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5. NATURAL NON-FOOD REMAINS (NFO) Resti di piante, alghe, pomice, pietre, legno e altro.

6.3. Uso dell’habitat e comportamento alimentare

Le prede rinvenute nel tratto gastrointestinale degli individui analizzati e il riscontro con i dati degli anni passati e altri lavori, ci suggeriscono che la Caretta è una specie prettamente carnivora, che si nutre di crostacei, soprattutto granchi, molluschi bivalvi e gasteropodi, organismi pelagici come tunicati e cnidari, ma anche di qualsiasi fonte di cibo ogniqualvolta si presenti la possibilità di sfruttare capacità opportuniste. La presenza di frammenti di organismi vegetali, come le fanerogame marine e le alghe, integri, denota l’incapacità della tartaruga comune di digerirli. L’alta percentuale di occorrenza delle piante marine e delle alghe, che abitano le acque basse dove c’è luce sufficiente per la fotosintesi, suggerisce che la tartaruga comune frequenta prevalentemente le acque poco profonde. Le praterie di fanerogame marine, come la P. oceanica e la C. nodosa, hanno un range di profondità che va da 0 a 35 m, e i campioni di molte tartarughe contenevano, oltre a frammenti di tali specie, animali associati con queste praterie, come gasteropodi del genere Gibbula, i ricci di mare P. lividus e E. pusillus, il pesce D. annularis. Le fanerogame marine sembrano essere particolarmente frequentate dalla tartaruga comune in quest’area e ciò ha importanti implicazioni per la conservazione, poiché la protezione di questi ecosistemi darebbe beneficio a un’ampia comunità biologica, includendo le tartarughe. I dati del progetto GROUND mostrano alcune prede della Caretta con una distribuzione prevalentemente costiera (Fig. 36, 37, 38, 39) convalidando ulteriormente questa ipotesi.

Organismi vegetali come le alghe rosse, trovate nel campione esaminato, e alcune prede (S.

purpureus, G. rhomboides, C. macandreae, M. barbatus), hanno una distribuzione

verticale maggiore, anche oltre i 100 m, suggerendo che la tartaruga comune possa nutrirsi sul fondo a tali profondità, ma non possiamo escludere che queste specie si trovassero a profondità inferiori o che siano state scartate dai pescherecci (M. barbatus). Altre pubblicazioni (Casale et al., 2008a) mostrano che prede distribuite in profondità sono state trovate all’interno del tratto gastrointestinale della tartaruga comune, tuttavia, le richieste energetiche per compiere simili immersioni sono notevoli e probabilmente le tartarughe preferiscono stare a profondità inferiori.

Oltre ai letti di fanerogame marine, la Caretta sembra in grado di frequentare diversi tipi di fondali. I resti di frammenti di coralligeno e di organismi a esso associati (alghe rosse, briozoi), e altri organismi come P. lividus, dimostrano che la C. caretta frequenta anche fondali rocciosi, mentre i ricci di mare irregolari, le oloturie, i crostacei decapodi, la

112 maggior parte dei bivalvi e dei gasteropodi, si trovano prevalentemente nei fondi molli sabbiosi e fangosi.

Alcune specie fanno parte dell’infauna e si seppelliscono nel sedimento (S. purpureus, C.

macandreae, T. communis). Le tartarughe potrebbero catturare questi organismi usando il

metodo descritto da Preen (1996) per la C. caretta nel Qeensland, Australia, che consiste nello scavare profondi e lunghi canali nella sabbia con le zampe anteriori.

6.4. Detriti marini

Questo studio ha permesso di rilevare la presenza dei detriti marini, e in particolare delle plastiche, nel tratto gastrointestinale degli individui di C. caretta nei mari della Toscana. Noi abbiamo trovato la frequenza più alta (100%) rispetto a quella di altri studi condotti su individui di C. caretta nel Mar Mediterraneo e negli Oceani Atlantico e Pacifico (Tab. 10). La tartaruga comune mostra una grande resistenza agli effetti negativi dell’ingestione dei detriti in accordo con l’apparente bassa mortalità riportata nella letteratura (Tomás et al., 2002). La bassa mortalità, e la presenza di plastica rinvenuta prevalentemente nelle ultime porzioni dell’intestino, indicano che probabilmente la maggior parte delle plastiche passa attraverso il tratto gastrointestinale di questo animale e viene escreto (Valente et al., 2008). Tuttavia, determinare se i detriti marini causano la morte delle tartarughe attraverso l’ostruzione del tratto digestivo, è spesso difficoltoso (Tomás et al., 2002). Sviluppi futuri dovrebbero investigare l’effetto del passaggio dei detriti marini, specialmente delle plastiche, nel tratto gastrointestinale, poiché questi materiali possono aumentare direttamente il trasporto e la biodisponibilità di sostanze tossiche persistenti e bioaccumulabili, quali ftalati, bisfenolo A e idrocarburi policiclici aromatici (PAHs), essendo questi tra i principali costituenti delle plastiche.

Questo studio evidenzia che, tra le plastiche, le buste e i fogli, rappresentano la tipologia di detrito marino più frequente nelle tartarughe. Questo potrebbe essere dovuto all’ubiquità di questi materiali negli ecosistemi marini oppure all’alta attrazione mostrata dalla tartaruga comune per questo tipo di detrito (Casale et al., 2008a). Diversi autori hanno suggerito che l’ingestione attiva di detriti possa verificarsi per sbaglio, perché le tartarughe scambierebbero questi ultimi con specie di prede (cnidari) a causa della somiglianza di alcune caratteristiche, prima su tutte il colore (Mrosovsky, 1981; Gramentz, 1988; Plotkin

et al., 1993; Duguy et al., 2000). Questa ipotesi assume che le tartarughe siano abili a

113 la maggior parte dei detriti era di colore trasparente (quello che più si avvicina alla colorazione di organismi come le meduse), la varietà delle tipologie di detriti nel campione e le differenze nell’ingestione dei detriti tra i vari esemplari, supportano l’esistenza di una bassa discriminazione nell’alimentazione di questi animali. Studi da altre aree riportano che i detriti marini variano grandemente in consistenza, forma e colore nei contenuti digestivi della Caretta (Van Nierop e den Hartog, 1984; Delaugerre, 1987; Witherington, 1994).

Per un predatore generalista come la C. caretta (Tomás et al., 2001), una strategia di bassa discriminazione nell’alimentazione potrebbe essere adattativa in mari non inquinati. L’aumento di detriti antropogenici in mare causa l’accumulo di detriti in questa specie, causando importanti effetti letali o sub-letali. Ciò nonostante, è necessaria più ricerca sperimentale sulla sensibilità visiva e olfattiva per investigare la discriminazione percettiva della C. caretta.

I nostri risultati non sembrano evidenziare una correlazione tra la lunghezza curva del carapace (CCL) e il numero e il peso di detriti marini ingeriti dai vari esemplari, in accordo con studi già pubblicati (Casale et al., 2008a; Lazar e Gračan, 2011).

La correlazione tra l’ingestione delle prede e quella dei detriti marini non porta a conclusioni indicative, giacché, se è vero che le tartarughe con il maggior quantitativo di detriti nel tratto gastrointestinale non sono tra quelle che hanno mangiato di più, è altrettanto vero che esemplari con percentuali di detriti nettamente inferiori rispetto ai precedenti si erano alimentati meno. Per questo motivo possiamo concludere che l’ingestione di detriti marini, per lo meno nelle concentrazioni osservate in questo studio, non altera in modo significativo le capacità alimentari della C. caretta, in termini sia di composizione che di abbondanza di prede. È opportuno ricordare che il modo in cui si nutre un organismo, in termini di composizione e abbondanza di prede, dipende da un insieme di fattori di natura biologica ed ecologia, comprensivi anche del suo stato di salute, ma nel presente studio non sono stati condotti esami di natura virologica e batteriologica sul campione in esame, dunque rimane da investigare la relazione tra lo stato di salute e la capacità alimentare degli individui di Caretta.

Effetti sub-letali causati dall’ingestione dei detriti, come la diluizione dei nutrienti, possono avere effetti a lungo termine sulla popolazione delle tartarughe marine (Bjorndal, 1997). Nonostante le basse quantità di detriti trovate nelle tartarughe, non possiamo rigettare l’ipotesi che la diluizione dei nutrienti si sia verificata nel nostro campione, viste le simili proporzioni di detriti e prede rinvenuti. Specie molto nutritive come pesci,

114 cefalopodi, crostacei e molluschi, erano mescolate con i detriti in diverse tartarughe nel nostro studio, anche se sono necessarie analisi sull’aumento dei nutrienti per valutare un possibile incremento nell’assorbimento per compensare la diluizione della dieta causata dai detriti.

Sappiamo che i giovanili pelagici di tutte le specie di tartarughe marine hanno la più alta incidenza nell’ingestione dei detriti, a causa di una strategia di alimentazione pelagica indiscriminata (Bjorndal, 1997). Tutte le tartarughe esaminate nel presente studio appartengono a una fase di sviluppo prettamente bentonica, nutrendosi in mare in modo opportunistico. Ciò è confermato dalle stesse tipologie di prede, di substrato e di plastiche tra i vari individui, oltre che dalla lunghezza curva del carapace. L’intervallo dimensionale del nostro campione era troppo piccolo, non consentendoci di valutare differenze nell’ingestione dei detriti tra individui giovanili strettamente pelagici e adulti bentonici. La presenza di detriti marini osservata in questo lavoro e in Tomás et al. (2002) conferma l’alto impatto di detriti marini nel Mar Mediterraneo se comparato con altri mari e oceani (Atlantico e Pacifico) (Tab. 10).

L’elevata ingestione di detriti marini da parte della Caretta caretta conferma l’uso di questa specie come organismo idoneo per misurare gli effetti delle sostanze chimiche tossiche in essi presenti.

La ricerca futura in questo campo dovrebbe includere l’estensione della rete di monitoraggio ad altre aree del Mediterraneo con il coinvolgimento d’istituti di ricerca. Dovrebbero essere attuati e migliorati protocolli specifici, non solo per C. caretta, ma per numerose specie marine, seguendo le linee guida della Marine Strategy sotto le direttive dell’ISPRA (Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale).

115

Tabella 10. Comparazione tra la presenza di detriti marini rinvenuta nel nostro studio e in altri studi

condotti precedentemente nel Mar Mediterraneo e negli Oceani Atlantico e Pacifico. Sono riportati l’area di studio, la fonte, il numero (N) e la lunghezza curva del carapace (CCL) degli individui di C.

caretta analizzati e la percentuale di detriti marini trovata (%).

Area di studio Fonte N CCL (cm) %

Mar Mediterraneo

Mar Tirreno (costa della Toscana) Presente studio 17 42.0–73.0 100 Mar Tirreno (costa della Toscana) Campani et al. (2013) 31 29.0–73.0 71.0 Mar Adriatico (Croazia, Slovenia) Lazar e Gračan (2011) 54 25.0–79.2 35.2 Mediterraneo Centrale (Italia) Casale et al. (2008a) 79 25.0–80.3 48.1 Mediterraneo Occidentale (Spagna) Tomás et al. (2002) 54 34.0–69.0 75.9 Mediterraneo Centrale (Malta) Gramentz (1988) 99 20.0–69.5 20.2 Oceano Atlantico

Atlantico Nord-orientale (Azzorre, Portogallo) Frick et al. (2009) 12 9.3–56.0 25.0 Atlantico Nord-occidentale (Georgia, USA) Frick et al. (2001) 12 59.4–77.0 0 Atlantico Sud-occidentale (Brasile) Bugoni et al. (2001) 10 63.0–97.0 10.0 Atlantico Nord-occidentale (Florida, USA) Witherington (1994) 50 4.03–5.63* 32.0 Golfo del Messico (Texas, USA) Plotkin et al. (1993) 82 51.0–105.0 51.2 Golfo del Messico (Texas, USA) Plotkin e Amos (1988) 66 Piccoli–109.0 47.0 Oceano Pacifico

Pacifico Sud-occidentale (Australia) Boyle e Limpus (2008) 7 4.6–10.6 57.1 Pacifico Centro-settentrionale (Hawaii, USA) Parker et al. (2005) 52 13.5–74.0 34.6

Lunghezza retta del carapace.

7. CONCLUSIONI

I risultati ottenuti in questo lavoro confermano che la Caretta caretta è una specie generalista dal comportamento alimentare opportunista, che si nutre di un’elevata varietà di prede e su tutti i tipi di fondale. Essa è una specie molto mobile, che la rende capace di spostarsi tra le acque più basse e quelle più profonde e lungo tutta la colonna d’acqua per scopi alimentari, alternando la predazione di organismi bentonici e pelagici. Questo comportamento rende la Caretta particolarmente incline all’ingestione dei detriti marini, soprattutto delle plastiche, specialmente in un mare molto inquinato come il Mar Mediterraneo, con possibili effetti legati all’ingestione meccanica ma soprattutto al rilascio di sostanze chimiche bioaccumulabili nei tessuti adiposi.

116

8. Ringraziamenti

Ringrazio il Prof. Alberto Castelli, docente del corso di Biologia Marina e del corso di Laboratorio di Biologia Sperimentale dell’Università degli studi di Pisa, che mi ha seguito durante lo svolgimento di questo lavoro. Ringrazio la Dott.ssa Cecilia Mancusi, Biologa presso l’Agenzia Regionale per la Protezione e la Ricerca Ambientale Toscana (ARPAT) di Livorno, la cui collaborazione ha consentito lo svolgimento di questo lavoro e mi ha permesso di acquisire nuove conoscenze, e tutto il personale del Settore Mare dell’ARPAT di Livorno, in particolare il Dott. Alessandro Voliani e il Dott. Enrico Cecchi. Ringrazio l’intero settore di Ecologia Applicata dell’Università di Siena, che ha svolto una parte fondamentale di questo lavoro. Un ringraziamento va al Dott. Domenico Capua.

Ringrazio infine la mia famiglia, che ha permesso lo svolgimento dei miei studi e che in tutti questi anni mi ha sempre sostenuto e mi è sempre stata vicina.

117

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