• Non ci sono risultati.

La nascita degli eserciti permanenti Un confronto con le linee di sviluppo delle istituzioni militari tra Italia ed Europa

2. L’evoluzione della guerra e la riduzione dell’impegno pontificio sul campo

2.2 La nascita degli eserciti permanenti Un confronto con le linee di sviluppo delle istituzioni militari tra Italia ed Europa

Il tema dominante della storiografia militare della seconda metà del XX secolo è stata la cosiddetta “rivoluzione militare”, termine coniato da Michael Roberts, poi ampliato ed approfondito da Geoffrey Parker. Una delle caratteristiche principali di questa rivoluzione, oltre alla diffusione su ampia scala di armi da fuoco più maneggevoli e potenti, fu l’introduzione dei cannoni negli eserciti europei, che avrebbe portato alla realizzazione di un nuovo tipo di fortificazioni per contrastare la potenza di fuoco prodotta dai cannoni: la trace

italienne, un modello fortificatorio basato su mura basse e spesse dal profilo inclinato. Il

circuito fortificato era punteggiato da bastioni realizzati allo stesso modo e sporgenti rispetto alla cinta muraria per poter funzione come piazze di cannoni per deviare parte del fuoco avversario e creare zone di fuoco incrociato per proteggere le mura stesse. La proliferazione di questo nuovo modello portò alla necessità di mantenere in campagna un numero sempre maggiore di truppe per condurre lunghi e impegnativi assedi. La diffusione delle armi da fuoco d’altra parte, a causa delle limitazioni tecniche che rendevano lo sparo molto impreciso già a brevi distanze e la laboriosità del processo di carica rese necessario investire molto tempo e risorse per addestrare grandi masse di moschettieri al fuoco concentrato per aumentare l’efficacia di queste armi. Questo modo nuovo di condurre le operazioni belliche richiese ai sovrani di migliorare e ampliare la loro capacità di estrarre risorse dai propri territori, perciò i monarchi dovettero aumentare lo spazio della propria autorità sui loro sudditi. La bontà di questa impostazione teorica della nascita dello Stato assolutista, che inseriva la storia militare nella discussione storiografica sullo state building delle monarchie

105 europee282, fu innanzitutto quella di innescare un dibattito molto prolifico283. Il successo di questa narrativa fu dovuto al fatto che, contrariamente – ad esempio – alla storia economica, la storiografia militare ha avuto difficoltà a sganciarsi dal concetto di appurare cosa fosse davvero avvenuto – wie eigentlich gewesen. Questa mancanza consisteva nella difficoltà di costituire una struttura che desse conto delle conseguenze più generali dei cambiamenti occorsi nelle società dovuti a modificazioni nella condotta della guerra. In parte ciò spiega anche come la storiografia militare anglosassone abbia spesso posto rilevanza particolare all’evoluzione tecnologica, dando però minor peso all’elemento culturale, sia in quanto forza in grado di influenzare la condotta delle operazioni, sia come prodotto delle stesse284. L’Italia ha partecipato in modo marginale al dibattito, e lo sviluppo maggiore della storiografia militare italiana ha preso le mosse da un contesto storiografico internazionale in cui il paradigma era stato già ampiamente discusso e in qualche modo superato285. Il dibattito inoltre scindeva i legami causali della triade Stato, esercito, società, ponendo eccessivo risalto al secondo elemento senza concedere il peso necessario agli altri due286. In generale la storiografia più recente considera l’evoluzione della guerra come un lento processo in cui

282

Il concetto di stato assolutista è stato grandemente ridimensionato, sul paradigma si veda C.TILLY (a cura di),

La formazione degli stati nazionali nell'Europa occidentale, Il Mulino, Bologna 1984 (ed. orig Princeton 1975); J.

GLETE, War and the state in early modern Europe: Spain, the Dutch Republic and Sweden as fiscal-military states, 1500-1600. Routledge, London 2002.

283

Non è questa la sede per dare conto nei dettagli di un dibattito storiografico che ha stimolato moltissimi studi, si segnalano qui solo i testi necessariper comprenderne le tappe fondamentali. L’opera di riferimento è G.PARKER, La rivoluzione militare. Le innovazioni militari e il sorgere dell’Occidente, trad. it., Il Mulino, Bologna 1998; uno studio dello stesso autore in cui vengono provate sul campo le caratteristiche della «rivoluzione militare», ID., The Army of Flanders and the Spanish, 1567-1659, Cambridge University Press, Cambridge 1972.

L’idea originale di una «military revolution» è di M. Roberts, che coniò nel corso delle lezioni inaugurali del suo corso all’università di Belfast nel 1955, M.ROBERTS, The military revolution 1560-1660, in ID., Essays in Swedish

History, Weidenfeld and Nicolson, London 1967, pp. 195-225. C.J. ROGERS (ed. by), The military revolution

debate. Readings on the military transformation of early modern Europe, Westview Press, Boulder - San

Francisco - Oxford 1995.

284 Questa impostazione vale per la teoria della rivoluzione militare riformulata di G. Parker, ma anche per

studiosi più tecnici che si sono dedicati all’analisi delle tattiche sul campo. Cfr. B.NOSEWORTHY, The anatomy of

victory. Battle Tactis 1689-1763, Hippocrene books, New York 1990, pp. 11-5.

285

J.CHILDS, Warfare in the seventeenth century, Harpercollins, London 2001, pp. 16-7. P.DEL NEGRO, Guerre ed

eserciti da Napoleone a Machiavelli a Napoleone, Laterza Roma-Bari 2001, pp. 139-45. Una ricostruzione dal

punto di vista della storia militare italiana è in L.PEZZOLO, La “Rivoluzione militare”: una prospettiva italiana

1400-1700, in A. DATTERO – S.LEVATI (a cura di), Militari in età moderna. La centralità di un tema di confine, Cisalpino, Milano 2006, pp. 15-62.

286

106 sono riconoscibili alcune accelerazioni in determinati momenti, recentemente definita come una endless evolution287. Uno dei critici dell’impostazione di G. Parker è stato Jeremy Black, il quale considerò che i maggiori cambiamenti apportati nelle società e nelle organizzazioni militari ci furono nel periodo 1660-1721, ritenendo di poterlo considerare come un periodo con caratteristiche che lo rendono omogeneo, in cui ci furono profondi cambiamenti sia in senso quantitativo che qualitativo degli eserciti europei più rilevanti e significativi rispetto al 1500-1650 individuato da Parker288. Ciò che si innescò nel periodo successivo alla guerra dei Trent’anni fu un circolo virtuoso, come è stato definito da Piero Del Negro, che mise un freno ai fenomeni entropici tipici della guerra in Europa nel primo Seicento. L’elemento più importante fu la nascita degli eserciti permanenti, organizzati e mantenuti in forze anche dopo la fine dei combattimenti, prima di allora ogni esercito era assemblato per la partecipazione a una determinata campagna, da ora in poi la smobilitazione non sarà mai completa. In Francia ad esempio si manterranno nei quartieri d’inverno, più tardi in vere e proprie caserme, almeno un terzo delle forze militari, l’uso delle milizie si configurò come bacino di reclutamento e furono più spesso mobilitate per la protezione delle località interne degli Stati. L’Austria nel 1655 manteneva in campo circa 14.000 uomini e già appena dopo la fine della Guerra dei Trent’anni, alcune unità non furono sciolte nel periodo di pace289

. Nel secondo Seicento i numeri degli eserciti permanenti crebbero in modo consistente, un dato rilevante visto che il tasso di crescita della popolazione europea rimase stagnante fino circa alla metà del Settecento290. L’esercito permanente aveva anche un uso interno per imporre il consenso alle politiche dei sovrani, un esempio molto noto sono le dragonate utilizzate come mezzo di persuasione per incentivare le conversioni nelle comunità protestanti francesi, prima e dopo la

287

F.JACOB –G.VISONI ALONZO, The military revolution in early modern Europe. A Revision, Palgrave Macmillan, London 2016, pp. 85-8.C.J.ROGERS, The Military Revolution in History and Historiography in ID.(ed. by), The Military Revolution Debate, cit., pp. 1-7.

288

J.BLACK, A Military Revolution? A 1660—1792 Perspective in ivi, pp. 95-114.

289 M. H

OCHEDLIGER, Austria’s Wars of Emergence. War State and Society in Habsburg Monarchy 1683-1797,

Pearson, London 2003, pp. 98-9, 101-4.

290

La Svezia, ad esempio, fu in grado di mettere in campo 111.000 uomini nel 1708, circa il 5% della propria popolazione. J.BLACK, European Warfare 1660-1815, cit., p. 92.

107 revoca dell’editto di Nantes291. Crebbe il ruolo e l’importanza attribuita all’artiglieria e agli

ingegneri militari, che entrarono a pieno titolo nei ranghi delle organizzazioni militari, gli esempi europei più importanti sono Sébastien Le Prestre de Vauban, che divenne alla fine della carriera anche maresciallo di Francia, e l’olandese Menno van Coehoorn292

. Un altro dei tratti più marcati del periodo fu l’estensione del controllo diretto dello Stato sull’esercito, in modo da ridurre l’elemento privato, in alcuni casi, come quello prussiano, eliminarlo completamente. Il processo non fu né progressivo, né lineare, l’Austria – una potenza in ascesa in questi decenni – mantenne fino al 1762 un sistema semi-privato293. La Santa Sede dovette confrontarsi innanzitutto con la Francia, non altri principi italiani, ma una grande potenza europea in piena espansione. Inoltre, si stava affermando come un modello organizzativo per gli altri eserciti delle monarchie europee. Luigi XIV fu in grado di mobilitare 253.000 uomini durante la Guerra Olandese (1672-9) e 340.000 per la guerra della Lega di Augusta, in un momento di grande difficoltà economica mise in campo 255.000 uomini nel 1710294. Durante il regno di Luigi XIV l’amministrazione e l’organizzazione dell’esercito fu rafforzata da decenni di riforme volte ad avere un esercito controllato dalla Corona e finanziato in gran parte dallo Stato. Il rinnovato consenso della nobiltà creato intorno alla monarchia rese possibile la grande disponibilità dei nobili a servire nell’esercito. Al momento di massimo sforzo militare durante la guerra della Lega di Augusta (1690)

291 J.A.L

YNN, The Wars of Louis XIV 1667-1714, Routledge, London and New York 2013, (1° ed. 1999), pp. 174- 81.

292

Ivi,pp. 186-90.

293

Sull’esercito austriaco, si veda ivi, pp. 103-7; M.HOCHELINGER, Austria’s War of Emergence, cit., p. 153: «The ultimately successful Turkish War of 1683-1699 proved a decisive turning point in Austrian history. Once by necessity a thouroughly defensive power, the Habsburg Monarchy was only now beginning to assume true great power status». Sulla crescita dell’influenza austriaca in Italia, si veda C.DONATI, Le istituzioni di difesa, cit, pp. 198-9.

294

J.BLACK, European Warfare, cit., p. 95; una rassegna di dati comparativi riguardo la crescita numerica degli eserciti europei, tra cui quelli italiani, nel periodo 1400-1700, è in L.PEZZOLO, La “rivoluzione militare”: una

108 23.000 ufficiali servivano la monarchia, se si considera che De Vauban calcolava in 52.000 le famiglie nobili francesi295, la percentuale sul totale del ceto è assai rilevante.

Lo sviluppo tecnologico coinvolgeva tutti i campi, anche l’artiglieria. Negli ultimi due decenni del Seicento fu introdotta la cartuccia con la palla da inserire nella canna e la carica di polvere necessaria per lo sparo, la baionetta, dai modelli più rudimentali che andavano innestati nella canna del moschetto, che di fatto trasformava l’arma da fuoco in un’arma bianca. In pochi anni fu perfezionata una baionetta ad anello, la quale permetteva al fante di difendersi dalla cavalleria e poter continuare a sparare. Tale innovazione risolse il problema della proporzione tra picche e moschetti, progressivamente la picca fu abbandonata dagli eserciti delle monarchie dell’Europa occidentale296

. Nello stesso periodo il moschetto a miccia fu sostituito dal fucile a pietra focaia. A questo va aggiunta maggiore standardizzazione degli equipaggiamenti nel momento in cui gli Stati europei aumentarono il proprio coinvolgimento diretto nell’armare e rifornire i propri soldati. Le uniformi furono introdotte in Francia nel 1670. Michel Le Tellier si impegnò a restaurare il controllo regio sul patronage militare; i maggiori ufficiali dell’esercito, nonostante la loro opposizione, dovettero piegarsi a poter solo suggerire i candidati per i reclutamenti e le promozioni. Entro il 1661 Le Tellier aveva avuto successo nell’imporre che le nomine militari fossero concesse solo dal re. Luigi XIV inviò commissioni in bianco solo ai suoi più fidati generali. Gli ufficiali non avrebbero più potuto semplicemente completare le proprie compagnie o i propri reggimenti con personale scelto esclusivamente da loro. Ora era il ministero di Guerra a occuparsi delle commissioni per le cariche. Fu un cambiamento significativo che mise fine allo strapotere dei grands, tuttavia il

295 Ivi, p. 187. Nel luglio 1694 l’esercito consisteva in 394.000 uomini, nel quale vi erano 20.000 ufficiali, di

questi circa l’80% era nobile. La percentuale di non nobili presenti tra i ranghi degli ufficiali aumentò probabilmente in seguito alla perdita degli ufficiali ugonotti dopo la revoca dell’editto di Nantes (1685). G. ROWLANDS, The Dynastic State and the Army, cit., pp. 154-5. Sulla consistenza dei numeri reali dell’esercito

francese durante il periodo 1610-1715 e il problema della ricostruzione dei numeri effettivi, J.A. LYNN,

Recalculating French army growth during the Grand Siécle, 1610-1715, in C.J. ROGERS (ed. by), The military

revolution debate, cit., pp. 117-48, in particolare pp. 126-8.

296

L’uso di truppe armate di picca fu mantenuto nel nord-est europeo, a causa della preponderanza della cavalleria. Sulle innovazioni tecnologiche occorse nel periodo 1650-1710, si veda J.BLACK, European Warfare, cit., pp. 38-41.

109 sistema si reggeva ancora sulla raccomandazione per riempire i ranghi. Il monarca francese ricorse quindi ai più diversi canali per poter ricevere queste raccomandazioni per i posti da ufficiale; non solo il Segretario di Guerra Louvois, ma anche generali, colonnelli, ispettori militari, cortigiani e ministri vari297. Nel 1661 era stata stabilita e chiarita la gerarchia dei gradi di fanteria: colonnello, tenente colonnello, capitano, e subalterni, più tardi si aggiunse il maggiore, che assunse un ruolo intermedio tra il capitano e il tenente colonnello298. In seguito fu posto in essere un sistema di avanzamenti delle carriere nell’appena definita gerarchia, fu introdotto il sistema degli avanzamenti per anzianità di servizio e il corpo degli officiers

réformés. Per gli anni di pace tale corpo permetteva di mantenere un legame di servizio anche

con gli ufficiali che erano esclusi in occasione delle periodiche riforme dopo la fine dei conflitti. Tale sistema di preferenza dei “riformati” per il conferimento delle cariche vacanti garantiva un ricambio non legato in modo esclusivo alla raccomandazione. Il nuovo sistema non metteva fine alla presenza dei grands nell’esercito, molti di essi possedevano o controllavano attraverso clienti vari numerosi reggimenti, tuttavia i nuovi standard organizzativi e qualitativi garantivano una ricongiunzione degli interessi clientelari con quelli della monarchia. L’intendente generale della Fanteria fu nominato nel 1667 come strumento di controllo periodico dell’efficienza delle unità militari. L’ordre de Tableau del 1675 stabilì la precedenza per anzianità anche per i marescialli di Francia, completando un percorso fatto di molti provvedimenti che dal 1656 in poi miravano ad instaurare un percorso stabile di carriera e di avanzamenti299. Tale sistema non metteva fine ad altri metodi ed alla discrezionalità del re nelle decisioni, tuttavia fissava uno standard cui attenersi se non era specificatamente indicato il contrario. In Francia Luigi XIV riuscì ad integrare in modo stabile un larga porzione di famiglie nobili nell’esercito permanente, più tardi durante il secolo

297 G.R

OWLANDS, The Dynastic State and the Army, cit., pp. 349-61.

298

Ivi, p. 235.

299

J.LYNN, Giant of the Grand Siécle. The French army, cit., pp. 298, 300-1, 310, 340; G.ROWLANDS, The Dynastic

110 successivo la Prussia integrerà ancor di più la propria nobiltà. Questo fenomeno di conciliazione d’interessi tra la monarchia e i nobilti esposto da J. Black fu reso possibile dagli onori duraturi e remunerativi sia in termini di capitale politico spendibile dagli ufficiali con le loro clientele locali, oltre alla possibilità di carriera e la speranza di poter accedere, anche se pochissimi effettivamente vi riuscivano, a grandi onori e guadagni che le maggiori cariche militari che permettevano di ottenere. I nobili per queste prospettive apparivano disposti – ed erano tenuti – a partecipare con il proprio denaro al mantenimento in efficienza delle proprie compagnie. Si mise dunque in moto un circuito di oneri ed onori catalizzato dalla formazione degli eserciti permanenti sotto un maggiore controllo della Corona, rispetto ai vecchi eserciti mercenari mantenuti da imprenditori militari influenti come Albrecht von Wallenstein. L’elemento privato non scomparve, una schiera di figure diverse: dai banchieri, agli appaltatori dei reggimenti come agli osti delle fortezze, furono la norma negli eserciti europei sino all’Ottocento, conservando la loro importanza nelle organizzazioni militari300

. Alcuni elementi privatistici dell’organica come la proprietà di reggimenti e compagnie da parte dei colonnelli e dei capitani, o la venalità delle cariche militari, rimasero in vigore in qualche caso anche nella seconda metà del Settecento. L’autorità e la discrezionalità dei colonnelli nei reggimenti era ancora molto alta e nell’esercito austriaco l’elemento privato aveva ancora maggiore preminenza. I colonnelli competevano con gli altri per aver maggiori risorse da Vienna, si occupavano del reclutamento, sovraintendevano all’amministrazione del reggimento e delle singole compagnie, decidevano avanzamenti e sceglievano i propri subordinati. Tuttavia più che imprenditori possono essere considerati investitori, in quanto il controllo statale sulla propria istituzione militare era maggiore. Questi ufficiali ottenevano denaro, oltre che dalla propria paga, da percentuali su reclutamenti, indennità da coloro che venivano promossi e lasciavano il reggimento, potevano anche ricorrere a metodi illeciti come

300

P.DEL NEGRO, Guerra ed eserciti, cit., pp. 82-4. Per una prospettiva generale, cfr. W.H.MCNEILL, The pursuit of

power, tecnology, armed forces and society since A.D. 1000, The University of Chicago Press, Chicago 1982

111 trattenere per sé i soldi dovuti per la loro unità. Nel 1685 un colonnello dell’esercito austriaco poteva guadagnare tra 10.000 e 12.000 fiorini301. L’internazionale nobiliare delle armi si mantenne viva anche nel nuovo contesto di eserciti permanenti, permase un mercato di ufficiali nobili e di soldati, ancora a metà del Seicento le truppe straniere erano un quinto circa dell’esercito francese302

.

I nobili militari italiani nella seconda metà del Seicento mantennero i tradizionali legami di servizio con la Spagna, anche con la crescita d’influenza francese nella politica italiana. Basti ricordare ad esempio il fatto che Cosimo III smise di appoggiare la monarchia spagnola a causa della pressione francese303; il numero di ufficiali italiani presso Luigi XIV tuttavia non crebbe in modo significativo304. Molti sono invece gli esempi di italiani in servizio presso l’imperatore305

. Il controllo dei sovrani sui propri militari aveva la funzione di rinsaldare i rapporti con le proprie nobiltà, ad esempio in Germania nei territori dell’Impero durante il lungo Cinquecento i rapporti tra i principi e propri nobili si erano affievoliti in virtù del servizio mercenario dei cavalieri e dell’imprenditoria militare. Il modello della seconda metà del Seicento progredisce, pur con molte differenze territoriali e con diverse soluzioni di continuità, verso la figura del miles perpetuus306. Un altro fenomeno connesso alla nascita dell’esercito permanente fu infatti l’evoluzione del modello di ufficiale e della formazione del militare in servizio stabile ed esclusivo presso il proprio sovrano e la creazione di una vera propria carriera con gradi consecutivi. Nel Dizionario storico della lingua italiana il termine

301

G.HANLON, Twilight of a military tradition, cit., p. 208.

302 P.D

EL NEGRO, Guerra ed eserciti, cit., pp. 85-6.

303

G.HANLON, Twilight of a military tradition, cit., pp. 198-9.

304

D.PARROT, Italian soldiers in French Service, 1500-1700. The collapse of a military tradition, cit., pp. 35-9.

305 G.H

ANLON, Twilight of a military tradition, cit., p. 200.

306

F.GÖSE, Riflessioni sulla professionalizzazione degli ufficiali nobili di alcuni territori tedeschi dell’Impero nel

secolo XVII, in C. DONATI - B.R.KROENER (a cura di), Militari e società civile nell’Europa dell’età moderna (secoli

112

carriera applicato con il significato moderno di carriera militare è attestato dalla seconda

metà del Seicento307.

Nel XVI secolo e primi decenni del XVII ci fu una grande crescita di offerta di istruzione di tipo militare, da una parte crebbero le pubblicazioni e nacquero le prime scuole dedicate alla formazione di capacità specifiche. Si trattava di istituzioni piccole, con pochi allievi e con un ciclo di studi di pochi anni. Nel complesso queste esperienze si discostavano solo in parte dai

collegia nobilium in cui i rampolli dei nobili erano istruiti nelle competenze tradizionali di

scherma ed equitazione e vita di corte. Il numero degli allievi di queste istituzioni non modificò il contesto generale della formazione dei militari nel Seicento, ancora incentrato sull’esperienza maturata sul campo. Alcune di queste scuole furono fondate negli Stati italiani, a Venezia prosperò per qualche decennio l’Accademia Delia di Padova, che fu tra le esperienze più mature del periodo, insieme con gli esempi europei contemporanei, come ad esempio l’accademia olandese di Siegen (1617)308

. Nella seconda metà del secolo in molte parti d’Europa si fondarono nuove accademie, gli esempi più significativi ci furono inizialmente in Prussia e Danimarca, mentre la Francia rallentò le iniziative educative durante