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La fattoria granducale delle Cascine di Bientina

Agli inizi del Quattrocento, le comunità pisane di frontiera situate nella pianura bientinese vengono inglobate nello Stato fiorentino (Bientina nel 1402, Buti e Vicopisano nel 1406): da tale momento, sul vicariato di Vicopisano e sul resto del territorio di Pisa inizia il dominio politico e l’espansione economica di Firenze. Come si è visto, inizia da parte dei Medici e delle principali famiglie fiorentine “una serie di acquisti e investimenti nel contado pisano, a danno soprattutto, della piccola proprietà contadina, dei beni comunali e della proprietà ecclesiastica”211

. Tra il settembre 1490 e il gennaio 1491, Lorenzo de’ Medici acquista un centinaio di piccoli appezzamenti di terra nella pianura di bientinese, “fino a mettere insieme circa 700 stiora di terra prativa e in parte palustre in luogo detto «Prato Grande» nel comune di Bientina, 46 stiora «lavorative» in «Codastine» nel comune di Buti e quasi 1300 stiora di terre prative in comune di Vicopisano, lungo il canale della Serezza”212

. Tra il 1492 e il 1494 Piero de’ Medici, figlio di Lorenzo, acquista una ulteriore serie di terreni (per lo più prativi) nel bientinese, per un totale di circa 670 stiora. Dopo i tentativi di ribellione da parte di Pisa nel 1494-98 e nel 1502-03, i Medici consolidano i propri possessi nella zona effettuando altri due acquisti a Buti, e impiegando la maggior parte dei loro terreni per organizzare una cascina con bestiame vaccino. La fase congiunturale che si verifica in gran parte dell’Europa occidentale nel Cinquecento, caratterizzata da crescita dei prezzi agricoli, incremento demografico, espansione dell’agricoltura e sviluppo dei commerci, stimola anche in Toscana gli investimenti fondiari, l’estensione delle coltivazioni e i lavori di bonifica: proprio nella pianura bientinese vengono compiute importanti opere di sistemazione idraulica dai Medici che, allo stesso tempo, riuniscono

211 M. BASSETTI, «Struttura e sviluppo dell’agricoltura pisana nell’età moderna: la fattoria granducale delle

Cascine di Bientina nel XVIII secolo» in Agricoltura e aziende agrarie nell’Italia centro-settentrionale (secoli

XVI-XIX), a cura di G. Coppola, Milano, 1983, p. 344.

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sotto la loro proprietà grandi terreni comprati da privati, da comunità e da enti ecclesiastici, realizzando due nuove ed importanti realtà produttive organizzate in fattorie. Nel 1561, alla fine dei lavori di deviazione del corso dell’Arno, i Medici si appropriano di altre 4000 stiora di terreno, fino a quel momento parte del letto del fiume. Pochi anni dopo, nel 1567, Cosimo I acquista 4000 stiora di terre palustri dal comune di Bientina e, nel 1571, la tenuta di Cesano da Tiberio Primi di Pisa; due anni più tardi, il Granduca acquisisce un appezzamento di terra in località Codastine dalla Pieve di S. Giovanni Battista di Buti. Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, infine, è Ferdinando I a completare gli acquisti nel bientinese, aggiungendo alle proprietà medicee i restanti terreni palustri della comunità di Bientina nel 1592. Dopo i primi acquisti da parte di Lorenzo e Piero de’ Medici alla fine del Quattrocento, quindi, la penetrazione della proprietà medicea nel bientinese aumenta alla metà del Cinquecento “ai danni di enti ecclesiastici in decadenza, come l’Abbazia di S. Stefano, abbandonata dai monaci nel 1576, di piccoli proprietari e di comunità, come quella di Bientina, impossibilitate a bonificare e far fruttare i loro terreni in gran parte paludosi”213

. Alla fine del XVI secolo, i possedimenti granducali vengono riuniti in due unità organizzative: la prima, la fattoria delle Cascine di Bientina, comprende terreni boschivi e lavorativi nel comune di Buti, terreni prativi nei comuni di Bientina e Vicopisano e molti terreni paludosi; la seconda, la fattoria di Cesano o Vicopisano, è composta “da parte dei primi beni acquistati in Vicopisano, dalla tenuta di Cesano e dalle terre dell’antico letto dell’Arno in via di risanamento e sistemazione in poderi”214

.

Nel corso del Seicento la stagnazione economica, individuata da vari storici per buona parte dell’Europa, sembra essere più contenuta nel pisano: tale “situazione favorevole si deve al processo di occupazione e sistemazione del territorio iniziatosi con la conquista fiorentina e ancora in atto nel XVII secolo,

213 Cit. ivi, p. 349. 214

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in connessione con la formazione dello stato regionale”215

. Anche la pianura bientinese è interessata da questa situazione positiva: durante il Seicento, infatti, i Medici continuano le attività di bonifica ed appoderamento nelle loro proprietà. La fattoria di Vicopisano viene ampliata con nuovi poderi in seguito al dissodamento di nuovi terreni, mentre nelle Cascine di Bientina continuano la bonifica e la messa a coltura di terre ancora paludose. Nelle fattorie medicee bientinesi, tuttavia, si riscontrano anche segni di difficoltà: innanzitutto non vengono più effettuati investimenti in terre dopo il 1616; i lavori riguardanti la Serezza non risolvono i problemi idrici della pianura che, anzi, peggiorano sensibilmente con inondazioni frequenti ed un crescente impaludamento. Nella fattoria delle Cascine di Bientina, inoltre, rallenta la bonifica delle tenute paludose (impiegate per la coltivazione del riso e per la pesca), e la diffusione dell’allevamento ovino, che interessa anche la fattoria di Vicopisano, comporta il mantenimento di vasti terreni a pascolo, a danno di un ampliamento dell’area coltivata. Infine, i vari terreni che costituiscono la fattoria delle Cascine di Bientina risultano nel Seicento ancora separati in tre realtà differenti, unificate soltanto in senso amministrativo e non produttivo. La fattoria, infatti, è costituita da una parte coltivata e boschiva alle pendici dei Monti Pisani, da una parte in pianura, lungo il canale della Serezza, prevalentemente paludosa e da una parte prativa, dove viene allevato il bestiame della Cascina. La parte in collina, acquistata principalmente dall’abbazia di S. Stefano e già ben coltivata, viene divisa dai Medici nei poderi di Cascine, Sega, Codastine, Castellarso, Valletta e Badia; i punti più alti di questa parte in poggio, che si estendono verso i monti lungo la valle di Buti, sono coperti di boschi di castagni, pini, sughere ed olivi coltivati nella sistemazione a «bosco». La parte in pianura, invece, viene bonificata e messa a coltura lentamente soltanto lungo gli argini di riparo che circondano i possessi della fattoria; nel centro di questi terreni di piano vi sono le praterie in cui viene portato al pascolo il bestiame della Cascina: proprio

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l’allevamento risulta decisamente separato dalle altre attività produttive della fattoria (non avviene qui una fusione tra allevamento e agricoltura come in pianura padana tra XVI e XVII secolo).

Alla metà del Settecento si verifica nella pianura di Bientina “una ripresa delle iniziative di bonifica e di sistemazione idrica e delle attività agricole in connessione con lo sviluppo economico generale europeo”216. L’equilibrio idrico di tale area, infatti, peggiora nel corso del Seicento a causa dell’innalzamento dell’alveo dell’Arno e di quello del lago di Bientina, ma anche per il degradamento della campagna, in cui molti terreni vengono lasciati paludosi e viene potenziata la pesca nei canali e nei fossi di scolo. Negli anni quaranta del XVIII secolo le autorità prendono diversi provvedimenti per risanare la zona (si pensi ai lavori ordinati nel 1744 per bonificare le praterie della Cascina Vecchia), ma è nel 1757 che viene presa l’iniziativa più importante: il 25 agosto Francesco II di Lorena, nuovo granduca, approva la costruzione di un nuovo canale emissario per il lago di Bientina, più grande e dotato di un sistema moderno di cateratte. I lavori hanno inizio l’anno successivo e si concludono nel 1763, sotto la direzione del matematico e padre gesuita Leonardo Ximenes; Il nuovo canale, chiamato «Imperiale», segue un percorso rettilineo che va dal lago all’Arno, e che in parte ricalca quello della vecchia Serezza. Il lago di Bientina, pertanto, risulta ora incanalato in Arno da due emissari (la Nuova Serezza e, appunto, il Canale Imperiale): ciò risolve il problema delle disastrose inondazioni e, inoltre, favorisce il commercio (oltre 500 navicelli l’anno passano attraverso il Canale Imperiale). Continuano, tuttavia, i problemi dovuti all’impaludamento della campagna “a causa dei grossi ostacoli persistenti dell’altezza dell’alveo dell’Arno e della presenza della grande massa d’acqua del lago in pendenza verso la pianura”217. Pertanto durante il governo di Pietro Leopoldo proseguono le opere di bonifica e, allo stesso tempo, vengono potenziate le attività agricole: nella fattoria delle Cascine di Bientina, in

216 Cit. ivi, p. 354. 217

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particolare, si afferma la divisione in poderi condotti a mezzadria (a danno dell’attività di cascina e della coltura del riso) e le vaste distese paludose vengono ridotte a meno di ¼ della superficie totale dell’azienda. L’ampliamento dell’area coltivata della fattoria avviene a danno non soltanto delle paludi, ma anche dei pascoli e dei boschi: nel corso del Settecento scompare l’allevamento ovino e, soprattutto a partire dal 1774, il disboscamento si fa più intenso. Il potenziamento dell’attività agricola nella fattoria bientinese, tuttavia, non è accompagnato da una fusione con l’allevamento: già dal 1704, infatti, non si hanno più notizie della cascina e nel 1739 i prati «della Cascina Vecchia» vengono separati dalla fattoria ed assegnati alle Reali Razze di Pisa. Dalla documentazione non emergono le ragioni dell’abbandono della cascina, ma queste vanno collegate ad un insieme di cause quali la difficoltà a vendere i prodotti della cascina in assenza di un importante mercato cittadino nelle vicinanze, l’evoluzione del mercato internazionale e del mercato di Livorno (orientato verso la produzione cerealicola ed olearia), l’organizzazione della fattoria (in poderi autonomi, con conduzione mezzadrile e coltivazione promiscua) che non favorisce la coltivazione di foraggi e la combinazione di agricoltura ed allevamento.

Il sistema colturale che si afferma nel Settecento nella fattoria delle Cascine di Bientina è, si è detto, quello della coltura promiscua, in cui piante erbacee sono associate a piante arboree ed arbustive; fanno eccezione i campi nudi nei poderi in pianura, gli uliveti dei poderi in collina e le vigne del podere delle Cascine e di Badia. Per quanto riguarda le piante erbacee, le scelte colturali si orientano sempre più verso i cereali (90 % del raccolto totale a metà Settecento), “presenti sia come piante di primo anno di rotazione, grano, «segalato» (formato dall’unione del grano con la segale) e avena, sia come piante da rinnovo: saggina, orzo e granturco”218

. Tra i cereali, i prodotti più importanti sono i grani (che costituiscono quasi il 45 % del raccolto totale): il frumento viene coltivato

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in gran quantità solo nei quattro poderi di piano, mentre il segalato è coltivato soprattutto nei poderi di poggio a causa della maggiore adattabilità a terreni più freddi ed esposti ai venti; fra XVII e XVIII secolo, però, si registrano delle crisi produttive in diverse annate a causa di condizioni climatiche sfavorevoli. Un altro cereale molto importante, coltivato nella fattoria bientinese, è l’avena, di cui si registra un aumento sia alla semina che alla raccolta nel corso del Seicento (a causa della scarsità di foraggio); nello stesso periodo si assiste anche ad un aumento consistente della produzione di saggina e granturco. Fave e vecce, spesso consociate tra loro o con l’orzo, sono gli unici legumi coltivati nei vari poderi delle Cascine di Bientina, in cui si registra nel Settecento anche un aumento della semina di lupini, seppur “con un andamento della raccolta assai irregolare e spesso con valori bassissimi, soprattutto a partire dalla metà del secolo, a causa dell’uso del sovescio sempre più praticato”219. Infine, molto marginalmente sono coltivati il miglio ed il panico (che scompaiono nel corso del XVIII secolo) ed anche il lino (la cui produzione media annua è di 300 libbre). Le varie famiglie mezzadrili coltivano le piante erbacee negli 11 poderi della fattoria cominciando con un’operazione preliminare: quella della risistemazione degli scoli del podere e della creazione di fosse «camperecce», operazione particolarmente importante nei campi in pianura soggetti al ristagno delle acque. Dopo tale operazione, comincia la coltivazione : durante l’estate i terreni vengono «rotti» con l’aratro e in parte «rivoltati» con la vanga; i grani, l’avena, i lupini ed il lino vengono seminati in autunno (a cominciare dai campi in pianura), mentre la semina delle biade avviene in primavera. La mietitura dei grani avviene a giugno, quella delle biade a settembre; i grani vengono poi vagliati a mano, per pulirli dalle scorie, e battuti nell’aia di ciascun podere. Le grasce raccolte, alla fine, vengono “riposte nel «granaio» e in «buche da grano»,

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scavate nel prato davanti alla casa di fattoria, per la parte dominicale, e nelle varie «stanze per grasce» dei poderi, per la parte colonica”220.

Nel Settecento, in tutti i poderi delle Cascine di Bientina è diffusa la viticoltura221, praticata ai margini dei campi: le viti sono sostenute da filari di aceri oppure da pali (nel caso delle viti basse) o «forcati» (nel caso delle viti più alte). Se le viti basse vengono coltivate nei poderi in collina, quelle alte sono diffuse sia nei poderi di poggio che in quelli di piano; un ruolo secondario è invece riservato alle viti «a vigna», presenti soltanto nel podere di Badia e nell’orto della fattoria. Il vino prodotto è di due qualità: quello «grosso» e quello «basso»; il vino grosso, di migliore qualità, è scarso e viene venduto a prezzo alto, mentre il vino basso, di cattiva qualità, rappresenta la maggior parte della produzione ed è venduto a prezzo basso. La produzione di vino nella fattoria ha un deciso aumento dal Seicento al Settecento, in seguito alla diffusione della coltura della vite: nel XVIII secolo, infatti, si producono tra i 290 e i 390 barili l’anno. Oltre alla vite, nelle Cascine di Bientina è coltivato anche l’olivo: nei poderi di Codastine, Veletta, Castellarso e Badia, parte della terra è coltivata ad ulivi col sistema «a bosco», tipico delle colline pisane; in ognuno dei suddetti poderi vi sono dai 100 ai 700 ulivi, per un totale di 1300 piante. La produzione di olive è abbondante ma non costante, a causa di avversità climatiche come neve, vento, nebbia e grandinate che spesso causano la perdita di parte del frutto. La raccolta delle olive non viene fatta sull’albero, ma raccogliendo il frutto caduto a terra e dunque i lavori continuano fino a maggio; l’olio prodotto è di ottima qualità e viene venduto a prezzo alto (la produzione annuale varia tra una quantità più alta di 30/60 barili, e una più bassa di 3-20 barili). Nei poderi della fattoria viene coltivato anche il gelso, sia negli orti che ai margini dei campi, per l’allevamento del baco da seta e si raccolgono le castagne dei boschi per produrre farina dolce.

220 Ivi, p. 365.

221 Si è accennato alla maggiore diffusione della viticoltura tra Sei e Settecento nell’introduzione; e se ne è

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Nel XVIII secolo, buona parte dei terreni della fattoria delle Cascine di Bientina è ancora ricoperta di paludi e di praterie: come detto, nelle paludi viene praticata la pesca, affittata ai pescatori per 5 anni, mentre nei prati si taglia il fieno destinato alla vendita e si fanno pascolare gli animali «a fida»222. Dall’affitto della pesca si ricavano 100 scudi all’anno fino al 1747, 207 fino al 1759 e 141 da tale data in poi; dalla vendita del fieno provengono entrate molto consistenti (mediamente 350 scudi l’anno) e dalle «fide» si guadanga dai 20 ai 40 scudi ogni anno. Il numero degli animali nei vari poderi della fattoria è di circa 127- 132 bestie di grossa taglia, tra cui 19 equine e 106-113 vaccine: il bestiame, in base all’uso toscano, è di proprietà padronale e viene concesso a «stima » al mezzadro che poi ne divide i frutti a metà col proprietario. In alcuni poderi in pianura vi sono anche alcuni tori e, nel podere della Veletta, anche una cinquantina di suini nutriti con le ghiande del bosco delle Sughere; i mezzadri, inoltre, allevano per sé del pollame ed un maiale. Nel Seicento sono presenti, in molti poderi, anche tra i venti ed i cinquanta ovini e vi è l’uso di far pascolare nei terreni della fattoria le greggi transumanti, provenienti dall’Appennino. Il discreto numero di animali della fattoria consente di disporre di una buona quantità di concime; sono utilizzati, inoltre, anche altri concimi non prodotti dal bestiame come la «colombina» (prodotta dalle colombaie presenti nelle varie case coloniche), il sovescio (ricavato da lupini e da altre colture) e il pattume (ovvero piante di palude marcite) raccolto nel Padule bientinese.

La parte dominicale dei prodotti viene in gran parte venduta, mentre quella colonica è spesso insufficiente al sostentamento del mezzadro e della sua famiglia (tanto che il fattore, in molti casi, deve fornire a costoro il grano necessario). Di alcuni prodotti viene venduta l’intera parte dominicale: è così per olio, vino, lino, miglio, farina di castagne e gran parte del granturco; per quanto riguarda cereali e legumi, invece, la parte in vendita varia di anno in anno, a seconda delle esigenze dei contadini a cui da un lato vengono ceduti dei prodotti

222 La «fida» è la tassa che i proprietari del bestiame pagano per far pascolare i loro animali, ed è di 1 lira al mese

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a credito per il loro sostentamento, e dall’altra vengono sottratti altri “a sconto di debito”223

. Dai prezzi di vendita risulta che il grano è la pianta più commerciabile, seguito da segalato, fave, vecce e farina di castagne, mentre la saggina, il granturco, l’avena e i lupini sono venduti a prezzo basso. Prodotto di alto valore è l’olio, venduto a 20-22 lire il barile; il vino, come si è detto, è di qualità modesta e viene venduto a 4-5 lire la soma mentre solo una piccola parte, di migliore qualità, viene messa sul mercato al prezzo di 5-7 lire la soma224. Tuttavia, nel biennio 1763-64 i prezzi del vino aumentano: si raggiungo punte di 10 lire per il vino «basso» e di 14 lire per il vino «grosso»; nello stesso periodo (e, più generalmente, nella seconda metà del Settecento) si nota anche una crescita dei prezzi dei grani. Se si esaminano le entrate si nota che l’olio, nonostante la sua produzione piuttosto modesta, è uno dei prodotti più redditizi della fattoria e che la sua vendita comporta un guadagno di oltre 1000 lire all’anno. Una buona entrata, nel periodo 1736-41, è data dal grano, dal segalato, dal vino e dalla farina di castagne; fave e vecce danno un guadagno discreto e negli anni 1760-64 anche il granturco e la saggina risultano redditizi. Inoltre, l’aumento della produzione (che risulta dalla messa a coltura di nuove terre) e il rialzo dei prezzi comportano un notevole aumento delle entrate ricavate dalla vendita dei prodotti: infatti, da una media di 360 scudi all’anno si passa a una di oltre 800 scudi intorno alla metà del Settecento. Altre entrate consistenti provengono dai prodotti dell’allevamento, dai fieni e dalle fide, “dalla riscossione dei debiti colonici e dei canoni di alcuni piccoli livelli e degli affitti delle pesche e del mulino, tra i 100 e i 200 scudi, e dall’utile dei gelsi, per 11-17 scudi”225

. Tra le entrate minori, invece, vi sono la vendita del legname e del concime, tradizionalmente scarso nelle fattorie toscane e certamente non eccedente in quella delle Cascine di Bientina. Per quanto riguarda le spese, il peso maggiore è rappresentato dall’acquisto di mangimi e medicinali per le

223 Ivi, p. 365.

224 Una soma equivale a due barili, ed un barile equivale a litri 33,428. 225

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bestie (300-400 scudi all’anno), che dimezza i buoni guadagni ottenuti dall’allevamento; altre uscite sono “le sovvenzioni ai lavoratori «per vitto e loro occorrenze», i canoni dei livelli e degli estimi, i salari a vari operai e le «provvisioni» fisse annuali al cappellano (30 scudi), alla guardia (24 scudi) e al fattore (60 scudi)”226. Il commercio avviene principalmente al mercato di Pontedera, dove vengono venduti i prodotti agricoli e il bestiame e si acquistano attrezzi, semi e masserizie. Scambi frequenti vengono effettuati con altre fattorie granducali, specialmente con quelle di Vicopisano, Pianora, Altopascio e Stabbia; i prodotti, inoltre, vengono venduti anche direttamente nelle fattorie a commercianti, persone del luogo e altri proprietari vicini.

Facendo parte dei beni del Granduca, la fattoria delle Cascine di Bientina è posta sotto l’amministrazione dello Scrittoio delle Possessioni: la direzione generale, pertanto, è esercitata dal soprintendente dello Scrittoio (coadiuvato da alcuni impiegati); il Granduca, invece, si limita “ad approvare le decisioni prese e a intervenire solo negli affari più importanti”227. La fattoria viene condotta dal fattore, che esegue le direttive del soprintendente e conduce concretamente le operazioni dell’azienda: egli deve curare i rapporti con i mezzadri, decidendo i licenziamenti e le assunzioni, provvedendo alla distribuzione del grano per il vitto e organizzando “il pagamento dei debiti colonici con le sottrazioni di parte della raccolta e con le prestazioni di lavoro extra”228