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Due concezioni di nazione?

La concezione della nazione di Jules Michelet 1 Aurélien Aramin

4. Due concezioni di nazione?

Potremmo pensare che questa concezione somiglia alla sua prima concezione del popolo di Luglio che fa la rivoluzione senza capo? C’è sicuramente una continuità. Ma questa concezione “volontarista” di Michelet significa che egli pensa adesso che la nazione crei una rottura nella storia di Francia. La nazione non è il prodotto dei secoli del vecchio regime, delle istituzioni del medio evo; la nazione non è il risulta- to meccanico di una mescolanza alla quale avrebbero preso parte il cristianesimo e la monarchia. Certo, Michelet vede ancora la Francia fondamentalmente come una mescolanza, ma il sistema statale della Chiesa e dei Monarchi non ha contribuito a realizzare questa mescolanza. Questo Michelet l’ha capito scrivendo la sua Storia di

Francia: l’ottimismo teleologico dell’Introduzione alla storia universale è abbandona-

to. Per il “secondo” Michelet, l’avvenimento della nazione nella Rivoluzione francese spacca il sistema teologico politico del vecchio regime che impediva la circolazione nel corpo della Francia. Alla continuità storica, si sostituisce adesso nel suo pensiero una visione agonistica: la Giustizia contro la Grazia, la Nazione contro il Privilegio, la Rivoluzione contro il cristianesimo44. Michelet vede ora una dicotomia nella storia

umana: non è più la linea diritta dell’Introduzione alla storia universale, la rivoluzione come Giustizia rompe con l’aspetto arbitrario del vecchio regime e apre una nuova epoca per l’umanità, “l’avvento glorioso del Giusto” come scrive Barthes45.

Si oppongono o si articolano queste due concezioni della nazione, la prima “conti- nuista” cioè storica visibile nell’Introduzione alla storia universale e la seconda “vo- lontarista” cioè politica nella Storia della rivoluzione francese? Spesso, opponiamo, in Francia, due tipi di concezioni della nazione. La prima sarebbe quella “francese”: è la concezione della cittadinanza “civica”, quella di Renan, cioè una concezione “po- litica” dell’appartenenza. La seconda sarebbe quella “tedesca”, cioè la cittadinanza fondata sui dati “storici”, “culturali” e eventualmente “biologici”: è quella di Strauss, una concezione che fonda l’appartenenza su qualcosa che non dipende dalla volontà dell’individuo46. In realtà, si sa che la questione è più complessa come l’ha mostra- 43 Sulla concezione della Rivoluzione come rottura del tempo, vedi F. Brahami, La Raison du peuple, Les Belles Lettres, Paris, 2016.

44 Su questa concezione “agonistica” della storia, molto diversa della lettura lineare sviluppata nell’Introduzione alla storia universale, vedi l’introduzione della Storia della Rivoluzione francese, cit. 45 R. Barthes, Michelet par lui-même, Paris, Le Seuil, 1954.

46 Per una critica di questa opposizione troppo semplice tra due concezioni della nazione, vedi, per esempio, D. Schnapper, La communauté des citoyens, Sur l’idée moderne de nation, Paris, Gallimard coll. Folio Essais, pp. 236-237.

to benissimo Sylvain Venayre nel suo articolo su Renan nella Storia mondiale della

Francia diretta da Philippe Boucheron. In Michelet, si possono vedere entrambe le

concezioni: la nazione storica, prodotta dalla storia lunga nell’Introduzione alla storia

universale e la nazione politica nella Storia della rivoluzione francese. Ma queste due

concezioni sono le due facce dello stesso movimento di affermazione dell’identità na- zionale. La concezione storica non è sufficiente per pensare il carattere della nazione: occorre la dimensione politica. Dall’Introduzione alla storia universale, Michelet ar- ticola le due dimensioni della continuità e della volontà, della storia e della politica. Ma mi sembra che la logica dell’articolazione cambi nel discorso dello storico perché progressivamente Michelet subordina l’aspetto storico dell’appartenenza all’affer- mazione volontarista del popolo. E la Rivoluzione diviene il momento chiave del pas- saggio dalla cittadinanza francese come realtà storica, opera spontanea di generazio- ni anonime, alla cittadinanza politica cosciente cioè come “nazione”, atto di volontà del popolo che prende coscienza della sua esistenza e del suo diritto contro i privi- legiati47. In fondo, il vero problema di Michelet è di sapere come si passa dalla spon-

taneità della creazione secolare popolare della nazione alla coscienza politica di es- sere una nazione, come si passa dall’attività spontanea alla riflessività e alla volontà.

L’originalità della filosofia della nazione di Michelet consiste nell’articolazione della dimensione storica della nazione e della sua dimensione politica. Il giovane Michelet pensava che la storia lunga fornisse la spiegazione della capacità politica del popolo unito di luglio nello schema dell’Introduzione alla storia universale. Per il Michelet della Storia della Rivoluzione francese, il rapporto è invece: “la storia è pos- sibile fin dalla Rivoluzione che è la coscienza della Francia”48, come dice al Collège de

France. La Rivoluzione permette di capire la storia della Francia retroattivamente. Se la Rivoluzione è la coscienza che la Francia prende di se stessa come nazione, questo significa che non c’è una storia nazionale prima e senza la Rivoluzione. Il rapporto causale tra la storia della Francia e la Rivoluzione francese, tra il movimento storico stesso – oggetto delle scienze sociali – e l’istituzione politica della nazione nel 1789 non è quello che va dall’esistenza storica all’affermazione politica: è piuttosto l’idea che non c’è una storia nazionale senza la decisione nazionale presa a livello politico

dal popolo stesso. In effetti, Michelet afferma adesso che la nazionalità storica non

precede l’istituzione politica della nazione: solo l’atto di volontà politica rende pos- sibile la storia della nazionalità che si rivela in e attraverso un evento rivoluzionario che nulla nella storia avrebbe potuto far prevedere.

47 Per una lettura contemporanea del populismo che oppone un “noi” a “loro”, si può consultare l’ultimo libro di É. Fassin, Populisme le grand ressentiment, Textuel, Parigi, 2017, nel quale spiega che c’è un populismo “binario”: i piccoli contro l’oligarchia (che era già quello di Michelet) che si oppone ad un’altra forma di populismo che funziona con tre elementi: i piccoli, l’oligarchia e un terzo elemento che può essere gli emigranti per esempio.

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Nel pensiero di Michelet, il carattere della nazione è di essere una “sintesi vivente”, secondo l’espressione di Lucien Febvre. Questa “sintesi vivente” nasce dall’incrocio della volontà e della storia lunga nella quale si è operata una mescolanza delle razze e delle idee. Centrale nella filosofia della storia del giovane Michelet esposta nell’In-

troduzione alla storia universale, il concetto di “nazione” è un concetto filosofico ma

anche un principio storiografico che fornisce alla Storia di Francia il suo quadro teo- rico. Ma la “nazione” è anche un concetto politico nel pensiero del’autore della Storia

della Rivoluzione francese: la “nazione”, prima di essere il risultato delle storia, nasce

della volontà del popolo, dal basso dei ceti popolari. Senza questa decisione politica, rimane la storia nazionale nel buio del passato. La Rivoluzione è quello che dà consi- stenza alla “nazione” e rende possibile la sua storia, poiché è la sua coscienza.

Che lo storico francese abbia aperto una via nuova alla scrittura della storia della Francia, nessuno ne può dubitare. Che la sua concezione secondo la quale la Francia è nella sua storia e nella sua volontà, fondamentalmente, l’incrocio e la mescolanza della diversità delle razze e delle idee che si sono incontrate e opposte in questa sto- ria tormentata, ha ancora tutto il suo peso politico, cio’ si puo’ verificare vedendo l’in- tensità dei dibatti politici attuali sull’identità nazionale, dibatti nei quali il pensiero di Michelet meriterebbe di essere convocato.