La milizia pontificia era stata istituita nel 1563 e sulla carta poteva contare su numeri notevoli223, nel 1640 questa raggiunse 78.170 fanti e 5.160 cavalieri. Sotto Gregorio XIII le province militari in cui era diviso lo Stato erano cinque, dette colonnellati, corrispondenti alle province di Romagna, Marca, Patrimonio, Campagna e Marittima. A fine Cinquecento la Marca fu divisa in due: Marca del Tronto e Marca del Chienti; in seguito furono aggiunte anche la province di Sabina e Montagna, Ferrara ed Urbino. Nel corso del Seicento la catena di comando si consolidò, le varie battaglie (compagnie) furono subordinate a un maestro di
campo e a un sergente maggiore. Sotto Urbano VIII questi ufficiali superiori erano soggetti a
un luogotenente generale, i quali controllavano le province più importanti dello Stato: Marca, Umbria, Romagna e Ferrara. Questi ufficiali superiori avevano autorità su tutte le truppe della provincia, anche quelle permanenti, ossia «pagate», nei presidi224. La milizia di cavalleria mantenne una struttura di comando propria fino ad una riforma avvenuta probabilmente durante il pontificato di Alessandro VIII, essa consisteva in un generale di cavalleria, un
222
Informazioni generali sulle province laziali possono essere reperite in C.CANNONI, La fedeltà e l’obbedienza:
governo del territorio a Viterbo e nel Patrimonio in età napoleonica, Carocci, Roma 2001; D. ARMANDO – A.
RUGGERI, La geografia feudale del Lazio alla fine del Settecento, in M.A. VISCEGLIA, La nobiltà romana in età
moderna, cit., pp. 401-45.
223 Sulla milizia pontificia nella prima età moderna, si veda G. B
RUNELLI, Poteri e Privilegi. L’istituzione degli ordinamenti delle milizie nello Stato Pontificio tra Cinque e Seicento, in «Cheiron», XII(1995), n. 23, pp. 105-29.
V.ILARI, La difesa dello Stato e la creazione delle milizie contadine nell’Italia del XVI secolo, in «Studi Storico- Militari», 6(1989), pp. 7-70, in particolare per lo Stato Ecclesiastico, pp. 61-6. I.POLVERINI FOSI, La società violenta. Il banditismo dello Stato pontificio nella seconda metà del Cinquecento, Edizioni dell’Ateneo, Roma
1985, pp. 167-74. Lavori più anziani, ma ancora indispensabili sono: A.DA MOSTO, Ordinamenti militari delle
soldatesche dello Stato romano dal 1430 al 1470, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und
Bibliotheken», 5(1903), pp. 19-34., ID., Ordinamenti militari delle soldatesche dello Stato romano nel secolo XVI, in ivi, 6(1904), pp. 72-133.
224 G.B
83
tenente generale di cavalleria che comandava i reparti delle Legazioni, e un commissario generale, che comandava la cavalleria della Marca. La fanteria era organizzata in Terzi,
ognuno di questi era diviso in Bande (o battaglie), quest’ultime rappresentavano le compagnie, le quali erano comandate da un capitano. I Terzi prendevano di norma il proprio nome dalle province di afferenza.
Nella seconda metà del Seicento questo impianto istituzionale conobbe alcune modificazioni che portarono alla soppressione di alcune cariche militari e di una ridistribuzione delle competenze nelle altre rimanenti. I numeri anche se in leggera diminuzione rispetto al periodo precedente rimasero elevati. Nel 1655-6 erano registrati 55.956 fanti e 5.547 cavalieri per un totale di 60.423 miliziani; nel 1664 la milizia poteva mobilitare, su carta, 68.471 fanti e 7.752 cavalieri, in tutto 76.223 uomini; sotto Innocenzo XI (1676-1689) la milizia risultava essere di 64.924 uomini, di cui 57.150 fanti e 7.774 cavalieri225. La milizia della città di Roma forniva, sempre su carta, altri 10.000 uomini. Clemente VIII, su istanza dei Conservatori, concesse alla antica milizia romana i privilegi delle altre truppe omonime, con bollettini emessi dal capitano generale di Santa Chiesa. Urbano VIII nel 1642 aveva riorganizzato questa truppa fino a 12.000 fanti e 1.000 cavalieri, fu poi riordinata di nuovo da Camillo Pamphili nel 1646 con nuovi privilegi ed ordini. Tuttavia questa forza decadde rapidamente nel corso del secolo. Nel 1715 l’unica milizia romana utilizzabile sul campo era la sola compagnia d’origine medievale dei «capotori» o «Compagnia de’ Fanti dell’Inclito Popolo Romano», che era riunita solo in tempo di Sede Vacante per il mantenimento dell’ordine pubblico. La città di Bologna poteva mettere in campo una milizia autonoma di circa 7.000 uomini nel 1642226. Il corpo possedeva anche dei propri reparti di artiglieri addestrati nelle scuole dei bombardieri sparse nelle città dello Stato. C’erano nove di queste scuole: Roma, la più antica e risalente al 1594, Ancona,
225 A.D
A MOSTO, Milizie dello Stato Romano, cit., pp. 407-8; l’autore non specifica l’anno di pontificato cui si
riferisce il dato.
226
Sulla milizia di Roma nel Seicento, si veda ivi, pp. 405-8;A.DA MOSTO, Milizie dello Stato Romano, cit., pp. 409-11.
84 Pesaro, Rimini, Ferrara, Fano, Senigallia, Perugia e Civitavecchia. Essi servivano su base volontaria e dovevano provvedere da soli all’armamento e agli attrezzi necessari al maneggio dei pezzi d’artiglieria. I membri erano esplicitamente citati come artigiani delle quattro arti che sapessero leggere e scrivere, in seguito fu concesso anche ai semplici bottegai di poter accedervi. Il maggior privilegio di cui godevano questi artiglieri era l’esenzione fiscale che gli era garantita come membri della corporazione dei bombardieri. L’ammissione da aiuto bombardiere a bombardiere effettivo avveniva attraverso un concorso per esami, cui erano sottoposti dai bombardieri anziani. Il numero effettivo degli artiglieri di milizia nella seconda metà del Seicento non è chiaro, tuttavia secondo alcuni calcoli condotti da G. Lutz, per il 1667 si può ipotizzare una cifra di circa 1.500 uomini227. Il numero ragguardevole di miliziani crollò per un breve periodo a 5.237 fanti e 1.767 cavalieri, quando Alessandro VII impose una tassa una tantum ad ogni miliziotto – così erano denominati – per conservare i loro privilegi connessi alla presenza nei ruoli. In occasione dell’armamento deciso nel 1664 per rispondere alle minacce francesi, Alessandro VII non aveva fatto ricorso alla mobilitazione della milizia, se non in misura limitata per rinfoltire i reggimenti dei regolari228. Si ritenne perciò di commutare il servizio effettivo non richiesto in una tassa. Ogni miliziano avrebbe dovuto pagare circa 12 giuli se di fanteria, di 15 giuli se di cavalleria. La milizia scelta invece doveva pagare rispettivamente 10 e 12 giuli. Il pagamento sarebbe stato effettuato al momento di ricevere il rinnovo del «bollettino» dei privilegi. La tassa fu percepita dagli interessati come così gravosa da convincere il papa Clemente IX a ritirarla, ed in breve tempo i ruoli ritornarono alla consistenza normale di circa 65.000-75.000 uomini. La regolamentazione della truppa era definita nei «Privilegi, esenzioni e grazie» che erano concessi a chi si arruolava; erano periodicamente fatti circolare varie edizioni a stampa dei «Capitoli, ordini e
227
G.LUTZ, L’esercito pontificio nel 1667, cit., pp. 70-1.
228
A.DA MOSTO, Milizie dello Stato Romano, cit., pp. 506-7. La pratica di rinfoltire i ranghi dei reggimenti regolari con i miliziani fu praticata anche in Francia. Nel 1688 Luigi XIV all’inizio della guerra della Lega di Augusta costituì una nuova milizia reale provinciale. Nel novembre di quell’anno Louvois completò i ranghi delle truppe mobilitando i battaglioni della nuova milizia, mentre nella guerra di successione spagnola i miliziani mobilitati furono incorporati nei nuovi reggimenti. J.A.LYNN, The Wars of Louis XIV, cit., pp. 49, 199.
85 leggi», che definivano le regole cui dovevano sottostare i miliziani. L’ultima modifica di papa Rospigliosi a questi documenti rimase in vigore fino al 1757, quando Benedetto XIV attuò una riforma organica delle milizie229. Nella seconda metà del Seicento ci fu un cambiamento istituzionale, che sembra aver privilegiato una semplificazione del sistema di comando militare della milizia. Il comando era esercitato da un sergente generale nelle legazioni, nel resto dello Stato il comando dei Terzi di fanteria era esercitato dal governatore delle Armi – talvolta invece erano colonnelli o maestri di campo – ed erano assistiti da un sergente
maggiore. I governatori erano superiori di grado ai sergenti, non è dato sapere tuttavia in
questo periodo specifico, quali fossero le rispettive funzioni, e quale fosse la specifica area di competenza rispetto al governatore; egli fungeva da subordinato o da vice in sua assenza? C’era forse una divisione territoriale di comando? È possibile che vi fossero entrambe, tuttavia senza una indagine specifica non vi sono certezze a riguardo. I governatori erano spesso sostituiti dai sergenti maggiori delle province, non risiedevano nella capitale della regione e spesso rimanevano a Roma. Un indizio di una certa incertezza istituzionale in questo periodo è la vicenda dei sergenti maggiori, che si occupavano della gestione ordinaria della milizia, nel 1682 la carica fu infatti ripristinata dopo un breve periodo in cui risulta soppressa230. C’erano dieci province militari con un proprio governatore, di cui due però erano denominati per città, mentre la milizia di Bologna non aveva un governatore delle Armi, né un sergente maggiore, ma prendeva ordini dal Reggimento, l’organo di governo civile della città231. Le province nella seconda metà del Seicento erano: Ferrara, Romagna,
229 Le edizioni note dei Privilegi sono: 1597, 1622, 1627 e 1667. Le edizioni dei Capitoli sono: 1571, 1622 (solo
Bologna), 1627. V.ILARI, L’esercito pontificio, cit., p. 627.
230
G.LUTZ, L’esercito pontificio nel 1667, cit., p. 65; A.DA MOSTO, Milizie dello Stato Romano, cit., pp. 405-11; V. ILARI, L’esercito pontificio nel XVIII secolo, cit., p. 630.
231 Il privilegio fu confermato nel Seicento da un motu proprio di Gregorio XV del 15 giugno 1621. Altre
comunità potevano similmente controllare in sostanziale autonomia la propria milizia attraverso gli organi municipali: Camerino, Ancona, Cesena, Ravenna, Forlì, Faenza e Monte San Giovanni. Le milizie di Loreto dipendevano dalla Santa Casa. Avignone e Benevento avevano rispettivamente un colonnello e un sergente maggiore propri. L’origine di queste milizie con giurisdizione particolare risale al Cinquecento, quando era molto forte il problema del banditismo. I Legati pontifici in cerca di uomini da inviare contro i banditi ricorsero a delle confraternite dette dei Pacifici. Tale eredità era ancora forte nel Seicento. Queste milizie erano di solito
86 Urbino, Marca, Umbria, Patrimonio, Civitavecchia, Marittima e Campagna, Sabina e Montagna. All’inizio del pontificato di Innocenzo XII risultano in servizio due anziani colonnelli della milizia che dipendevano dal governatore della provincia, mentre non vi furono più ulteriori nomine. Non si è riscontrata la presenza dei maestri di campo, né dei
luogotenenti generali. Tutte province, con la parziale eccezione di Ferrara, erano affidate al
comando di un governatore delle Armi con un sergente maggiore subordinato con autorità sulla sola milizia.
Il corpo era diviso in tre parti: la milizia scelta, i volontari e gli ordinari. La milizia scelta, o secondo il termine coevo: «miliziotti scelti», erano i liberi più giovani e più robusti, i quali sono descritti così: «quelli che sarebbero atti, & commodi a marciare, ancorché non lo permettino», essi costituivano circa un terzo del totale. C’erano poi i «volontari» che non avevano alcun requisito particolare, ma su cui la Santa Sede aveva la possibilità di contare per inviarli a difendere altre province dello Stato: «quelli, che promettono volontariamente, in ogni occasione di rumore, [di] marciare in servitio di Sua Santità, etiam fuori dalle patrie loro, ricevendo il debito stipendio»; in ultimo c’erano gli «ordinari», coloro che non rientravano in nessuna delle categorie precedenti, e perciò rappresentavano perlopiù un’ultima risorsa in caso di estrema necessità. Questi sono descritti come: «quelli, che per estrema povertà, o per altro, non sono atti a lasciare casa loro»232. La milizia scelta era stata creata nel 1641 e consisteva in 20.000 fanti e 3.000 cavalieri. Questo quadro si presenterà piuttosto diverso nel Settecento, come si vedrà estesamente più avanti, resta perciò da analizzare se effettivamente questa organizzazione descritta da A. Da Mosto e ripresa da V. Ilari e G. Lutz per il tardo Seicento sia la realtà dei fatti nel secolo successivo. Risulta dalle fonti che questa milizia fosse selezionata anche in funzione della qualità dell’armamento che il singolo miliziano era in grado di procurarsi. Il servizio effettivo richiesto era così organizzato: quattro volte l’anno
composte da alcune centinaia di uomini. A.DA MOSTO, Milizie dello Stato Romano, cit., pp. 409-11; V.ILARI,
L’esercito pontificio nel Settecento, cit., pp. 629-30.
232 Le citazioni sono tratte da G.B
87 la compagnia era riunita per l’istruzione, ossia l’addestramento generale; ogni domenica – tranne che in inverno ed in estate – i capitani supervisionavano l’addestramento di un quarto a rotazione della compagnia. Le armi erano distribuite dallo Stato, il miliziano doveva procurasi il necessario per far funzionare il moschetto, la cavalleria doveva invece provvedere anche alla propria cavalcatura. La mancata presentazione all’istruzione prevedeva il pagamento di una multa, almeno sulla carta. Gli ufficiali della milizia non svolgevano un reale servizio attivo, se non quando le loro compagnie erano mobilitate, solo in quel caso ricevevano una paga. Nelle istruzioni ordinarie erano i sottufficiali ad addestrare la truppa, i capitani si limitavano a sovrintenderne l’esecuzione. Questi ufficiali si occupavano anche del reclutamento. I capitani avevano comunque un vantaggio economico dal loro servizio: potevano ricevere denaro dalle comunità quando i miliziotti venivano mobilitati per garantire l’ordine pubblico, riscuotevano il 60% dell’ammontare delle multe comminate a coloro che non si presentavano alle mostre, una parte andava al collaterale generale e al cancelliere e al depositario, due funzionari che erano nominati dal commissario delle Armi di comminare le multe. Il resto rientrava nelle cassa comune della compagnia. Questi emolumenti legittimi erano innalzati da tutta una serie di pratiche illecite attuate dagli ufficiali. I capitani spesso convocavano i loro subordinati in giorni particolari per innalzare il numero di assenti e riscuotere le multe, usavano i miliziotti come servitori, oppure come lavoranti per delle
corvée. C’era poi il prestigio e l’influenza nelle comunità non quantificabili dati dal grado
militare. Non era necessario essere nobili per poter diventare ufficiali, anche i borghesi che potessero dimostrare una congrua rendita potevano ricevere la nomina. Va notato che il grado nella milizia non aveva alcun equivalente nell’esercito regolare, in alcuni casi gli ufficiali della milizia entravano nei regolari come alfieri, il grado più basso delle unità permanenti233. La milizia era una prospettiva appetibile come mezzo di ascesa e di promozione sociale per la
233
V.ILARI, L’esercito pontificio nel XVIII secolo, cit., pp. 634-5. E.FIRMIANI, «Per il servizio a Nostro Signore», in G. SIGNOROTTO (a cura di), La ricerca storica, cit., pp. 122-35.
88 nobiltà civica delle terre pontificie, nella Marca la percentuale di nobili che optarono per una carica nella milizia fu in costante ascesa, si passò infatti dal 4% nel Cinquecento al 10% nel Seicento e al 14% nel Settecento234. Anche se i dati riportati non sono completi, si nota che la milizia fu, se non un successo militare, un riuscito tentativo di integrare i nobili delle province in un’istituzione centrale del papato, creando un legame di servizio diretto e di mutuo riconoscimento con la Sede Apostolica. Il problema che dovette affrontare la Santa Sede era tutto qui. Da una parte la milizia era una necessità militare, essa doveva costituire in nuce un nucleo semi-professionale di soldati ed ufficiali subalterni, da cui formare un esercito comandato e rinforzato da soldati veterani esteri ed alti ufficiali della nobiltà romana e provinciale con esperienze militari nei conflitti europei. Gli ufficiali superiori della milizia erano scelti tra i più esperti ufficiali disponibili, all’inizio del Seicento molti sergenti
maggiori e maestri di campo erano veterani delle guerre d’Ungheria. D’altra parte reperire
ufficiali subalterni dal proprio territorio che combinassero il servizio con una ragionevole capacità nel mestiere delle armi era il problema centrale della corte di Roma sin dalla istituzione della milizia. Questa difficoltà nasceva dal metodo di selezione di questi quadri intermedi, di norma infatti si procedeva secondo criteri clientelari, che per forza di cose andarono a depauperare il potenziale militare del corpo, in quanto spesso i comandi finivano a «inetti, e plebei», privi di reali risorse locali, impantanati nei piccoli conflitti tra le varie fazioni delle cittadine dello Stato. Il riconoscimento di questo stato di cose portò ad inizio Seicento a nominare anche capitani «forestieri», cosa che però non poté migliorare la situazione, perché in quel caso i soldati non riconoscevano l’autorità di uno sconosciuto che non aveva un dominio riconosciuto sui villici che doveva comandare. Queste soluzioni comunque non intaccavano le prassi clientelari e così rimase per tutto il Seicento. Tale metodo era una forma consolidata di selezione, anche nel mondo militare dove la professionalità era richiesta come requisito comune, eppure «il valore» non scalfì la necessità
234 B.G.Z
89 dei cardinali e dei grandi nobili romani di dover garantire ricompense ai propri clienti anche fornendogli cariche militari235. Tale sistema rese inservibile la milizia nel suo scopo di fornire soldati e quadri per gli eserciti pontifici in tempo di guerra. Nella seconda metà del Seicento si nota come il papato e in generale la corte di Roma fossero consapevoli di ciò ed infatti la percentuale di miliziani mobilitati per la crisi del 1663 fu minima.
I miliziotti godevano di ampi privilegi, possedevano il porto d’armi di una spada, o più raramente di un archibugio, privilegi di foro che li esentava dal presentarsi nei tribunali ordinari e delle franchigie dalle corvées comunitarie (alloggi a compagnie di soldati, lavori su strade, costruzione di edifici, etc.) e dai pesi (collette, contribuzioni ad hoc). I governatori delle Armi delle province dovevano vigilare il rispetto dei privilegi militari sia da parte dei soldati, ma anche della interferenze da parte di altre autorità dello Stato. Le compagnie erano tenute a fare esercizi di pratica al tiro una volta all’anno. In teoria tutti i maschi abili tra i 18 e 45 anni, a parte ovviamente alcune categorie sociali esentate, erano obbligati a prestare servizio nella milizia. Le famiglie numerose dovevano contribuire con due figli, mentre dal 1672 furono esentati i capifamiglia. La milizia di cavalleria era formata dai sudditi che avevano la possibilità di mantenere un cavallo a proprie spese. Nel 1656 si stabilì il principio secondo cui chi avesse avuto più di mille scudi di reddito annuo sarebbe stato inserito nelle liste della cavalleria. Il godimento degli ingenti privilegi garantiti dall’appartenenza al corpo era subordinato al possesso ed esibizione di un «bollettino», l’equivalente della patente di un ufficiale236. Il bollettino era concesso dal collaterale Generale delle milizie fino al 1646, negli anni successivi passò invece al capitano Generale. A cessazione del servizio era concesso un «benservito», un congedo che garantiva la conservazione a vita dei privilegi, e la trasmissione degli stessi ai figli per la durata di dieci anni dalla morte del parente. I Capitoli et leggi da
osservarsi inviolabilmente erano redatti affinché «la soldatesca, tanto a piedi quanto a cavallo,
235
G.BRUNELLI, Poteri e privilegi, cit., pp. 110-17.
236
V. ILARI, L’esercito dello Stato pontificio nel Settecento, cit., pp. 642-5; A.DA MOSTO, Milizie dello Stato
90 di tutto lo Stato Ecclesiastico, venga ben disciplinata»237. Il compito di controllare che la milizia fosse in ordine e che i Capitoli fossero rispettati spettavano in prima istanza ai capitani delle compagnie, e ai governatori delle Armi. Il collaterale supervisionava la milizia, tra i poteri attribuiti a questo ufficiale c’era la facoltà di cassare soldati che non si trovano nel territorio dove risiedevano e di reintegrarli nelle compagnie loro prescritte. Si tentava di imporre la territorialità del servizio per poter mantenere le compagnie unite e coese. Anche gli ufficiali dovevano risiedere stabilmente nel territorio assegnato alla compagnia dove prestavano servizio, questi avrebbero dovuto coordinarsi con il collaterale per mantenere la coesione dell’unità ed avvertire di eventuali trasferimenti di soldati in altro luogo dello Stato Ecclesiastico238. Il sergente maggiore doveva «più frequentemente rivedere la provincia», l’ufficiale doveva poi dare conto di quanto riscontrato al maestro di campo. Egli doveva anche evitare interferenze da parte degli attori politici locali, così recitano i privilegi: «comandiamo che protegga la soldatesca, e la difenda presso i governatori e podestà, facendo puntualmente osservati i privilegi che loro concede la Santità di Nostro Signore». Fin dalla istituzione della milizia e della concessione dei privilegi si innescò la resistenza delle comunità locali che contestarono ad ogni occasione tali licenze ad una larga porzione della loro popolazione, anche se i privilegi recitavano così: «a tutti i governatori, commissarij, podestà, fiscali et esecutori della giustizia di detti Stati di Sua Santità, che per quanto stimano di gratia di Nostro