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II. CAPITOLO SECONDO: IL DISCORSO GLOTTODIDATTICO

2.2 La lingua e il suo contesto

2.2.3 Gli ostacoli: fattori interni ed esterni

Dopo aver brevemente illustrato le ipotesi relative all'acquisizione/apprendimento di una lingua materna e non materna, verranno di seguito presentati i fattori che possono ostacolare tali processi.

In primo luogo si analizzeranno i fattori interni, che corrispondono ad elementi prettamente linguistici, vale a dire il ruolo della LM nel processo di apprendimento, e successivamente i fattori esterni, ossia le variabili legate alla sfera psicologica.

2.2.3.1 Teoria dell'interferenza

La “teoria dell'interferenza”, elaborata da C. Fries (1945) e dal suo allievo R. Lado (1957), si è sviluppata a partire dalla constatazione che i discenti tendano a “trasferire” le caratteristiche formali della L1 (forma, significato e distribuzione30) nella L2, intesa in generale come

“lingua d'arrivo”; di conseguenza la lingua materna, maggiormente radicata nel cervello dell'apprendente, va a interferire negativamente nell'apprendimento della L2.

In realtà il grado di interferenza varia a seconda delle corrispondenze o delle dissimmetrie che le due lingue rappresentano: maggiori sono le somiglianze, più facile sarà l'apprendimento e al contrario maggiori saranno le differenze tra le due lingue e maggiore sarà la difficoltà che l'apprendente incontrerà (Freddi 1994, 77).

Al fine di evidenziare differenze e punti di contatto tra le due lingue, così da poter elaborare materiali didattici appropriati, è stata messa a punto la cosiddetta analisi contrastiva (error analysis)31.

Questa è stata oggetto di forti critiche, in quanto non tutti gli errori commessi dall'apprendente possono essere ricollegati all'influenza negativa della LM.

Di recente si è inoltre assistito ad una rivalutazione del transfer, inteso non come spostamento delle strutture della LM verso la L2, quanto piuttosto come l'insieme delle strategie cognitive

30 Cfr. Lado (1957, 2): “individuals tend to transfer the forms and meanings, and the distribution of forms and

meanings of their native language and culture to the foreign language and culture - both productively when attempting to speak the language and to act in the culture and receptively when attempting to grasp and understand the language and culture as practiced by natives”.

presenti nel nostro cervello, che possiamo riutilizzare nel processo di apprendimento di una L2 (evidente è il richiamo alle teorie chomskyane, cfr. § 2.2.2.2.1, 60-62), tanto che si è parlato anche di “transfer positivi” (De Marco 2000, 63-64).

Si è appena evidenziato come la maggiore critica mossa a Lado fosse basata sull'impossibilità di attribuire ogni errore all'interferenza32; il concetto di interlingua (IL) muove proprio da

questo presupposto. Gli errori commessi dall'allievo sono il segnale che egli sta manipolando le strutture linguistiche e cercando espedienti come la semplificazione e l'ipergeneralizzazione. mentre continua a formulare ipotesi sulla lingua che sta apprendendo. Come il bambino che impara la madrelingua adotta degli escamotages, i “principi operativi” di Slobin, anche l'allievo che studia una seconda lingua genera un sistema linguistico transitorio, che lentamente lo conduce alla lingua d'arrivo.

Come suggerisce Selinker (1972, 214) è inutile mettere a confronto gli errori dei parlanti nativi con gli errori degli apprendenti, piuttosto per capire quali regole sottostanno alla rielaborazione e alla ricostruzione del sistema linguistico provvisorio dell'allievo è necessario porre attenzione alle sue strategie di apprendimento.

Accanto ad una nuova concezione di errore si è ampliato il campo di indagine relativo agli ostacoli che possono inficiare il processo di apprendimento.

2.2.3.2 I fattori affettivi

A partire dagli anni Settanta, con lo sviluppo della psicologia umanistica, si è diffuso un crescente interesse nei confronti dei cosiddetti fattori affettivi.

Questi sono legati principalmente a esigenze, attitudini e stati emozionali dell’apprendente33.

Si è già presentato, con l'illustrazione della teoria di Krashen sopra illustrata (cfr. § 2.2.2.2.2, 63-65), il concetto del filtro affettivo, da cui deriva la necessità di riconoscere l'azione dei fattori affettivi all'interno del processo di apprendimento, al fine di minimizzarne l'effetto.

32 Cfr. Corder (1967, 168) secondo cui gli errori non vanno considerati “as the persistence of old habits, but

rather as signs that the learner is investigating the systems of the new language”.

33 Cfr. la definizione di “affetto” in Richards and Schmidt (2002, 4): “a number of emotional factors that may

influence language learning and use. these include basic personality traits such as shyness, long-term but changeable factors such as positive and negative language attitudes, and constantly fluctuating states such

Sembra utile ricordare che diversi studi, come nel caso dell'interferenza, hanno tentato di evidenziare sia gli effetti positivi che quelli negativi legati alla sfera emotiva.

L'ansia ad esempio, uno dei fattori che si attiva più di frequente, solitamente tende ad inibire l'apprendente soprattutto nel caso di interazioni comunicative, ma allo stesso tempo può essere un incentivo se rimane ad un livello basso.

Un altro fattore è la capacità di adattamento del proprio ego, ossia la facilità con cui si adottano comportamenti diversi mentre si apprende una lingua straniera, o ancora la capacità di tollerare “l'ambiguità” e accettare che non tutto è comprensibile quando si studia una nuova lingua e ci si approccia ad una nuova cultura (Ryding 2013, 124–125).

Per quanto riguarda la lingua araba si possono menzionare diversi studi relativi all'influenza dei fattori affettivi.

Il primo è l'indagine compiuta da Y. Suleiman (1991) su cinque studenti di arabo presso l'università di St. Andrews in Scozia. Egli si focalizza sulle variabili affettive e conclude che gli studenti con maggior senso dello humour e distacco dagli aspetti che possono rendere frustrante il processo di apprendimento sono coloro che riescono a superare meglio le difficoltà.

Khaldieh (2000) analizza le strategie adottate da 43 studenti americani nella produzione scritta; uno dei fattori che maggiormente ostacola una buona esecuzione è il livello di ansia. Un altro importante contributo è quello di Elkhafaifi (2005), il quale esamina la correlazione tra il livello di ansia e la performance effettuata durante una prova di comprensione orale; i risultati della sua ricerca mostrano che ridurre l'ansia negli studenti, anche a partire dalla creazione di un'atmosfera meno stressante in classe, consente ai docenti di arabo di aiutare i discenti a migliorare la propria prova. Nella conclusione al proprio lavoro l'autore auspica che, a fronte del crescente numero di studenti di arabo, nuovi studi vengano effettuati proprio a partire dalle motivazioni dei discenti e dai loro stati emozionali (ivi, 216).

Per ultimo citiamo lo studio di El Essawi (2006) effettuato su un gruppo di 15 studenti che hanno prodotto 45 composizioni scritte. Tra i vari fattori presi in considerazioni vi sono proprio le variabili affettive; sono state condotte interviste mirate per avere maggiori informazioni sui filtri affettivi (ivi, 184) e i risultati dell'esperimento hanno mostrato sensibili miglioramenti nelle composizioni degli studenti, dopo che questi hanno messo in atto le indicazioni ricevute per controllare al meglio le proprie emozioni e eliminare il senso di inibizione provato (ivi, 188-190).

Attualmente è opinione condivisa che avere un riscontro dagli errori del discente e dai suoi stati emozionali rappresenti una “finestra” sui processi cognitivi che egli attiva per apprendere la lingua34.

Di conseguenza la glottodidattica deve necessariamente usufruire della ricerca in campo psicologico e neuroscientifico, per avvalersi di questi notevoli contributi all’interno delle proprie proposte metodologiche, elaborando così percorsi didattici costruiti sui meccanismi neuropsicologici dello studente.