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Fattorie granducali del contado occidentale

Dopo aver sconfitto Pisa, i Fiorentini si interessano sempre più al suo contado dove, come si è detto, si vengono a costituire dei patrimoni fondiari appartenenti alle più ricche e potenti famiglie del patriziato fiorentino già dai primi decenni successivi alla conquista. In tale contesto, si distingue il processo di formazione della proprietà medicea, pari già a circa 34.000 ettari alla metà del XVI secolo: i Medici si orientano soprattutto verso i vasti spazi abbandonati del basso Valdarno, territorio pressoché spopolato compreso tra Pisa e il mare e ricoperto, si è visto, di paludi e boschi dando inizio ad una serie di importanti opere di bonifica e regolamentazione delle acque.

Dopo gli acquisti effettuati da Lorenzo il Magnifico tra 1475 e 1491, il patrimonio mediceo conosce un’espansione destinata a durare fin verso la fine del Seicento; è tuttavia con Cosimo I e i suoi successori, Francesco e Ferdinando, che la proprietà di famiglia nel contado pisano cresce enormemente, con ulteriori acquisti di beni fondiari nelle aree paludose e boscose intorno a Pisa, nel tratto inferiore dell’Arno sulle colline a sud e ad est di Livorno. Questi ultimi complessi fondiari vengono ben presto costituiti, tramite accorpamenti di terreni e importanti investimenti, nelle fattorie di Casabianca, Antignano, S. Regolo e Collesalvetti e successivamente nelle fattorie di Vecchiano e Nugola. Nel Settecento, queste fattorie costituiscono insieme alle tenute di S. Rossore un’unica enorme possessione che si estende dalla foce dell’Arno alla Maremma. In seguito all’acquisto di una notevole quantità di terre a Collesalvetti e Vicarello nel 1476, ha origine il nucleo su cui viene formata nel Cinquecento la fattoria di Collesalvetti, destinata ad espandersi fino alla metà del XVIII secolo e a diventare una delle più grandi fattorie della Toscana. Intorno alla metà del Cinquecento nuovi acquisti vengono effettuati nel contado occidentale pisano

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mentre nel 1539 erano state allivellate delle terre a S. Rossore, dove poi vengono creati un allevamento di cavalli (le «razze di Pisa»), uno di vacche e la «Magona dei cammelli».

Tra 1548 e 1557 Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I acquista da privati ed enti ecclesiastici diversi lotti di terra a Campalto e Barbaregina, vicino Pisa, per un totale di 10.000 stiora di terre coltivabili, paludose e boschive. Nel 1553 il Granduca e la sua consorte estendono ulteriormente i possedimenti a Collesalvetti ottenendo a livello 6.000 stiora di terra dall’Abbazia di S. Maria dei Dodici Apostoli; nel 1566, i sovrani acquistano una tenuta con il castello di S. Regolo, di lì a poco costituita in fattoria.

Successivamente prima Francesco e poi Ferdinando ampliano il patrimonio fondiario della famiglia attraverso acquisti importanti: tra 1576 e 1581 Francesco I conduce a livello numerose terre ottenute dalle comunità di Vecchiano e S. Frediano, le quali avevano ottenuto questi beni fondiari dalla “Mensa archiepiscopale di Pisa”64

. Anche qui si provvede ben presto alla creazione di una fattoria mentre il futuro granduca Ferdinando conduce a livello le terre di Nugola ottenute dall’arcivescovo di Pisa, Giugni; il Granduca Francesco, inoltre, aveva già incorporato la «fattoria» di Coltano tra i suoi beni nel 1574. In quest’area il patrimonio fondiario mediceo si espande tra XV e XVI secolo a danno della proprietà ecclesiastica: ancora nel 1577 le monache di S. Domenico concedono a don Pietro Medici delle terre a livello. L’anno seguente, Don Pietro prende in affitto dalla Comunità di Fauglia delle terre alla cifra di 100 scudi all’anno; nel 1671 sono i monaci degl’Angioli a concedere a livello 1246 stiora a Cosimo III, che nel 1695 ottiene 1368.5 stiora di terra dall’Ordine di S. Stefano (di cui egli è gran maestro) e altre 105.24 stiora a Mortaiolo nel 1719 dalle monache di S. Domenico.

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Archivio di Stato di Firenze, Possessioni, f. 815, ins. Vecchiano fattoria reale , fasc. Acquisti per compra, o

altro titolo trasferente l’intiero dominio; f. 819, cc. 4; f. 774, ins. Acquisti di Francesco I Gran Duca, cc. 23-37,

citato in F. MINECCIA, «Note sulle Fattorie Granducali del Pisano Occidentale nell’Età Moderna: Antignano, Casabianca, Collesalvetti, Nugola, S. Regolo e Vecchiano» in Agricoltura e aziende agrarie nell’Italia centro-

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In alcuni casi però, le fattorie esaminate si ingrandiscono anche a danno di privati (cittadini pisani, fiorentini o anche contadini e piccoli proprietari locali): nel 1687 il Granduca conduce a livello da «diversi particolari» undici prese di terra lavorativa nella tenuta di Mortaiolo. Ottenute le terre a livello o in affitto, i Medici si impegnano nelle prime opere di bonifica, troppo costose per essere portate avanti da molti enti ecclesiastici e da vari privati (costretti a vendere i propri beni fondiari per tale motivo); questi primi tentativi di bonifica, comunque, non ottengono gli effetti desiderati in molti casi. I terreni parzialmente bonificati vengono poi concessi a contadini residenti nei villaggi vicini con contratti parziari: a questi ultimi spetta il faticoso compito del dissodamento e della messa a coltura dei terreni; a questa fase preliminare seguono la costruzione delle abitazioni per le famiglie coloniche, “assunte con il contratto di mezzadria all’interno di unità amministrative in via di costituzione quali le fattorie”65

. I mezzadri sono costretti a vivere e lavorare in condizioni durissime: la mortalità tra di loro è infatti molto alta e “anche molto più tardi, verso la fine del Settecento le famiglie coloniche avrebbero continuato ad essere decimate dalla malaria e dalle febbri terzane”66

.

Poco dopo la metà del Cinquecento, gran parte del patrimonio fondiario dei Medici nel Pisano è già organizzato in fattorie per esigenze amministrative. Vi sono, tuttavia, ampie superfici (boschive, prative, paludose) non organizzate in fattorie ma in «tenute» caratterizzate da una totale assenza di poderi. Qui le particolari condizioni ambientali suggeriscono ai proprietari un diverso tipo di sfruttamento della terra e, in definitiva, una sua diversa struttura organizzativa: i possidenti, infatti, non hanno alcun interesse nell’appoderare alcuni terreni o per le difficoltà che riguardano le operazioni di bonifica o perché certi settori produttivi (come i boschi, per esempio) risultano essere già di per sé convenienti. Le tenute tuttavia sono ritenute anch’esse delle unità aziendali: anche qui la direzione amministrativa è affidata ad un agente o fattore da cui

65 F. MINECCIA, op. cit., p. 294. 66

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dipende un certo numero di lavoratori fissi, mentre in caso di lavori particolari (ad esempio il taglio dei boschi) vengono assunti lavoratori a tempo determinato, pagati in parte in denaro e in parte in natura. Le tenute sono organizzate in modo così conveniente che le loro strutture rimangono sostanzialmente immutate fino all’unità d’Italia.

Nel 1568 le fattorie costituite sono quattro: Antignano, Collesalvetti, Casabianca e S. Regolo; successivamente Francesco I e Ferdinando I aggiungono le altre due fattorie di Vecchiano e Nugola. A differenza delle tenute, queste sono unità produttive la cui base economica è rappresentata essenzialmente dal podere a conduzione mezzadrile.

L’insieme di fattorie e tenute raggiunge nel 1568 un’estensione complessiva di 128.601 stiora (7.227,4 ettari) pari a poco più del 20 % della proprietà medicea nel pisano. Più della metà delle terre comprese entro tale estensione è occupata dalle fattorie, mentre il resto appartiene alle tenute; inoltre, circa un terzo dell’intera superficie è occupata da terreni lavorativi (32 % contro il 68 % occupato da paludi, boschi e praterie), presenti in maggioranza nelle fattorie dove si riscontra “una leggera prevalenza della superficie arativa rispetto agli incolti (boscaglie, sodi, pasture, ecc…): rispettivamente il 53,5 % e il 46,5 %”67. Per quanto riguarda le terre delle fattorie, bisogna distinguere tra quelle che si trovano in pianura e quelle situate in collina: appartengono al primo gruppo la fattoria di Collesalvetti e quella di Barbaregina e Campalto, più tardi chiamata Casabianca. Per quel che riguarda Collesalvetti si nota la presenza di un’ampia parte di territorio pianeggiante che rimane incolta a causa delle numerose difficoltà incontrate nelle operazioni di bonifica. Nella fattoria di Barbaregina e Campalto invece, gran parte dei terreni (situati vicino Pisa, sulle due rive dell’Arno) è ridotta a coltura; quando la fattoria si espande verso la foce dell’Arno, in seguito ad acquisti di terre paludose, l’estensione dell’incolto aumenta considerevolmente.

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Nelle fattorie situate in collina, la maggioranza delle terre risulta essere coltivata (più del 70 % a S. Regolo, il 100 % ad Antignano).

Le fattorie di Vecchiano e Nugola presentano caratteristiche simili alle due tipologie di cui si è appena detto: Nugola è situata nelle colline inferiori pisane e presenta un’alta percentuale di terreno coltivato; Vecchiano, formata per lo più da terre paludose situate tra il Serchio e l’Arno, possiede una quantità trascurabile di terre lavorative.

Nonostante la creazione di fattorie, tale organizzazione aziendale di tipo centralizzato presenta solo parzialmente “le caratteristiche colturali di unità produttive consimili di altre parti della Toscana più intensamente coltivate, come ad esempio le fattorie del contado fiorentino”68. Il numero dei poderi è, infatti, molto limitato: nel 1568 sono 21 in totale (9 a Collesalvetti, 6 a Casabianca, 6 a S. Regolo, 0 ad Antignano), una quota troppo bassa rispetto all’estensione di queste proprietà, segno delle numerose difficoltà incontrate durante i lavori di bonifica, in particolare nel Valdarno meridionale. L’appoderamento conosce un lentissimo progresso nel Seicento e nel Settecento, nonostante l’ingente impiego di capitali per le bonifiche e la costruzione di case rurali da parte della proprietà: tale lentezza impedisce sicuramente una più rapida diffusione della mezzadria in queste campagne; tuttavia, “l’esistenza di poderi provvisti di case coloniche , per quanto in numero esiguo, dimostra l’avvenuta introduzione e il progressivo consolidarsi del rapporto mezzadrile in questa parte del contado pisano”69

.

Il numero dei poderi delle fattorie del pisano occidentale è aumentato di 10 unità nel 1740, per un totale di 65: un incremento sicuramente modesto, soprattutto se si tiene conto che le fattorie si espandono ininterrottamente fino a tale data (principalmente nel periodo 1568-1639) con l’eccezione di quella di S. Regolo, che invece conosce delle parziali riduzioni. Il processo di appoderamento si arresta dopo il 1740, quando le fattorie granducali vengono affittate a singoli, o

68 Cit. ivi, p. 299. 69

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ancor più spesso a gruppi di trafficanti e speculatori, particolarmente restii nell’impiegare capitale in investimenti produttivi come la creazione di nuovi poderi.

Conseguenza delle condizioni estremamente degradate della pianura occidentale pisana (a partire dalla fine del Cinquecento, tra l’altro, si riducono sensibilmente gli investimenti nelle bonifiche a causa della crisi economica che investe la Toscana) è l’estensione smisurata dei poderi delle fattorie esaminate: in pianura la norma è di 30-40 ettari come a Collesalvetti e Casabianca (anche se alcuni poderi superano i 90 ettari) mentre l’estensione dei poderi in collina è minore; in entrambi i contesti, tuttavia, l’estensione dei poderi delle fattorie del pisano occidentale è di gran lunga maggiore rispetto a quella dei poderi tipici della Toscana mezzadrile. A Poderi molto estesi corrispondono famiglie coloniche molto numerose, fino a 20-25 persone, che però non sono sufficienti per coltivare in modo appropriato terreni così vasti: da ciò la necessità di impiegare un gran numero di «pigionali», “altrimenti ben più rari nelle campagne più intensamente appoderate della Toscana interna”70

.

L’abnorme estensione dei poderi, insieme alla scarso popolamento del territorio, favorisce le famiglie di coloni nei confronti della proprietà che non può fare pressione più di tanto sui lavoratori, affinché questi ultimi non abbandonino il podere.

Con la lenta avanzata dell’appoderamento aumenta il numero dei poderi ma la loro estensione rimane invariata per quasi tutto il Settecento, a causa dell’aumento dei terreni messi a coltura attraverso le opere di bonifica (riprese a partire dagli anni ’40 del secolo). È solo con le allivellazioni leopoldine che l’appoderamento compie un netto balzo in avanti: il numero totale dei poderi delle fattorie di Collesalvetti e Casabianca passa da 47 nel 1779 a 113 in pochi anni.

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Un’ulteriore considerazione riguarda l’incidenza della mezzadria sull’equilibrio produttivo di queste terre: essa si fa sentire soltanto a partire dagli inizi del Settecento, mentre nei due secoli precedenti la mezzadria incide piuttosto marginalmente sull’assetto produttivo delle campagne del pisano occidentale, anche se “è possibile cogliere pure in questo lungo periodo una tendenza all’incremento della cerealicoltura a danno di altri settori produttivi, soprattutto praterie e boschi, mentre sarebbe rimasta abbastanza trascurabile fino alle soglie dell’Ottocento la coltura promiscua, la consociazione cioè di piante erbacee con piante arboree ed arbustive, caratteristica mezzadrile per eccellenza”71

.

Nel corso del XVIII secolo, con il progressivo diffondersi della mezzadria nelle campagne del pisano occidentale, la necessità padronale di avere sempre maggiori quantità di derrate da poter vendere (in un periodo in cui i prezzi sono in rialzo) si scontra con la necessità da parte delle famiglie coloniche di ricavare dai poderi il necessario per sopravvivere. Ecco dunque la resistenza dei mezzadri ai tentativi dei padroni di privarli di quantitativi sempre maggiori di raccolto ma anche la loro volontà di partecipare alle scelte colturali sui loro poderi. Le cose diventano decisamente più difficili per i contadini delle sei fattorie del pisano occidentale quando quest’ultime vengono affittate a partire dal 1740, poiché gli affittuari avrebbero mostrato una durezza anche maggiore di quella dei funzionari granducali nei loro riguardi.

Nel Seicento l’agricoltura locale viene condizionata da un generale peggioramento delle condizioni ambientali che la rendono piuttosto simile all’agricoltura maremmana: estensiva, arcaica, basata sulla coltivazione di cereali e sullo sfruttamento di boschi e praterie. Tuttavia, nonostante l’arretratezza colturale, l’importanza economica di queste fattorie rimane notevole, “gravitando tutte quante in un’area quale quella pisano-livornese assai vivace dal punto di vista commerciale, ravvivata in particolare dalla vicinanza

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della piazza di Livorno”72

: È proprio qui infatti che viene indirizzata la maggior parte della produzione del Valdarno inferiore e delle colline pisane, sia per l’esportazione che per il consumo locale. Inoltre, la fattoria di Antignano ha la funzione di centro di raccolta e smistamento dei grani provenienti dalla maremma e diretti verso la città portuale.

Agli inizi del Settecento, dunque, le sei fattorie costituiscono un complesso agrario piuttosto omogeneo, caratterizzato dalla vasta produzione cerealicola che costituisce circa l’85 % delle raccolte totali, mentre il restante 15 % è costituito soprattutto da leguminose: fave e vecce in particolare ma anche fagioli, ceci e lenti. Tra i cereali il grano è sicuramente il più importante (se ne producono dalle 10.000 alle 25.000 staia annuali di parte dominicale, circa il 60 % della produzione cerealicola totale media delle fattorie) e Collesalvetti e Casabianca sono le aziende in cui la produzione di grano è maggiore.

Tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento si registrano forti scarti, da un anno all’altro, per quanto riguarda la produzione di granaria. Tali scarti sono più evidenti nelle fattorie di Casabianca, Collesalvetti e Nugola mentre “nelle altre tre aziende di Antignano, S. Regolo e Vecchiano, l’andamento delle raccolte del grano appare pur esso oscillante a seconda delle annate più o meno favorevoli, ma con scarti molto meno accentuati che non nelle prime tre”73

. A parte le oscillazioni, in ogni caso tipiche di un’agricoltura di tipo estensivo e con scarse tecniche, ciò che emerge analizzando i dati riguardanti i raccolti delle fattorie in questo periodo è il calo della produzione di frumento. Questo calo, particolarmente accentuato per la fattoria di Antignano, continua fino alla metà del secolo ed è causato molto probabilmente dal peggioramento del sistema idrico verificatosi nel pisano occidentale al culmine della depressione seicentesca, ovvero tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XVIII. Il peggioramento delle condizioni idrologiche è anche la causa della diminuzione dei rendimenti del frumento poiché questi sono influenzati sia dalle inondazioni

72 Ivi, p. 308. 73

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frequenti che interessano le aree coltivate, sia dall’ improvvisa e preoccupante ripresa della malaria in buona parte della pianura. Questa situazione rende difficile e pericoloso il lavoro dei contadini che trascurano di preparare i campi per la semente, preferendo rischiare quest’ultima su dei terreni lavorati male, piuttosto che rischiare la propria vita. Non vi sono dati riguardanti la seconda metà del Settecento, tuttavia si deve supporre che la produzione agricola conosca un forte aumento a partire dagli anni ’70 del secolo, dopo la carestia del 1764-67 e dopo i primi provvedimenti di Pietro Leopoldo sulla libertà di commercio interno ed estero.

Tra i cereali minori il più importante nelle fattorie del pisano occidentale, ad eccezione di Vecchiano, è l’avena: essa si adatta bene a terreni umidi, aspri ed argillosi come quelli della pianura di Pisa fra il Serchio e le colline inferiori e non richiede un’accurata preparazione dei campi per la semina; inoltre, la coltivazione dell’avena risulta necessaria per sopperire alla scarsezza di foraggi tipica di quest’area. Hanno una certa importanza anche la segale, come anche l’orzo e i mescoli: tali cereali costituiscono una importante fonte di integrazione alimentare alternativa al grano e se ne favorisce massimamente la coltura (specialmente per quel che riguarda la segale e il grano segalato, la cui produzione aumenta notevolmente a partire dagli anni ’20 del XVIII secolo). Altra coltura in aumento nella prima metà del Settecento è il granturco, la cui produzione passa dalle 800-1000 staia di parte padronale nei primi anni del secolo, alle 2.000-3.000 staia degli anni 1733-1740. Il mais era stato introdotto un secolo prima, venendo particolarmente apprezzato dai contadini per l’alto valore nutritivo e per le alte rese della semente; si diffonde, dunque, molto rapidamente a danno di altre colture (leguminose in particolare) quando diventa conveniente per i proprietari dare granturco ai coloni per i loro fabbisogni, in cambio di grano da vendere sul mercato.

Per quel che riguarda le leguminose, notevole è la produzione di fave e vecce che vengono coltivate sui maggesi ed usate come foraggi per gli animali; nello

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specifico, le vecce vengono di solito mescolate con orzo e grano e quasi mai coltivate pure.

Poco rilevante, invece, la produzione di legumi e lupini: si tratta di poche decine di staia all’anno, soprattutto di fagioli e ceci, raccolte nella fattoria di S. Regolo e, in quantità minore, in quella di Collesalvetti (le quantità di legumi raccolti nelle altre aziende sono decisamente irrisorie).

Per quanto riguarda le colture industriali, l’unica ad avere una certa importanza è quella del lino, tra l’altro limitata alle fattorie di Vecchiano e Casabianca, mentre di rado ne viene raccolta una modesta quantità a Collesalvetti. La produzione è scarsa e di qualità scadente, impiegata esclusivamente per soddisfare i bisogni delle famiglie mezzadrili; anche in seguito la coltura del lino, come anche quella della canapa, del gelso o della barbabietola da zucchero non hanno maggior fortuna, venendo considerate come delle eccezioni nell’ambito del paesaggio agrario pisano.

All’inizio degli anni ’40 del XVIII secolo, inoltre, il lavorativo arborato risulta molto poco diffuso nelle sei fattorie del Pisano occidentale: solo nelle zone più fertili e meglio esposte vi sono viti e piante d’olivo (principalmente in terreni collinari, al sicuro dalle inondazioni). La coltivazione dell’olivo, molto limitata, è concentrata soprattutto nelle zone collinari e asciutte della fattoria di Vecchiano e in quella di Casabianca: complessivamente, in queste due fattorie, vengono prodotte alcune decine di barili all’anno a seconda delle annate (in periodi particolarmente sfavorevoli dal punto di vista climatico la produzione cala drasticamente o si azzera completamente, come nel caso del grande freddo del 1727). Lo scarso sviluppo della coltura dell’olivo nella zona considerata “è da ricollegarsi, soprattutto in pianura, alle condizioni ambientali particolarmente sfavorevoli per lo sviluppo di questa pianta, la natura cioè prevalentemente argillosa del suolo e la sua eccessiva umidità”74

. Un’altra ragione va ricercata nel fatto che i contadini ritengono la diffusione dell’olivo un ostacolo alla

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coltivazione dei cereali. Decisamente maggiore è la produzione vinicola, praticata in tutte le sei fattorie, anche se agli inizi del Settecento la vite è presente quasi esclusivamente nei migliori terreni collinari e solo eccezionalmente in pianura. La qualità del vino, in ogni caso, resta scadente: prodotto di «uve ordinarie», il vino pisano viene destinato al consumo locale da parte dei coloni. Nella prima metà del secolo, comunque, si nota una tendenza all’espansione della coltura della vite anche in pianura, parallelamente alla ripresa delle opere di bonifica: lo Scrittoio delle Possessioni ha infatti tutto l’interesse a diffondere la viticoltura per incrementare il consumo di vino, ritenuto un rimedio efficace contro la malaria. La diffusione della vite avviene in concomitanza con l’affitto dei beni di campagna della Corona a privati e proprio su questi ultimi lo Scrittoio cerca di far gravare i costi dell’espansione della