II. CAPITOLO SECONDO: IL DISCORSO GLOTTODIDATTICO
3.3 La glottodidattica oggi: prospettive e obiettivi
3.3.1 Verso la competenza d'azione
3.3.1.2 Comunicazione
Per quanto riguarda l'arabo la situazione sul versante della lingua orale è piuttosto complessa. Il MSA si configura come un modello non autentico per ciò che concerne la lingua parlata; Al-Batal (1995, 123) lo definisce “a fake model of oral proficiency”: insegnare agli studenti esclusivamente questa varietà equivale a fornire un modello che nelle situazioni di vita quotidiana non trova applicazione.
In ambito didattico si assiste ad una generale “presa di coscienza” a tal riguardo, e anche la situazione dell'insegnamento della lingua araba in Italia riflette questa tendenza.
Negli anni Settanta l'interesse per l'arabo cresce mentre cambia il contesto socio-politico del Medio Oriente e i rapporti economici tra questo e l'Europa si fanno più stretti; accanto alle tradizionali cattedre di studi letterari e filologici, nasce un nuovo interesse per la dialettologia. Nelle università italiane più importanti per tradizione orientalistica (Roma, Napoli, Palermo e Venezia) si introducono corsi gestiti da lettori di madrelingua araba e si adoperano nuove strumentazioni didattiche, come i sussidi audiovisivi (Kalati 2005, 303).
In questo senso è interessante notare che le Arabic Proficiency Guidelines del 1985, che erano basate soltanto sulla varietà standard, sono state aggiornate già nel 1989 per includere a livello avanzato la conoscenza di almeno un dialetto oltre al MSA.
Diverse sono state le risposte alla domanda “Insegnare prima il MSA o il dialetto?”.
Abi Aad (2004) osserva che sul mercato sono presenti manuali per lo studio della varietà standard e altri per lo studio delle varietà colloquiali; egli propone di partire dal CA e arrivare in un secondo momento al MSA, seguendo il procedimento “naturale” di passaggio dall'orale allo scritto e di includere anche nozioni legate alla geografia, alla storia, alla politica, all'economia ecc. del mondo arabo. Questo consentirà di apprezzare il continuo “intrecciarsi” delle varietà presente nel normale eloquio di ogni parlante nativo e per l'insegnante permetterà di valutare autenticamente le competenze comunicative (il discorso chiaramente si ricollega all'importanza della formazione del docente, cfr. § 2.3.1, 72-78).
Al-Batal e Belnap (2006, 396-397) osservano risultati migliori negli allievi esposti fin da subito sia al MSA che ad una varietà colloquiale, punto di vista condiviso anche da Palmer (2007) che muove direttamente dall'opinione degli apprendenti.
Younes (2006) presenta il proprio corso di lingua araba tenuto presso la Cornell University a partire dagli anni Novanta, basato su un approccio integrato, in cui MSA e varietà dialettale
vengono inserite nel percorso didattico per soddisfare i bisogni comunicativi degli studenti. Egli recupera la descrizione del continuum linguistico offerta da Badawi (cfr. § 1.2.11, 45) per selezionare due varietà oggetto di insegnamento, il Contemporary Fuṣḥā (CF) e il Vernacular of the Educated, che egli preferisce chiamare Educated Levantine Arabic (ELA), dal momento che la sua scelta ricade sulla varietà dialettale levantina. L'obiettivo del programma è sviluppare le quattro abilità linguistiche parallelamente: primi due anni si concentrano su argomenti legati alla comunicazione quotidiana e solitamente le attività di ascolto e produzione orale vengono effettuate in ELA mentre la scrittura e la lettura sono in CF.
Younes afferma che gli studenti imparano col tempo a distinguere quando utilizzare l'ELA e quando il CF, senza troppa confusione, anche perché si cerca di operare un continuo code- switching tra ELA e CF come farebbe naturalmente un parlante nativo.
Wilmsen (2006) attesta la distanza presente tra ciò che offrono i corsi di lingua araba, principalmente incentrati sulla lettura, e le richieste degli studenti, interessati innanzitutto alle abilità orali. La programmazione didattica pertanto dovrà partire dall'analisi degli scopi comunicativi del discente, aiutandolo a consolidare la propria padronanza delle due varietà allo stesso tempo, sebbene vada ricordato che spesso mancano i docenti per attivare corsi di varietà colloquiali.
Quando si parla di comunicazione è necessario in primo luogo riconoscere quali competenze debbano essere acquisite per potersi muovere in maniera autonoma all'interno di un evento comunicativo; il concetto di competenza comunicativa richiede l'attuazione di strategie orientate allo sviluppo di varie abilità e competenze, che avrà luogo partendo in primis dall'analisi dei bisogni dei discenti e dalla ristrutturazione dei corsi.
Per quanto riguarda la lingua araba le esigenze primarie che si presentano sono: delineare un curriculum che prenda come modello le competenze dei parlanti nativi ed individuare le funzioni comunicative necessarie al discente e le situazioni in cui questi si troverà ad utilizzare la lingua (Wahba 2006).
Lykke Nielsen (1996) propone come primo strumento l'utilizzo della lingua araba come lingua dell'insegnamento, per permettere ai discenti che sono a contatto con l'arabo per poche ore alla settimana di sfruttare pienamente il poco tempo a disposizione.
Oggi diverse università cercano di dare una propria risposta alla questione della diglossia. La University of Texas at Austin presenta questo problema sul proprio sito internet, sottolineando che “there is more to be learned than one language”. L'Institut National des Langues et
Civilisations Orientales (INALCO) di Parigi pone all'interno della propria offerta formativa l'arabe littéral, l'arabe maghrébin, l'arabe oriental égyptien e l'arabe oriental siro-libano palestinien (Abi Aad 2012, 14).
Anche in Italia sono presenti corsi di varietà dialettali e a titolo di esempio citiamo l'Università di Genova che ha introdotto quest'anno l'insegnamento del marocchino10.
Un'ulteriore proposta, più volte avanzata, è l'insegnamento in ambito accademico del
cosiddetto Formal Spoken Arabic (FSA) o Educated Spoken Arabic (ESA)11. Questo viene
considerato da alcuni studiosi come il livello intermedio tra MSA e la varietà dialettale (Al- Batal 1992, 289).
Mitchell (1986) fornisce una descrizione di questa varietà che egli colloca all'incontro tra MSA e i dialetti, poiché nasce “by the constant interplay of written and vernacular Arabic” (ivi, 13).
Tuttavia la sua natura di lingua “ibrida” rende l'ESA una varietà non stabile come il MSA proprio per la presenza di numerose influenze regionali, per cui il processo di codificazione è ancora in corso d'opera (Lykke Nielsen 1996, 225–227).
È difficile dare una risposta che sia valida per tutte le situazioni; in generale si consiglia di tener conto del contesto in cui si opera e dei discenti cui ci si rivolge per operare la scelta migliore.
In conclusione il concetto di competenza comunicativa richiede l'attuazione di strategie orientate allo sviluppo di varie abilità e competenze, che avrà luogo partendo in primis dall'analisi dei bisogni dei discenti e dalla ristrutturazione dei corsi.
Per quanto riguarda la lingua araba le principali sfide che si presentano sono: delineare un curriculum che prenda come modello le competenze dei parlanti nativi ed individuare le funzioni comunicative necessarie al discente e le situazioni in cui questi si troverà ad utilizzare la lingua.