del condensatore della macchina, tenendo conto che quest’ultima deve essere superiore a quella ambiente.

Riferendosi allo studio svolto da Macchi in [51] è possibile esprimere il fabbisogno di potenza re- frigerante in termini specifici, in modo da poter collegare una determinata potenza frigorifera ad un volume di ambiente raffrescato, specificando il tipo di utenza. Dalla tabella (6.1) si può avere

Carico frigorifero annuo Volumetria Fabbisogno specifico [kWhf/anno] [m3] [mkW h3/annof ] Utenza monofamiliare 2463 318 7,75 Centro commerciale 1915000 100000 19,15 Ospedale 800000 42000 19,04 Albergo 718000 43000 16,69 Struttura Polisportiva 126000 9000 14,0 Palazzo Uffici 208500 15000 13,9

Tabella 6.1: Carico frigorifero specifico per diverse utenze in Europa

un’idea del fabbisogno frigorifero specifico di alcune utenze tipiche. Tuttavia il fabbisogno frigori- fero specifico assume valori nettamente diversi a seconda della fascia climatica, del tipo di utenza servita e della tipologia di edificio. Pertanto è uso comune, riferirsi alla potenza frigorifera installa- ta. Questa si identifica nella potenza sottratta all’ambiente attraverso l’evaporatore del Chiller. In ambito di condizionamento dell’aria si utilizza come unità di misura la Ton of refrigeration (TR), unità di misura usata in Nord America e negli stati del MENA con la quale si descrive la capacità di estrazione di potenza termica nei dispositivi di condizionamento dell’aria. In poche parole le tons quantificano la potenza frigorifera estratta all’evaporatore del Chiller. Una ton è definita come l’energia termica sottratta all’ambiente dalla fusione di una short ton (907 kg)di ghiaccio alla temperatura di 0°C per un arco di tempo di 24 ore. Per come è definita una refrigeration ton è un’unità di misura della potenza frigorifera equivalente a 12000 BTU/h o 3,5 kWf.

6.1

Frigoriferi a compressione di vapore

Il ciclo di Carnot inverso è un’architettura di ciclo che non può essere riprodotta nella pratica a causa del fatto che una compressione di una miscela bifase non sia fattibile e a causa della non esistenza di un dispositivo efficiente che realizzi l’espansione bifase. La stragrande maggioranza degli impianti per il raffrescamento e per applicazioni di refrigerazione non criogenica si basa sulla realizzazione impiantistica del ciclo inverso basato sulla compressione del vapore. La diffusione su scala mondiale di questi impianti nel secolo scorso ha rivoluzionato il settore industriale e le abitudini domestiche degli esseri umani. Un consistente numero di applicazioni fa uso di macchine frigorifere a compressione di vapore.

Queste macchine sono dei veri e propri impianti in cui si ha la produzione di freddo a fronte di una spesa di energia utile, la quale può essere fornita da una rete elettrica o da un motore primo (termico o elettrico). Questa tipologia di impianto ha subito una costante evoluzione nel corso degli scorsi decenni, sia a livello prestazionale, che di componentistica che di qualità chimico-fisiche dei fluidi refrigeranti impiegati.

Le macchine frigorifere a compressione di vapore sono equivalenti alle pompe di calore per la produzione di caldo con la sola differenza che i due ambienti termici oltre cui deve evolvere il fluido nel ciclo si scambiano: in una pompa di calore la temperatura alta del ciclo deve essere superiore alla temperatura di comfort che si vuole mantenere nell’ambiente e la temperatura bassa del ciclo deve essere inferiore alla temperatura ambiente, mentre in un ciclo frigorifero avviene l’opposto (anche se il meccanismo e l’architettura impiantistica sono le stesse), in quanto la temperatura alta del ciclo deve essere superiore alla temperatura ambiente, mentre la temperatura bassa deve essere inferiore alla temperatura di comfort (nel caso di raffrescamento di locali) o inferiore alla temperatura di refrigerazione (in caso di celle frigorifere). Il secondo principio della termodinamica insegna che nel realizzare un processo inverso rispetto ad uno che avverrebbe spontaneamente in natura è necessario effettuare un’azione di compenso nei confronti dell’ambiente ovvero è necessario fornire energia di prima specie (ovvero in forma ordinata, come il lavoro meccanico o l’energia elettrica), contrariamente da quanto avviene in un ciclo diretto nel quale il fine è ottenere energia di prima specie.