Le istituzioni di difesa italiane tra Quattrocento e Seicento si erano avvalse di strumenti diversi, l’uso della milizia semi-professionale era solo uno di questi, fortezze ed esercito regolare erano gli altri. La milizia rappresentava il nucleo principale e numericamente più consistente di queste istituzioni, tuttavia nella seconda metà del Seicento acquistarono sempre maggior peso ed influenza gli eserciti permanenti. Per poter competere con le altre potenze era necessario mantenere in servizio i soldati e non trarre un esercito per ogni campagna affidandosi in parte alla milizia, in parte ai pochi regolari e ai mercenari da reperire sul mercato. Il nuovo modello che lentamente si impose prevedeva larghi investimenti finanziari e sforzi organizzativi altrettanto impegnativi171. I tre pilastri della politica difensiva di qualsiasi Stato italiano erano sostanzialmente tre: le fortezze, i regolari e la milizia. Le istituzioni di difesa non sono solamente le manifestazioni fisiche del potere sovrano come le fortezze o gli eserciti. Esse includono anche fenomeni più ampi di carattere politico-sociale come parte integrante di una politica militare. Ad esempio, la creazione di mutui legami di
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C.DONATI, Le istituzioni di difesa nell’area italiana tra XVII e XVIII secolo: aspetti politici, economici e sociali, in R.VILLARI (a cura di), Il controllo degli stretti e insediamenti militari nel Mediterraneo, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 191-5.
66 interesse tra potere politico e ceti dirigenti per il conseguimento di ambizioni militari del sovrano, perciò sono parte essenziale di una «istituzione di difesa» anche l’insieme di relazioni, di matrimoni, onori, pensioni, cariche e parenti a corte. Un complesso intreccio, talvolta inestricabile, che contribuisce a formare una politica militare172.
L’aspetto più visibile e riconoscibile della difesa del territorio dagli anni ’30 circa del Cinquecento è la presenza delle fortezze, un elemento centrale di tutte le istituzioni militari per l’importanza strategica di queste talvolta imponenti opere, ma anche per gli altissimi costi di costruzione e manutenzione per tenerle in stato di efficienza173. Le fortezza bastionate avevano un’importanza fondamentale, Raimondo Montecuccoli spiegava che le fortezze erano: «mezzi efficaci alla tranquillità pubblica coll’assicurar le forze de’ reggenti e l’obbedienze ne’ sudditi ed il buon ordine dentro e la resistenza alle violenze di fuora»174
. Il confine a nord dello Stato era difeso dal forte Urbano, dal nome del pontefice Urbano VIII, una fortezza lungo la via Emilia nelle vicinanze del borgo di Castelfranco presso il fiume Panaro, che segnava il confine con il ducato di Modena175. La moderna fortezza bastionata del Barberini sostituì le obsolete fortificazioni fatte costruire da Pio V. Nel 1628 Giambattista Mola da Como stese un progetto per la costruzione della fortezza. L’opera fu affidata all’architetto Giulio Buratti: si procedette all’abbattimento delle obsolete mura del borgo, il
172
La storiografia italiana sul «militare» ha prodotto significativi risultati dando questa connotazione generale al significato del lavoro che deve essere svolto in un indagine su una istituzione militare. Cfr. C.DONATI, Le
istituzioni di difesa nell’area italiana tra XVII e XVIII secolo, cit., p. 193. Sui più aggiornati problemi storiografici e
una sintesi sul «militare» in Italia durante l’età moderna, si veda BIANCHI P.-DEL NEGRO P. (a cura di), Guerre ed
eserciti nell’età moderna, Il Mulino, Bologna 2018.
173
Sulle fortificazioni in Europa e in Italia, si veda C.DUFFY, The fortress in the Age of the Vauban and Frederick
the Great, Routledge & Keagan Paul, London 1985; ID., Fire and Stone: The science of Fortress Warfare, 1660-
1860, Castel Books, Edison (New Jersey) USA, 2006 (ed. orig. Newton Abbot 1975); M. VIGLINO DAVICO, Il
Piemonte e le guerre. Sistemi di fortificazione nel Ducato sabaudo, in «Storia urbana», 16(1992), pp. 39-69; per
lo Stato Ecclesiastico, si veda C.PAOLETTI, La frontiera padana dello Stato pontificio nel secolo XVII, in C.SODINI (a
cura di) Frontiere e fortificazioni di frontiera, EDIFIR, Firenze 2001.
174
Nella sua opera il noto generale modenese tracciava un bilancio della guerra dei Trent’anni e dei conflitti degli Asburgo contro gli ottomani, nel contempo tracciava un quadro più ampio sulle relazioni tra la politica e la guerra nel suo tempo. P. DEL NEGRO, Guerra ed Eserciti da Machiavelli a Napoleone, cit., pp. 81-2; R. MONTECUCCOLI, Della guerra col Turco in Ungheria 1660-1664, in ID., Le opere di Raimondo Montecuccoli, Tipografia economica, Torino 1852, pp. 177-8.
175
La fortezza sorgeva a quindici miglia da Bologna e a cinque miglia da Modena. I lavori furono supervisionati dal cardinale legato di Bologna Bernardino Spada. C.PAOLETTI, La frontiera padana dello Stato pontificio nel
67 tracciato della fortezza stellata era di 900 metri, con un fossato e un’entrata con tre ponti levatoi e fu rifornita di 29 cannoni176. A nord-est Ferrara era protetta da una propria fortezza, dalle sue mura e dalla cittadella, oggi chiamata il Castello Estense. Lungo il Po vi erano alcune fortificazioni minori nei luoghi strategici di Bondeno, Stellata e Cento. La costa adriatica era garantita dalla fortezza di Ancona, la quale era però vulnerabile via terra. Sul Tirreno il porto fortificato di Civitavecchia proteggeva la costa tirrenica e ospitava la flotta. Roma era difesa da Castel S. Angelo. Nel 1626 il castello fu munito di una cinta bastionata177. Il Vaticano era anch’esso fortificato, con il passo di Borgo che collegava i due. Il Passetto di Borgo fu coperto nel 1627-30, sempre su iniziativa di Urbano VIII. La chiave della difesa dell’Urbe era però l’altura del Gianicolo, la città sarebbe stata difendibile solo fino a quando la guarnigione avesse potuto mantenere il possesso di quella posizione. In occasione della prima guerra di Castro (1641-1644) Urbano VIII ordinò la realizzazione delle Mura Gianicolensi: l’opera fu portata avanti dagli architetti Domenico Castelli e Giovanni Angelo Bonazzini. Le nuove mura intorno al Gianicolo furono in seguito congiunte con la cittadella del Vaticano, la saldatura fu effettuata tra la Porta Cavalleggeri e la Porta di Ripa grande, che fu arretrata per accorciare il circuito difensivo. La cinta nuova comprendeva dodici nuovi bastioni e Porta San Pancrazio. Quest’opera di imponente fortificazione fu completata nel 1644 sotto Innocenzo X. La direzione di tutte queste iniziative di edilizia militare a Roma e del Forte Urbano furono supervisionate dal cardinale Vincenzo Maculano178. Il confine era invece sguarnito a sud, non c’erano fortificazioni moderne in grado di fermare il passaggio di un esercito proveniente dal regno di Napoli, anche l’Umbria e Urbino non possedevano fortificazioni in grado di fermare una possibile invasione dall’Appennino toscano, con
176
G.LUTZ, L’esercito pontificio nel 1667, cit., p. 61. A.DA MOSTO, Milizie dello Stato Romano (1600-1797), cit., p. 258; V.ILARI, L’esercito pontificio nel XVIII secolo, cit., p. 568.
177
L’opera costò 50.000 scudi. Ivi, p. 568.
178
S. STURM, L’architettura dei Carmelitani Scalzi: La “provincia romana”. Lazio, Umbria, Marche, Gangemi Editore, Roma 2015, pp. 83-7; E.FIRMIANI, «Per servizio di Nostro Signore». Mestiere delle armi e organizzazione militare nell’area dei domini pontifici (1453-1646), in G. SIGNOROTTO (a cura di), La ricerca storica e l’opera di
Bandino Giacomo Zenobi, Quattroventi, Urbino 1996, p. 121; A. QUATTROCCHI, Roma. Progetti e documenti sulle
68 l’eccezione della fortezza paolina a Perugia. L’esercito regolare era distribuito nelle fortezze principali: Roma, Forte Urbano, Ferrara, Civitavecchia ed Ancona. Altre località nello Stato avevano presidi minori, i quali però erano funzionali al controllo del territorio, senza avere valenza militare. Nel corso del secolo l’esercito variò da un minimo di 3.000 a un massimo di 7.000 uomini in servizio con una parte della guarnigione di Roma pronta per essere annualmente inviata in aiuto dei Veneziani nel Levante. Nel XVII secolo l’unità base dell’esercito papale era la compagnia. Il numero di soldati che formavano una compagnia variava notevolmente a seconda delle contingenze, soprattutto per quanto riguarda la fanteria. La cavalleria era organizzata in compagnie da 40 e 50 cavalieri, la fanteria dai 130 ai 250 uomini, questi i numeri dei bandi. Le unità di norma oscillavano intorno ai 200 uomini per la fanteria, e 50 per cavalleria; le paghe per i capitani, secondo il bando del 1663, dovevano iniziare ad essere corrisposti dopo il raggiungimento di circa 100 uomini per la fanteria e la presenza di 50 cavalli per quelle montate. Simili bandi c’erano già durante la guerra di Castro e potrebbe essere tra le cause della difficoltà di far completare i ranghi ai capitani da parte di Taddeo Barberini179. I numeri nei registri tuttavia non tengono conto della grande volatilità nel numero degli effettivi dovuti a malattia, diserzione e morte in combattimento. Le prime due erano infatti le cause principali di depauperamento del potenziale militare di un esercito, piuttosto che l’evento battaglia in se stesso. Le compagnie pontificie, anche in considerazione di ciò, erano mastodontiche. L’esercito francese coevo, il meglio armato e organizzato d’Europa, possedeva compagnie che per le campagne, perciò nel periodo di accrescimento massimo, erano formate da 50 uomini su carta, senza quindi contare l’attrito cui erano sottoposte durante le operazioni. La Corona francese fece periodici cambiamenti riguardo la grandezza delle proprie unità durante il regno di Luigi XIV. Dal 1651 si era ormai inteso che le compagnie da 100 uomini erano un peso finanziario ingestibile per molti capitani, se ne
179
G.BRUNELLI, Soldati del papa, cit., p. 267; G.LUTZ, L’esercito pontificio nel 1667, cit., p. 48; A. DA MOSTO,
69 ridusse perciò la grandezza fino a un minimo di 35 uomini e un massimo di 50. Il numero degli effettivi rimase materia molto elastica, e suscettibile di cambiamenti ripetuti, eppure dal 1670 si impose progressivamente questo numero di soldati180. Esse erano comandate da un capitano, talvolta da un sergente maggiore, cosa però piuttosto rara. C’erano poi un tenente ed un aiuto capitano. Gli ufficiali inferiori erano l’alfiere per la fanteria e il cornetta per la cavalleria. I sottufficiali erano i sergenti, i caporali, il furiere, i tamburini e i pifferi. Talvolta l’unità aveva un proprio corpo d’artiglieria aggregato con un capo-bombardiere. Vi era il personale amministrativo e disciplinare composto da auditore, provveditore, pagatore, collaterale, il medico, il cerusico, il barbiere, l’armaiolo e il munizionere. La cavalleria aveva anche un maniscalco e un sellaio. Le paghe erano più alte per la cavalleria, mentre la guarnigione di Roma riceveva stipendi più elevati in tutti i gradi sia di fanteria che di cavalleria rispetto alle altre nello Stato. Virgilio Ilari ritiene ciò una compensazione concessa agli ufficiali romani perché questi dovendo risiedere in città dovevano anticipare anche la pigione dei propri alloggi, che erano poi ripagati dalla Camera181. Gli ufficiali nelle fortezze invece ricevevano paghe più basse perché usufruivano dell’alloggio in fortezza. Tuttavia il rango degli ufficiali romani era più alto rispetto ai normali ufficiali dell’esercito, il contingente romano era formato dalle compagnie della Guardia, perciò il reddito maggiore era ascrivibile al rango superiore.
Pur non essendoci studi sistematici sull’esercito papale secentesco, una nota di spesa del 1667 – analizzata da G. Lutz – fornisce un’istantanea della forza e dell’organizzazione dell’esercito pontificio circa venti anni dopo la seconda guerra di Castro. Questa è dunque la principale fonte di informazioni su questo specifico periodo. Si tratterà in particolare dell’organizzazione e retribuzione vigente in quell’anno per i regolari182
. Il documento è stato redatto al momento
180 G.R
OWLANDS, The Dynastic State and the Army, cit., p. 173.
181
V.ILARI, L’esercito pontificio del Settecento, cit., p. 652.
182
Le paghe sono riportate in scudi di moneta e baiocchi: (1 scudo d’argento = 10 giulii = 100 baiocchi), in qualche caso si riportano in scudi d’oro (1 scudo d’oro = 1,5 scudi d’argento). L. EUSEBIO, Compendio di
70 di passaggio tra il pontificato di Alessandro VII e Clemente IX183. La «nota della spesa» articolata in venti sezioni fornisce un’istantanea di come fosse organizzato, quali fossero le paghe, e chi ritenesse le cariche al momento del passaggio dal pontificato di Alessandro VII a quello di Clemente IX. Le quattro cariche più alte erano indicate senza nominativo: «Generale di Santa Chiesa», «Capitano Generale», «Luogotenente dell’una e dell’altra guardia» e «l’Eccellentissimo Castellano di Castel S. Angelo». La mancanza dei nomi può essere attribuito al momento di passaggio in cui fu redatto il documento, in cui i titolari avevano già rassegnato le proprie dimissioni a Clemente IX, oppure che fossero ancora in carica soltanto con un pro interim non formalizzato del Sacro Collegio durante la Sede Vacante, come ritiene G. Lutz184. Il generalato di Santa Chiesa rendeva 1.125 scudi al mese, la castellania di Castel S.Angelo circa 150 scudi, a questi vanno aggiunti tutti i redditi correlati alla carica: affitti di immobili appartenenti al castello, rendite di tasse tributi e livelli. In tutto si arrivava a 3.254 scudi annui, 422 mensili. Altre fonti riportano invece una rendita di 500 scudi mensili per un totale di 6.000 scudi annui185. Il comando era del castellano, ma l’ordinaria amministrazione e l’attività ordinaria del presidio era competenza del vice castellano. La carica in sé non era tradizionalmente concessa ad un parente, tuttavia sotto Alessandro VII la teneva Carlo Chigi, cavaliere di Malta e membro del ramo collaterale dei Chigi di Camollia. Il luogotenente generale delle due guardie riceveva 300 scudi il mese. Le due guardie erano la Guardia svizzera e i cavalleggeri. C’erano inoltre le cariche di castellano di Ancona186
, Ascoli Piceno e
Metrologia universale (Monete, Pesi, Misure Moderne), Unione Tipografico-Editrice, Torino 1899. Sulla
monetazione dello Stato Ecclesiastico, si veda L.LONDEI, La monetazione pontificia e la zecca di Roma nell’età
moderna, in «Studi Romani», 39(1990), pp. 311-8. S. BALBI DE CARO -L.LONDEI, Moneta Pontificia da Innocenzo XI
a Gregorio XVI, Quasar, Roma 1984.
183
ASV, Segreteria di Stato, Miscellanea, Arm. III, vol. 122, ff. 168-176: Nota della spesa annua che fa la Rev.ma
Camera per la soldatesca tanto di leva che di presidii, come anco per le guardie di N.S. e per tutti gl’offitiali a guerra, con li nomi di chi possiede le cariche e spesa che si fa nella soldatesca di Dalmatia contro il Turco, descritta da principio sommariamente e più avanti con ogni maggior distinzione secondo lo stato presente de’ 27 giugno 1667.
184 I dati sugli stipendi delle cariche militari sono tratti da G.L
UTZ, L’esercito pontificio nel 1667, cit., pp. 42-8.
185
Ivi, p. 44.
186
Agostino Chigi fu nominato col titolo di «Sovrano Castellano» di Ancona nel 1663, A.DA MOSTO, Milizie dello
71 Perugia. Non è chiaro quale fosse la rendita effettiva di queste castellanie, le varie ipotesi a riguardo saranno discusse successivamente, qui basti dire che le rendite potevano ascendere a 247 scudi il mese, nel caso di Perugia, calcolando le rendite cosiddette «incerte». Il comandante della truppa pontificia sul campo è il generale Luigi Mattei sin dalla guerra di Castro. Il marchese di Belmonte era stato confermato in carica da Clemente IX e percepiva 343 scudi.
Il contingente principale si trovava a Roma, consistente di 1.400 soldati di fanteria organizzati in otto compagnie di guardie, e in 175 cavalleggeri organizzati su tre compagnie. La spesa di mantenimento di questo contingente era di 100.000 scudi annui, ossia circa un terzo delle spese militari complessive, queste comprendevano le paghe per soldati ed ufficiali, il pane187 e l’affitto dei letti e degli alloggi nelle case private; per la cavalleria si devono aggiungere le spese per l’affitto della stalla e per l’acquisto dei foraggi, su cui ricevevano un rimborso. La guarnigione di Castel S. Angelo disponeva di due compagnie: una comandata dal vice castellano – egli ha la funzione di capitano della prima compagnia – e l’altra da un capitano. Avevano rispettivamente 132 e 170 uomini con annesso un corpo di artiglieri. C’erano poi altre truppe con funzioni particolari come i musici, che si esibivano durante alcune cerimonie della corte pontificia188. La spesa per la guarnigione del castello era di 20.556 scudi circa all’anno. L’unico corpo di cavalleria dei regolari dipendenti dal generale di Santa Chiesa era un compagnia di corazzieri di 77 uomini comandata dal capitano Marsili; la cavalleria aveva alti costi di reclutamento e mantenimento, su cui incedeva soprattutto il cavallo, il costo annuo dei corazzieri era di 9.951 scudi annui circa. Risultano inoltre 450 mercenari svizzeri organizzati in due compagnie, queste truppe erano state arruolate dopo lo scioglimento del reparto dei Corsi a cui era stato costretto Alessandro VII da Luigi XIV. In seguito sarà formata una nuova unità sostitutiva della Guardia Corsa sotto l’autorità della Sacra
187
Il resto del vitto e la maggior parte del vestiario erano a carico del singolo. Si veda ivi, pp. 332, 342.
188 G.L
72 Consulta189. Un parente, in quanto luogotenente dell’una e dell’altra guardia, comandava tre compagnie di guardie personali del pontefice, due a cavallo e una a piedi. La compagnia di fanteria era la Guardia Svizzera190, nel 1667 contava 171 uomini e costava 12.250 scudi annui. Le uniformi dovevano essere rinnovate ogni otto mesi e costavano 1.666 scudi. Il capitano degli svizzeri riceveva la paga più alta rispetto agli altri parigrado: 70 scudi annui. La Guardia svizzera inoltre aveva ampia autonomia amministrativa e giuridica con propri funzionari. Le due compagnie a cavallo costavano 16.170 scudi annui. Le compagnie avevano 94 uomini, nel dettaglio ognuna si componeva di un capitano, un cornetta, tre «lance spezzate»191, tre trombette e 38 cavalieri. A Roma e nei dintorni si trovavano anche le maggiori armerie e le fabbriche d’armi dello Stato. Le armerie principali erano a Castel S.Angelo e nei Palazzi Apostolici. L’armeria vaticana si trovava al primo piano dell’ala est del Palazzo del Belvedere, dove oggi si trovano alcuni locali della Biblioteca apostolica vaticana.
La guarnigione di Ferrara nel 1667 consisteva in circa 900 uomini per una spesa annua di 41.628 scudi. Il presidio era composto da una compagnia a cavallo comandata dal cavaliere Rasponi di 43 uomini e quattro compagnie di fanteria. Una compagnia era comandata da un figura denominata colonnello delle porte, che quell’anno risulta essere tal Carlo Solieri, non è chiaro quali competenze avesse questa figura rispetto al sergente maggiore della milizia Michelangelo Braccin, sulla base delle fonti successive al 1692 è possibile che fosse un governatore delle Armi con competenze limitate al solo circuito murario cittadino. Tre compagnie presidiavano il Castello Estense, il comando della fortezza di Ferrara era affidato a
189
Per una panoramica del nuovo corpo militare, si veda A.DA MOSTO, Milizie dello Stato Romano, cit., pp. 242- 5. Sulla guardia Corsa, V.ILARI, Gli antenati della Gendarmeria pontificia: il Battaglione de’ Corsi e poi “De soldati in luogo de’ Còrsi” (1603-1678), in «Memorie storico militari 1983», Roma 1984, pp. 751-800.
190
Il primo nucleo della guardia risale al 1506 dai mercenari svizzeri arruolati da Giulio II, è uno dei reparti permanenti più antichi dell’esercito papale. A.DA MOSTO, Milizie dello Stato Romano, cit., pp. 224-7; si veda
inoltre G.BRUNELLI, Gli ordinamenti militari di Papa della Rovere. Nuove fonti, in «Dimensioni e Problemi della ricerca storica», 1(2016), pp. 103-18.
191 Sul corpo delle “lance spezzate”, si veda A.D
73 un castellano – in quel momento Francesco Massimi – che percepiva circa 73 scudi annui192. Parte delle truppe era distaccata per presidiare le fortificazioni di confine lungo il Po, fino alla costa adriatica. Il legato pontificio di Ferrara disponeva inoltre di una propria Guardia svizzera comandata però da un semplice sergente. La terza guarnigione per costi e uomini era Avignone, 900 uomini per una spesa di 41.142 scudi193. Il dato potrebbe derivare dalle recenti tensioni tra Luigi XIV e la corte pontificia. Tuttavia non è possibile fornire altri dati certi a causa delle notizie sommarie sugli ordinamenti militari che si hanno su questa legazione194. Nella legazione di Bologna il Forte Urbano era difeso da circa 500 uomini per 1.898 scudi mensili, erano organizzati su tre compagnie, una comandata dal castellano, le altre due da due capitani; questi erano rispettivamente nel 1667 Bartolomeo Vittori, Baldassini e Giulio Boncambi. Il castellano percepiva 66,50 scudi, i due capitani 30,20 scudi a testa. C’era poi una compagnia di artiglieri di 20 uomini il cui costo era 171 scudi annui circa. Il costo complessivo del forte era di 29.288 scudi in un anno. Anche il legato di Bologna aveva diritto ad una propria Guardia svizzera, ma quest’ultima non era pagata dalla Camera Apostolica, bensì dal Reggimento di Bologna. Sulla costa tirrenica Civitavecchia, il porto della flotta pontificia, era difeso da circa 350 uomini, di cui circa cento erano di presidio nel Forte