• Non ci sono risultati.

Le relazioni con i poteri locali: i cardinali legat

I militari e i curiali dopo la fine del nepotismo: l’esercito dal 1692 al

3. Il «trono militare»: l’amministrazione dei chieric

3.2 Le relazioni con i poteri locali: i cardinali legat

Un evento particolare, come ne avvenivano molti nell’ordinaria attività quotidiana dell’istituzione, permette di comprendere l’attitudine del commissario con i cardinali legati, e come le due figure si rapportassero a vicenda. In occasione di una sparatoria a Fossombrone nel 1695, che ci fu durante la rassegna delle milizie locali, sorse una controversia giurisdizionale tra commissario e legato. Quando il commissario dovette difendere la propria giurisdizione con il cardinale legato di Urbino, mostrò molta prudenza. Egli insistette che si trattava di una vicenda che ricadeva nella sua giurisdizione militare, ed esponeva le sue motivazioni al prelato:

Prendo l’ardire di esporre nuovamente i motivi, che m’inducevano a credere spettare a me il far Processi, e condannare i delitti, che si commettono in occasione di Rassegna. Ed appunto riflettendo alli due requisiti adottati da V.E.; che debbansi verificare, o l’attual servizio ò l’occasione di militia parmi che uno di essi sia verificato nel caso di Fossombrone, supposto sia vero che seguisse il fatto in tempo di Rassegna, che così mi è stato rappresentato. Imperoche non havendo altra occasione i soldati di milizia, che quella delle quattro mostre, e della Rassegna Generale, come V.E. sa. Fuori di queste non essendovi altra se non quella dell’attual servizio quando sono impiegati per la Santa Sede pare, che il cap. 7 possa così interpretarsi, come de fatto una inveterata consuetudine si crede messo in prattica, che in dette congiunture si faccino i Processi e si pronunciano le Condanne da i Commissari delle Armi, quando non vi sia il Generale di Santa Chiesa; Onde Io havendo su questo fondamento pratticato l’istesso fin’ora ha dato motivo di supplicare umilmente anche V.E. a compiacersi benignamente di mantenere il solito377.

Il legato accettò la giurisdizione di D’Aste sui crimini commessi dai miliziani in occasione del proprio servizio militare, e il commissario ringraziò il legato. Una successiva lettera al governatore delle Armi di Urbino chiarisce il modus operandi del commissario quando doveva difendere i propri poteri giurisdizionali da figure istituzionali, che potevano operare senza il suo consenso, o che comunque erano in grado di rendere molto difficoltosa, o persino inefficace, esercitare la propria autorità sulla provincia. D’Aste scrisse al governatore di

138 Urbino Antaldi parlando della sua interpretazione del fatto di Fossombrone appena descritto: «Del resto poi non ammettendo questa interpretazione non so credere quando i soldati possino commettere delitto, che riguardi la militia, se si escluda l’occasione sopracitata. Haverei però gusto, che Ella indagasse da se in qual caso S.E. creda, che i soldati di Milizia commettino delitto, che riguardi la med.ma, in cui possa entrare il Commissario delle armi a punirli»378. Le dinamiche dei rapporti tra i cardinali legati e il commissario erano sempre regolati da una contrattazione. Se il commissario non avesse esitato a far presente al legato le proprie prerogative, un cardinale o un suo vice legato avrebbero potuto rendere inefficaci le sue direttive e di fatto rendere incontrollabili le due importanti guarnigioni di Ferrara e Forte Urbano. I cardinali erano tenuti a conservare l’ordine pubblico e la sicurezza del territorio affidagli. Per questo avevano anche alcuni poteri di carattere militare, che erano esercitati quotidianamente dal vice legato379. Nell’esercizio di tali funzioni il porporato godeva di ampia autonomia decisionale. La stessa congregazione della Sacra Consulta, come osserva G. B. De Luca, doveva osservare prudenza nell’ingerirsi nelle azioni dei legati nelle province380. Qualora l’ufficiale comandante di questi presidi avesse appoggiato le autorità provinciali per un qualche interesse personale, ciò avrebbe reso il commissario impotente a far applicare i propri ordini per la guarnigione. Alcuni casi sono riscontrabili lungo tutto il periodo di governo di D’Aste. Due esempi riguardano il castellano del Forte Urbano Giovanni Battista Aureli e il capitano d’artiglieria della fortezza. Il conte Aureli ottenne il comando nel 1692381

e sin da subito utilizzò la propria carica per accumulare denaro e vessava i soldati per indurli al silenzio e ad obbedire ai propri ordini. Il commissario era a conoscenza degli illeciti grazie

378

Ivi, ff. 44v.-45r., 23 febbraio 1695, Pesaro, a Giovanni Battista Antaldi.

379

Sui cardinali legati, A.GARDI, I legati nell’amministrazione interna dello Stato pontificio dal XIV al XVII secolo, in A.JAMME –O.PONCET (ed.), Offices et papauté (XIVe-XVIIe siècle), cit., pp. 371-418; sui cardinali legati e i più

generali processi istituzionali pontifici, si veda P.PRODI, Il sovrano pontefice, cit., pp. 218-24.

380

G.B.DE LUCA, Il Dottor Volgare, cit., p. 181: «i negozi principali, e più frequenti, li quali si trattano, sono sopra le cause criminali di tutto lo Stato ecclesiastico dell'Italia, eccetto la Città di Roma, e alcuni luoghi del suo distretto secondo l'osservanza; Però in quelle province, le quali abbiano li Cardinali Legati, si camina con qualche circospezione e né vi s'ingerisce così frequentemente come negl'altri luoghi dè governi, e presidati».

139 alle lettere di due alfieri del presidio382. Le missive tuttavia non erano sufficienti per organizzare un processo formale. Inoltre era necessario l’intervento del legato o del vice legato per riportare la situazione nella fortezza all’ordine. L’esasperazione era forte ed arrivarono memoriali anonimi contro il castellano, che in dettaglio spiegavano i reati che commetteva, come ad esempio arruolare i propri servitori e cuochi facendoli passare per soldati. Riceveva denaro dalle forniture di cibo, costringendo l’oste della fortezza a far pagare prezzi più alti, lo si accusava di far pascolare i propri armenti sui terrapieni, i memoriali si spingono fino ad incolpare il castellano di violentare le mogli dei soldati. Tra questi testi il commissariato conservò un rapporto per il papa Innocenzo XII, concentrato soprattutto sui reati contro la morale, gli stupri e la sodomia dei complici di Aureli; viceversa, quelli rivolti al commissario si concentravano sui reati amministrativi, che implicavano la malversazione di denaro della Reverenda Camera. In questo caso non vi è traccia di accuse riguardanti la moralità del castellano. È possibile che gli scriventi intendessero le rispettive aree di competenza delle personalità a cui si rivolgevano, oppure delle diverse sensibilità del papa e del commissario383. La presa del castellano e i suoi complici sulla fortezza doveva essere ampia perché i soldati, infine, inviarono una lettera all’assessore Bernini del Sant’Uffizio a Roma384, di cui il commissario ricevette copia. Nel testo non era denunciata alcuna eresia, difatti gli stessi estensori anonimi specificarono di aver deciso di portare tutto all’attenzione della congregazione per la superiore giustizia che essa rappresentava, perché non si fidavano del commissario delle Armi385.

382 ASV, Commissariato Armi, 332. 383

Ivi, 498, cc. 43 [si riportano i capi d’accusa al castellano]; 44, Lettera scritta al S.Offizio con l’Aurelii con

relazione; 47,Memoriale abusi del Fort’Urbano.

384 H.H.S

CHWEDT, Die römische Inquisition. Kardinäle und Konsultoren 1601 bis 1700, Verlag Herder, Freiburg

2017, pp. 93-7.

385

ASV, Commissariato Armi, 498, 44, c. 15: «Per quel Zelo giustissimo che VS Ill.ma tiene per il mantenimento di Nra Santa fede, si supplica di haver la bontà per quanto desidera l’honore di Dio, e la quiete d’un popolo intiero di produrre l’accluso memoriale a N.S. per la Congreg.ne che avanti alla med. Sua Santità si farà per cause del Sacro Tribu.le essendo questa importantissima per quello, il che s’incarica a V.S.Ill.ma in scrupolo di conscienza; voglia in tanto fare quest’opera pia, come che cosa giustissima».

140 Il castellano aveva la facoltà di arruolare soldati per le necessità del Forte, che solo successivamente sarebbero state poi approvate dal commissariato. La vicenda di Aureli portò ad una riforma in questo campo, l’autorità di arruolare soldati fu trasferita al mons. vice legato. La vicenda avrà conseguenze durature, perché anni dopo quest’autorità prelatizia sugli arruolamenti fu apertamente sfidata dal generale Luigi Paolucci nel 1701386. A questi eventi è collegato un altro illecito da parte di un protetto del castellano e del vice legato Antonio Felice Zondadari (1665-1737)387. Il capitano Stefano Cavari fece rifondere alcuni pezzi d’artiglieria del pontificato di Urbano VIII senza il permesso di Roma. Il commissario, attraverso le lettere confidenziali che gli arrivavano, riteneva che il Cavari avesse rubato del metallo durante la fase di forgiatura dei nuovi pezzi, infatti alcuni di essi si erano rotti proprio in conseguenza di questo furto, perché forgiati non con il metallo originale, ma con uno scadente. Il Cavari da parte sua dedicò al proprio protettore un testo per dare lustro alle sue azioni per il rifacimento delle artiglierie della fortezza388. Egli fu messo sotto indagine; un memoriale venne inviato dal generale dell’Ordine degli agostiniani incaricato di investigare

386

Ibidem.

387 C.W

EBER (a cura di), Legati e governatori, cit., pp. 156, 988. Sulle protezioni di Zondadari degli illeciti, si cita

una lettera del commissario mons. D’Aste. ASV, Commissariato Armi, 332, 26 febbraio 1698, Bologna, a mons. Zondodari vice legato: «L’avviso datomi da V.S. Ill.ma che per la riforma seguita nella Scuola de Bombardieri io haverei udito delli clamori, si è verificato appunto in quest’ordine con una copia grande di lettere, e mem.li, ma quando credevo di udire, che la necessità come ella descriveva nella sua lettera, gli havesse indotti a chieder riparo alle loro miserie, leggo, che tutti si dolgono del modo col quale si è fatta detta Riforma, per essersi usata una parzialità grande. Io confesso il vero, d’esser rimasto ammirato da tali ricorsi, mentre secondo le buone regole praticate sempre in tutte le riforme, se si fussero lasciati i più anziani per ordine, non si sarebbero uditi clamori, come de fatto essi medesimi così esclamano nelle loro lettere e mem.li pervenutimi. […] Io sarò necessitato di parlarne con N.S. per ordine di cui si sono fatte presentemente le riforme qui in Roma, in Civitavecchia, et in Ferrara, e non si sono udite simili lamentazioni, et al Forte Urbano, per diciannove persone bisogna udirle, con ammirazione di chi le sente per non esservi osservata la regola solita fondata su la giustizia […] Quante riforme sono succedute sempre sono cominciate dalla coda come anche attesta un Em.o Cardinale al quale è ricorso uno delli riformati per haverne fatte molte, quando era in carica [potrebbe essere il cardinale Corsi, ex commissario delle Armi], che se n’è lamentato meco, et io gli ho risposto, che non ne ho avuta parte nel modo, e lo stimo mia fortuna di non haver scritto, perché haverebbe fatto il contrario. Mi dispiace bensì come buon servitore di V.S. Ill.ma che dicono che ciò sia succeduto per diverse sue passioni, e frà le altre per una lettera di un libro dedicato a V.S. Ill.ma, e dicono che l’Emo Legato, non si è ingerito, se non in quello che gli ha suggerito lei e ciò credo, per haver esperimentata la giustizia di S. Em.za. Io volevo mandare tutti i memoriali, e lettere, ma dubitavo di noiarlo».

388

S. CAVARI, Relazione delli due mortari fabbricati per servizio della fortezza urbana da Stefano Cavari

bolognese all'illustrissimo Antonio Felice Zondodari, per gli eredi del Sarti, dal monte delle scuole, all'insegna

141 sul capitano389. Il commissario cercò persino di coinvolgere e farsi aiutare dal cardinale Francesco Barberini (1662-1738) per intervenire, col presupposto che quei cannoni rappresentassero una gloria del pontificato di Urbano VIII e che non fosse necessario fonderli390. Nonostante tutti questi sforzi di D’Aste, sia Aureli sia Cavari rimasero immuni ai loro posti per tre anni fino al 1699. Nello stesso anno il castellano fu arrestato, per essere rilasciato poco tempo dopo391. L’unica cosa che il commissario riuscì infine ad ottenere fu il trasferimento del conte Aureli al posto castellano della fortezza di Ferrara392. D’Aste rimosse Stefano Cavari dalla carica di capo dell’artiglieria del Forte Urbano; tuttavia i due riuscirono ad evitare i processi grazie alla protezione del mons. vice legato Zondadari e del disinteresse nel risolvere la vicenda da parte dei cardinali legati di Bologna che si succedettero: Marcello Durazzo, Giovanni Battista Spinola e Ferdinando D’Adda393. Lo stesso mons. Vidman,

389 ASV, Commissariato Armi, 498, c. 37, Lettera del Padre Gnle Agostiniano per Stefano Cavari: «VS Ill.ma io

intendo d’ubbidire prima a miei superiori, e poi per conoscenza a VS Ill.ma con dirgli rettamente, che in tutto e per tutto lei viene da chi si assai ingannato con tutti unirsi; e rappresentare a VS Ill.ma il falso per il vero e la raggione si è perché tutti sono pieni; da chi cerca la verità VS Ill.ma, di vizij Fort’Urbano, essendo una sentina d’inquità, e chi comanda, e vende i caporalati sono le femine in fortezza, e quando VS Ill.ma manda un ordine per avanzar di posto un povero soldato gli offiziali tutti d’accordo, benché vi sia merito scrivono unitamente a lei, e li fanno apparire il contrario; […] Per conoscenza dico che il Capo [Stefano Cavari] è reo, reissimo».

390 Ivi, 322, ff. 159v.-160r., 7 luglio 1696, Ravenna, al card. legato Francesco Barberini: «all’EV in questo

proposito, ardisco bensì valermi di q.ta occ.ne per il vero ossequio che professo a VE farle noto, come nel voler rifondere alcuni Mortari fatti dalla S. Mem. di Papa Urbano VIII Mons. Vicelegato di Bologna venendone la notizia anche a VE non creda che sia stato mio motivo ma di d.o Mons. Vice Legato, perché a me costa non esservi questa necessità di guastarli, anzi mi è stato confermato da persone perite di queste Materie, che sono ottimi, e senza alcun difetto. Il che ho notificato a N.S.re, il quale mi ha dato ordine, che non si dovessero toccare, ma perché doppo d.o Mons.r Vicelegato ha fatto fare alcune fedi da persone inesperte si è servito del mezzo di Mons.r Tesoriero per rappresentarlo a N.S.re il quale ha rivocato per quello che io sento l’ordine dato a me coll’assertiva premurosa di Mons.r Tes.re. L’emo S.r Card.e Carlo [Barberini] havendone fatte doglianza meco col supposto che fusse forse mio motivo, mi stimola di renderne anche VE consapevole acciò che si degni di vedere, che io non vi ho havuta parte alcuna, anzi sono stato, e sono di sentimento che non si guastino, perché vi è il pregiudizio della Camera facendosi una spesa infruttuosa oltre al riguardo dovuto alla gloriosa memoria di Papa Urbano 8° il quale ha arricchito le Fortezze di si belle Armi, S. Em.za però è rimasta ben persuasa de riverente mio ossequio, e del riguardo rispettoso alle opere gloriose fatte da Papa Urbano 8°, e sento che l’E.za Sua habbia risoluto di parlarne qui efficacemente acciò che non segua detta novità, e forse, che voglia scrivere all’Emo Durazzo [cardinale legato di Bologna]».

391 ASV, Commissariato Armi, 340, f. 93r. 392

Ivi, 339, 26 set. 1699, Bologna, Il cardinale D’Adda a Giuseppe D’Aste. Alcune fonti riportano che la richiesta di permuta della carica di castellano arrivò dal castellano di Ferrara Antonio Domenico Bussi. Cfr. S.BONO, Bussi

Anton Domenico, in DBI, vol. 15(1972), ad vocem. È stata rinvenuta una lettera di ringraziamento per il

trasferimento di Bussi, che sembra confermare l’ipotesi di una richiesta partita da Ferrara. ASV, Commissariato

Armi, 344, cc. nn., 26 settembre 1699, Antonio Domenico Bussi.

393 C.W

142 successore al posto di vice legato dal 1697, dapprima non volle intervenire nella vicenda394. In seguito il prelato avviò una contesa con il commissario, per difendere Cavari395. D’Aste riuscì ad avviare il processo nel 1699, ma solo perché il cardinale legato voleva mantenere la formalità, il commissario infatti era ben cosciente che a quel punto non avrebbe potuto fare più nulla396. Egli era stato chiaro direttamente col castellano su fin dove si estendesse la propria autorità: «Che poi il Sig.r Card.le Legato voglia compiacere a Mons. Vice Legato è padrone ne io posso far altro, che sottopormi alla sua autorità»397.