UNA FORMAZIONE ACCESSIBILE
4.4 Comunicazione con le persone sorde
Nel paragrafo precedente, accennavo alle strategie di comunicazione con le persone sorde. Oltre a seguire quelle di base che chiamo regole per una buona
“educazione alla comunicazione” (ad esempio rispettare il turno di chi sta parlando, non interrompere, intervenire a un volume troppo alto, non tentare di confondere o sminuire chi parla) ci sono delle semplici strategie comunicative che sono adatte alle persone sorde.
Non sono necessarie particolari abilità ma è sufficiente aver pazienza e capire le necessità dell’altro:
«per consentire al sordo una buona lettura labiale la distanza ottimale nella conversazione non deve mai superare il metro e mezzo;
la fonte luminosa deve illuminare il viso di chi parla e non quello della persona sorda: bisogna parlare con il viso rivolto alla luce;
chi parla deve tenere ferma la testa;
il viso di chi parla deve essere a livello degli occhi della persona sorda;
occorre parlare distintamente, ma senza esagerare. Non bisogna in alcun modo storpiare la pronuncia. La lettura labiale, infatti, si basa sulla pronuncia corretta;
si può parlare con tono normale di voce, non occorre gridare. La velocità del discorso, inoltre, deve essere moderata: né troppo in fretta, né troppo adagio;
usare possibilmente frasi corte, semplici ma complete. Non occorre parlare in modo infantile. Mettere in risalto la parola principale della frase. Usare espressioni del viso in relazione del tema del discorso;
quando si usano nomi di persona, località o termini inconsueti, la lettura labiale è molto difficile. Se il sordo non riesce, nonostante gli sforzi, a recepire il messaggio, anziché spazientirsi, si può scrivere la parola in stampatello. Oppure usare, se la si conosce, la dattilologia (l’alfabeto manuale);
non tutti i suoni della lingua sono visibili sulle labbra: fare in modo che la persona sorda possa vedere tutto ciò che è visibile sulle labra;
anche se la persona sorda porta le protesi acustiche, non sempre riesce a percepire perfettamente il parlato. Occorre dunque comportarsi seguendo regole di comunicazione;
per la persona sorda è difficile seguire una conversazione di gruppo o una conferenza senza interprete. Occorre quindi aiutarlo a capire almeno gli argomenti principali attraverso la lettura labiale, trasmettendo parole e frasi semplici e accompagnandole con gesti naturali».36
36 “Non udire oggi. Come comunicare con le persone sorde”, Materiali informativi n. 53, a cura di Franco Zatini, Centro Nazionale Documentazione Informazione Storia dei Sordi ENS “Vittorio Ieralla”.
CONCLUSIONI
«L’integrazione è un processo in continuo divenire in cui sia il gruppo ricevente sia i nuovi soggetti tendono a cambiamenti per consentire loro occasioni di condivisione di comuni conoscenze, di aiuto reciproco, di collaborazione in funzione dello sviluppo di tutte le potenzialità dei singoli soggetti e per lo sviluppo del massimo grado di autonomia di ciascuno».37
Mi pare si pensi erroneamente che il successo dell’integrazione sia quando il sordo lavora. L’obiettivo è stato raggiunto e il percorso spesso finisce lì. Ritengo invece che il vero successo dell’integrazione sia quando il sordo si senta come una risorsa attiva dell’ambiente in cui lavora, al pari dei suoi colleghi, sia autonomo e consapevole di farne parte, di poter ambire a percorsi di carriera funzionali alle sue potenzialità, di poter sviluppare propri punti di debolezza e migliorare punti di forza, e di condividere successi (e perdite) della sua azienda.
L’approccio corretto quindi è osservare la persona sorda come portatore di risorse e conoscenze, diversamente applicate e sviluppate, prima ancora di focalizzarsi sulla sua diversità. La domanda che si deve porre è: “Cosa può fare perché si renda utile in un’azienda?” piuttosto che “Peccato sia sordo, perché non so cosa fargli fare!”. È più che mai necessario cambiare prospettiva e chiedersi se rendere l’ambiente lavorativo accessibile al sordo non porti miglioramento alle sinergie pre-esistenti non solo in termini economici ma anche in termini di clima lavorativo e in qualità dei servizi erogati.
“Noi sordi tutto possiamo tranne che sentire” è una slogan che l’ENS ha usato negli ultimi anni e che tutti dovrebbero tenere presente affinché l’integrazione scolastica, sociale e lavorativa delle persone sorde non sia un’utopia.
In una intervista in merito alla paura dell’altro, Raimon Panikkar, celebre esperto di studi interculturali, ha dichiarato: «[…] incontrare l’altro significa incontrarsi con quella parte di noi stessi che ci è nascosta. In tutte le lingue neolatine l’altro è l’altera pars, il versante di me stesso che rimane celato. L’altro mi rivela perciò quella parte di
37 Gelati M., Pedagogia speciale e integrazione. Dal pregiudizio agli interventi educativi, Roma, Carocci, 2004, op.
cit., p.58.
me che ancora non conosco pienamente. Aver paura dell’altro significa perciò aver paura di se stesso, non aver ancora trovato il proprio centro, vivere nel timore che l’altro mi dica quello che non vorrei sentire. Così ci chiudiamo e ristagniamo in una sorta di autoinganno».
Quando si ha a che fare con il mondo della sordità, bisogna abituarsi a vedere le cose da diverse prospettive, preventivando anche la possibilità di mettersi in discussione, ridefinire gli schemi mentali in maniera costruttiva e, molto spesso, collocare il proprio posto nel mondo non più in funzione di “io sono” ma “noi siamo”.
Forse il problema della società, al giorno d’oggi, è proprio questo: mancanza di obiettività ma soprattutto incapacità a considerare punti di vista diversi dal proprio.
Se prima di muoversi ci si togliesse i panni di persona “udente” vestendo anche solo per un attimo i panni di “sordo” si annullerebbero le differenze e le diversità che ci distinguono, contribuendo così a costruire una società accessibile.
Un mondo del lavoro a misura di tutti è possibile.
BIBLIOGRAFIA
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“Vittorio Ieralla”
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