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Il contado di Pisa all'epoca di Cosimo III: persistenza e cambiamento.

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Indice:

- Introduzione……….

pp. 2-7

- Cap. 1: Il contado pisano

-

Diffusione della Mezzadria………..pp. 8-15

-

Distribuzione della proprietà e sfruttamento del suolo………pp. 16-25

-

Distribuzione della popolazione………..pp. 26-38

-

Comunità del contado nel XVII secolo………...pp. 39-53

-

Fattorie granducali del contado occidentale………pp. 54-66

-

Magistrature annonarie e mercato agricolo……….pp. 67-80

- Cap. 2: Aspetti della società contadina toscana in Età Moderna

-

Il “Lusso” dei contadini………..pp. 81-96

-

Agricoltura e sviluppo capitalistico nella Toscana moderna……….pp. 97-117

- Cap. 3: Bientina, una comunità nel contado di Pisa

-

Il Lago e la comunità bientinese………pp. 118-141

-

La fattoria granducale delle Cascine di Bientina………pp. 142-153

- Conclusioni………...

pp. 154-157

- Bibliografia………...

pp. 158-163

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Introduzione

Gli studiosi di storia economica hanno considerato a lungo il periodo tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento come il momento più grave di una lunga crisi iniziata un secolo prima e riguardante tutta l’Europa. La ripresa da tale epoca di declino sarebbe cominciata soltanto a partire dagli anni Trenta del XVIII secolo: l’inizio di una nuova fase di espansione sarebbe testimoniato dal rialzo dei prezzi agricoli. Solo piuttosto recentemente questa posizione è stata messa in discussione grazie alle nuove conoscenze: si è notato, infatti, che già nella seconda metà del Seicento l’andamento demografico tende al rialzo (a causa della scomparsa delle epidemie di peste) e che proprio in tale periodo “cominciano a profilarsi tanti eventi nuovi che manifestano un nuovo orientamento nella vita delle campagne e non soltanto di quelle dell’Inghilterra”1

. Anche per quanto riguarda la Toscana ai tempi di Cosimo III de’ Medici, gli studi del passato delineano un quadro quasi completamente negativo, soprattutto nel campo dell’economia: decadenza delle industrie tradizionali nelle città e stagnazione delle campagne; tuttavia, tale ricostruzione appare ben datata alla luce delle ricerche compiute negli ultimi decenni.

Innanzitutto, i dati demografici dicono che, fra il 1640-42 e la fine della dinastia dei Medici, l’aumento demografico in Toscana è pari al 24%: si passa, infatti, dai 721.000 abitanti del 1640 agli 894.000 del 1738. Non tutto questo periodo è caratterizzato dalla crescita della popolazione (la lunga carestia del 1645-49 e l’epidemia di tifo del 1648-49 causano numerosi decessi). La ripresa ha inizio intorno al 1660, quando sono ormai scomparse le epidemie che frenano l’incremento demografico: l’ultima grande pestilenza del Granducato è quella del 1630-31. Inoltre, durante il governo di Cosimo III, le carestie veramente

1 P. MALANIMA «L’economia toscana nell’età di Cosimo III» in La Toscana nell’età di Cosimo III, Firenze,

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gravi sono soltanto due: quella del 1678-79 e quella del 1709-10; l’aumento della popolazione in Toscana, quindi, deriva da una diminuzione del tasso di mortalità. Un dato particolarmente interessante è dato dalla differenza tra le città e le campagne: se si confrontano i dati del 1642 con quelli del 1745, infatti, l’incremento demografico registrato dalle città è piuttosto modesto (l’unico forte aumento è quello di Livorno, che passa da 14.816 a 32.534 abitanti). Tale scarso dinamismo urbano è un qualcosa di nuovo per la Toscana, in cui, nelle precedenti epoche di espansione, le popolazioni cittadine erano sempre aumentate di più di quelle delle campagne; inoltre, comincia a ridimensionarsi l’importanza demografica di Firenze nell’ambito del Granducato. Altro elemento importante è la distribuzione dell’aumento demografico sul territorio dello Stato mediceo: nell’età di Cosimo III, possiamo distinguere tre grandi zone con caratteristiche differenti, ovvero l’area orientale (Firenze, Prato e dintorni), quella occidentale (oltre San Miniato) e quella meridionale (comprendente il contado di Siena e tutta la Maremma senese). Mentre nel contado pisano si verifica un netto incremento demografico, nella zona orientale del Granducato la popolazione cresce più lentamente; nello Stato Senese, invece, si assiste ad una graduale diminuzione del numero degli abitanti.

Lo scarso sviluppo demografico delle città è spiegato dal fatto che i centri toscani, tra Sei e Settecento, richiamano una minore immigrazione rispetto al passato (a causa della stasi o della ridotta crescita delle attività economiche urbane): a Firenze, per esempio, la produzione dell’industria laniera continua a diminuire ai tempi di Cosimo III (le esportazioni risultano ormai limitate ad alcune città del centro-sud Italia e molte botteghe sono costrette a chiudere). Diverso il discorso riguardante l’industria serica: in questo settore, l’età di Cosimo III non è “affatto un’epoca di decadenza o di stagnazione”2. Infatti, Il numero dei drappi di seta prodotti aumenta notevolmente ed essi vengono esportati ancora in mercati lontani, come quelli dell’Europa dell’est. Anche per

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quel che riguarda i commerci, l’età di Cosimo III “appare tutt’altro che un periodo di stasi o di declino”3

: a partire dal 1670, infatti, si assiste ad un aumento delle società mercantili toscane all’estero (il cui numero diminuisce dopo il 1740). In particolare, risultano particolarmente vivaci le condizioni di Prato e Livorno: per quel che riguarda la prima città, la seconda metà del XVII secolo è un periodo di crescita produttiva e, nel settore tessile, Prato si avvia a diventare il centro più attivo del Granducato (dopo una lunga decadenza cominciata nel Quattrocento). A Livorno, con la proclamazione del porto franco nel 1676, vengono soppresse tutte le gabelle e viene fissato il pagamento di uno «stallaggio» sulle merci: in seguito a tale provvedimento, il volume dei traffici nel porto aumenta con l’arrivo di un numero maggiore di navi straniere. Così, negli ultimi decenni del Seicento, Livorno diventa un centro fondamentale per l’economia dello Stato mediceo: Prato, attraverso il porto labronico, importa materie prime ed esporta prodotti finiti; l’industria del lino, sempre più attiva in Toscana, importa lino grezzo attraverso Livorno; inoltre, Firenze esporta attraverso il porto livornese la maggior parte dei drappi di seta prodotti in città. Per quanto riguarda l’agricoltura toscana all’epoca di Cosimo III, bisogna dire che tutto il periodo a cavallo fra XVII e XVIII secolo è caratterizzato da una lunga fase di bassi prezzi dei cereali: tale declino ha inizio dopo la carestia di metà Seicento, raggiunge il punto più basso intorno al 1690 e poi continua fino al 1733-34 (quando i prezzi ricominciano a salire). Molti storici ritengono che, nell’Europa a cavallo tra Sei e Settecento, i bassi prezzi agricoli scoraggiano la cerealicoltura, causano una caduta degli investimenti ed esercitano “effetti negativi sui redditi dei proprietari e in particolare su quelli dei maggiori proprietari”4

. Tale tendenza vale anche per la Toscana: le semine di grano si riducono e vengono abbandonati i terreni meno adatti alla coltivazione dei cereali (in Maremma, per esempio, aumenta il numero di terreni incolti). In alcune proprietà si cerca di contrastare il ribasso dei prezzi cerealicoli

3 Cit. ivi, p. 8. 4

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seminando cereali con un rendimento maggiore a quello del grano: la coltivazione del mais, infatti, aumenta in diverse aree del Granducato. In tal modo, i proprietari cercano di accrescere la produzione delle loro terre per vendere di più; questo tipo di risposta, tuttavia, risulta proficuo solo a livello individuale poiché, in generale, essa ha l’effetto di abbassare ulteriormente il prezzo dei cereali. Risultati migliori sono ottenuti da quei grandi proprietari che ampliano le superfici coltivate grazie alla bonifica di alcune terre in loro possesso. In generale, però, le rendite dei grandi proprietari diminuiscono ai tempi di Cosimo III: l’aumento del grano disponibile è tale che viene spesso concessa la libertà di esportazione (le annate di carestia della metà del Seicento sono decisamente più favorevoli per i grandi possessori di terre). Totalmente diversa la situazione dei piccoli proprietari e dei mezzadri: la logica di mercato, infatti, non vale per coloro che ricavano dalla terra la sussistenza propria e della propria famiglia. Per costoro “il granaio pieno non può che significare abbondanza e benessere”5

e, in una fase di prezzi agricoli bassi e buoni raccolti, essi “possono addirittura essere in grado di vendere qualcosa o di vendere di più, arrivando a disporre così di qualche entrata in moneta”6

. Dunque, il declino congiunturale che caratterizza l’età di Cosimo III è tale solo per i grandi proprietari e non per i mezzadri ed i piccoli possessori di terre.

Al contrario di quello del grano, il prezzo del vino si mantiene stabile su livelli alti in Toscana e non solo: a partire dalla seconda metà del Seicento, infatti, in tutta Europa avanza la coltura della vite poiché i proprietari cercano, in questo modo, di “orientarsi verso colture più proficue”7. Per quanto riguarda i prezzi dell’olio, essi seguono più o meno lo stesso trend dei cereali. Aumenta invece, sia in Toscana che in Europa, il prezzo della carne e dei latticini: nel Granducato, l’allevamento si espande in varie zone (ad esempio nel Pratese, dove aumenta il numero di bovini allevati). Alcune superfici coltivate a cereali

5 Ivi, p. 12. 6 Ibidem. 7

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vengono trasformate in prati, mentre in altre aree l’aumento del rapporto fra superficie coltivata e bestiame favorisce un incremento della concimazione e, quindi, un migliore rendimento della terra (agisce in questa direzione anche l’estensione della coltura delle leguminose). Nella Maremma, tuttavia, non si ha alcun miglioramento dell’allevamento (sia ovino che bovino) nonostante gli sforzi del governo mediceo. Conosce un andamento simile a quello della viticoltura la coltivazione del gelso: il prezzo della seta fiorentina, infatti, rimane alto e la gelsicoltura viene favorita dal granduca vista la sua importanza economica per la Toscana.

Se la particolare congiuntura economica dell’età di Cosimo III favorisce, come si è detto, mezzadri e piccoli proprietari, i rapporti di forza di questi ultimi nei confronti dei grandi proprietari peggiorano decisamente: rispetto al passato, il proprietario pretende quantità supplementari di vino e prodotto ricavabile dai prati; aumenta il numero degli animali di sua proprietà sui poderi; si appropria di paglie, strami e prodotti delle coltivazioni legnose; attribuisce ai lavoratori tutto o una parte del pagamento della decima; preclude ai contadini la facoltà di allevare un maiale o altri animali in proprio; riscuote dei «vantaggi» previsti nei contratti ma non più riscossi da tempo. Per i mezzadri non è facile opporsi a queste prevaricazioni dei proprietari: il numero dei pigionali, infatti, aumenta con l’aumento della popolazione e costituisce “una continua minaccia alla stabilità della famiglia mezzadrile sul podere”8; tale crescita del numero dei braccianti, tuttavia, si verifica più nella parte orientale del Granducato che in quella occidentale.

Per mezzadri, piccoli proprietari e braccianti, un modo per integrare le scarse risorse familiari è quello di procurarsi delle fonti di reddito complementari al lavoro nei poderi: nelle campagne europee, tra Sei e Settecento, si diffonde l’industria tessile a domicilio; in un periodo caratterizzato da prezzi agricoli bassi e dal costo stabile dei prodotti tessili, l’industria rurale può integrare il

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modesto reddito della famiglia contadina. La Toscana non è una delle aree di intenso sviluppo di tale fenomeno, eppure l’industria rurale è un elemento non trascurabile nell’età di Cosimo III: essa, pur essendo assente nella parte meridionale ed in quella occidentale dello Stato mediceo, si rafforza in Valdarno (a cominciare da Santa Croce, Fucecchio ed Empoli) fino al Casentino e in Val d’Elsa, Val di Pesa e Val di Sieve.

In definitiva, “la rappresentazione dell’età di Cosimo III come un’epoca d’immobilismo e di malessere economico risulta probabilmente inesatta”9

. Si tratta, in realtà, di un periodo di cambiamenti sia nelle campagne che nei centri urbani e di benessere relativo per buona parte della popolazione contadina; solo per i grandi proprietari terrieri, si è visto, l’epoca di Cosimo III è sfavorevole dal punto di vista economico. Dopo il 1730, però, i prezzi tornano a salire e così anche le rendite dei grossi proprietari, a svantaggio di un numero crescente di pigionali, della maggioranza dei mezzadri (che vendono ed acquistano poco sul mercato) e di molti lavoratori delle città (che con gli acquisti sui mercati devono provvedere alla propria sopravvivenza).

Il presente lavoro si propone di approfondire le vicende storiche e gli aspetti socio-economici del contado pisano nell’età di Cosimo III e, più in generale, durante il corso dell’età moderna, nell’ambito dello Stato mediceo prima e del Granducato di Toscana poi.

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Cap. 1: Il contado pisano

Diffusione della Mezzadria

Il contado pisano subisce numerosi e profondi cambiamenti fra XV e XVII secolo: ciò comporta l’assunzione da parte di esso di una posizione di crescente importanza all’interno dello Stato mediceo. Assistiamo ad un vero e proprio “processo di valorizzazione delle campagne attraverso opere di sistemazione del territorio e di intensificazione delle colture”10

e, parallelamente, ad un aumento progressivo della proprietà cittadina. A partire dalla seconda metà del Quattrocento, infatti, il contado di Pisa diviene area di espansione della proprietà fondiaria fiorentina, la quale si affianca ai possedimenti dei ricchi cittadini pisani: questo processo, che si protrae fino ai primi del Seicento, comporta una decisa riduzione della piccola proprietà contadina e, in forma meno accentuata, di quella ecclesiastica.

Conseguenza della penetrazione della proprietà fiorentina nelle campagne pisane è un’intensificazione del processo di appoderamento e di diffusione del contratto di mezzadria, quasi assente nel territorio di Pisa. Nella seconda metà del Trecento, infatti, la mezzadria è ampiamente presente nel fiorentino, nel senese, nel pistoiese e a San Gimignano ma è praticamente assente nel contado pisano, dove l’assenza dell’appoderamento ne ostacola la diffusione (nel 1427, anno di catasto, la mezzadria riguarda meno dell’1% delle famiglie contadine pisane). Se il contratto mezzadrile viene applicato con maggiore frequenza a partire dalla seconda metà del XV secolo, questa tendenza rimane comunque marginale e ad esso vengono preferiti altri contratti di tipo parziario.

10 L. CONTE, «Distribuzione della proprietà e utilizzazione del suolo nelle campagne pisane del XVII secolo»,

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Nel catasto del 1491 viene menzionata in più di un caso la conduzione «a mezzo»; tuttavia tale espressione, a volte, non indica un contratto mezzadrile (caratterizzato da podere con coltura promiscua e casa abitata dal colono con la sua famiglia) ma un rapporto parziario tra contadino e proprietario, in cui il canone stabilito è la metà del prodotto della terra. Altre volte, invece, gli elementi tipici della mezzadria sono esplicitamente menzionati: è il caso di un podere ad Alica in val d’Era, di proprietà della famiglia fiorentina dei Riccardi. Costoro hanno allivellato nel 1461 il podere dalla Certosa di Calci che, a sua volta, aveva ereditato questa ed altre proprietà della zona dalla famiglia pisana dei Gambacorta. Fin dai primi anni dalla concessione del livello, i Riccardi gestiscono in modo innovativo il podere, introducendo il contratto mezzadrile; nello stesso periodo, la Certosa continua ad applicare forme contrattuali decisamente più tradizionali nei terreni che da essa ancora dipendedono.

Nel 1466, Riccardo Riccardi concede a Piero di Giuliano e famiglia le terre di Alica: il contratto (di tipo mezzadrile, appunto) prevede la divisione a metà del prodotto della terra e l’obbligo di residenza sul podere. Inoltre, spetta al contadino il compito “di portare ogni anno un paio di capponi al padrone e di vangare ogni anno 10 o 12 stiora di terra”11

. In seguito all’introduzione della mezzadria, si verifica un aumento della produzione di grano (che passa da 92 a 140 staia) a spese degli altri tipi di colture: anche se il disboscamento, forse, è una delle cause principali di tale modifica dell’assetto produttivo, sono certamente le esigenze della famiglia mezzadrile che portano “all’accrescimento e al mantenimento della superficie destinata alla coltura cerealicola”12.

Attraverso la concessione di fitti e livelli (come quello della Certosa) da parte di enti religiosi, la famiglia Riccardi espande i propri possedimenti nel contado pisano e, intorno alla metà del Cinquecento, risulta ben presente ad Alica e nel

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P. MALANIMA, «La proprietà fiorentina e la diffusione della mezzadria nel contado pisano nei secoli XV e XVI», in Contadini e proprietari nella Toscana moderna. Atti del Convegno di Studi in onore di G. Giorgetti, vol. I, dal Medioevo all’età moderna, Firenze, 1979-1981, p. 354.

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comune di Villa Saletta. Nella zona vi sono anche altre importanti famiglie fiorentine che possiedono numerose proprietà come i Soderini, i Bardi, i Baldovinetti, i Pucci, i Capponi, i Rucellai, i Giugni. La formazione dei patrimoni posseduti è, per queste famiglie, il risultato di successi soprattutto commerciali ottenuti in passato. L’esempio più emblematico di penetrazione nel territorio pisano e di ricomposizione fondiaria è, però, quello dei Medici: Intorno alla fine del XV secolo, Lorenzo il Magnifico acquista terreni ad Agnano, Bientina, Collesalvetti, Ripafratta e nella Maremma pisana. Altri terreni di proprietà della illustre famiglia fiorentina si trovano a Vicopisano, Vicarello, San Piero a Grado, Oratoio, Ripafratta e in Val di Serchio mentre nel 1489 viene incamerato il padule di Coltano.

La presenza di beni appartenenti a famiglie fiorentine appare nei catasti del contado di Pisa del 1481 e del 1491. Tali catasti, a differenza di quelli fiorentini, “permettono di cogliere dalla viva testimonianza degli interessati le forme di gestione dei patrimoni fondiari, fornendo, per numerose località del contado, precise indicazioni sulla varietà dei patti agrari e sulla diffusione di contratti di tipo mezzadrile”13

. Da questa documentazione emerge che l’affitto parziario e non parziario è la forma contrattuale predominante nei patrimoni fondiari appartenenti sia a Forentini che a Pisani e ad enti ecclesiastici. Spesso, i contratti a canone parziario si alternano a quelli con canone fisso: è il caso, per esempio, delle proprietà dei Medici. I beni di Lorenzo a Collesalvetti sono affittati per un canone annuale di tre sacchi di grano, mentre le proprietà di Cascina e Ripafratta sono affittate a volte per un quarto, altre per un terzo ed altre ancora per metà del raccolto. In quest’ultima circostanza, tuttavia, non è possibile parlare di mezzadria poderale vera e propria quanto piuttosto di un contratto parziario applicato a terreni spezzati. Contratti con canone pari alla metà del prodotto della terra riguardano anche alcune proprietà di cittadini pisani: si tratta soprattutto di terreni di estensione limitata, spesso destinati alla coltivazione di

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colture arboree, senza casa colonica e, in molti casi, concessi al contadino da vari proprietari. Poco numerosi sono, alla fine del Quattrocento, i contratti con canone monetario, quelli di livello e, come accennato in precedenza, i contratti di mezzadria vera e propria. Se questi ultimi sono presenti, come si è visto, soprattutto nelle proprietà fiorentine diffuse nel contado pisano, bisogna dire, però, che alla fine del Quattrocento sono rari i fondi che possono essere definiti poderi. Anche le proprietà più estese sono formate da appezzamenti di terreno sparsi e difficilmente collegabili in quella che possiamo definire una struttura poderale vera e propria. È nel corso del Cinquecento che assistiamo ad un processo di ulteriore accrescimento della proprietà fiorentina e alla creazione di poderi, poi riuniti in fattorie: ciò favorisce l’adozione di nuovi rapporti contrattuali tra proprietario della terra e colono.

Esemplari, ancora una volta, le vicende della famiglia Riccardi: grazie ai livelli ottenuti alla fine del XV secolo, i figli di Riccardo aumentano l’estensione dei propri beni fondiari. In una zona compresa fra Palaia e Ponsacco, la famiglia attua una decisa opera di ricomposizione fondiaria in un territorio in cui la proprietà risulta molto frazionata, a scapito dei piccoli proprietari locali. Tra i figli di Riccardo, Giovanni è quello che estende in modo particolare il patrimonio con ulteriori acquisti di beni a Villa Saletta e nel 1517, anno della sua morte, i fratelli Ridolfo e Gabriello riuniscono tutte le proprietà di famiglia. Rispetto al 1480 il patrimonio dei Riccardi è cresciuto notevolmente e continuerà ad espandersi col passare del tempo, con nuovi e numerosi acquisti di terre tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, e tra fine Seicento e primi del Settecento. Tale espansione si collega ad una serie di investimenti e “alla creazione di poderi, raccolti poi in fattoria, e quindi alla modifica della struttura agraria della zona”14

. Dalla documentazione dell’epoca si evincono infatti, in merito alle vicende dei Riccardi, le relazioni tra ampliamento della proprietà terriera, formazione di unità poderali e introduzione della mezzadria.

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Il processo di estensione dei beni fondiari nel contado pisano riguarda anche le vicende di altre famiglie fiorentine: se alla fine del Quattrocento riscontriamo la presenza dei primi nuclei di quelli che in futuro saranno patrimoni immobiliari, intorno al 1560 troviamo complessi di estese proprietà appartenenti a casate originarie di Firenze. A tale data la penetrazione fiorentina è ancora in corso, e tuttavia costituisce un dato di fatto molto importante, a cui corrispondono un netto regresso della proprietà contadina e la stabilità (ma, spesso, anche la flessione) della proprietà fondiaria dei cittadini pisani e degli enti religiosi. In alcuni comuni, però, il possesso dei contadini locali rappresenta ancora la maggioranza: è il caso di Orciatico dove, nel 1560, la proprietà degli abitanti del luogo è pari all’85 %, quella dei Pisani al 2 %, quella degli enti religiosi al 12 % e solo all’1 % quella dei Fiorentini. Nei dodici comuni della podesteria di Peccioli, nello stesso anno, i piccoli proprietari locali possiedono il 38 % della terra, i cittadini pisani il 22 %, gli enti ecclesiastici l’11 % e le famiglie fiorentine il 29 %. Tra queste ultime troviamo i Del Nero, i Pitti, gli Adimari, i Giugni, i Tornabuoni, i Torrigiani, i Bardi, gli Acciaioli, i Gaetani, i Macinghi, gli Alamanni e i Riccardi. Il caso di quest’ultima famiglia si rivela, di nuovo, significativo per comprendere un fenomeno che appare di portata generale, sulla base delle testimonianze dell’epoca e dei dati degli estimi. I Riccardi, si è detto, investono somme considerevoli nell’acquisto di terre nel Pisano: 53.628 scudi fra 1590 e 1599, 24.891 fra 1600 e 1609 e 90.369 scudi fra 1610 e 1619. Dagli estimi di Villa Saletta si desume il processo di ricomposizione fondiaria attuato dalla famiglia a scapito dei proprietari locali: se nel 1563 i Riccardi possiedono il 36 % delle terre del comune, nel 1580 sono proprietari del 66 % e nel 1620 del 90 %. Il rapporto fra espansione dei beni fondiari, creazione di poderi e introduzione della mezzadria è ampiamente riscontrabile nella documentazione: non è raro, infatti, incontrare negli estimi della seconda metà del XVI secolo i segni della concentrazione fondiaria e dell’appoderamento portato avanti dalle famiglie fiorentine, in parallelo con la diffusione del contratto mezzadrile. I Pitti,

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per esempio, possiedono a Terricciola alcuni poderi con casa per il contadino, stalla e colombaia; anche i Salviati possiedono un podere nel medesimo comune mentre, nei dintorni di Palaia, i Rucellai possiedono terre con casa per il lavoratore.

Gli estimi del Cinquecento, tuttavia, danno un’immagine riduttiva del processo di appoderamento: se le unità poderali sono costituite da appezzamenti di terreno distanti tra loro, infatti, non viene fatta menzione della presenza del podere. Nonostante i limiti della documentazione, è però possibile concludere che la mezzadria nel XVI secolo risulta sicuramente più diffusa nel contado pisano rispetto al Quattrocento.

Nelle vicende dei beni medicei nelle campagne di Pisa riscontriamo ugualmente il rapporto che intercorre fra concentrazione di terre, appoderamento e diffusione del contratto mezzadrile. Esaminando gli inventari del 1568 relativi alle proprietà di Cosimo I, notiamo un chiaro contrasto fra le fattorie di proprietà del duca nei dintorni di Firenze e i beni posseduti nel pisano: se le prime sono formate da terreni appoderati, i secondi comprendono dei poderi in fase di formazione (una formazione avviata da poco e ancora piuttosto incerta). Tuttavia, dai medesimi inventari emerge il processo che porterà, attraverso una serie di investimenti, alla formazione delle fattorie di Vicopisano, Bientina, Pianora, Antignano, Casabianca, Collesalvetti, Nugola, San Regolo e Vecchiano in cui, nel Settecento, il contratto di tipo mezzadrile sarà predominante. Nel 1568, ad esempio, viene riportata l’intenzione di creare dei poderi nel territorio di Vicopisano (dopo il completamento della bonifica) e si afferma che nel presente un lavoratore è stato dislocato a Calcinaia ed altri due a Vico. Nel 1592 la granduchessa entra in possesso delle Pianore e l’obiettivo è quello di rendere il territorio paludoso “a coltura, et a poderi coltivati con case, viti et altri albori da frutto et abitatori”15

. Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento si

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fanno più numerosi i riferimenti a quelle che vengono definite “fattorie” di Bientina, Collesalvetti, Casabianca, Antignano, San Regolo.

Se, sulla base di quanto riportato dai documenti, si vuole inquadrare il meccanismo attraverso cui viene messo in atto il processo di ricomposizione fondiaria, appoderamento e diffusione della mezzadria, è necessario tener conto di elementi quali il movimento dei prezzi agricoli e l’andamento demografico. Alla fine del Cinquecento, quando la concentrazione fondiaria e l’introduzione di nuovi rapporti agrari è più intensa, a Pisa il prezzo del grano aumenta del 103 %. Per i grandi proprietari questo significa profitto e possibilità di ingrandire il proprio patrimonio fondiario, viste anche le difficoltà attraversate dai commerci e dalle industrie fiorentine. Per il contadino-piccolo proprietario, che ha un limitato rapporto con i mercati e che deve pensare innanzitutto al sostenimento della propria famiglia, gli improvvisi e violenti aumenti dei prezzi, causati dalle annate cattive, determinano “cadute del reddito monetario, difficoltà di sussistenza, necessità di indebitarsi col vicino più potente, vendita della terra, abbandono dei propri campi”16

. Da qui la continua diminuzione della piccola proprietà locale in favore dei maggiori possidenti fiorentini, una situazione che appare in modo inequivocabile dai molti passaggi di proprietà riportati negli estimi del periodo. Perdita dei diritti sulla terra da parte della piccola proprietà e processo di ricomposizione fondiaria sono elementi che sicuramente favoriscono l’introduzione e la diffusione del contratto di mezzadria; e tale forma contrattuale, anche se non più gravosa, economicamente parlando, delle forme contrattuali precedenti, comporta mancanza di autonomia e subordinazione. L’andamento demografico delle campagne pisane tra la seconda metà del Cinquecento e la prima metà del Seicento favorisce tale tipo di evoluzione: dai censimenti toscani del periodo risulta, infatti, che il contado di Pisa è l’area che conosce un più forte aumento della popolazione. Se nei primi del Quattrocento la densità demografica nel pisano è di 8,5 abitanti per chilometro quadrato (28

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per chilometro quadrato nel contado fiorentino), nel 1642 nel vicariato di Vicopisano ci sono 35 abitanti per chilometro quadro e in quello di Lari 17. Tale aumento della popolazione favorisce sicuramente l’applicazione del contratto mezzadrile: l’aumento della domanda di lavoro implica una disponibilità da parte del contadino “ad adeguarsi ad un rapporto di dipendenza sconosciuto nel Quattrocento”17

.

E’ convinzione comune, tuttavia, che l’aumento demografico abbia solamente contribuito al verificarsi di un processo più vasto (di tipo economico e sociale) di redistribuzione della terra e del reddito; un processo che polarizza la ricchezza e la proprietà, costringendo un numero sempre maggiore di contadini sprovvisti della terra ad accettare nuovi rapporti di dipendenza per poter sostentare le propria famiglia.

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Distribuzione della proprietà e sfruttamento del suolo

Nella tradizionale organizzazione del contado pisano, il rapporto fra proprietà cittadina e lavoratori è mediato dalla presenza di «comitatini ricchi» che, concessionari della terra, ricorrono alle opere e alla conduzione diretta. Quest’ultima è impossibile per i proprietari cittadini a causa della lontananza del fondo. Già prima del Quattrocento vi sono tentativi di modificare tale situazione in favore dei cittadini: si cerca di far confluire nello stesso contratto gli elementi caratteristici del famulato18 con quelli della colonia parziaria e di garantire al lavoratore più di quanto offerto dai «comitatini ricchi». Nel XV secolo, con l’estendersi degli interessi di Pisa dal mare verso l’entroterra e l’arrivo dei Fiorentini, tale strada viene seguita con più decisione. Le forme adottate sono molteplici: famulati, vari tipi di «societas», presenza di «imprenditori senza terra» e ciò sembra esprimere le difficoltà a penetrare le strutture del contado pisano (la mezzadria, come si è detto, comincia a diffondersi soltanto verso la fine del Quattrocento).

Le motivazioni del ritardo di talune trasformazioni debbono essere individuate “non in difficoltà strutturali, pur presenti, rispetto alla ricomposizione fondiaria e all’appoderamento (larga presenza delle paludi e spinta parcellizzazione delle aree migliori), ma nel rapporto Pisa-contado e nelle caratteristiche di quella società contadina”19. Una società di tipo tradizionale che non scompare immediatamente ma che persiste, nell’ambito di un rapporto (quello tra la città di Pisa e il suo contado) che si modifica in modo graduale.

18 Il termine famulato indica, nel medioevo, una sorta di servitù personale ovvero quel servizio che, in forza del

contratto di prestazione d’opera, viene reso dal familiare al padrone.

19 A. Menzione, «Proprietà e lavoro contadino: aspetti e tendenze nelle campagne di Pisa in età moderna», in

Rapporti tra proprietà, impresa e mano d’opera nell’agricoltura italiana dal IX secolo all’unità, Atti del

Convegno nazionale (25-26-27 novembre 1982), Verona, Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, 1984, p. 168.

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Ancora agli inizi del Seicento, la situazione delle campagne pisane appare varia e sostanzialmente diversa da come si presentano, ormai da tempo, il contado fiorentino ed altre parti della Toscana: ancora piuttosto limitata è la diffusione del podere, ampia la presenza dell’incolto e consistente la proprietà comunitativa. Alcuni elementi ci fanno comprendere, tuttavia, i cambiamenti in corso: la diffusione della proprietà fiorentina che, nel XVI secolo, è più intensa e riguarda soprattutto la grande proprietà di enti (la Religione di S. Stefano) e dei Medici; il processo che investe la pianura, ancora in buona parte paludosa, messo in atto dalla grande proprietà e dallo Stato che perseguono un’opera di bonifica ed appoderamento, creando tenute e fattorie. La tradizionale organizzazione della terra viene così a modificarsi, non tanto nell’ambito della semplice introduzione del contratto mezzadrile come modello importato “ma nella direzione di un assetto complessivo di cui il rapporto contrattuale è un aspetto fra gli altri”20

. È infatti opportuno non concentrarsi solamente sul cambiamento della forma contrattuale ma anche sulle strutture produttive e studiare le zone già popolate e sfruttate in precedenza, tralasciando quelle coltivate da poco tempo.

Nella zona a sud dell’Arno, tra la metà del Cinquecento e gli inizi del Seicento, la proprietà contadina subisce la penetrazione della proprietà cittadina e, soprattutto, di quella fiorentina. Tuttavia, laddove possibile, bisogna effettuare le opportune distinzioni. La proprietà fiorentina è più diffusa nell’area prossima al contado di Firenze, ovvero nella parte orientale del contado di Pisa (Pontedera, Palaia, Peccioli): queste zone vengono investite per prime dall’espansione fiorentina. È opportuno rilevare, inoltre, che se vi sono zone in cui una piccolissima parte di proprietà comune è ampiamente superata da una proprietà cittadina (pisana e, soprattutto, fiorentina) molto concentrata, in altre (le aree pianeggianti di Fauglia e Crespina, nonché il comune di Perignano) la proprietà comune e quella fiorentina coesistono.

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Ad esempio, a Perignano la proprietà comune occupa nel 1622 più del 27 % del territorio contro il 32,4 % occupato dalla proprietà cittadina (pisana e fiorentina); la proprietà contadina si estende invece solo sul 4,6 % della superficie. Questo caso risulta particolarmente interessante in quanto testimonianza di un modo di diffusione della grande proprietà diverso dal processo di «sostituzione» operato da quest’ultima nei confronti della piccola e sparsa proprietà contadina: gran parte del territorio, infatti, era stato lasciato dai contadini all’incolto (non necessariamente improduttivo) e alla palude.

Ciò che si è detto finora riguarda la distribuzione della proprietà; è opportuno, a questo punto, considerare le caratteristiche strutturali delle diverse proprietà e le differenti forze e scelte produttive.

A Pontedera, nell’anno di catasto 1622, più del 65 % della proprietà fiorentina è lavorativa, variamente arborata o arborata mista a nudo; tale tipo di sfruttamento riguarda, alla stessa data, il 48 % della proprietà contadina. Il lavorativo nudo, invece, occupa rispettivamente il 21,4 % della proprietà fiorentina e il 43,2 % di quella contadina. La proprietà fiorentina è qui di origine più antica rispetto ad altre zone (il Vicariato di Lari, per esempio) e il terreno più intensamente sfruttato. A Fauglia e Crespina il lavorativo alberato, scarso per entrambe le proprietà, corrisponde al 15,2 % della proprietà contadina e al 7,6 % di quella fiorentina: ciò non è dovuto ad una bassa presenza di terreno nudo, bensì ad un’ampia prevalenza dell’incolto e della palude nell’ambito della proprietà fiorentina. A Perignano l’ampia tenuta di Lavaiana dell’Ordine di Santo Stefano, che occupa ben il 33,4% della superficie del territorio, presenta una netta opposizione tra nudo e sodo/palude. È proprio in queste zone di natura prevalentemente pianeggiante, nell’ambito della grande proprietà, che troviamo il maggior numero di poderi.

Per quel che è possibile dire di quest’ultimi, sulla base dell’estimo del 1622, a Crespina 12 poderi su 19 si trovano in pianura e su 17 «case da lavoratore», 12 corrispondono a poderi; differente il discorso per quanto riguarda le colline di

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Crespina, dove diverse «case da lavoratore» indicano dei «luoghi». Molti dei poderi in pianura sono di proprietà di Fiorentini e sono molto estesi: i cinque di proprietà della famiglia Bartolini, in località Cenaia e Santa Lucia, si estendono su ben 478 ettari, di cui il 50 % costituito da terreno paludoso. A Perignano, su 21 «case da lavoratore» riportate nel catasto del 1622, 8 appartengono all’ordine di Santo Stefano e 6 sono di proprietà fiorentina; di queste, sono almeno 15 quelle situate in pianura.

A Pontedera i «contadini ricchi» possiedono 37 dei 103 poderi censiti: una superficie equivalente al 18 % del territorio appoderato e al 16 % della proprietà contadina. Tuttavia, i cittadini possiedono 59 poderi su 103 (ovvero il 75 % della superficie occupata da poderi); è interessante notare altresì che qui la proprietà pisana ha un grado di appoderamento maggiore rispetto alla proprietà fiorentina (anche se sono i Fiorentini ad essere i maggiori possessori di poderi). L’appoderamento nella podesteria di Pontedera sembra più intenso rispetto ad altre zone vicine, sia per la proprietà fiorentina che per quella pisana: ciò implica che i Fiorentini abbiano un numero di «case da lavoratore» pari o maggiore a quello dei Pisani, “solo che mentre per questi ultimi a tali case corrisponde per lo più un podere denominato tale, per i fiorentini le cose sembrano diverse; hanno più case da lavoratore con maggiore superficie afferente, ma non ancora denominate «poderi»”21

. In effetti si tratta di una realtà in fase di formazione, anche se decisamente più affermata rispetto ad altre zone del contado pisano (in particolare quelle occidentali, più lontane dal contado di Firenze).

In questa parte di contado compresa fra l’Arno e le colline pisane meridionali, nel 1622 la superficie incolta non supera il 15 %; sono completamente assenti, inoltre, le paludi che, si è visto, risultano molto frequenti nel resto del piano di Pisa ed anche in altri luoghi della Toscana. In questo territorio in cui prevalgono sabbie argillose e calcaree che lo rendono fertile, la proprietà contadina si estende per quasi un terzo della superficie; una quota decisamente inferiore alla

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proprietà cittadina che ne occupa il 58 %. L’ampia presenza della proprietà cittadina (e, in particolare, di quella fiorentina) è caratteristica di questa area pianeggiante, come si evince dal confronto con la zona collinare di Crespina e Fauglia, dove la proprietà cittadina occupa il 43,3 % del territorio. La proprietà comune censita, inoltre, risulta esigua (soprattutto se paragonata a quella dei due comuni appena menzionati). La proprietà contadina si trova principalmente nelle zone più vicine ai centri abitati, perlomeno a Gello, Pozzale e Montecastello; non così a Pontedera e Ponsacco, dove “sono compresi la quasi totalità dei patrimoni contadini, che superano i dieci ettari”22

.

L’impressione che si ricava da tutto ciò è che nella zona si sia verificato un processo di concentrazione fondiaria, originato da due movimenti: da un lato l’espropriazione operata dalla proprietà cittadina (che a Gello, per esempio, occupa il 72,14 % del territorio); dall’altro l’ascesa di quel ceto di contadini ricchi di cui si è detto, tendente a concentrare il proprio patrimonio in zone determinate. Tali processi sarebbero stati favoriti, con tutta probabilità, dalla legge sul comodo che “prevedeva la vendita forzata dei terreni spezzati inclusi in aree, in cui fossero in atto migliorie ed opere di bonifica, con costruzione di case coloniche o diffusione di colture arboree”23

.

Si è detto che l’area del comune di Pontedera risulta la più appoderata; in essa, inoltre, la distribuzione dei poderi è più omogenea rispetto agli altri comuni dove a zone fortemente appoderate, se ne contrappongono altre caratterizzate da una quasi totale assenza di poderi. La distribuzione di questi ultimi nelle differenti categorie di possessori assume particolare rilevanza per poter analizzare il rapporto fra proprietà e strutture produttive. Innanzitutto bisogna sottolineare la netta differenza che c’è tra l’ampiezza media dei poderi contadini e quella dei poderi appartenenti a cittadini pisani e fiorentini; si rileva poi un grado diverso di appoderamento all’interno della superficie posseduta dalle varie

22 L. CONTE, «Distribuzione della proprietà e utilizzazione del suolo nelle campagne pisane del XVII secolo»,

in Ricerche di storia moderna, cit., III, p. 461.

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categorie. Considerando la superficie appoderata e il grado di appoderamento viene confermato lo stretto legame tra podere e proprietà cittadina di cui si è detto; e se quest’ultima comprende il 76 % dell’intera superficie appoderata, bisogna però constatare che il maggior numero di poderi è di proprietà contadina. Dunque, anche se il podere è una creazione soprattutto cittadina, si deve considerare che anche una parte del ceto contadino partecipa alla sua creazione e diffusione.

Si è vista l’importanza che si deve attribuire a quelle proprietà definite nei catasti del XVII secolo come pezzo di terra con casa da lavoratore; un’analisi topografica permette di dare una definizione a queste realtà territoriali e produttive. Nell’area collinare di Montecastello tali appezzamenti, di proprietà prevalentemente contadina e pisana, indicano delle unità autonome in cui il lavoratore lavora o un singolo appezzamento o un insieme di terre adiacenti al terreno su cui è edificata la casa in cui risiede. Queste possono essere collegate alla permanenza di unità produttive diverse dal podere che, si è visto, si diffonde soprattutto con la penetrazione fiorentina nel contado pisano, principalmente nelle zone in pianura; ed è probabilmente il frazionamento fondiario tipico delle zone collinari a favorire la creazione di unità produttive differenti dal podere. Si riferiscono invece al processo di appoderamento i terreni con casa da lavoratore nei quali la bonifica e la miglioria del terreno sono appena terminate o ancora in corso al momento dell’estimo. È possibile rilevare, a proposito di interventi sul territorio, come i Fiorentini orientino le magistrature della loro città e il gruppo dirigente granducale ad intervenire in modo a loro favorevole, contribuendo probabilmente a valorizzare il contado anche così.

A questo punto è opportuno guardare con più attenzione ai dati che riguardano lo sfruttamento del suolo. Volendo indagare quelli che si possono ricavare dall’estimo del 1622 bisogna tener presente che essi si inseriscono in un periodo di espansione, causato dall’aumento della popolazione urbana e delle campagne; ciò determina un accrescimento della domanda di prodotti agricoli. Tale crescita

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della domanda è legata, inoltre, ad un forte aumento dei prezzi del grano sul mercato di Pisa (valutata, sulla base dei due periodi 1560-1570 e 1591-1601, del 103%).

Alla crescita della domanda e dei prezzi corrisponde tutta una serie di investimenti nelle campagne con bonifiche, piantate e creazioni di poderi. Si tratta di una serie di trasformazioni che favorisce i mercati locali, coinvolgendo negli scambi sia parte dei piccoli proprietari contadini, sia forse alcuni lavoratori meglio stanti. In tale contesto la maggior parte della superficie agraria è a lavorativo nudo, coltivata a cereali (soprattutto frumento); proprio le colture cerealicole, infatti, hanno una resa molto alta nei terreni di pianura messi a coltura da poco. Tuttavia, nel territorio considerato, vi sono differenze tra le zone coltivate in pianura e quelle coltivate in collina: nelle aree di piano al lavorativo nudo si alterna un tipo di seminativo che comprende filari di viti e alberi di pioppo (tale modalità di utilizzazione del suolo consente di proteggere le colture cerealicole dai cambiamenti climatici); le zone di collina, invece, sono caratterizzate dalla presenza di colture arboree, in particolare quella dell’ulivo. Differenze significative nel tipo di colture vi sono anche per quanto riguarda le varie categorie di proprietari. Nella proprietà contadina, si è visto, è presente in modo rilevante il lavorativo nudo ma anche quello alberato ricopre una parte importante della superficie del terreno (26,41%); tale percentuale è certamente la prova del ruolo svolto del ceto rurale nel processo di valorizzazione della terra, anche se è possibile ipotizzare che la colture arboree vengano impiantate dai contadini in un’ottica di sostanziale autoconsumo. La proprietà cittadina è in gran parte caratterizzata dalle colture arboree, spesso miste a parti di nudo, sodo o bosco: lo si è visto per la proprietà fiorentina ma ciò vale, in minor misura, anche per le proprietà dei cittadini pisani. Se nei patrimoni fondiari dei Fiorentini sono maggiormente presenti quote di lavorativo vitato, nelle proprietà dei Pisani si rileva una più alta diffusione della coltura dell’ulivo (6,61% della superficie) ed una maggiore presenza di bosco e sodo (4,29 %). Queste

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differenze, più che ad investimenti diversi, sono collegabili alle diverse aree di insediamento delle proprietà fiorentine e pisane: le prime, come si è visto, presenti soprattutto in pianura e le seconde, invece, diffuse prevalentemente in collina.

Se si esaminano i dati del comune di Ponsacco relativi alla fine del Seicento per determinare i cambiamenti che avvengono nello sfruttamento del suolo, si individuano i risultati di scelte economiche volute dai proprietari, scelte che favoriscono alcune colture e ne penalizzano altre. Si può dunque concludere che il processo di diffusione della proprietà cittadina nel contado pisano “non rappresenta il riflesso di scelte passive (quasi un rivolgersi alla terra come bene rifugio) ma è invece il risultato di processi di investimento attuati in stretta correlazione con i mutamenti intervenuti nel mercato”24

.

Nella seconda metà del XVII secolo, infatti, la domanda di cereali diminuisce: l’andamento demografico rallenta presentandosi, al contempo, decisamente differenziato (crescita di Livorno e diminuzione della popolazione a Pisa, forte aumento demografico nelle zone di pianura del contado a cui corrisponde una più lenta crescita delle aree di collina); i prezzi del grano, inoltre, subiscono una lunga flessione a partire dal 1630. Questa diminuzione della domanda esclude dal mercato cereali inferiori come l’orzo (non più registrato sul mercato pisano a partire dal 1670) e il grano dozzinale (non più registrato dopo il 1684). A tale mutamento è riconducibile la diffusione delle colture arboree ed in particolare della vite: quest’ultima si espande sia in forma alberata sia, soprattutto, in quella del vigneto che, nel corso del Seicento, passa da una superficie di 10,92 ha a 175,82 ha. La diffusione del vigneto può essere causata dalla diminuzione di interesse per i cereali in seguito alla congiuntura sfavorevole di cui si è detto; essa, però, va anche interpretata come aumento della domanda di vino, un aumento tale da favorire la monocoltura viticola in un paesaggio agrario dove si

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affermano sempre più il podere e la mezzadria, che spingono verso la diffusione della coltura promiscua.

I cambiamenti che avvengono nell’ordinamento delle colture nelle varie tipologie di proprietà mettono particolarmente in luce tali aspetti: la diminuzione del lavorativo nudo nella proprietà contadina è da collegare non tanto a scelte effettuate dai proprietari in merito allo sfruttamento del suolo, “quanto piuttosto alle variazioni intervenute nel regime fondiario con il passaggio di terre di proprietà contadina nelle mani di proprietari cittadini”25. La diminuzione dei terreni a lavorativo vitato e nudo, quale risulta dall’estimo del 1689, appare ulteriormente indicativa dei cambiamenti nell’ordinamento delle colture: si evince una netta espansione del lavorativo arborato e, in particolare, del vigneto che si estende fino ad oltre il 10% della superficie coltivata.

Variazioni si notano anche per quanto riguarda le proprietà di religiosi ed enti: le prime contraddistinte da caratteri fortemente eterogenei (possedimenti limitati delle parrocchie, differenze profonde nell’ambito degli ordini regolari a seconda delle istituzioni) e le seconde caratterizzate come grandi proprietà, organizzate in unità produttive stabili; tali variazioni risultano però di minor rilievo.

Un indice della rilevanza economica raggiunta dalla produzione e dal commercio del vino può essere ricavato dai cambiamenti che avvengono nel corso del XVII secolo: agli inizi del Seicento, infatti, la vendita di vino al minuto presso botteghe e magazzini è possibile, a Pisa, solo per i vini non provenienti dal contado; quelli prodotti localmente possono essere venduti dai produttori soltanto presso le proprie abitazioni. Verso la metà del secolo, però, aumentano le richieste di proprietari terrieri pisani e fiorentini al fine di ottenere l’autorizzazione ad aprire magazzini e botteghe per poter vendere il proprio vino: a Pontedera i Lanfranchi (pisani) e i Pucci, i Rucellai e gli Strozzi (fiorentini) ottengono l’autorizzazione ad aprire un magazzino per rivendere il vino nel 1665.

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Per quanto riguarda la proprietà medicea, lo Scrittoio delle Possessioni, è interessante notare non soltanto il suo notevole livello di espansione e il ruolo nella strategia politica ed economica granducale ma anche “il modo di procedere di tale proprietà rispetto alle condizioni di partenza e le implicazioni di esso al livello delle forze produttive e all’eventuale potenziamento di esse”26

. È noto il legame che intercorre tra espansione della proprietà medicea, presenza nel territorio di vasti spazi incolti e paludosi e relativa opera di bonifica nel corso dei Cinquecento. Si è anche osservato come i Medici lascino, a bonifica iniziata, il compito di dissodare il terreno a contadini residenti in villaggi anche lontani; alla bonifica segue la costruzione della casa per lavoratore e l’insediamento del mezzadro anche se, a volte, la casa viene costruita prima del completamento dell’opera di bonifica. La proprietà medicea è caratterizzata pertanto da un forte investimento di capitali ed è opportuno sottolineare come anche grazie ad essa si instauri una certa mezzadria poderale nel pisano. L’Ordine di S. Stefano, invece, è presente nel contado pisano con le due proprietà di S. Savino e Lavaiana. La prima entra a far parte pienamente dell’Ordine nel 1587: le terre che vanno a costituire la fattoria sono in precedenza tenute ad affitti, livelli e mezzerie di vario tipo mentre i primi esempi di appoderamento si riscontrano a partire dagli anni 1583-1584. Per quanto riguarda la fattoria di Lavaiana, in cui l’Ordine subentra alla famiglia dei Malaspina, bisogna dire che tale proprietà è già ampiamente appoderata alla fine del XVI secolo (epoca in cui il processo è ancora in corso). I vari poderi sono accorpati in una più vasta tenuta in cui l’incolto vario serve proprio per uso dei poderi. In un periodo in cui il paesaggio agrario è ancora in movimento la grande proprietà produce “una vasta area di coltivo integrata in una più larga unità, per via di poderi a conduzione mezzadrile”27

.

26 A. MENZIONE, op. cit., p. 174. 27

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Distribuzione della popolazione

Il contado pisano emerge dal catasto del 1427 come un territorio scarsamente popolato (8,5 ab./Km²) in confronto al contado fiorentino (28 ab./Km²) e alla parte orientale dello Stato. La crisi demografica della seconda metà del Trecento sembra essere iniziata qui già alla fine del Duecento: a partire da questo periodo, infatti, “i contadini cominciano ad abbandonare la terra e si moltiplicano i villaggi abbandonati più che in qualsiasi altra parte della Toscana”28

. In tale contesto un ruolo importante è quello svolto dal fattore geografico: le estese paludi e la continua minaccia delle acque dell’Arno costituiscono per molto tempo un freno al popolamento e allo sfruttamento di molte campagne del pisano. Le differenze col contado fiorentino sono, pertanto, decisamente evidenti.

Tra l’inizio del Quattrocento e la metà del Cinquecento il contado pisano partecipa alla crescita demografica generale che caratterizza lo Stato fiorentino, in cui la popolazione quasi raddoppia: si passa dai 262.451 abitanti del 1427-29 ai 507.869 abitanti nel 1552. Durante la lunga crisi demografica successiva alla peste nera gli insediamenti si concentrano soprattutto nel contado fiorentino; con la ripresa demografica, invece, la popolazione tende a distribuirsi verso le parti orientali ed occidentali del distretto. Le zone che presentano un incremento demografico moderato (con un tasso di crescita del 4,6 ‰) si trovano quasi tutte nel contado di Firenze, con l’eccezione di San Gimignano. Ritmi elevati di crescita si riscontrano, invece, nel distretto orientale (dove sia campagne che città riportano un tasso medio annuo dell’8 ‰) mentre inferiore, ma comunque notevole, è l’incremento nel distretto occidentale, dove la popolazione cresce ad un tasso medio del 6 ‰ annuo. Per quanto riguarda queste ultime zone, si rileva

28 A. MENZIONE, «Popolazione e occupazione/sfruttamento del suolo: fonti e direzioni di una ricerca sulla

campagna pisana nei secoli XVII e XVIII», in Demografia storica e condizioni economico sociali. Atti del

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un contrasto fra l’andamento demografico piuttosto moderato di Pisa, Volterra e Pistoia e quello più consistente delle campagne. In questo periodo, dunque, il contado pisano segue il trend demografico della parte occidentale del distretto: la popolazione passa dai 15.849 abitanti nel 1427 ai 32.328 del 1552.

Tra la fine del Quattrocento e la metà del Cinquecento, il contado fiorentino conosce una netta crescita demografica con un incremento medio annuo dell’ 8,2 ‰. Anche nelle campagne pisane l’aumento della popolazione si fa più intenso: si passa infatti dal 4,4 ‰ annuo del periodo 1427-1491 ad un tasso di crescita media annuale del 7 ‰ tra la fine del XV secolo e il 1552. Se in questo periodo l’andamento demografico del contado pisano non risulta dissimile da quello più generale dello Stato fiorentino, esso manifesta tuttavia “caratteri di maggiore precocità e continuità”29

. Bisogna dire, inoltre, che in tale andamento sono riscontrabili forti differenziazioni interne: nel corso del Quattrocento il maggiore aumento di popolazione si ha lungo il corso dell’ Arno nel tratto più distante da Pisa, sia nella fascia collinare del monte pisano che nel piano intorno a Pontedera. Un certo aumento è rilevabile anche nella podesteria di Ripafratta, nel Lungomonte, nell’ Oltreserchio e nelle zone collinari della Valdera: a conoscere una rilevante espansione demografica sono, dunque, le podesterie più vicine a Firenze mentre “le zone a modesto o nullo incremento sono tutte in pianura e prossime alla città di Pisa”30

. La tendenza ad una netta differenziazione tra la zona più vicina alla città e il resto del contado prosegue in maniera anche più evidente nella prima metà del XVI secolo.

Tra le zone che conoscono una significativa crescita demografica oltre alle già menzionate colline della Valdera e la pianura di Pontedera, troviamo anche zone marginali come le colline intorno a Volterra e la Maremma pisana, zone destinate a conoscere successivamente una lunga fase di spopolamento e abbandono. Si tratta di zone molto diverse tra loro in quanto a natura,

29 M. DELLA PINA, «La formazione di un nuovo polo demografico nella toscana dei Medici: Pisa e contado tra

XV e XVII secolo» in Ricerche di storia moderna, cit., III, p. 13.

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utilizzazione del suolo e tipologia degli insediamenti; tuttavia esse hanno una caratteristica in comune: tutte presentano delle densità decisamente basse, agli inizi del Quattrocento. Il rilevante aumento della popolazione delle zone marginali del contado pisano tra la fine del XV e la metà del XVI secolo è probabilmente dovuto ad un forte movimento migratorio, del quale però non vi sono prove sicure prima del 1552. In tale contesto è particolarmente interessante il caso delle due podesterie di Peccioli e Palaia, le due più lontane da Pisa e, al contempo, le più vicine al contado di Firenze: la popolazione raddoppia tra il 1491 e la metà del Cinquecento e, contemporaneamente, si rafforza decisamente la presenza dei Fiorentini, spesso collegata con l’adozione del contratto di mezzadria. Questa coincidenza tra zone in cui si consolida la proprietà fiorentina e zone in cui si registra un forte incremento della popolazione, almeno fino alla metà del XVI secolo, è soltanto parziale: la concentrazione della proprietà, l’espansione delle colture e la diffusione dei rapporti di produzione già affermati nel fiorentino avvengono nell’ambito di un processo di crescita demografica più ampio e diffuso. La dislocazione della proprietà fiorentina in zone lontane da Pisa è motivata dalla presenza sul territorio di rischi minori, sia per quanto riguarda una possibile ribellione da parte della città in passato nemica di Firenze, sia per la natura del terreno, meno paludoso, che permette un insediamento più facile e sicuro per i mezzadri e le loro famiglie.

Alla base della penetrazione fiorentina nel contado pisano vi è “una dinamica complessiva, nella quale un ruolo determinante è svolto dalla crescita demografica”31

. Senza sottovalutare altri fattori che possono aver stimolato l’investimento in terre da parte dei Fiorentini, tra cui il rialzo dei prezzi dei prodotti agricoli alla fine del XV secolo, si ritiene che l’espansione demografica delle campagne pisane più marginali sia una dei tramiti grazie a cui nuovi proprietari e nuovi rapporti di produzione si inseriscono nel territorio. Gli investimenti delle famiglie fiorentine vanno inquadrati nell’ottica del trarre

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vantaggio da una situazione nella quale, appunto, la pressione demografica accentua la disgregazione fondiaria e l’indebitamento dei contadini, rendendo “più debole e permeabile la tradizionale struttura sociale delle campagne”32

. Sotto la spinta dei cittadini di Firenze e del gran numero di contadini sprovvisti della terra, ben poche sono le possibilità dei piccoli proprietari di opporsi al processo di ricomposizione fondiaria e di non adeguarsi ai nuovi rapporti di dipendenza imposti dalla mezzadria.

Contemporaneamente, la stagnazione demografica della pianura tra Arno e Serchio evidenzia il già menzionato problema delle condizioni idrauliche e sanitarie del territorio. La degradazione di buona parte della bassa valle dell’Arno si era aggravata nel XIV secolo, a causa del declino demografico e della precarietà delle opere di regolamentazione delle acque; è molto probabile, tuttavia, che gli stessi eventi politici abbiano contribuito al protrarsi di tale condizione: in effetti la politica di Firenze, tra fine Trecento ed inizi del Quattrocento, ridimensiona in modo drastico il potere delle città sottomesse e nei confronti di Pisa assume una vera e propria connotazione punitiva, con pesantissime imposizioni fiscali e trasferimenti coatti di cittadini. Più che fondata è l’ipotesi di un ritardo nella bonifica della pianura intorno a Pisa, ritardo che “potrebbe essere visto come conseguenza di una precisa volontà politica volta ad assicurare i nuovi equilibri politici, ed in particolare il diminuito potere di controllo cittadino sulle comunità del contado, attraverso un distacco anche «naturale» tra la città e il suo territorio”33

.

Tra il 1427 e la metà del Cinquecento anche le città dello Stato fiorentino conoscono un certo aumento della popolazione che però è più limitato e lento rispetto a quello delle campagne. La popolazione di Pisa passa in questo periodo da 7.331 abitanti a 9.940 con un incremento annuo del 2,4 ‰ (il più basso tra le principali città toscane): se la pesante politica fiscale fiorentina, le deportazioni e

32 Ivi, p. 20.

33 M. LUZZATI, «Demografia e insediamenti nel contado pisano nel Quattrocento (1428-1491)», in Rassegna

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la malaria avevano quasi spopolato la città, alla metà del quattrocento il numero dei battezzati aumenta del 40%; tuttavia, in seguito alla «guerra di Pisa» e alla sottomissione definitiva a Firenze nel 1509, questo ripresa demografica si arresta. È solo con l’inizio di una serie di interventi da parte di Cosimo I, intorno alla metà del Cinquecento, che a Pisa migliorano le condizioni sanitarie e si registra una chiara ripresa economica e demografica. È in questo periodo che il governo fiorentino si concentra sulla valorizzazione del territorio nord-occidentale dello Stato in campo agricolo e sul suo popolamento, giudicato ancora decisamente basso. Si susseguono così opere di bonifica e sistemazione del contado; viene perseguita, allo stesso tempo, una politica popolazionista che prevede esenzioni fiscali per tutti coloro i quali decidono di stabilirsi nelle campagne pisane. Agli inizi del Seicento “si istituisce il Magistrato di

Fabbriche e Coltivazioni che, oltre che ordinare inchieste sullo stato dello

sfruttamento agricolo del territorio e sulle capacità potenziali di questo, ha presente il generale problema del popolamento rurale”34

.

Il tentativo di migliorare le condizioni dello spopolato ma fertile contado pisano si intreccia con il progetto di sviluppo della «città di Pisa e terra di Livorno» portato avanti dai Medici; tale scelta, però, porta ad aumentare la differenziazione tra la zona del bacino dell’Arno (più vicina a Pisa, Livorno e alle vie di comunicazione con il Valdarno fiorentino) e la periferica Maremma pisana. Nella prima zona si concentrano per un lungo periodo i lavori di bonifica e di messa a coltura di nuovi terreni, uniti agli sforzi compiuti dalle autorità al fine di favorirne il popolamento. Gli interventi economici e le esenzioni fiscali determinano un netto aumento della popolazione, soprattutto nelle zone in pianura, parallelamente all’espansione della media e grande proprietà cittadina e alla diffusione dei poderi e della mezzadria. La Maremma pisana, invece, dopo alcuni tentativi fallimentari di bonifica e popolamento, viene lasciata al bosco e alla palude: l’incremento demografico manifestatosi tra XV e XVI secolo si

34 ARCHIVIO DI STATO DI PISA (ASP), Archivio dell’Ufficio Fiumi e Fossi, Magistrato di Fabbriche e

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arresta e questo territorio, battuto dalla malaria e dominato da un’agricoltura estensiva povera di capitali, rimarrà per molto tempo spopolato.

Dalla metà del Cinquecento, dunque, l’andamento demografico del pisano risente molto delle scelte di politica economica ed è caratterizzato dall’emergere di realtà nuove: la crescita di Livorno, l’espansione urbana di Pisa, la presenza di consistenti movimenti migratori. A differenza del periodo precedente, l’espansione demografica delle campagne pisane alla metà del XVI secolo non è parte di un movimento globale di crescita della popolazione rurale dello Stato mediceo ma si inserisce in un “impetuoso movimento di riequilibrio territoriale, che determina lo spostarsi dell’asse di popolamento dalle zone orientali a quelle occidentali dello Stato”35

. La popolazione passa da 32.328 abitanti nel 1552 a 38.404 nel 1622 all’interno della zona che comprende i vicariati di Lari e di Vicopisano, con un incremento annuale del 3 ‰ (più del doppio di quello che si riscontra nello stesso periodo nel resto dello Stato fiorentino). Tale crescita demografica non si arresta nel corso del Seicento ed è solo temporaneamente rallentata da alcune epidemie: nel 1671 gli abitanti dei due Vicariati sono all’incirca 40.000.

Questi dati, tuttavia, non dicono delle importanti differenziazioni inerenti l’andamento demografico delle varie zone del contado pisano: la popolazione si concentra ora nelle aree di pianura lungo l’asse viario che collega Pisa a Firenze. Queste zone, ancora caratterizzate dalla presenza di paludi e terreni macchiosi, dalla metà del Cinquecento sono oggetto di importanti opere di bonifica. Sicuramente meno intensa, ma altrettanto importante, è la crescita demografica dell’area collinare intorno a Livorno e di quella del monte Pisano, dove coltivazioni specializzate (in particolare quella dell’olivo) sono ben sviluppate grazie alla vicinanza delle vie di comunicazione per i centri più importanti della Toscana. In quest’area di pianura e bassa collina si affermano realtà minori quali Pontedera e Cascina, mentre emergono borghi in cui si concentra un’attività

35 L. DEL PANTA, Una traccia di storia demografica della Toscana nei secoli XVI-XVIII, Firenze 1974, p. 32

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agricola in fase di espansione. Alcuni di questi borghi conoscono un aumento demografico molto rapido “che li porta nel 1671 a raddoppiare i livelli di popolazione raggiunti alla metà del sec. XVI e a superare talvolta i vecchi capoluoghi amministrativi di podesteria o di vicariato”36

.

Alla crescente importanza demografica ed economica del Valdarno e dell’area collinare del monte pisano, si contrappone la caduta demografica dei territori ai confini del contado pisano, che più precocemente avevano conosciuto un processo di intenso aumento della popolazione. Tale declino demografico si presenta principalmente nelle zone collinari confinanti con il territorio di Volterra. In questa zona, che all’inizio del Quattrocento presenta una densità demografica inferiore a quella della Maremma pisana, si registrano alti tassi di incremento della popolazione fino alla metà del Cinquecento; in seguito, con la fine dell’espansione demografica nelle campagne toscane e le crisi del Seicento, emerge la marginalità di questo territorio calcareo e pesante. Inoltre, questa parte meridionale della podesteria di Peccioli è investita, insieme alla parte settentrionale della Maremma pisana, da un vasto processo di infeudamento a partire dagli anni ’30 del XVII secolo.

Nella parte settentrionale della podesteria di Peccioli e in quella di Palaia, invece, il calo demografico è decisamente meno intenso anche per via della natura del terreno, più adatto all’agricoltura; è possibile, inoltre, che qui la precoce penetrazione fiorentina e la minore necessità di lavori di bonifica comportino “il raggiungimento, già nel corso del sec. XVI, di una relativa stabilità nell’assetto produttivo e negli insediamenti”37

. Inizialmente ciò tiene a freno i flussi migratori e, di conseguenza, è causa dell’andamento demografico moderato della seconda metà del Cinquecento. In seguito, invece, tale situazione può aver impedito fenomeni di spopolamento ed abbandono. Tuttavia, la distanza dalle vie di comunicazione principali e dai centri urbani più importanti, la fertilità minore della terra e la presenza di vaste aree boschive “si traducono in

36 M. DELLA PINA, op. cit., p. 35. 37

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