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Comunità del contado nel XVII secolo

Analizzando le istituzioni delle comunità pisane del Seicento ci si rende conto che esse, nel corso del secolo, subiscono una serie di trasformazioni legate a variazioni del contesto economico e sociale. Tale mutamento riflette l’affermarsi di nuovi rapporti di produzione nelle campagne, ponendo questioni e problemi che verranno affrontati nel secolo seguente.

Si è detto dell’espansione della proprietà fiorentina che interessa l’area pisana fra la seconda metà del Quattrocento e i primi del Seicento, come anche del grande incremento della proprietà dei cittadini pisani a scapito della piccola proprietà contadina locale; si è visto inoltre che questa diffusa crescita della proprietà cittadina, fiorentina e pisana, comporta una serie di processi di ricomposizione fondiaria e si accompagna, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, alla diffusione della mezzadria.

Tutte queste trasformazioni hanno un impatto sulle istituzioni locali e sulla vita interna delle comunità del contado pisano: alla fine degli anni ’30 del Seicento, per esempio, dei «sovrintendenti» cittadini (scelti tra i principali proprietari terrieri pisani e fiorentini) presenziano alle deliberazioni dei consigli locali. Nel corso del secolo questi consigli continuano ad essere espressione della collettività, eppure d’ora in poi i cittadini riescono a controllare direttamente l’amministrazione delle comunità e ad imporre i criteri di distribuzione delle imposte locali. Bisogna poi sottolineare un vero e proprio “attacco rivolto dalla proprietà fondiaria pisana e fiorentina nei confronti degli usi comunitari”48

: a partire dalla seconda metà del Cinquecento, e nel corso del secolo successivo, assistiamo infatti all’affermarsi di un «individualismo agrario» che mette in crisi

48 D. PESCIATINI, «Continuità e trasformazione. Le comunità del contado di Pisa nel secolo XVII», in Ricerche

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l’esistenza degli usi civici tradizionali; tale fenomeno riguarda l’intero contado e non soltanto comunità isolate.

Agli inizi del XVII secolo, l’area pisana è al centro di una politica di decentramento voluta da Firenze che riconosce l’importanza economica assunta dal contado pisano nell’ambito del Granducato. È in questo periodo che viene creato il Magistrato dei Surrogati, a cui vengono delegati quei compiti di controllo economico e amministrativo esercitati finora dal Magistrato dei Nove Conservatori della Giurisdizione e del Dominio di Firenze. L’Ufficio dei Surrogati è un organo a sé stante, la cui esistenza non è riscontrabile in nessuna altra parte dello Stato mediceo.

Composta in parte da Pisani e in parte da Fiorentini, la nuova Magistratura prevede la presenza del Commissario di Pisa e dei Consoli del Mare (cittadini di Firenze); a costoro si affiancano il Provveditore e tre membri dell’Ufficio dei Fossi (cittadini pisani). Al Magistrato dei Surrogati vengono trasmesse le deliberazioni degli organismi di governo locale, conservate nei registri insieme alle note informative dei governatori e dei cancellieri comunitativi “in merito ai diversi problemi locali e le «comparse», cioè i verbali delle dichiarazioni rese dagli interessati durante le udienze dei Surrogati”49

. Questo materiale permette di ricostruire il funzionamento delle strutture istituzionali delle comunità pisane e costituisce una fonte molto importante per individuare i cambiamenti che si verificano nel loro aspetto istituzionale; tramite l’analisi di tale documentazione, inoltre, è possibile indagare i rapporti sociali che prendono forma all’interno degli organismi comunitativi e che rispecchiano questioni e problemi riguardanti la vita della collettività rurale.

In epoca granducale il controllo di Firenze sulle amministrazioni locali è decisamente stringente: Cosimo I ridimensiona le autonomie giurisdizionali e amministrative delle comunità e rafforza i poteri delle Magistrature preposte alla sovrintendenza dell’amministrazione e dell’economia del contado e del distretto

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(istituzione del Magistrato dei Nove Conservatori della Giurisdizione e del Dominio di Firenze nel 1560 e dislocazione di cancellieri dipendenti da tale Magistrato nel dominio). L’intervento dei granduchi, tuttavia, non stravolge il rapporto esistente tra potere centrale ed organismi locali in età repubblicana: se le varie richieste individuali e collettive vengono discusse dal Magistrato ma le questioni più importanti sono sottoposte all’autorità centrale, le comunità rurali degli inizi del Seicento hanno ancora uno spazio propositivo, controllato dall’alto ma tale da consentire alle strutture amministrative locali di essere un vettore di istanze significative. La centralizzazione operata da Cosimo I limita decisamente il potere deliberativo dei consigli locali ma, nel corso del XVII secolo, spetta ancora agli organismi comunitativi deliberare in merito a questioni interne (spese locali, amministrazione dei beni comunali, regolamentazione degli usi civici ecc…) e da essi, inoltre, dipende la distribuzione e la riscossione delle imposte, la tutela della proprietà, il mantenimento dell’ordine pubblico. I comuni su cui il Magistrato dei Surrogati esercita la sua giurisdizione sono principalmente piccoli centri; accanto ad essi vi sono grosse comunità come quella di Buti (circa duemila persone nel 1638) e quella di Pontedera, in fase di continua espansione demografica. Inoltre vi sono centri prettamente rurali, in cui l’agricoltura è l’unica attività praticata dagli abitanti, e centri in cui vi è maggiore varietà nell’ambito della vita economica locale: a Buti e a Calci sono presenti attività di tipo industriale (industria molitoria a Calci e mulini e frantoi a Buti); in altri centri sono sviluppate attività di tipo artigianale (lavorazione della lana a Palaia e della seta a Buti). La pluralità delle attività economiche in questi comuni facilita la creazione di patrimoni fondiari di appartenenza degli abitanti del luogo e vi sono centri in cui “non è certo possibile individuare una grande differenziazione nei modi di vita tra i più poveri, lavoratori agricoli alle dipendenze di altri, e i cosiddetti «megliostanti», proprietari e/o livellari, per lo

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più, di piccoli appezzamenti”50. Nei centri più grandi è invece possibile individuare famiglie importanti, come gli Abati a Pontedera e i Tonini a Buti. In un contesto così vario possono essere diverse le modalità di attribuzione delle cariche e il possesso di queste ultime può essere più o meno desiderato, a seconda delle situazioni locali. L’amministrazione delle comunità del contado è affidata a due o più governatori affiancati, nei centri maggiori, da un consiglio formato da un numero variabile di consiglieri. Governatori e consiglieri organizzano la vita interna dei vari comuni in base alle norme locali e nominano i soggetti adibiti ai vari incarichi amministrativi: infatti, oltre ad almeno due governatori, devono essere nominati in ciascuna comunità un camerlengo (a cui spetta l’amministrazione delle finanze e la riscossione delle tasse) e un sindaco (incaricato della sorveglianza sulla sicurezza). Insieme a costoro viene nominato anche un campaio, il cui compito è quello di denunciare i danni arrecati alla proprietà sia collettiva che privata.

I Governatori e i vari funzionari vengono nominati generalmente tramite estrazione a sorte, tuttavia in alcune comunità la carica di governatore viene attribuita tramite elezione. Si tratta di comunità caratterizzate da una certa stratificazione sociale, in cui il principio elettivo garantisce il controllo del comune alle famiglie più facoltose. In molti centri minori, dove la vita economica e sociale è poco differenziata, i vantaggi collegati all’esercizio dei vari incarichi amministrativi sono minori e il governatorato può risultare addirittura poco desiderabile (dai documenti del Magistrato dei Surrogati emergono infatti molte difficoltà nell’attribuire quest’ultima carica in alcune comunità). Le classi privilegiate, inoltre, possono esercitare la propria influenza sull’amministrazione locale anche attraverso forme di pressione indiretta.

Le istituzioni comunali agli inizi del Seicento, in ogni caso, costituiscono ancora un canale tramite cui anche i più poveri riescono a far sentire la loro voce: non vi sono infatti limiti di censo per quanto riguarda l’eleggibilità alla carica di

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governatore. Lungo tutto l’arco del secolo, inoltre, si ricorre frequentemente al «partito» popolare tramite la convocazione dei capifamiglia residenti nelle comunità.

L’incarico comunitativo più importante dopo il governatorato è quello del camerlingato. Il camerlengo, si è detto, amministra le finanze della comunità ed è incaricato di riscuotere le tasse. Il sistema di riscossione è però piuttosto complesso e spesso l’esercizio di questa carica si conclude con l’accumulo di debiti; inoltre, i più ricchi (in primo luogo proprietari cittadini) versano i loro contributi con lentezza e buona parte della popolazione contadina non riesce a pagare quanto dovuto, soprattutto in occasione di cattivi raccolti. L’attribuzione del camerlingato viene pertanto considerata come un problema da evitare: tali resistenze da parte della popolazione non sono un segno di estraneità o disinteresse per la vita locale ma sono riconducibili alle difficoltà collegate al mantenimento di sistemi amministrativi tradizionali in una nuova realtà statale, e appaiono legate al funzionamento del sistema istituzionale del Granducato più che a situazioni locali. Nel XVII secolo, inoltre, la riscossione delle imposte diviene ancora più complessa a causa della presenza sempre maggiore nelle comunità dei proprietari cittadini, in ritardo nel pagamento delle tasse, e della maggiore importanza del prelievo fiscale in seguito all’aumento dei costi di organizzazione dello Stato in epoca granducale. Pertanto, chi ne ha la possibilità economica sceglie spesso di evitare il camerlingato tramite il pagamento di un’ammenda (il cosiddetto «rifiuto»); si ricorre frequentemente anche alla «sostituzione», pagando un individuo affinché costui svolga le funzioni di camerlengo assegnate all’estratto.

I gruppi sociali più abbienti sono esentati dall’esercizio della carica di camerlengo: è il caso dei «cittadini salvatici», ovvero quegli abitanti del contado più ricchi che ottengono la cittadinanza pisana. Così accade spesso che il camerlingato ricada sui più poveri che, di solito analfabeti, non riescono a svolgere un incarico così importante e pieno di responsabilità. Frequentemente,

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perciò, molti di costoro finiscono in carcere poiché il camerlengo è tenuto a pagare di tasca propria tutte quelle «partite» di cui non vengono esibite le ricevute. Per porre rimedio ad una situazione evidentemente complessa ed evitare tensioni all’interno delle varie comunità, il Magistrato dei Surrogati ordina che la persona estratta debba esercitare obbligatoriamente la carica, pena la prigione. Ma ciò non è sufficiente a risolvere il problema poiché, pur di sottrarsi all’incarico di camerlengo, gli estratti non esitano “a mettere in atto gli espedienti più stravaganti e pittoreschi”51

.

Se l’esercizio del camerlingato rappresenta un problema per molti, per altri costituisce un mezzo attraverso cui arricchirsi ed acquistare potere all’interno della comunità. Ciò accade soprattutto nei centri in cui il camerlengo deve amministrare entrate molto cospicue: qui la carica può costituire una fonte di guadagno, magari attraverso la frode. Vi sono inoltre testimonianze riguardanti camerlenghi arrestati per aver esercitato il loro incarico oltre il limite massimo consentito di un anno.

I camerlenghi sono eletti anche dalle podesterie e dai vicariati (circoscrizioni giurisdizionali ed amministrative in cui sono raggruppate le comunità) che hanno propri organismi governativi formati da individui scelti tra tutti i governatori dei comuni compresi nella medesima circoscrizione. La carica di camerlengo di vicariato può essere ricoperta solo da persone in possesso di una certa quantità di beni fondiari e non prevede alcun limite temporale al suo esercizio. I camerlenghi di vicariato hanno il compito di riscuotere le imposte esatte nei singoli comuni dai camerlenghi locali; però, visto che nel contado pisano non corre moneta fiorentina, essi riscuotono dalle comunità la moneta in uso che poi cambiano in moneta ducale prima di pagare il Magistrato dei Nove. Sono le comunità a rifondere ai camerlenghi le spese sostenute nel cambio della moneta, pertanto questi ultimi possono trarre cospicui guadagni alzando

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volontariamente le spese per gli aggi, oltre ad impiegare in speculazioni private le somme riscosse.

Al di là degli interessi contrastanti dei ceti rurali nelle varie comunità, gli atti del Magistrato dei Surrogati evidenziano i problemi che riguardano i rapporti tra «uomini di comune» e proprietari terrieri cittadini. Agli inizi del XVII secolo la proprietà cittadina (fiorentina e pisana) è abbastanza diffusa nel contado, anche se importanti quote di terre rimangono proprietà dei piccoli possidenti locali (nel 1637, sulla base dei dati rilevati da Malanima, cittadini pisani e fiorentini possiedono il 58 % delle terre, i locali ne possiedono il 28% mentre agli enti religiosi appartengono il 14 % dei beni fondiari). Una proprietà cittadina così estesa è causa di molti contenziosi che riguardano un po’ tutti i problemi connessi alla vita rurale. Bisogna specificare, tuttavia, che protagonisti dei contrasti non sono i proprietari cittadini in genere ma i grandi proprietari terrieri, appartenenti a famiglie nobiliari pisane (Gualandi, Lanfranchi, Rosselmini, Upezzinghi, Galletti, Campiglia) o fiorentine (Pitti, Alamanni, Capponi, Strozzi, Pucci ecc…). I contrasti tra cittadini e piccoli proprietari locali riguardano problemi di grande importanza per le comunità del contado: criteri di impiego delle entrate comunitative, ripartizione del carico fiscale, gestione ed utilizzo dei beni comunali.

Le comunità rurali del pisano, a partire dal Quattrocento, devono pagare tasse per le spese inerenti l’organizzazione interna delle comunità e delle circoscrizioni giurisdizionali di cui esse fanno parte, «spese universali e tasse di cavalli e bargelli» e le tasse imposte dall’Ufficio dei Fossi (riguardanti lavori di bonifica e di mantenimento di fossi e strade). Secondo una consuetudine, ribadita dalla legge emanata da Cosimo I nel 1551, sono le comunità stesse a dover pagare le imposizioni con le entrate a propria disposizione: queste vengono ricavate soprattutto dallo sfruttamento delle terre collettive (incanto delle pasture e dei boschi, riscossioni di livelli, affitti e terratici); vi sono poi i «proventi», ovvero “il ricavato della cessione a privati, dietro pagamento di una

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tassa, della «privativa» della vendita di alcuni generi alimentari (pane, olio, carne e vino) e del diritto di esercitare, in condizioni di monopolio, determinate attività (osteria, mulini e, talvolta, anche bagni termali)52. Non sempre però le comunità dispongono di terre collettive da mettere all’incanto e i vari «proventi» sono spesso esigui. Pertanto, i consigli della maggior parte delle comunità sono “costretti a ripartire sulla proprietà fondiaria, cittadina e contadina, la quasi totalità delle imposizioni”53. Quest’ultime, nel Granducato di Toscana come in

altri Stati di antico regime, sono ripartite dagli organismi centrali fra le varie comunità per quote proporzionali alla «massa» d’estimo, ovvero al valore dei beni fondiari locali. Nella seconda metà del XVI secolo l’espansione della proprietà cittadina causa una decisa riduzione della massa d’estimo posseduta dai locali, rendendo molto pesante il carico fiscale sulla restante proprietà contadina. Pertanto, Cosimo I emana nel 1551 una legge in base alla quale anche i Fiorentini (esenti dal pagamento delle tasse distribuite sull’estimo delle singole comunità) devono concorrere alle spese dei Fossi; nel 1590 i cittadini fiorentini sono obbligati a contribuire alle spese comunali.

Agli inizi del Seicento, tutti i cittadini pisani e fiorentini sono tenuti alle «spese universali», alle tasse dei Fossi e alle imposte locali, “destinate a sopperire al funzionamento e all’organizzazione della via interna delle comunità»54. L’applicazione di tali criteri nella riscossione delle imposte è però causa di contrasti nei comuni del pisano: i cittadini si oppongono infatti alle spese comunitative per non accrescere il carico fiscale gravante sugli estimi. Essi cercano di bloccare le assunzioni di medici, maestri, cerusici e l’aumento dei loro salari, o anche di limitare le richieste di aumento dello stipendio ai camerlenghi locali. Un altro punto su cui i cittadini insistono è l’utilizzo della maggior parte delle entrate comunali per il pagamento delle imposte, affinché queste non vadano a gravare sui loro beni. Vi sono molte testimonianze di cause

52 Ivi, p.314. 53 Ivi, p. 315. 54

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intentate da proprietari cittadini contro varie comunità del contado, all’interno delle filze di atti civili del Magistrato dei Surrogati: a Pontedera, per esempio, nel 1627 i proprietari cittadini fanno pressione sui rappresentanti locali affinché con le entrate della comunità si provveda innanzitutto al pagamento dei dazi imposti dall’Ufficio dei Fossi sui beni dei proprietari55.

Un’esemplificazione delle tensioni diffuse nelle campagne pisane in merito alla ripartizione del carico fiscale è dato dai contrasti che coinvolgono nel 1624 il Magistrato dei Surrogati e i Priori, massima magistratura pisana. Durante il periodo 1616-1623, caratterizzato da una serie di cattivi raccolti, le comunità del contado vengono rifornite con grandi quantitativi di grano e segale dall’Abbondanza di Firenze e dallo Scrittoio granducale. Queste distribuzioni di viveri servono sì a superare la crisi ma spesso si risolvono in una vera e propria occasione di guadagno per i Medici; in più, per ovviare all’indebitamento con l’Abbondanza e con lo Scrittoio, i consigli locali sono costretti a chiedere un prestito di 8176 scudi al Monte di Pietà di Firenze. Agli inizi del Seicento, dunque, le comunità del contado pisano sono indebitate con il Monte di Pietà e continuano ad essere gravate dalle sovvenzioni che, a causa dei cattivi raccolti, continuano ad essere richieste all’Abbondanza. In tale contesto, i Surrogati propongono di distribuire l’ammontare dovuto al Monte di Pietà sull’estimo «universale», l’estimo riguardante sia contadini che cittadini pisani e fiorentini. A Firenze, in seguito alle pressioni del Magistrato dei Surrogati, viene stabilito che siano i Priori a giudicare in merito alla questione (e ciò è sicuramente segno dell’importanza assunta dagli investimenti fondiari per la classe dirigente pisana). Ma la massima magistratura di Pisa si oppone fermamente ad una misura che penalizzerebbe i cittadini ed ogni tentativo di accordo è destinato a fallire: si decide infatti di procedere al pagamento dei debiti e delle provvigioni “mediante imposizioni sull’estimo degli «uomini di comune»”56

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55 Archivio di Stato di Pisa, Archivio dei Fiumi e Fossi, 574, supplica n. 308, 28 luglio 1627, citato in D.

PESCIATINI, op. cit., p. 316.

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I contrasti fra proprietari cittadini e abitanti del contado sono acuiti dal fatto che alcune imposizioni, per una serie di fattori, vanno a gravare più sui secondi che sui primi. Per esempio, i dazi imposti dall’Ufficio dei Fossi sono ripartiti nelle comunità nella proporzione di 6/7 sulla proprietà terriera e di 1/7 sulle teste e, siccome i cittadini sono esenti dal pagamento del testatico, i costi relativi alla manutenzione delle strade e dei fossi e alle opere di risanamento idrografico vanno a gravare principalmente sui proprietari rurali. I numerosi privilegi e le esenzioni in ambito fiscale, insieme all’evasione praticata in modo costante dai cittadini, contribuiscono dunque ad accrescere il divario socio-economico tra cittadini ed «uomini di comune».

Una situazione indicativa non solo dei ritardi nei pagamenti ma anche dell’evasione fiscale da parte dei cittadini si verifica nel 1638, quando l’Ufficio dei Fossi, lamentando le difficoltà nella riscossione dei dazi imposti ai cittadini, propone a Ferdinando II che in futuro le quote di spesa comunitativa spettante ai proprietari cittadini torni ad essere riscossa dai camerlenghi comunitativi (mentre in precedenza, all’atto dell’istituzione del Magistrato dei Surrogati, la riscossione delle quote spettanti a cittadini e religiosi era stata delegata al camerlengo dell’Ufficio dei Fossi).

Importante in relazione alla questione della ripartizione delle imposte nelle comunità, è inoltre la presenza nei comuni dei «cittadini salvatici», ovvero quegli abitanti del contado che riescono ad ottenere la cittadinanza pisana. L’acquisizione della cittadinanza è una tappa quasi obbligata per coloro che raggiungono una posizione di un certo prestigio nella comunità e la condizione di «cittadino salvatico» comporta l’esenzione dalle cariche comunitative e dal pagamento del testatico, a patto però che la cittadinanza sia stata acquisita prima del 1494 (come stabilito dalle Capitolazioni tra Firenze e Pisa del 1509 per quanto riguarda l’esenzione dalle cariche comunitative, e da una sentenza del 1595 per quel che riguarda l’esenzione dal testatico) . Tuttavia anche coloro che sono diventati cittadini pisani ben oltre tale data vogliono usufruire di questi

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privilegi e, probabilmente, riescono a goderne in certi casi avvalendosi del proprio prestigio personale nella comunità.

Concludere che la pressione fiscale esercitata sul contado pisano sia caratterizzata da un peso particolare e crescente nell’ambito della fiscalità del Granducato è forse azzardato; è però certo che la politica granducale orientata a favorire l’immigrazione nell’area di Pisa attraverso la concessione di immunità ed esenzioni, trova un ostacolo nella questione del prelievo fiscale. Del resto, sono gli stessi funzionari granducali a rilevare la contraddizione tra la concessione dell’immunità per i debiti privati e l’indebitamento pubblico a cui sono costretti i nuovi arrivati per pagare le imposte.

Il prelievo fiscale “inasprisce dunque i contrasti tra cittadini e contadini in merito alla ripartizione delle imposte e all’utilizzazione delle entrate comunitative e contribuisce a far sì che tali problemi rappresentino uno degli aspetti di vita comunitativa attorno al quale maggiormente si annodano resistenze e conflittualità all’interno dei comuni pisani”57