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5. NATURAL NON-FOOD REMAINS (NFO) Resti di piante, alghe, pomice, pietre, legno e altro.

6.1. Composizione della dieta e prede più important

Gli organismi rinvenuti nel tratto gastrointestinale del nostro campione sono il risultato di un processo di digestione parziale o totale. Questo non significa necessariamente che gli organismi sono sempre completamente digeriti, ma che, parti di tessuti molli, o perfino interi organismi, sono quasi certamente sotto-rappresentati nei nostri campioni. Di conseguenza, i nostri risultati sono probabilmente orientati verso una maggiore percentuale di taxa bentonici, i quali hanno parti più dure e più difficilmente digeribili.

Tra i taxa bentonici, i molluschi bivalvi, gasteropodi e scafopodi costituiscono le prede più importanti sulla base dell’abbondanza e della frequenza di tritrovamento percentuali (Fig. 31, 33). Tuttavia, il loro peso era solo il 5% del peso complessivo delle prede (Fig. 32), a causa delle piccole dimensioni. Il fatto che molte delle specie identificate appartenenti a questo Phylum siano rappresentate da un solo individuo ci fa supporre che un numero elevato di questi organismi possa essere stato ingerito accidentalmente mentre la tartaruga comune si nutriva sul fondo di altri animali. L’importanza di bivalvi e gasteropodi nella dieta di quest’animale potrebbe essere sovrastimata, anche se altri studi riportano la presenza di questi organismi nei contenuti gastrointestinali della tartaruga comune (Casale

et al., 2008a; Tomás et al., 2001). Alcune specie di gasteropodi invece erano ben

rappresentate, come N. mutabilis (50) e T. communis (26), ed erano presenti in diverse tartarughe, e possiamo ritenere che queste ultime rientrino effettivamente tra le prede di questi animali.

Come in altri studi (Burke et al., 1993; Godley et al., 1997), nel campione che abbiamo analizzato, i crostacei, specialmente i decapodi, erano importanti in termini abbondanza e peso percentuali (Fig. 31, 32). Il numero elevato d’individui di L. vernalis, insieme con altre specie abbondanti come C. macandreae (Tab. 3), fa supporre che i crostacei siano

107 effettivamente prede bentoniche tra le preferite della tartaruga comune. L. vernalis è anche una specie pescata con la pesca a strascico e potrebbe essere stata scartata dai pescherecci. Tuttavia, l’alto numero d’individui rinvenuto nel tratto gastrointestinale degli esemplari del nostro campione ci porta a pensare che, anche considerando questa eventualità, questa specie rientri effettivamente tra le prede della tartaruga comune.

La presenza degli echinodermi è bassa (2% delle prede in totale, Fig. 31) e non trova piena conferma in altri studi condotti nell’area Mediterranea. Lavori precedenti (Casale et al., 2008a) hanno mostrato come la presenza degli echinodermi, specialmente gli echinoidei, vari ampiamente tra diverse aree del bacino del Mediterraneo e anche all’interno della stessa area in base a fattori stagionali, evidenziando da parte della tartaruga comune una strategia alimentare opportunista. Il numero elevato di taxa bentonici come crostacei, molluschi ed echinodermi, e di altri organismi tipicamente associati al benthos quali alghe e fanerogame marine, briozoi e corallinacee incrostanti indica l’elevata attitudine della

Caretta a frequentare soprattutto il fondale, dove può alimentarsi soprattutto di invertebrati

bentonici. A tal proposito è opportuno segnalare l’assenza dei policheti, che invece sono stati riportati in altri studi (Casale et al., 2008a; Tomás et al., 2001).

La presenza di pesci e cefalopodi solleva altre questioni. Infatti, se alcuni autori hanno suggerito che i pesci che si muovono lentamente, come i signatidi, possono essere una preda facile per le tartarughe una volta rilevati (Brongersma, 1972; Burke et al., 1993), la tartaruga comune sembra incapace di cacciare animali che si muovono più velocemente, che sarebbero mangiati solo se già feriti o morti (Brongersma, 1972; Plotkin et al., 1993; Laurent e Lescure, 1994). Tra i pesci e i cefalopodi rinvenuti nel nostro studio vi sono specie d’interesse commerciale: l’ombrina, il sarago sparaglione, la triglia di fango sono specie pescate, soprattutto con le reti a strascico costiere ma anche con le reti da posta. L’acciuga è pescata con le reti a strascico in piccole quantità e con le reti da circuizione. La torpedine comune è pescata poco (strascico costiero e reti da posta) a causa delle sue carni scadenti, ed è spesso scartata. La seppia comune è intensamente pescata nel Mar Mediterraneo per opera della pesca a strascico e della pesca con reti da posta, ed è soggetta a numerose catture accidentali. Tra queste specie, solo gli organismi più piccoli o rovinati dalle reti sono scartati. Per quanto riguarda Octopus salutii si tratta di un polpo pescato raramente e in piccole quantità che è sempre scartato perché non ha nessun valore commerciale. Perciò, questi organismi potrebbero essere stati ingeriti come scarti dei pescherecci a strascico ma soprattutto della piccola pesca artigianale costiera. Questo comportamento confermerebbe ancora una volta l’opportunismo della C. caretta, che

108 probabilmente si estende a tutte le fonti di cibo, includendo le carcasse. In passato, già altri autori (Shaver, 1991) hanno suggerito che la tartaruga comune si nutre sul fondo di organismi bentonici morti. La saprofagia sugli organismi morti, includendo gli scarti della pesca, è stata in precedenza ipotizzata anche da Limpus et al. (2001) e Tomás et al. (2001). Questa è probabilmente la ragione per la quale il palamito, con i suoi ami cui sono attaccate esche costituite da pesci o calamari morti, cattura molte tartarughe come by-catch a livello globale (Lewison et al., 2004). La tartaruga comune potrebbe aver sviluppato una strategia opportunista e avvicinarsi ai palamiti per nutrirsi delle esche attaccate agli ami. In aree d’intensa attività di pesca, è stato supposto che il pesce scartato potrebbe mantenere una popolazione di Caretta con una densità insolitamente grande, aumentando perciò il rischio di mortalità incidentale (Shoop e Ruckdeschel, 1982).

Nel nostro campione non sono presenti piccoli o giovanili, che frequentano abitualmente le aree pelagiche. Le specie pelagiche presenti nel tratto gastrointestinale del campione analizzato sono poche.

L’idrozoo Chelopyes appendiculata è una specie comune solo in mare aperto e nelle zone molto profonde. Nelle zone costiere, da settembre a novembre, si trovano gli esemplari giovani in percentuali elevate mentre da dicembre a febbraio essi compaiono solo sporadicamente (Riedle, 1971). Tutte le tartarughe che si erano nutrite di quest’organismo sono state recuperate nei mesi primaverili-estivi, incompatibili con la vicinanza alla costa degli esemplari giovani di questa specie. L’ingestione di C. appendiculata da parte degli individui di tartaruga comune è da imputarsi o a un evento piuttosto raro, quale la presenza di questo idrozoo lungo la costa nei mesi in cui esso vive solitamente altrove, oppure, con più probabilità, alla capacità degli individui di tartaruga comune di allontanarsi dalla costa lungo la zona neritica e di spostarsi per l’intera colonna d’acqua verosimilmente a scopi alimentari.

I tunicati (probabilmente Taliacei) comprenderebbero animali planctonici veri e propri. Questi organismi sono presenti tutto l’anno in quasi tutto il Mediterraneo, prevalentemente e particolarmente in inverno in superficie. Da ottobre a maggio vi è una presenza in massa di salpidi, anche se sporadica, nel Mediterraneo Occidentale (Riedle, 1971). Il fatto che questi organismi siano distribuiti prevalentemente in acque superficiali e a profondità non troppo elevate conferma l’ipotesi che la tartaruga comune si sposta per l’intera colonna d’acqua per nutrirsi.

109 La presenza di C. appendiculata e dei Tunicati in più tartarughe fa supporre che gli spostamenti dalle acque costiere verso quelle più profonde e la predazione su questi organismi possano non essere eventi rari o sporadici ma abituali.

Una sola tartaruga conteneva resti di gasteropodi pelagici come C. inflexa e C. pyramidata. La prima è molto comune nel Mediterraneo Nord-Occidentale e si trova prevalentemente in ambiente pelagico profondo. In inverno questi animali raggiungono la superficie e si spingono in prossimità delle coste. La seconda è comune ovunque, ma prevalentemente in ambiente pelagico profondo e quindi piuttosto rara in vicinanza delle coste (Riedle, 1971). La tartaruga, recuperata a giugno, potrebbe anche in questo caso essersi spinta in ambiente pelagico più profondo.

Per i pesci pelagici come l’acciuga, valgono le stesse considerazioni fatte pocanzi, cioè che possa trattarsi di uno scarto del pescato, nel caso d’individui piccoli o rovinati, essendo una specie di grande interesse commerciale.

Organismi come i tunicati hanno un contenuto lipidico ed energetico molto basso, più di un ordine di grandezza inferiore rispetto al contenuto di una massa equivalente di carne di pesce. Molluschi e crostacei invece sembrano avere un valore energetico simile ai pesci (Tomás et al., 2001), e questo potrebbe spiegare l’alto numero di tali prede nella dieta del campione in esame.

La presenza di organismi pelagici, e ancor di più la presenza di organismi pelagici e bentonici nello stesso individuo supporta ulteriormente l’evidenza che le tartarughe si spostano per tutta la colonna d’acqua a scopi alimentari, non rimanendo strettamente associate al fondale, anche se questo è l’area che esse frequentano di più.

Prendendo in considerazione il luogo di ritrovamento delle tartarughe, non notiamo una particolare tendenza delle prede a distribuirsi in aree geografiche ben precise. Tuttavia, alcune tra le prede più abbondanti, come L. vernalis e N. mutabilis, si trovano quasi esclusivamente in esemplari di Caretta recuperati lungo la costa della Versilia, tra Viareggio e Pietrasanta, dunque possiamo ritenere che queste specie sono prevalentemente distribuite nei fondali sabbiosi che caratterizzano quest’area geografica, come mostrato dei dati del progetto GROUND (Fig. 39).

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6.2.Diversità della dieta e dimensioni delle tartarughe

Le dimensioni delle tartarughe del presente studio erano comprese tra 42 e 73 cm. Il campione include giovanili in fase tardiva, sub-adulti, e adulti.

Le prede sono distribuite quasi uniformemente tra i vari individui, e non ci sono specie maggiormente distribuite in classi dimensionali invece che in altre.

Se osserviamo l’abbondanza e la diversità delle prede, notiamo che c’è una tendenza generale all’aumento di queste dalle dimensioni più piccole a quelle maggiori delle tartarughe, soprattutto in corrispondenza di valori del CCL intorno ai 60 cm, anche se non in maniera così evidente. Questo può essere dovuto al semplice fatto che tartarughe più grandi consumano maggiori quantità di cibo a causa di richieste energetiche più alte (Birse e Davenport, 1987) e a una permanenza del cibo per un tempo più lungo nel tratto gastro- intestinale (Tomás et al., 2001). La ragione per una ritenzione del cibo più duratura è duplice. Da una parte le tartarughe di dimensioni maggiori hanno bisogno di più tempo per completare la digestione (Birse e Davenport, 1987), dall’altra le tartarughe più grandi hanno un intestino più lungo (Tomás et al., 2001). In teoria, altri due fattori addizionali potrebbero contribuire a tale andamento. Innanzitutto, le tartarughe più grandi potrebbero essere state recuperate in habitat, località o periodi in cui la diversità delle potenziali prede era più alta. Secondariamente, tali individui potrebbero sfruttare risorse di cibo inaccessibili alle tartarughe di dimensioni minori a causa di limitazioni nell’apertura della bocca o di restrizioni meccaniche nel trattare le prede (Tomás et al., 2001). Ad esempio, Kamezaki e Matsui (1997) hanno interpretato i cambiamenti ontogenici nella crescita della testa della C. caretta come adattamenti per frantumare prede con una conchiglia dura. Tuttavia nel nostro campione, dove l’intervallo dimensionale è ridotto, la proporzione dei gruppi di prede rimane quasi invariata alla dimensione crescente delle tartarughe (CCL).

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