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Concetti fondamentali del contrattualismo di Scanlon.

VI. UNA TEORIA CONTRATTUALISTA DELLA RESPONSABILITÀ 7 Contrattualismo e giudizi di responsabilità.

2. Concetti fondamentali del contrattualismo di Scanlon.

Prima di sviluppare ulteriormente l’analisi dei giudizi di responsabilità, abbiamo bisogno di familiarizzarci con l’impostazione generale della teoria di Scanlon, ed anche con alcuni suoi concetti fondamentali. Occorre dunque chiarire la questione dell’oggettività della morale, a cui si è già fatto cenno nella sezione precedente, notando come la teoria di Scanlon abbia delle ambizioni fondative limitate. Durante questa esposizione delineeremo dunque le nozioni di atteggiamento sensibile al giudizio e di ragionevolezza.

In What we owe to each other Scanlon precisa il suo approccio, per il quale risolvere i giudizi morali non significa risolvere dei quesiti mediante l’osservazione. I giudizi morali stabiliscono delle proprietà di azioni o state di cose assegnando a queste ultime un valore nominale (face value) – il loro oggetto, il giusto e l’ingiusto (right and wrong) è un oggetto apparente.

Per Scanlon i giudizi sul giusto e sull’ingiusto servono primaditutto a stabilire le ragioni che abbiamo per agire. In « Contractualism and Utilitarianism » (1982) Scanlon individuava la base motivazionale dei principi morali nel desiderio, perché riteneva che questo concetto fosse meno problematico rispetto a quello di ragione per agire. In What we owe to each other (1998) egli si corregge: la nozione di desiderio, per svolgere un ruolo autenticamente esplicativo, deve essere compresa mediante l’idea di avere una ragione per agire, e non l’inverso – infatti, come vedremo in seguito, non è quasi mai il caso che una persona ha una ragione per agire poiché ha un desiderio da soddisfare.

Scanlon sostiene che la sua concezione della morale non si appoggia su di una particolare teoria sulle ragioni; andrà bene qualsiasi teoria che rispetti i contorni della nostra nozione

ordinaria o quotidiana. Una ragione per qualcosa, in questo senso, è una considerazione che conta in favore di questo qualcosa.278

Scanlon scrive: « When I ask myself what reason the fact that an action would be wrong provides me with not to do it, my answer is that such an action would be one that I could not justify to others on grounds I could expect them to accept. »279 L’azione moralmente permessa, in questo caso, è portatrice di un valore nominale perché passa un test ideale di approvazione, da parte di tutte le persone coinvolte in essa; si tratta di un’approvazione ideale, perché, come si è detto, bisogna supporre che gli altri tengano in considerazione il vostro punto di vista così come voi tenete in considerazione il loro. Scanlon continua: « This leads me to describe the subject matter of judgements of right and wrong by saying that they are judgements about what would be permitted by principles that could not reasonably be rejected, by people who were moved to find principles for the general regulation of behaviour that others, similarly motivated, could not reasonably reject.»280

É plausibile, secondo Scanlon, ritenere che i nostri giudizi morali intuitivi corrispondano alla definizione dell’oggetto della morale appena fornita: ma le nostre intuizioni morali possono anche essere sbagliate o fuorvianti; si noti che la definizione fornita lascia spazio anche per questo tipo di errori – quando ci sbagliamo nel ritenere che un principio non possa essere ragionevolmente rifiutato da qualcuno. Se i giudizi morali sono intesi come giudizi sulle ragioni per agire e sulla giustificazione delle azioni, allora la loro correttezza può essere stabilita sulla base di ragionamenti ordinari e familiari, che non presentano nessuna oscurità metafisica.

Scanlon così scrive: « If we could characterize the method of reasoning through which we arrive at judgements of right and wrong, and could explain why there is good reason to give judgements arrived at in this way the kind of importance that moral judgements are normally thought to have, then we would, I believe, have given a sufficient answer to the question of the subject matter of right and wrong as well. No interesting question would remain about the ontology of morals – for example, about the metaphysical status of moral facts. »281

Alcuni potrebbero ribattere a Scanlon nel modo seguente: si può accordare che un’azione è sbagliata se e solo se non può essere giustificata di fronte agli altri su delle basi che essi non possono ragionevolmente rifiutare; ma d’altra parte, continua l’obbiettore, ciò che una

278 Scanlon, T.M., What we owe to each other, p. 17. 279 Scanlon, T.M., What we owe to each other, p. 4. 280 Scanlon, T.M., What we owe to each other, p. 4. 281 Scanlon, T.M., What we owe to each other, p. 2.

persona può ragionevolmente rifiutare e ciò che non può ragionevolmente rifiutare è determinato da certi fatti sul « right and wrong » che sono più profondi, indipendenti da ogni test di ragionevole rifiuto (reasonable rejection.) Così, ad esempio, si potrebbe dire: un principio che ammette l’omicidio gratuito è ragionevolmente rifiutabile in virtù del fatto che l’omicidio gratuito è moralmente sbagliato. Per Scanlon vale invece l’inverso: l’omicidio gratuito è un’azione moralmente sbagliata perché un principio che lo ammette può essere ragionevolmente rifiutato.

Scanlon motiva il suo punto di vista insistendo sul fatto che esso fa a meno dell’ontologia della morale; ci si può chiedere se la sua teoria, insistendo d’altra parte sulle ragioni per agire, non sollevi delle questioni ontologiche su queste ragioni, magari altrettanto problematiche di quelle tradizionalmente incentrate sul valore.

Su questo punto l’analisi di Scanlon comincia con la definizione di un concetto, quello di « atteggiamento sensibile al giudizio, » (judgement-sensitive attitude) che delimita l’insieme delle cose di cui si può chiedere sensatamente una ragione, cioé una spiegazione o una giustificazione. Le ragioni, dunque, si offrono per quegli atteggiamenti propri ad agenti razionali, che includono le credenze, le intenzioni, l’ammirazione, il disprezzo, il risentimento, etc. D’altra parte, non si può richiedere la ragione di mere sensazioni o appetiti, come la fame o la sete: queste ultime possono fornirci delle ragioni per agire (o influenzare le ragioni che abbiamo), ma esse sorgono indipendentemente da ogni giudizio sulle ragioni. Si noti che Scanlon utilizza il termine « atteggiamento » in una maniera ambigua, che sembra stare a cavallo tra l’uso ordinario e l’uso tecnico-filosofico: tale prospettiva sembra uno sviluppo – o un’estensione - della teoria di Strawson sugli atteggiamenti reattivi; tuttavia su questo punto egli non richiama l’autore di Freedom and Resentment. Per Strawson gli atteggiamenti (reattivi) definiscono innanzitutto il trattamento da adottare nei confronti della persona responsabile: per Scanlon la nozione di atteggiamento serve a delimitare l’ambito delle cose di cui una persona può essere considerata responsabile – si tratta infatti delle cose di cui si possono chiedere le ragioni.

Detto questo, occorre distinguere la giustificazione dalla spiegazione: prendiamo ad esempio un atteggiamento quale la credenza. La domanda di giustificazione consiste nel richiedere delle ragioni normative: vale a dire, quali ragioni ci sono nel credere in una certa verità – o presunta tale; la spiegazione invece mira alle ragioni operative: essa viene fornita chiarendo in che modo una certa persona è arrivata a credere nella tal cosa, indagando dunque dei fatti biografici. Se mi voglio informare sulle ragioni operative di una persona, nota Scanlon, voglio

sapere quali ragioni normative essa ha considerato come valide: per questo il senso normativo merita di essere considerato primario.

Il fatto di intrattenere un atteggiamento sensibile al giudizio è costituito da una vasta e complicata gamma di disposizioni a pensare ed a comportarsi in differenti modi. Una persona che crede in P ha dei sentimenti di convinzione riguardo a P, è normalmente preparata ad affermare P ed a usarla come premessa in un ragionamento, tendendo a considerare P come una contro-evidenza quando tesi incompatibili a P vengono avanzate, etc. Una persona che intende fare P non solo si sentirà favorevolmente disposta verso P, ma cercherà anche dei mezzi e l’opportunità per fare P, e considererà questa intenzione come un’obiezione ad altri corsi di azione incompatibili.282

Un’atteggiamento è sensibile al giudizio se comprende un simile complesso di disposizioni, e se questo complesso è sensibile ad un certo tipo di attività riflessiva del soggetto. Il complesso in questione tipicamente presenta anche disposizioni non riflessive, come la disposizione a pensare in un certo modo o a provare certe emozioni o sensazioni. D’altra parte, gli atteggiamenti sensibili al giudizio non devono per forza nascere da una scelta riflessiva: possono presentarsi spontaneamente; ma l’essenziale è che siano sensibili ad una revisione riflessiva.

Si possono fornire delle ragioni normative per delle azioni proprio in quanto il comportamento umano include degli atteggiamenti sensibili al giudizio come le intenzioni. È la connessione con degli atteggiamenti sensibili al giudizio che rende le azioni quello che sono, e non dei semplici eventi. L’analisi del concetto di ragione, in Scanlon, non segna dunque una distanza o uno iato tra ambito pratico ed ambito teoretico: il comportamento e la credenza sono entrambi spiegabili e giustificabili mediante le ragioni.

Scanlon inoltre considera una concezione filosofica molto diffusa del desiderio, per la quale esso costituirebbe la sorgente fondamentale di motivazione per le persone: si è notato che in « Contractualism and Utilitarianism » Scanlon rinveniva la motivazione morale nel desiderio di giustificare le proprie azioni di fronte agli altri. In What we owe to each other questo punto di vista è abbandonato; si tratta ora di vedere perché.

In filosofia, nota Scanlon, i desideri sono comunemente intesi come stati psicologici che ricoprono due ruoli: 1) sono motivazionalmente efficaci: i desideri sono ciò che ci spinge ad agire; 2) sono normativamente significativi: quando una persona ha una ragione per agire, ciò è vero perché il compiere l’azione soddisferà un desiderio che la persona intrattiene. Questa

concezione è falsa, anche se, deplora Scanlon, essa sembra universalmente accettata. La critica di questa concezione si poggia sulla distinzione di due sensi in cui si può impiegare il termine desiderio, uno largo ed uno stretto.

In senso largo il desiderio viene a designare ogni stato psicologico che è legato all’adozione di un atteggiamento da parte di una persona. Desideri in questo senso sono dunque anche il senso del dovere, l’orgoglio, la lealtà. Accettando questa definizione risulta ovvio che il desiderio sia motivazionalmente efficace, perché viene identificato semplicemente con ciò che ci spinge ad agire. D’altra parte però, questa definizione larga include anche dei desideri che non sembrano essere la sorgente della motivazione, poiché piuttosto sembrano costituire la conseguenza del « considerare qualcosa come una ragione per agire. »

Questi desideri, ricorda Scanlon, sono quello che Thomas Nagel chiama motivated desires: il mio desiderio di aiutare Caio, ad esempio, può essere motivato dal senso del dovere. Nagel distingue da questi gli unmotivated desires, come la sete o la fame: si tratta di stati psicologici il cui accadere è esso stesso sorgente di motivazione.283 I desideri possono dunque venire definiti in senso stretto come questi unmotivated desires.284

Scanlon analizza gli unmotivated desires: in quanto tale la sete, ad esempio, implica tre elementi: 1) una sensazione presente (secchezza della bocca e della gola); 2) la credenza che una certa azione avrà come conseguenza uno stato piacevole (il bere avrà come risultato la fine della secchezza); 3) il considerare questo bene futuro – lo stato piacevole – come una ragione per agire.

La sensazione presente (1) e la comprensione di una possibilità futura (2) mi danno ragione di credere che l’azione di bere causerà uno stato piacevole. Tuttavia, secondo Scanlon, qui la forza motivazionale deriva dal considerare questo bene futuro come una ragione per agire (3). Secondo la concezione filosofica corrente del desiderio, sostiene Scanlon, oltre a questi tre elementi – si noti che si tratta di tre giudizi, anche se solo il terzo è un giudizio pratico - bisogna anche contare una esperienza (feeling) dell’urgenza di bere. Questo, potrebbe dire il teorico del desiderio come sorgente di ogni motivazione, è l’essenza del desiderio. Ma Scanlon nota che se separiamo « l’esperienza dell’urgenza di bere » o qualsiasi altra pura sensazione dalla dimensione valutativa (in questo caso: il bene futuro è una ragione sufficiente per agire), ciò che rimane non assomiglia per niente al nostro concetto ordinario di desiderio.

283 Nagel, Thomas, The Possibility of Altruism, Clarendon Press, Oxford (En.) 1970; pp. 29-30. 284 Scanlon, T.M., What we owe to each other, p. 37.