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Una panoramica delle comunità dello Stato Ecclesiastico, pur non entrando nello specifico sviluppo politico e sociale dei singoli contesti, è necessaria per comprendere in quali realtà locali i vari governatori delle Armi e i sergenti maggiori esercitavano la loro autorità216. Nello Stato non c’erano grandi centri urbani paragonabili alle città dell’Italia settentrionale. Il quadro regionale si mostrava frammentato in molti centri medi e piccoli, che non potevano aggregare attorno a sé le attività economiche di un’intera regione. I dati sugli abitanti delle comunità sono tratti da una inchiesta redatta nel 1656 ad uso della congregazione del Buon Governo, gli elenchi sono stati stilati in ordine decrescente di abitanti. Le città più grandi erano Roma, Bologna, Ferrara e Perugia. Le quattro città superavano la soglia dei 15.000 abitanti, questi centri avevano una propria personalità giuridica, tuttavia non avevano una reale capacità “contrattualistica” nella gestione dei rapporti con la curia. Queste grandi città regolavano la vita della regione dove si trovavano attraverso la capacità dei ceti dirigenti locali di condizionare le politiche del governo pontificio e controllare la politica locale. Bologna era l’unico centro manifatturiero dello Stato e la seconda città per importanza dopo Roma. I suoi ceti dirigenti ancora mantenevano rapporti con altri principati italiani, e l’autonomia cittadina si accrebbe ancora durante il Seicento, tuttavia era Roma il punto di riferimento più importante per le carriere e gli onori che potevano garantire un’ascesa

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Un panoramica generale sulle comunità tra Cinque e Seicento è in S.TABACCHI, Il Buon Governo, cit., pp. 77- 103, la definizione in base al quale le città si classificano per grandezza sono tratti da ivi, p. 78.

80 economica e politica217. La Romagna non aveva una città che riuscì a fungere da polo accentratore, si trattava di una realtà frammentata in città medie: Ravenna, Imola, Faenza, Forlì e Cesena. Tutte avevano una forma di governo patriziale, che controllavano politicamente il contado. I patriziati romagnoli erano pienamente inseriti in un circuito di servizio tra Roma e la provincia, la quale forniva vescovi, magistrati, governatori e militari218. Ferrara aveva perso la sua autonomia nel 1598 e i suoi ordinamenti territoriali erano stati riformati da Clemente VIII, in questo contesto i nobili della città si legarono al nuovo potere pontificio con rapidità, anche se la perdita del potere politico aveva destrutturato gli ordinamenti precedenti, le possibilità offerte alle famiglie nobili a Roma permetteva di rafforzarsi sul contesto locale219. La Marca aveva un profilo urbanistico, politico e sociale simile a quello romagnolo, nessun grande centro si era imposto e il quadro si presentava frammentato in città dai contadi piuttosto ridotti. Le città più importanti erano: Ancona, Ascoli, Cingoli, Fabriano, Jesi, Macerata, Matelica, Osimo e Recanati. I centri maggiori della legazione di Urbino erano: Pesaro (che era ora la “capitale” regionale), Senigallia, Camerino e Fermo. I ceti dirigenti urbinati e marchigiani avevano mantenuto la loro preminenza economica e conservavano un legame ideologico con il loro passato di autogoverno, tuttavia durante il secolo ci fu una profonda crisi demografica ed economica dei patriziati e dell’intera economia provinciale, l’esempio più evidente di queste difficoltà fu Ancona, che subì un forte declino economico e un depauperamento demografico di tutto il tessuto sociale cittadino ed ebbe riflessi nell’abbandono in cui versavano le maggiori infrastrutture cittadine come il porto, la fortezza e le strade. I patriziati dunque faticarono a mantenere la loro preminenza

217

Su Bologna: A.DE BENEDICTIS, Repubblica per contratto. Una città europea nello Stato della Chiesa, Il Mulino, Bologna 1995.

218 Sulla Romagna: C.C

ASANOVA, Le mediazioni del privilegio. Economie e poteri nelle legazioni pontificie nel ‘700,

Bologna 1984; ID., Comunità e governo pontificio in Romagna in età moderna, Clueb, Bologna 1981; ID.,

Gentilhuomini ecclesiastici. Ceti e mobilità sociale nelle Legazioni pontificie (secc. XVI e XVIII), Clueb, Bologna

1999.

219

Su Ferrara: W.ANGELINI, Economia e cultura a Ferrara dal Seicento al Tardo Settecento, Argalia, Urbino 1979; G.TOCCI, Le legazioni di Romagna e Ferrara dal XVI al XVIII secolo, inA.BERSELLI (a cura di), Storia dell’Emilia

81 sulla politica locale contro le famiglie arricchitesi di recente con gli appalti e il commercio. Nel 1639 Urbano VIII impose l’aggregazione di molte famiglie al consiglio cittadino, che invano aveva cercato di resistere alle pressioni da Roma; questo schema fu simile, anche se più sfumato, nelle altre città della regione come Ascoli, Macerata e Camerino220.

Come la Romagna e la Marca, anche l’Umbria aveva numerosi centri medi: Spoleto, Narni, Terni, Città di Castello e Rieti. Tutti avevano un contado simile per estensione a quello d’età comunale, i rapporti di queste città con i contadi erano però diversi, questi avevano mantenuto una certa autonomia, ma insieme alle altre realtà già descritte le città umbre fornirono molto personale per le magistrature dello Stato e della Chiesa. La città più importante era Perugia, che aveva perso la propria autonomia dopo la “guerra del Sale” nel 1540221. Anche se la soggezione politica delle città era molto stretta, i ceti dirigenti locali controllavano gli appalti e la tesoreria provinciale e anch’essi fornivano personale per le cariche ecclesiastiche ed amministrative. Il Lazio ebbe uno sviluppo urbano modesto, le città erano poco numerose: Viterbo, Velletri e Alatri. Si trattava di realtà povere con una economia prettamente agricola e pastorale, le famiglie preminenti di questi centri gravitavano intorno a Roma, come le economie cittadine. L’unica città con una certa rilevanza politica sui centri minori fu Orvieto, nella zona meridionale ebbe una certa importanza Velletri, con un patriziato cui vennero integrati periodicamente famiglie di forestieri. In generale l’area laziale era economicamente

220 Su Marca e Urbino: B.G.Z

ENOBI, Ceti e potere nella Marca pontificia. Formazione e organizzazione della piccola nobiltà fra ‘500 e ‘700, Il Mulino, Bologna 1976; ID., Dai governi larghi all’assetto patriziale. Istituzioni e

organizzazione del potere nelle città minori della Marca dei secoli XVI-XVIII, Argalia, Urbino 1979; ID., I caratteri

della distrettuazione di Antico Regime nella Marca pontificia, in R. PACI (a cura di), Scritti in memoria di Enzo Piscitelli, Antenore, Padova 1982 pp. 61-106; ID., Le ben regolate città. Modelli politici nel governo delle periferie

pontificie in età moderna, Bulzoni, Roma 1994.

221 Su Umbria e Perugia: R.C

HIACCHELLA, Regionalismo e fedeltà locali. L’Umbria tra Cinque e Settecento, Nerbini,

Firenze 2004; E.IRACE, La nobiltà bifronte. Identità e coscienza aristocratica a Perugia tra XVI e XVII secolo, Unicopli, Milano 1995; A.MONTI, La Guerra del Sale (1540). Paolo III e la sottomissione di Perugia, Morlacchi, Perugia 2017.

82 poco sviluppata rispetto alle altre regioni, inoltre era fortemente condizionata dal rapporto con la “metropoli” romana222

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