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Le cariche militari nel dibattito curiale sul nepotismo

Le trattative per la Pace di Westfalia e la firma della stessa denunciarono con chiarezza il mutamento di clima nella politica internazionale. Roma si era ritrovata isolata dalle potenze europee e la voce dell’inviato papale fu ignorata97

. La rinnovata centralità del papato della Controriforma e che aveva fatto di Roma – con una fortunata espressione – il «gran teatro del mondo», era in crisi98. Innocenzo X si trovò a raccogliere l’eredità del papa Barberini in un contesto europeo che nel tempo si farà progressivamente più ostile, con le rivendicazioni delle monarchie volte a ridurre privilegi e prerogative del clero nei loro Stati99. Nel contempo iniziò a svilupparsi un nuovo dibattito sul nepotismo. L’influenza dei parenti dei pontefici in curia era cosa antica, il quadro cambiò quando Paolo IV (1555-1559) istituì la carica del

Sovrintendente dello Stato ecclesiastico, dando così inizio alla fase del cosiddetto «piccolo

nepotismo» o, con un espressione che meglio descrive il fenomeno, «nepotismo istituzionale»100. Nei quasi cento anni che separano il Carafa da Urbano VIII non mancarono i

97

M.CARAVALE -A.CARACCIOLO, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, cit., pp. 433-5.

98

Per una panoramica generale dell’evoluzione curia romana in età moderna, si veda M.ROSA, La Curia romana

nell’età moderna. Istituzioni, cultura, carriere, Viella, Roma 2012, pp. 3-24. Sull’espressione citata, cfr. G. SIGNOROTTO - M.A.VISCEGLIA (a cura di), La corte di Roma tra Cinque e Seicento, cit., in particolare, pp. IV-V, 13-4.

99

Ivi,cit., pp. 16-8.

100 La storiografia sul nepotismo papale è divisa in due tradizioni, una mette in risalto la figura del nipote come

uno strumento di aggregazione di reti clientelari e l’innalzamento del rango della famiglia del pontefice, affinché potesse avere un ruolo anche dopo la fine del regno del familiare. Questa linea interpretativa è fondata sui lavori di W. Reinhard e gli autori che hanno seguito la sua impostazione. Si segnalano, W.REINHARD,

40 dibattiti e gli scontri politici sulla figura del nipote. Tuttavia non assunsero mai un carattere sostanziale, in quanto non produssero un’alternativa realistica al modello di governo vigente: la creazione di un parente porporato con le caratteristiche di un «valido» o «privado» che fungesse da punto di raccordo tra la corte di Roma e il pontefice. Quest’ultimo, dalla bolla

Immensa Aeterni Dei del 1588 di Sisto V, ne era al di sopra, e ne era separato. Una volta

abbandonato il palazzo apostolico in Vaticano, dove rimanevano alcune cariche amministrative, il papa si trasferì al Quirinale con la sua segreteria e la sua «famiglia». Il declino del potere politico del Sacro Collegio e del sistema dei concistori, fu il cambiamento più visibile della riforma del governo della Chiesa e dello Stato che i papi attuarono progressivamente nel Cinquecento. Con il tempo si consolidò il sistema polisinodale delle congregazioni, che si riunivano nelle case dei cardinali che le presiedevano; esse, da un lato, esentavano il papa dal dover presiedere personalmente ai sempre più ampi ambiti del governo della Chiesa e dello Stato, dall’altro lo separavano dalla corte e decentravano la struttura politico-amministrativa, in questo contesto si individuò nel cardinal nipote una figura di provata fiducia, che fungesse da raccordo tra il pontefice e i curiali. Il nipote era una figura difficilmente classificabile, di fatto non faceva parte della corte, ma ne era al di sopra, in quanto alter ego del pontefice non era parte della gerarchia curiale ordinaria. Uomo di fiducia più giovane dell’anziano zio, il nipote controllava la fazione più vicina al pontefice,

Papal Power and Family Strategy in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, in R.G. ASCH -A.M.BIRKE (ed. by),

Princes, Patronage and the Nobility. The Court at the beginning of the Modern Age, 1450-1650; B. EMICH, Die

Karriere des Staatssenkretaers. Das Schiksal des Nepoten?, in A. JAMME -O.PONCET (sous la direction de), Office

et Papauté, (XIVᵉ - XVIIᵉ), cit., pp. 341-55; più di recente sono stati messi in evidenza le storture morali del

sistema e “l’irrequietudine” dei papi per il sistema nepotista, ad esempio M.BERNASCONI, Il cuore irrequito dei

papi. Percezione e valutazione ideologica del nepotismo nei dibattiti curiali del XVI secolo, Peter Lang, Bern

2004, in particolare pp. 222-3. La linea interpretativa cui si riferiscono anche gli studi di Antonio Menniti Ippolito attribuisce al fenomeno nepotista una valenza politico-istituzionale che va oltre il solo patronage o la creazione di una fazione. Il nepotismo è un istituto centrale dell’esercizio del potere pontificio, è perciò dotato di specifiche funzioni istituzionali e politiche; al cui fondamento c’è una concezione antropologica condivisa che legittimò la pratica e che ne resse la perpetuazione anche dopo la sua abolizione nella forma assunta con la creazione della carica di Sovrintendente dello Stato Ecclesiastico. Per una sintesi di questo punto di vista, cfr. A. MENNITI IPPOLITO, Il tramonto della Curia nepotista, cit., pp. 169-76;F.BENIGNO, Ripensare il nepotismo papale nel Seicento, in «Storica», 35-36(2006), pp. 93-113. Più sfumate sono le posizioni di chi, ad esempio, si è occupato

del potere del nipote in una istituzione come prefetto della Congregazione del Buon Governo, S.TABACCHI, Il Buon Governo. Le finanze locali nello Stato della Chiesa (secoli XVI-XVIII), Viella, Roma 2007, pp. 154-63.

41 supervisionava le clientele e poteva gestire la corte con una flessibilità di azione maggiore di quanto ne potesse avere il pontefice. Ciò derivava dal carattere eccezionale e originale della figura papale101. In quanto vertice dell’istituzione militare il parente era il punto di riferimento di un gruppo sociale, i militari, che non poteva più essere direttamente coinvolto nella direzione dell’esercito come i condottieri nel Quattrocento e primo Cinquecento. I primi scricchiolii del sistema si verificarono proprio sotto Urbano VIII, egli richiese un parere a posteriori ai cardinali sull’opportunità di porre i propri parenti in posizioni di rilievo politico ed economico. Il fatto stesso che si percepisse la necessità di un riconoscimento della pratica da parte del Sacro Collegio era il segno di un mutamento nascente, non legato solo alle contingenze politiche del pontificato barberiniano102. Il parere dei teologi richiesto dal papa nel 1642 fu dovuto alla delicata situazione politica durante la guerra di Castro, percepita da molti come la guerra dei Barberini piuttosto che della Chiesa103. Il trattamento successivo riservato ai nipoti del papa dopo la fine del pontificato di Urbano VIII fu certo particolare, ma rappresentò anche l’avvio di una fase nuova. Il mutamento del contesto fuori dalla curia rese il dibattito sul nepotismo progressivamente più favorevole a chi desiderava mettere fine a questa prassi. L’incertezza in cui era la curia si riflette sulla peculiarità del nepotismo di Innocenzo X104. La segreteria fu occupata da Fabio Chigi, il quale divenne il primo di una serie di figure che diedero rilevanza politica ed istituzionale alla carica di Segretario di Stato105. Il nipote Camillo Pamphili fu capitano generale di Santa Chiesa dal 1645 al 1655, inoltre fu capitano generale della galee solo per un anno (1644), comandante della guardia del corpo del papa, governatore di Borgo e delle fortezze. Innocenzo X decise poi di

101

A.MENNITI IPPOLITO, Il Governo dei papi, cit., pp. 105-24. Sulla carica di Sovrintendente, è ancora rilevante M. LAURAIN-PORTEMER, Absolutisme et Népotisme. La surintendence de l’Etàt ecclesiastique, in «Bibliothèque de l’École de chartes», 131-2(1973), pp. 487-568.M.A.VISCEGLIA, Burocrazia, mobilità sociale e patronage alla corte

di Roma tra Cinque e Seicento. Alcuni aspetti del recente dibattito storiografico e prospettive di ricerca, in «Roma moderna e contemporanea», 1(1995), pp. 11-55.

102

A.MENNITI IPPOLITO, Il tramonto della curia nepotista, cit., pp.75,80-1.

103 F.B

ENIGNO, Ripensare il nepotismo, cit., pp. 107-8.

104

B.BORELLO, Pamphili Camillo, in DBI, vol. 80(2014), ad vocem.

105

Per un evoluzione generale della Segreteria di Stato, cfr. N.DEL RE, La Curia Romana in età moderna, cit., pp. 74-91.

42 ridimensionare suo nipote, perciò la carica di generale delle galee passò al più capace Nicolò Ludovisi106, il nipote di Gregorio XV, mentre la carica di castellano di Sant’Angelo andò ad Andrea Giustiniani, un altro nipote del papa. Camillo fu una figura di politico mediocre ad occupare le cariche tradizionali del cardinal nipote. Il sistema di governo di Innocenzo X si configurò poi in quello che fu chiamato «cognatismo», in virtù della rilevanza politica della cognata Olimpia Maidalchini, che farà nominare come Sovrintendente il politicamente inconsistente nipote Francesco Maidalchini107. Innocenzo X concluse l’avventura barberiniana con la conquista definitiva del ducato di Castro. Nel 1649 il vescovo della cittadina fu assassinato da partigiani del duca di Parma. L’omicidio diede il pretesto per una reazione militare. Una colonna di 2.000 uomini occupò il ducato, che era difeso solo da duecento soldati farnesiani. La città fu rasa al suolo, gli abitanti trasferiti, e la sede della diocesi trasferita ad Acquapendente. Il duca di Parma affrontò da solo le forze pontificie ma il suo esercito fu sconfitto vicino Bologna108. Tuttavia il papa attuerà nel complesso una politica di prudente austerità, finalizzata alla riduzione degli esosi oneri finanziari dello Stato Ecclesiastico. Un reale dibattito sul nepotismo si avviò con Alessandro VII, egli dapprima non chiamò i propri parenti a Roma. Nel 1656 durante corso di una seduta del concistoro, richiese ai cardinali di esprimersi sulla possibilità di far trasferire a Roma i suoi familiari, quindi solo un anno dopo l’elezione il papa concesse delle cariche ai propri familiari. Alessandro VII aveva chiesto ai cardinali di esprimersi preventivamente sull’opportunità di concedere queste cariche, il Sacro Collegio fu unanime nel considerare legittima la pratica, eppure il fatto che il papa avesse cercato una legittimazione di questo tipo mostra come l’istituto del nepotismo non era più un fatto politico scontato. Nessuno dei cardinali criticò la

106 G.B

RUNELLI, Ludovisi Nicolò, in DBI, vol. 66(2006), ad vocem: «Il L. fu nominato capitano generale della flotta

pontificia il 4 maggio 1645 e ricevette dal papa lo stendardo con le chiavi di S. Pietro nel concistoro del 16 luglio 1645. Non si trattava di un incarico onorifico come quelli avuti in tenera età sotto Gregorio XV, ma di un impiego effettivo».

107

M.D’AMELIA, Nepotismo al femminile. Olimpia Maidalchini Pamphilj, in M.A.VISCEGLIA (a cura di), La nobiltà

romana in età moderna, cit., pp. 353-99.

108 G.H

43 scelta, pochissimi nei loro pareri scritti finsero di considerare seriamente il quesito, tutti sapevano che si trattava di una decisione già presa. I mutamenti contraddittori della posizione di Alessandro VII sul nepotismo erano giudicati come una astuta sottigliezza da Gregorio Leti, eppure anch’egli, sempre mordace contro il mondo curiale, affermava che era una cosa ridicola pensare di abolire la pratica nepotistica; infatti, se il papa avesse davvero rinunciato ad avvalersi dei suoi parenti, avrebbe dovuto governare confidandosi con persone che facevano solo il loro interesse, forse addirittura dei nemici, e comunque sarebbe stato costretto a circondarsi di “sconosciuti” nel Vaticano109

. Questa serie di avvenimenti e decisioni ebbero conseguenze sull’istituzione militare; infatti, durante i pontificati di Innocenzo X e Alessandro VII vi furono alcuni sviluppi istituzionali per le cariche che amministravano l’organizzazione militare all’ombra dei prestigiosi parenti dei pontefici. I detentori della carica di Commissario delle Armi e i passaggi di carica sono piuttosto confusi in questo periodo e le fonti sono molto discordanti sulle date di nomina dei vari commissari. Si deve considerare che fino al 1655 la carica non esisteva in forma permanente, quando saranno riscontrate discordanze si farà riferimento alle date indicate nell’indice del fondo

Commissariato Armi in Archivio segreto vaticano, si darà comunque notizia delle date

alternative. Nel 1653 il Pamphili nominò Giacomo Franzoni (1612-1697)110 commissario

delle Armi e provveditore delle fortezze. Dallo stesso anno Franzoni fu anche tesoriere

generale – carica che tenne fino al 1660 – e fu chiamato a presiedere la flotta e le fortezze costiere con la carica di soprintendente generale delle galere e delle fortezze marittime. Nel 1655 il nuovo papa Alessandro VII tolse la carica di commissario delle Armi a Franzoni per concederla a Niccolò Acciaioli111. Il Franzoni mantenne – con il nome di commissario – le cariche di sovrintendente della flotta, delle torri e delle fortezze costiere e di Castel

109

A.MENNITI IPPOLITO, Il tramonto della Curia, cit., pp. 80-1.

110

M.C.GIANNINI, Note sui Tesorieri generali della Camera Apostolica e le loro carriere tra XVI e XVII secolo, in A. JAMME –O.PONCET (sous la direction de), Office et Papauté, (XIVᵉ - XVIIᵉ), cit., pp. 881-2. L.BERTONI, Franzoni Giacomo, in DBI, vol. 50(1998), ad vocem; P. PAGLIUCCHI, I Castellani di Castel Sant’Angelo, cit., pp. 81-3.C. WEBER (a cura di), Legati e Governatori, cit., p. 678.

44 Sant’Angelo112

. Il papa non chiamò un parente per il posto di generale di Santa Chiesa e per le altre magistrature, diede quindi facoltà di reggere queste cariche ad interim al commissario delle Armi e al tesoriere generale. In quel caso, ad esempio, la carica di castellano di Castel Sant’Angelo, normalmente assegnata ad un parente, passò a Giacomo Franzoni dal 7 maggio 1655 al maggio 1656113. Alessandro VII inoltre rese permanente la carica di commissario delle Armi e fu separata in modo definitivo dal tesoriere generale114. La carica di commissario fu esercitata da Niccolò Acciaioli dal 1655 fino al 1667 e in seguito da Buonaccorso Buonaccorsi dal 1667 al 1668 e da Girolamo Gastaldi che dovrebbe averla esercitata dal 1668 al 1669115. È interessante notare che tutti questi primi commissari delle Armi proseguirono le loro carriere con l’accesso ad uffici più importanti e alla porpora, come per quanto scritto per il Segretario di Stato, ciò mostra come la carica fosse stata esercitata da curiali favoriti dai pontefici e che essi abbiano con la loro attività progressivamente consolidato nel tempo competenze e funzioni della carica stessa, al punto da farne un possibile incarico che aprisse la possibilità della successiva nomina cardinalizia. Nel 1654 Luigi Omodei al momento di

112

ASV, Arch. De’ Brevi, Aless. VII Brevia a. 1655, f. 53. Breve del 7 maggio 1655, citato in P.PAGLIUCCHI, I

Castellani di Castel Sant’Angelo, cit., pp. 82, 204.

113 P.P

AGLIUCCHI, I castellani di Castel S. Angelo, cit., pp. 81-3.

114

V.ILARI, L’esercito pontificio nel XVIII secolo, cit., pp. 581-2. Gregorio Leti non registra la presenza di un commissario delle Armi, è possibile che ciò dipenda dal fatto che Leti si affida per la maggior parte alla precedente Relazione di Girolamo Lunadoro. Quando descrive le milizie pontificie conserva i commenti del testo originale di Lunadoro: «Li Soldati delle Bande, ò Battaglioni, descritti à Rolli di tutto lo Stato Ecclesiastico sono ottanta mila Fanti, e tremilla, e cinquecento Caualli, ma nessun di questi tira paga, però godono molti Privileggi, & in tempo di bisogno il Papa se ne può seruire, & in tal caso sono pagati al uso di guerra, onde stanno tutti Armati si come servissero in guerra, essendo di continuo disciplinati da’ i loro Officiali, che però riescono buoni soldati. Certo è che lo Stato della Chiesa è abbondante di Capitani, e d’Huomini di Comando; & in diversi Arsenali come del Castello Santo Angelo, di Bologna, di Ferrara, d’Ancona, di Rauenna, del Vaticano, e di altri luoghi vi sono Armi da piedi, e da cavallo per armar cento milla, e più huomini». Leti poi aggiunge un capitolo in cui considera la marina pontificia e le spedizioni in Levante, si consideri che le galee hanno sempre un contingente tratto dall’esercito in ogni spedizione, egli commenta così: «Veste Galere sono veramente nicessarie per molti rispetti,ma particolarmente per tener purgata la Marina Pontificia di Corsari. Trattengono la maggior parte del tempo in otio nel Porto di Civita Vecchia, facendo poche scorrerie, ancorche nella guerra del Turco contro il Regno di Candia, sono state inviate quali ogni anno al soccorso de’ Venetiani, però con poco frutto, essendo piene di persone ordinarie e di poca esperienza». G.LETI, Itinerario della Corte di Roma o Vero Teatro Historico, cronologico e politico della Sede Apostolica, Dataria e Cancelleria Romana, voll. I-II, Valenza

1675, pp. 291-2, 295-6.

115 C.W

EBER (a cura di), Legati e Governatori, cit., p. 690. Gastaldi fu commissario nel periodo 1668-1669. V.

ILARI, L’esercito pontificio nel XVIII secolo, cit., pp. 582, 585; la tab. 5 cita Girolamo Gastaldi come Commissario delle Armi dal 1655, tuttavia egli fu nominato commissario solo da Clemente IX ed esercitò la carica nel periodo 1668-9. M.MARSILI, Gastaldi Girolamo, in DBI, vol. 52(1999), ad vocem.

45 lasciare il commissariato fu nominato cardinale legato di Urbino116. L’esperimento istituzionale fu adottato progressivamente, infatti nelle successive Sedi Vacanti il controllo della flotta, dell’esercito e delle fortezze sarà affidato dal Sacro Collegio al tesoriere generale e al commissario delle Armi, il controllo invece era stato fino ad allora demandato ai capitani generali e alle altre nomine del defunto pontefice117. La segreteria delle Armi che dipendeva dal Commissario si trovava in Vaticano, nei Palazzi Apostolici, e comprendeva un’anticamera, un corpo di guardia ed un archivio. L’ufficio di segreteria emetteva le patenti agli ufficiali – la nomina era invece data dal pontefice attraverso biglietto di grazia – registrava le nomine spettanti al commissario, esaminava suppliche, richieste, raccomandazioni, curava la corrispondenza con gli altri uffici curiali e sovrintendeva alla milizia di tutto lo Stato. La contabilità dell’esercito era affidata al collaterale generale, un chierico della computisteria generale della Reverenda Camera, il quale aveva il controllo di tutti i conti di spesa dei presidi dello Stato, tranne le legazioni che invece avevano un proprio commissario camerale unico a Ferrara. Avignone, nonostante fosse anch’essa una legazione, aveva un proprio commissario camerale. I presidi più importanti avevano un pagatore per corrispondenza delle paghe. La giurisdizione del commissario civile e militare era esercitata dall’Uditorato. L’ufficio era composto da un uditore criminale, uno civile, un cancelliere ed un fiscale, quest’ultimo si occupava di preparare i ricorsi al tribunale della Sacra Consulta per tutelare i diritti dei militari, soprattutto si trattava di miliziani che ricorrevano contro i governi delle comunità che non riconoscevano i loro privilegi. L’uditore civile rivedeva i contratti d’appalto e locazione, minutava i rapporti del commissariato al pontefice e conteggiava le ritenute sul soldo delle Guardie di Roma. La Sacra Consulta non aveva solo giurisdizione sulle controversie tra comunità e soldati, dal 1670 vi dipendeva il battaglione in luogo de’

116

C.WEBER (a cura di), Legati e Governatori, cit., pp. 805-6.

117 P.P

46 Corsi, che svolgeva funzioni di gendarmeria, lotta al contrabbando e al brigantaggio118. Sotto Clemente IX il ruolo e l’influenza del nipote Giacomo Rospigliosi fu inferiore al ruolo del Segretario di Stato Decio Azzolini, come anche dello stesso papa Clemente. L’ottantenne Clemente X Altieri decise per una linea di conservazione, non avendo un nipote ne adottò uno: Gaspare Paluzzi, che aveva sposato l’unica nipote del papa. Per tutto il pontificato il nipote fu capitano generale di Santa Chiesa, un dato interessante è che egli mantenne la carica per tutto il pontificato di Innocenzo XI. Questi ultimi tre pontefici: Chigi, Rospigliosi ed Altieri, erano stati eletti grazie alle manovre di una nuova fazione all’interno del Sacro Collegio: lo «squadrone volante»119. La forza di aggregazione del nipote cominciò a declinare con il pontificato Chigi, all’interno del Sacro Collegio il vecchio sistema di fazioni era basato sul patronage, l’esempio era la fazione del nipote del papa che raggruppava come polo centrale gli interessi dei cardinali creati dallo zio nel successivo conclave, e che manteneva compattezza anche nei successivi. Ad incrinare questo stato di cose fu la nascita del cosiddetto «squadrone volante». La rottura dell’antico equilibrio fu però dovuta all’elezione di Innocenzo XI, che intraprese il primo serio tentativo per smantellare il nepotismo istituzionale. Nel conclave del 1676, si coagulò una nuova fazione insofferente al nepotismo che portò all’elezione di Benedetto Odescalchi (1676-1689). In parte fu un tentativo da parte dei cardinali del Sacro Collegio di riguadagnare peso politico come gruppo mettendo in discussione l’egemonia esercitata dal nipote e la sua fazione120. L’azione fu svolta secondo

un’impostazione ideologica di una «questione morale», configurata come un modo per togliere un’arma di propaganda anti-ecclesiastica agli eretici. Tuttavia il cambiamento