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Il divenire di questa concezione della nazione nell’opera di Michelet

La concezione della nazione di Jules Michelet 1 Aurélien Aramin

3. Il divenire di questa concezione della nazione nell’opera di Michelet

Prima di vedere in che modo questa concezione della nazione si arricchirà nell’o- pera di Michelet, mi sembra necessario fare una precisione importante sul pensiero dell’autore della Storia di Francia. La sua filosofia della storia non è un sistema, è piuttosto una dinamica, un movimento teorico nel quale si arricchiscono o, a volte, si moderano le sue concezioni40. Questa dinamica intellettuale che si legge nell’opera

di Michelet, questi cambi teorici si capiscono a partire da due ragioni. La prima è quello dello storico. Dopo avere scritto l’Introduzione alla storia universale, Michelet comincia la sua monumentale Storia di Francia. Scrivendola, egli è il primo a elabo- rare una storia dal “basso”, la storia dei “senza voce”, di quelli che non sono mai stati negli annali ufficiali, la storia della “piccola gente”, accolta favorevolmente da storici così diversi come C. L. R. James o Lucien Febvre. Scrivendo la storia di Francia, Mi- chelet si rende conto che la sua prima lettura lineare e ottimista dello sviluppo della nazione lascia in ombra tutti quelli che sono stati sacrificati all’unità nazionale, tutti i “senza voce” che la monarchia e il cristianesimo hanno ridotto al silenzio: anche loro, anche tutti questi miserabili hanno un diritto. La seconda ragione è legata al confron- to con il primo pensiero di Michelet sulla “grande” Storia perché Michelet vive una rivoluzione, quella del 1848 e avrà un ruolo importante negli avvenimenti del 1848 quando sarà un professore emblematico al Collège de France ed il suo corso sarà sop- presso dal potere politico nel Gennaio 1848. Poco prima di questa terza rivoluzione, Michelet ha acquisto la convinzione che la rivoluzione del 1830 non è stata l’evento filosofico che credeva. Agli occhi dello Storico, la rivoluzione “fondatrice” della storia francese è piuttosto quella del 1789, di cui sta scrivendo la storia dal 1847. E, se pen- sa che si debba scrivere una Storia della Rivoluzione francese, è perché il professore al Collège de France è convinto che il popolo francese stia perdendo, stia dimenticando la sua tradizione, cioè la Rivoluzione con una R maiuscola.

Queste due ragioni vengono per così dire a modificare la sua prima filosofia della nazione. Svanisce progressivamente la sua visione ottimistica sul divenire dell’uma- nità, la sua fiducia nel progresso dove il cristianesimo e la monarchia avrebbero avu- to un ruolo rilevante. La sua lettura di un progresso continuo e lineare è stata messa in questione dai suoi lavori sul Medio Evo e dal suo tentativo di dare una voce ai senza voce, a tutti quelli che non hanno diritto alla storia e che sono stati dimenticati delle cronache ufficiali.

Nel 1847, Michelet pubblica il primo libro della Storia della rivoluzione francese. In questo libro, egli sviluppa una concezione “volontarista” della nazione che sem- bra, di primo acchito, molto diversa da quella dell’Introduzione alla storia universa-

le. Nell’Introduzione alla storia universale, la nazione è il prodotto della storia lunga

della Francia. Invece, nella Storia della Rivoluzione francese, la nazione nasce dalla volontà del popolo minuto.

Nelle elezioni dell’ 89 ma anche nella presa della Bastiglia, Michelet considera che l’azione creatrice decisiva è stata fatta da un popolo manifestando una “saggezza istintiva”. Nella Storia della Rivoluzione francese, il popolo, “l’unico eroe della rivo- luzione”41 è meno il popolo-populus intero che il popolo-plebs cioè la Francia dei

senza voce, la Francia contadina che non sa leggere, il popolo incolto, che costituisce la maggioranza presente nelle strade. Sono le classi incolte che fanno, grazie alla loro volontà, la storia e la fanno quando le classi sottoposte diventano una folla rivoluzio- naria. Il principio di organizzazione della folla rivoluzionaria è immanente. Non ha bisogno di una forza esterna, neanche di un capo per conservare il suo essere. Il suo movimento è, nel senso etimologico, autonomo. Contrariamente ai pensatori con- tro-rivoluzionari, Michelet non vede nella folla una plebaglia, un mucchio ignobile e incapace di ordine e di coerenza. Per Michelet, la folla nelle strade di Parigi e delle campagne non ha il potere, la folla è il potere42.

Il primo testo nel quale si legge questa “nuova” concezione della nazione figura nel primo libro della Storia della Rivoluzione francese. Si tratta delle elezioni del 1789. Michelet descrive come la “piccola gente”, i “piccoli” rompono con le relazioni sot- tomesse che costituiscono la società eleggendo dei deputati che potranno estende- re nelle istituzioni politiche l’atto rivoluzionario che hanno realizzato socialmente. Queste elezioni per gli “états généraux” ha istituito il popolo politico: eleggendo i suoi deputati, il popolo è passato dal nulla all’ essere. È dunque la decisione politica, l’atto di volontà che deve essere considerato come l’atto di nascita del popolo. Alla storico della rivoluzione, si pone il problema della “causa”: qual è la causa della capacità popolare? Nel testo del 1831, la capacità popolare del popolo francese si spiegava a partire dalla storia lunga, dall’incrocio delle razze e della mescolanza. Nella sto- riografia di Michelet nel 1847, non è più il caso. Nel primo volume della Storia della

Rivoluzione francese, la Rivoluzione è considerata come un “miracolo”, una decisione

senza cause, cioè un fiat che viene dalla potenza creatrice e dalle iniziative spontanee delle masse popolari. La Rivoluzione introduce una rottura nella linea cronologica e spezza dunque il filo del tempo. La nazione francese e il popolo nascono come un

41 Michelet, Histoire de la Révolution française, éd. Gérard Walter, 2 volumes, Gallimard, «Bibl. de la Pléiade», 1952.

42 Sulla concezione della fola rivoluzionaria in Michelet, vedi il mio articolo «Les deux conceptions micheletiennes de la foule révolutionnaire », in E. Bovo, La foule, Besançon, Presses Universitaires de Franche-Comté, 2015, pp. 55-73. Non svilupperò quello che ho identificato come un pensiero «po- pulista» radicale. Solo un accenno: questo pensiero populista è stato elaborato da Michelet nel suo libro Il Popolo e nei suoi corsi al Collège de France del 1847-1848 (Cours au Collège de France (1838-

1851) pubblicati da Paul Viallaneix, con la collaborazione di Oscar A. Haac e Irène Tieder, 2 volumi,

NRF Gallimard, Bibliothèque des histoires, Parigi, 1995. Questo pensiero “populista”, infatti, è fondato sull’idea di una saggezza o “sapienza” delle classi incolte, che proviene dall’interpretazione eterodossa che Michelet fa dell’opera di Vico e soprattutto del concetto vichiano di “sapienza volgare” cioè di una sapienza irriflessiva.

miracolo: non è possibile iscriverli nella continuità delle istituzioni monarchiche e religiose43.