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La fata italiana

Stefano Jossa

1. La fata italiana

L’Italia era nata in quell’accigliata sera a Donnafugata; nata proprio lì in quel paese di- menticato quanto nell’ignavia di Palermo e nelle agitazioni di Napoli; una fata cattiva però della quale non si conosceva il nome doveva esser stata presente; ad ogni modo era nata e bisognava sperare che avrebbe potuto vivere in questa forma: ogni altra sarebbe stata peggiore.1

Chissà se Giuseppe Tomasi di Lampedusa avesse in mente, quando scriveva questa pagina, la fata buona del libro che più di tutti aveva contribuito a formare l’identità italiana dopo l’Unificazione: Le avventure di Pinocchio, dove pure le parole “Italia”, “italiano” e “italiani” non compaiono mai.2 Libro italiano per eccellenza, paradigma

d’italianità, Le avventure di Pinocchio erano proprio negli anni in cui Tomasi elabora- va il progetto e la scrittura del Gattopardo protagonista indiscusso della rifondazione dell’identità italiana dopo il fascismo e la guerra, proprio come lo erano state, in re-

1 G. Tomasi di Lampedusa, Opere, a cura di G. Lanza Tomasi, Milano, Mondadori, 2006, p. 119. 2 Un’interessante riflessione sulla forza di Pinocchio come introduzione al carattere nazionale ita- liano è stata proposta da S. Stewart-Steinberg, The Pinocchio Effect: On Making Italians, 1860-1920, Chicago, The University of Chicago Press, 2007 (trad. it. di A.M. Paci: L’effetto Pinocchio. Italia 1861-

1922. La costruzione di una complessa identità, Roma, Elliot, 2011). Sui riusi e gli abusi di Pinocchio si

deve partire dalla pionieristica rassegna critica di L. Curreri, Play it again, Pinocchio!, in C. Collodi,

Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, introduzione di S. Bartezzaghi, prefazione di G. Jervis,

con un saggio di I. Calvino, Torino, Einaudi, 2002, pp. 183-202, cui hanno fatto seguito i lavori di F. Scrivano (a cura di), Variazioni Pinocchio. 7 letture sulla riscrittura del mito, Perugia, Morlacchi, 2010; K. Pizzi (a cura di), Pinocchio, Puppets, and Modernity: the mechanical body, New York, Taylor & Fran- cis, 2012; S. Jossa, Un paese senza eroi. L’Italia da Jacopo Ortis a Montalbano, Roma-Bari, Laterza, 2013, pp. 154-165; L. Curreri e M. Martelli (a cura di), Pinocchio e le “pinocchiate”. Nuove misure del ritor-

no, Cuneo, Nerosubianco, 2016; e L. Curreri, Play it again, Pinocchio. Saggi per una storia delle “pi- nocchiate”, Bergamo, Moretti & Vitali, 2017. Sulle trasformazioni iconografiche di Pinocchio si potrà

partire, invece, dalla “galleria” curata da N. Catelli e S. Scattina, Il corpo plurale di Pinocchio. Meta-

morfosi di un burattino, «arabeschi», n. 10, luglio-dicembre 2017: http://www.arabeschi.it/collection/

altà, già prima del fascismo e durante il fascismo:3 la fata del romanzo di Collodi era

infatti diventata esplicitamente “dai capelli tricolori” in gran parte della propaganda politica del dopoguerra, come ha dimostrato recentemente Stefano Pivato.4

L’associazione di Pinocchio con l’italianità discende in verità dalla presentazione stessa del libro, il giorno dopo la pubblicazione in volume nel 1883, sul Corriere del

Mattino di Firenze: «C’è in questo romanzetto tutto il succo del buon senso italiano

innestato al più schietto humour, che non ha più diritto di chiamarsi inglese».5 Non

solo italiano, ma campione dell’italianità, opposto all’inglesità fin dalla sua prima, propagandistica interpretazione, il libro di Collodi usciva subito dai confini regionali e si faceva interprete di una comunità nazionale, all’insegna di un tratto letteraria- mente e caratterialmente nuovo come l’umorismo6. Di qui partiva quella che Matteo

Di Gesù, proprio in associazione a Pinocchio, ha chiamato «la litania dei caratteri tipici dell’italianità».7

Isolando un dettaglio dalla storia di lunga durata dell’uso pubblico e politico del libro e dell’immagine di Pinocchio, nella convinzione che l’intreccio tra libri e mo- numenti, come suggeriva Ippolito Nievo, costituisca un deposito decisivo nella co- struzione della memoria di una nazione,8 in queste pagine verificheremo se e come

l’assunzione di Pinocchio a mito nazionale abbia portato anche a una forma di neu- tralizzazione ideologica del burattino. Lo studio dei monumenti nella costruzione della memoria collettiva e nazionale è infatti da tempo uno strumento privilegiato per verificare i meccanismi con cui il ricordo del passato è incorporato nello spazio del presente e le modalità con cui l’iconizzazione della storia ne condiziona la rice- zione.9 Il saggio contiene le prime risultanze, con relative riflessioni, di un più ampio 3 Sull’appropriazione fascista di Pinocchio cfr. L. Curreri, Pinocchio in camicia nera, Cuneo, Nero- subianco, 2008, da cui prende le mosse l’acuta analisi di C. Sinibaldi, Pinocchio, a Political Puppet: the

Fascist Adventures of Collodi’s Novel, «Italian Studies», LXVI, 2011, 3, pp. 333-352.

4 S. Pivato, L’uso politico di Pinocchio, in Id., Favole e politica. Pinocchio, Cappuccetto rosso e la Guerra

fredda, Bologna, il Mulino, 2015, pp. 91-110.

5 «Corriere del Mattino», 14 febbraio 1883.

6 Sul rapporto tra identità e carattere nazionale degli italiani si veda la discussione di S. Patriarca,

Italian Vices: Nation and Character from the Risorgimento to the Republic, Cambridge, Cambridge Uni-

versity Press, 2010, pp. 2-3 (trad. it. di S. Liberatore: Italianità. La costruzione del carattere nazionale, Roma-Bari, Laterza, 2010).

7 M. Di Gesù, Dispatrie lettere. Di Blasi, Leopardi, Collodi: letterature e identità nazionali, Roma, Arac- ne, 2005, p. 58.

8 «Per me la memoria fu sempre un libro, e gli oggetti che la richiamano a certi tratti de’ suoi annali mi somigliano quei nastri che si mettono nel libro alle pagine più interessanti. […] Il fatto si è che quei simboli del passato sono nella memoria d›un uomo, quello che i monumenti cittadini e nazionali nella memoria dei posteri. […] Un popolo che ha grandi monumenti onde inspirarsi non morrà mai del tut- to, e moribondo sorgerà a vita piú colma e vigorosa che mai.» (I. Nievo, Le confessioni di un italiano, a cura di S. Romagnoli, Venezia, Marsilio, 2006, p. 118).

9 La ricerca nel settore discende dalla pubblicazione del monumentale lavoro a cura di P. Nora,

Les lieux de mémoire, Paris, Gallimard, 1984-1992, cui vanno affiancate le precisazioni metodologiche

di M. Agulhon, La “statuomanie” et l’histoire, «Ethnologie française», n. s., VIII, 1978, 2/3 Pour une

anthropologie de l’art, pp. 145-172 (poi in Id., Histoire vagabonde, I. Ethnologie et politique dans la France contemporaine, Paris, Gallimard, 1988, pp. 138-185); P. Nora, Between Memory and History:

progetto sull’uso di Pinocchio come icona nazionale, di cui la prima parte è apparsa di recente in inglese in forma più divulgativa.10