• Non ci sono risultati.

Conclusione: il rapporto fra VI 1-3 [42-44] e V 7 [18]

3. Il metodo di Plotino: l’analogia strutturale con VI 1-3 [42-44]

3.3 Conclusione: il rapporto fra VI 1-3 [42-44] e V 7 [18]

Giunti al termine di questo terzo capitolo, è opportuno fare qualche breve riflessione

conclusiva sui risultati raggiunti e sulla loro utilità in vista di una più ampia prospettiva ermeneutica. Ritengo infatti, come già detto in precedenza, che l’interpretazione del trattato VI 1-3 [42-44] che ho cercato di presentare in questa sezione possa essere d’aiuto per l’interpretazione complessiva del trattato V 7 [18]. Si considerino brevemente le conclusioni a cui si è giunti: in VI 1-3 Plotino prende come punto di riferimento polemico l’aristotelismo alessandrista, e critica Alessandro in quanto, non riuscendo a conferire piena sostanzialità alla forma, equiparando il suo statuto a quello di una qualità, e non essendo disposto ad ammettere la sostanzialità della materia per non ricadere nel materialismo di Boeto, finisce per incorrere in un’aporia piuttosto grave, giacché, in questi termini, il composto di materia e forma risulterebbe una non-sostanza, un semplice ammasso di materia e qualità, del tutto simile all’ἰδίως ποιόν stoico. Trasportando questo discorso sulla forma e sulla materia nell’ambito del singolo individuo, costituito da anima e corpo (secondo un’analogia usata diffusamente da Alessandro in tutti i testi presi in esame nella prima parte di questa sezione, dal De anima alle Quaestiones), ne risulta che il singolo uomo, il particolare Socrate, non è una sostanza, ma una semplice συμφόρησις ποιοτήτων καὶ ὕλης, il che è particolarmente problematico, giacché in tal modo si arriverebbe a negare la sostanzialità della sostanza prima delle Categorie. Una simile conclusione sarebbe chiaramente inaccettabile per Alessandro, a cui, secondo Plotino, non resta che una sola via per non incorrere in aporie e difficoltà: garantire piena sostanzialità alla forma secondo i criteri di Metafisica Z, determinandola come un χωριστὸν, seguendo peraltro un’intuizione dello stesso Alessandro che alla fine del De anima parla di forme καθ’αὑτά e χωρὶς ὕλης. In tal modo, la forma aristotelica diventa un’idea platonica, appartenente a una differente dimensione della realtà, quella intellegibile: il platonismo è l’esito inevitabile dell’aristotelismo, se non vuole

142

rimanere impigliato in gravi contraddizioni e se non vuole ricadere in un materialismo stoico riflesso nell’esegesi di Boeto. Quello che risulta chiaro da tutto questo discorso dunque è che la sostanzialità dell’individuo (il composto di materia e forma) deriva dalla sostanzialità della forma intellegibile. L’individualità e la sostanzialità di quello che altrimenti sarebbe un semplice aggregato di materia e qualità è garantito dalla partecipazione alla forma Uomo, che è presente nell’intellegibile.

Una simile tesi, a mio avviso, costituisce l’oggetto fondamentale anche del trattato V 7 [18], che dovrebbe dunque essere letto in modo speculare a VI 1-3 [42-44]. Non credo infatti che il punto del trattato sia la risoluzione del problema riguardante la presunta esistenza di idee di individui, come sembrerebbe suggerire il titolo di Porfirio e come generalmente pensano gli studiosi di questo scritto. Piuttosto, ritengo che il vero tema di questo trattato sia quello del principio di individuazione e del concetto di individualità. Che le cose stiano così si vede bene nel primo capitolo di V 7, che inizia con la celebre domanda, richiamata in precedenza, «Εἰ καὶ τοῦ καθέκαστόν ἐστιν ἰδέα;». In seguito si fa riferimento alla discesa dell’anima nella dimensione intellegibile e alla dottrina della reincarnazione, per poi passare a parlare dei λόγοι, tema centrale dell’intero scritto. Plotino introduce questa nozione di origine stoica senza alcun preavviso, e senza specificare che cosa intenda con essa. Tuttavia, come ricordato in precedenza388, Paulina Remes afferma giustamente che V 7 [18] deve essere considerato come la continuazione del trattato II 6 [17], dal quale emerge l’idea che i λόγοι siano princìpi intellegibili dai quali dipendono tanto le differenze essenziali, cioè le aristoteliche qualità primarie (come ad esempio “bipede” o “quadrupede”), quanto le qualità accidentali o secondarie (come ad esempio il bianco). In V 7, 1 Plotino riprende questa concezione espressa in precedenza inserendola all’interno della teoria stoica dei cicli cosmici, arrivando a chiedersi se sia necessario che in un singolo periodo ciclico ci debbano essere tanti λόγοι quanti sono gli individui nati in un tale ciclo. La risposta plotiniana a una tale questione è data nei termini seguenti:

Ἀρκεῖν γὰρ ἕνα ἄνθρωπον εἰς πάντας ἀνθρώπους, ὥσπερ καὶ ψυχὰς ὡρισμένας ἀνθρώπους ποιούσας ἀπείρους. Ἢ τῶν διαφόρων οὐκ ἔστιν εἶναι τὸν αὐτὸν λόγον, οὐδὲ ἀρκεῖ ἄνθρωπος πρὸς παράδειγμα τῶν τινῶν ἀνθρώπων διαφερόντων ἀλλήλων οὐ τῇ ὕλῃ μόνον, ἀλλὰ καὶ ἰδικαῖς διαφοραῖς μυρίαις· οὐ γὰρ ὡς αἱ εἰκόνες Σωκράτους πρὸς τὸ ἀρχέτυπον, ἀλλὰ δεῖ τὴν διάφορον ποίησιν ἐκ διαφόρων λόγων.389 388 Cfr. supra, pp. 36-37. 389 V 7, 1, 16-23.

143

Infatti un solo uomo è sufficiente per tutti gli uomini, così come anche delle anime limitate di numero producono un’infinità di uomini. Certamente non è possibile che ci sia lo stesso logos per individui differenti, né è sufficiente un uomo come modello di molti uomini che differiscono tra loro non solo per la materia, ma anche per innumerevoli differenze formali; essi infatti non stanno al loro modello come i ritratti di Socrate all’originale, ma è necessario che la loro differente composizione derivi da differenti logoi.390

In questo passo Plotino respinge la concezione platonica classica secondo cui le cose sensibili sono in numero maggiore rispetto ai loro modelli, asserendo che la partecipazione alla forma Uomo non è sufficiente per rendere ragione delle molteplici differenze individuali degli uomini particolari, che non sono paragonabili ai ritratti di Socrate a confronto con il vero Socrate. Gli uomini particolari infatti, come afferma Plotino, non differiscono fra loro solo in virtù della materia, ma anche ἰδικαῖς διαφοραῖς μυρίαις, e queste differenze particolari sono spiegabili solo facendo riferimento a differenti λόγοι. Dunque quello che sta affermando Plotino è che i singoli uomini sono caratterizzati da insiemi di qualità e differenze particolari, che dipendono a loro volta da λόγοι intellegibili, e che sono unificati in virtù della partecipazione di tutti gli uomini alla forma Uomo (che però da sola, senza riferimento ai λόγοι, non è in grado di rendere ragione delle differenze particolari). In un certo senso, Plotino in questo passo sta facendo propria la dottrina stoica dell’ἰδίως ποιόν (come sembra rivelare anche l’uso del termine ἰδικαῖς): ogni individuo risulta infatti determinato da un insieme di qualità, da una συνδρομὴ ποιοτήτων. Tuttavia, queste qualità sono spiegate solo attraverso un doppio riferimento alla dimensione intellegibile, attraverso la menzione dei λόγοι e della forma Uomo (giacché si parla esplicitamente dell’ἄνθρωπος come di un παράδειγμα), princìpi che vanno chiaramente al di fuori dell’orizzonte della filosofia stoica, la quale riconosceva la dipendenza della συνδρομὴ ποιοτήτων da un λόγος spermatico, da concepire però in termini puramente materiali. Questa tesi di fondo trova riscontro anche in ulteriori passi di V 7, in cui la posizione di Plotino si precisa maggiormente: l’idea è che l’anima di ogni individuo possiede tutti i λόγοι esistenti; tuttavia, di volta in volta, nelle varie reincarnazioni a cui è soggetta l’anima, solo un determinato λόγος sarà attivo. A questo λόγος, di natura intellegibile, è connesso lo specifico set di proprietà che caratterizza il singolo individuo. Pertanto i singoli uomini, nell’ottica plotiniana, sono effettivamente caratterizzati da un insieme di qualità, ma tali qualità sono

390 La traduzione italiana è mia.

144

da rincondurre a un λόγος che non è materiale (come il λόγος spermatico a cui fanno riferimento gli Stoici), ma intellegibile, λόγος che è proprio dell’anima ma che rinvia all’ipostasi dell’Intelletto391.

Peraltro, bisogna rilevare come la tesi di Plotino sia inserita all’interno della confutazione di alcuni argomenti stoici: l’intero trattato infatti si sviluppa a partire da concetti della Stoa che, allo stesso modo della dottrina dell’ἰδίως ποιόν, vengono in parte fatti propri da Plotino e in parte criticati, quali ad esempio la concezione dei cicli dell’universo e la dottrina della generazione. Plotino non si limita a contrapporre due tesi, quella platonica e quella stoica, ma si mette dal punto di vista degli Stoici, assumendo loro concezioni e adottando loro argomenti, per mostrare come sia necessario, a partire da una tale base condivisa, arrivare all’idea di una dipendenza dell’individualità dalla dimensione intellegibile. Lo stesso termine λόγος, come è noto, ha un’importanza centrale nella filosofia stoica, e Plotino ha buon gioco di riprenderlo utilizzandolo nelle proprie argomentazioni392.

Come si può vedere, il procedimento è analogo a quello adottato nel trattato VI 1-3: si riprende dall’interno una particolare concezione filosofica (quella aristotelica da una parte e quella stoica dall’altra) portandone in luce le difficoltà e le contraddizioni interne e mostrando come esse possano essere risolte unicamente abbracciando una nuova prospettiva (quella platonica), che dunque è, in qualche modo, l’esito inevitabile della posizione filosofica assunta in partenza, se quest’ultima vuole mantenere una certa coerenza interna. L’analogia di metodo sussistente fra i due trattati permette di andare ancora oltre, e di scorgere, come già anticipato, anche una certa affinità dal punto di vista del contenuto filosofico. La tesi centrale di Plotino, comune a entrambi i trattati, è la necessità di postulare una dimensione intellegibile per rendere ragione dell’individualità. Da un lato infatti, in VI 1-3, si mostra come la sostanza individua, per essere realmente tale, debba derivare la sua sostanzialità da una forma concepita come intellegibile e separata dalla materia, e, dall’altra, in V 7, si fa vedere come il set di qualità che determina ciascun individuo possa spiegarsi unicamente collegando tali qualità a un λόγος intellegibile. Come si vede, in entrambi i casi il punto di partenza è la posizione filosofica degli interlocutori di Plotino:

391 Non è questa la sede appropriata per discutere nel dettaglio questi passi. Per il momento mi limito a

segnalare V 7, 2, 1-6; 17-23; 3, 6-13, rinviando al commento testuale per un’analisi più approfondita.

392 Il termine λόγος peraltro in Plotino ha una molteplicità di significati diversi, come già ricordato in

precedenza: cfr. supra, pp. 54-55; su questo tema e sulla connessione col pensiero stoico cfr. in partic. Witt R.E., «The Plotinian logos and its Stoic basis», The Classical Quarterly 25 (1931), pp. 103-11 e Graeser A.,

145

(a1) In VI 1-3 l’aristotelismo alessandrista, secondo cui la sostanza individua è costituita da materia e forma.

(b1) In V 7 la teoria stoica dell’ἰδίως ποιόν, secondo cui l’individuo è costituito da un insieme di qualità legate a un λόγος spermatico materiale.

In entrambi i casi queste teorie non vengono direttamente criticate; al contrario, sono in parte riprese da Plotino, che le fa proprie, le analizza dall’interno, ne mostra le problematiche e le contraddizioni che possono essere risolte solamente facendo riferimento all’ontologia platonica. I risultati raggiunti nei due trattati sono infatti differenti ma complementari: differenti per la teoria filosofica con cui dialoga Plotino, complementari per la critica comune a cui queste differenti teorie filosofiche vengono sottoposte. Si confrontino infatti le prospettive dei due trattati:

(a2) In VI 1-3 la conclusione plotiniana è che l’unico modo per rendere ragione della

sostanzialità della sostanza prima delle Categorie è far ricorso alla sostanzialità della forma, che deve essere concepita come separata dalla materia, secondo i criteri di sostanzialità di Metafisica Z, e dunque come un’idea platonica, appartenente al mondo intellegibile.

(b2) In V 7 la conclusione plotiniana è che l’unico modo per concepire l’individuo come

un insieme di qualità legate a un λόγος senza cadere in contraddizioni e aporie è concepire questo λόγος come intellegibile, dipendente in ultima analisi dalla forma intellegibile dell’Uomo.

Mi sembra evidente la perfetta specularità di (a2) e (b2): la critica comune di Plotino si rivolge a coloro che non postulano una dimensione intellegibile dell’individualità. La critica plotiniana tuttavia non è superficiale, e non si risolve in un semplice rimprovero aprioristico agli Stoici e ad Aristotele di non aver considerato l’intellegibile nella loro riflessione: una tale posizione infatti, come già ricordato nei capitoli precedenti, si rivelerebbe una sterile petitio principii. Al contrario, la critica di Plotino è una critica che parte dall’interno, e che muove dai presupposti stessi delle filosofie che cerca di contrastare. In V 7 è fatta propria la dottrina stoica dell’individuo, e in VI 1-3 quella aristotelica della sostanza, e in entrambi i trattati questa operazione è funzionale a mostrare come le contraddizioni e le aporie presenti in queste filosofie possano risolversi solo abbracciando l’ontologia platonica, che è l’esito inevitabile a cui devono giungere sia gli Stoici che gli aristotelici se vogliono rimanere coerenti con i propri presupposti. In V 7 in particolare, come si vedrà nel commento al trattato, l’operazione plotiniana consiste nel mettere in luce la contraddittorietà della

146

posizione stoica in relazione all’apparente inconciliabilità della loro dottrina dell’ἰδίως ποιόν con le loro teorie sulla generazione e sugli indifferenti, inconciliabilità che deriva da una concezione materialistica dei λόγοι, e che può essere superata solo attraverso una comprensione di essi come princìpi intellegibili.

Peraltro, non si deve incorrere nell’errore di considerare i due trattati come rivolti specificamente contro un unico bersaglio polemico: come si è visto infatti, in VI 1-3 ad essere criticata è anche la dottrina stoica delle categorie, e si riprende, confutandolo, lo stesso concetto di ἰδίως ποιόν. Allo stesso modo, in V 7, sebbene non venga mai nominato esplicitamente Aristotele, tuttavia è possibile individuare alcuni riferimenti specifici, in particolare nell’espressione «Αὐτοσωκράτης», a cui mi sono richiamato in precedenza. Credo infatti che sia possibile scorgere in questa espressione un riferimento polemico alla dottrina della sostanza individua ricercata da Aristotele, e che il senso polemico di questa espressione sia da individuare nel fatto che, secondo Plotino, è possibile trovare e definire questa sostanza individua, secondo le stesse intenzioni dello Stagirita, ma tuttavia essa deve avere lo statuto di una causa intellegibile393. Questa espressione peraltro, come notato da Chiaradonna, richiama chiaramente l’espressione «αὐτοέκαστον» dell’Etica Nicomachea394, a ulteriore riprova della possibile allusione plotiniana ad Aristotele all’inizio di V 7. Più in generale, come si vedrà dal commento alle singole righe del trattato, all’inizio di V 7 il principale interlocutore plotiniano è proprio Aristotele, giacché la questione posta da Plotino all’esordio del trattato è se sia possibile concepire una dimensione intellegibile dell’individualità senza far riferimento alle idee di individui (soggette alla critica aristotelica) e senza dover essere costretti ad abbracciare una teoria materialistica dell’individualità, secondo il dettato aristotelico e stoico. Per risolvere una simile questione, Plotino farà propria, come già detto, la dottrina stoica dell’ἰδίως ποιόν, e tutti i suoi sforzi saranno volti a mostrare come in tale dottrina, secondo gli stessi presupposti degli Stoici, sia necessario cogliere un riferimento alla dimensione intellegibile dell’individuo, che non risiede nelle idee di particolari, ma nei λόγοι da cui dipendono i set di qualità che caratterizzano ed individuano ciascun uomo. L’operazione di Plotino, nelle sue linee essenziali, consiste dunque nel far propria la dottrina stoica contro Aristotele (dopo aver opportunamente depurato tale dottrina dai suoi elementi materialistici).

393 Su questo punto si vedano anche le considerazioni di Cristina D’Ancona in op. cit.

394 EN 1096a35. Cfr. Chiaradonna R., «Plotinus on Sensible Particulars and Individual Essences», in

147

In definitiva, ritengo su queste basi che la domanda iniziale di V 7, «Εἰ καὶ τοῦ καθέκαστόν ἐστιν ἰδέα;», non debba essere inserita all’interno di un dibattito di matrice platonica che affonda le sue radici nel Parmenide e nel Timeo; penso piuttosto che essa debba essere letta come una questione sulla possibilità di concepire una dimensione intellegibile dell’individualità. Secondo quest’ottica dunque V 7 non affronta una tematica prettamente interna al platonismo, ma ha piuttosto come interlocutori polemici la teoria dell’individuo degli Stoici e quella aristotelica della sostanza prima delle Categorie. In questi termini, mi sembra che lo sviluppo di V 7 assuma una chiarezza e una coerenza di fondo che spesso non è stata riconosciuta dagli studiosi di questo trattato, e l’interpretazione di VI 1-3 che ho cercato di presentare in questo terzo capitolo risulta decisiva per questo risultato, giacché, come si è visto, sia il metodo polemico che il nucleo concettuale di fondo sono gli stessi in entrambi i trattati.

148

TESTO E TRADUZIONE DI V 7 [18]

Nota al testo: il testo greco qui riprodotto corrisponde per la maggior parte a quello stabilito in Plotini Opera ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, Tomus II, Enneades IV-V, Oxonii e typographeo clarendoniano 1977, pp. 264-267. I passi in cui ho ritenuto opportuno discostarmi da tale edizione sono puntualmente segnalati e motivati nei relativi commenti.

149 V 7 [18] ΠΕΡΙ ΤΟΥ ΕΙ ΚΑΙ ΤΩΝ ΚΑΘΕΚΑΣΤΑ ΕΙΣΙΝ ΙΔΕΑΙ 1. Εἰ καὶ τοῦ καθέκαστόν ἐστιν ἰδέα; ἢ εἰ ἐγὼ καὶ ἕκαστος τὴν ἀναγωγὴν ἐπὶ τὸ νοητὸν ἔχει, καὶ ἑκάστου ἡ ἀρχὴ ἐκεῖ. ἢ εἰ μὲν ἀεὶ Σωκράτης καὶ ψυχὴ Σωκράτους, ἔσται Αὐτοσωκράτης <ὡς λέγεται ἐκεῖ>, καθὸ ᾗ ψυχὴ καθέκαστα καὶ 5 ἐκεῖ [ὡς λέγεται ἐκεῖ]. εἰ δ’ οὐκ ἀεί, ἀλλὰ ἄλλοτε ἄλλη γίγνεται ὁ πρότερον Σωκράτης, οἷον Πυθα- γόρας ἤ τις ἄλλος, οὐκέτι ὁ καθέκαστα οὗτος κἀκεῖ. ἀλλ’ εἰ ἡ ψυχὴ ἑκάστου ὧν διεξέρχεται τοὺς λόγους ἔχει πάντων, πάντες αὖ ἐκεῖ· ἐπεὶ καὶ λέγομεν, ὅσους ὁ κόσμος ἔχει λό- 10 γους, καὶ ἑκάστην ψυχὴν ἔχειν. εἰ οὖν καὶ ὁ κόσμος μὴ ἀν- θρώπου μόνου, ἀλλὰ καὶ τῶν καθέκαστα ζῴων, καὶ ἡ ψυ- χή· ἄπειρον οὖν τὸ τῶν λόγων ἔσται, εἰ μὴ ἀνακάμπτει περιόδοις, καὶ οὕτως ἡ ἀπειρία ἔσται πεπερασμένη, ὅταν ταὐτὰ ἀποδιδῶται. εἰ οὖν ὅλως πλείω τὰ γινόμενα τοῦ 15 παραδείγματος, τί δεῖ εἶναι τῶν ἐν μιᾷ περιόδῳ πάντων γινομένων λόγους καὶ παραδείγματα; ἀρκεῖν γὰρ ἕνα ἄνθρωπον εἰς πάντας ἀνθρώπους, ὥσπερ καὶ ψυχὰς ὡρισ- μένας ἀνθρώπους ποιούσας ἀπείρους. ἢ τῶν διαφόρων οὐκ ἔστιν εἶναι τὸν αὐτὸν λόγον, οὐδὲ ἀρκεῖ ἄνθρωπος πρὸς 20 παράδειγμα τῶν τινῶν ἀνθρώπων διαφερόντων ἀλλήλων οὐ τῇ ὕλῃ μόνον, ἀλλὰ καὶ ἰδικαῖς διαφοραῖς μυρίαις· οὐ

150 γὰρ ὡς αἱ εἰκόνες Σωκράτους πρὸς τὸ ἀρχέτυπον, ἀλλὰ δεῖ τὴν διάφορον ποίησιν ἐκ διαφόρων λόγων. ἡ δὲ πᾶσα περίοδος πάντας ἔχει τοὺς λόγους, αὖθις δὲ τὰ αὐτὰ πάλιν 25 κατὰ τοὺς αὐτοὺς λόγους. τὴν δὲ ἐν τῷ νοητῷ ἀπειρίαν οὐ δεῖ δεδιέναι· πᾶσα γὰρ ἐν ἀμερεῖ, καὶ οἷον πρόεισιν, ὅταν ἐνεργῇ.

151 2. Ἀλλ’εἰ αἱ μίξεις τῶν λόγων ἄρρενος καὶ θήλεος διαφόρους ποιοῦσιν, οὐκέτι τοῦ γινομένου ἑκάστου λόγος τις ἔσται, ὅ τε ἑκάτερος γεννῶν, οἷον ὁ ἄρρην, οὐ κατὰ διαφόρους λόγους ποιήσει, ἀλλὰ καθ’ ἕνα τὸν αὐτοῦ ἢ 5 πατρὸς αὐτοῦ. ἢ οὐδὲν κωλύει καὶ κατὰ διαφόρους τῷ τοὺς πάντας ἔχειν αὐτούς, ἄλλους δὲ ἀεὶ προχείρους. ὅταν δὲ ἐκ τῶν αὐτῶν γονέων διάφοροι; ἢ διὰ τὴν οὐκ ἴσην ἐπικράτησιν. ἀλλ’ ἐκεῖνο, ὅτι οὔ, κἂν εἰ ἐν τῷ φαίνεσθαι, ὁτὲ μὲν κατὰ τὸ ἄρρεν τὸ πλεῖστον, ὁτὲ δὲ 10 κατὰ τὸ θῆλυ, ἢ κατὰ τὸ ἴσον μέρος ἔδωκεν ἑκάτερος, ἀλλ’ ὅλον μὲν ἔδωκε καὶ ἔγκειται, κρατεῖ δὲ τῆς ὕλης μέρος ἑκατέρου ἢ θάτερον. οἱ δὲ ἐν ἄλλῃ χώρᾳ πῶς διάφοροι; ἆρ’ οὖν ἡ ὕλη τὸ διάφορον οὐχ ὁμοίως κρατουμένη; πάν- τες ἄρα χωρὶς ἑνὸς παρὰ φύσιν. εἰ δὲ τὸ διάφορον πολλα- 15 χοῦ καλόν, οὐχ ἓν τὸ εἶδος. ἀλλὰ τῷ αἴσχει μόνῳ ἀπο- δοτέον τὸ παρὰ τὴν ὕλην κἀκεῖ τῶν τελείων λόγων κεκρυμ- μένων μέν, δοθέντων δὲ ὅλων. ἀλλ’ ἔστωσαν διάφοροι οἱ λόγοι· τί δεῖ τοσούτους, ὅσοι οἱ γινόμενοι ἐν μιᾷ περιό- δῳ, εἴπερ ἔνι τῶν αὐτῶν διδομένων διαφόρους ἔξωθεν φαί- 20 νεσθαι; ἢ συγκεχώρηται τῶν ὅλων διδομένων, ζητεῖται δέ, εἰ τῶν αὐτῶν κρατούντων. ἆρ’ οὖν, ὅτι τὸ ταὐτὸν πάντη ἐν τῇ ἑτέρᾳ περιόδῳ, ἐν ταύτῃ δὲ οὐδὲν πάντη ταὐ- τόν;

152 3. Πῶς οὖν ἐπὶ πολλῶν διδύμων διαφόρους φήσομεν τοὺς λόγους; εἰ δὲ καὶ ἐπὶ τὰ ἄλλα ζῷά τις ἴοι καὶ τὰ πολύτοκα μάλιστα; ἢ, ἐφ’ ὧν ἀπαράλλακτα, εἷς λόγος. ἀλλ’ εἰ τοῦτο, οὐχ, ὅσα τὰ καθέκαστα, τοσοῦτοι καὶ 5 οἱ λόγοι. ἢ ὅσα διάφορα τὰ καθέκαστα, καὶ διάφορα οὐ τῷ ἐλλείπειν κατὰ τὸ εἶδος. ἢ τί κωλύει καὶ ἐν οἷς ἀδιάφορα; εἴπερ τινὰ ὅλως ἐστὶ πάντη ἀδιάφορα. ὡς γὰρ ὁ τεχνίτης, κἂν ἀδιάφορα ποιῇ, δεῖ ὅμως τὸ ταὐτὸν δια- φορᾷ λαμβάνειν λογικῇ, καθ’ ἣν ἄλλο ποιήσει προσφέρων 10 διάφορόν τι τῷ αὐτῷ· ἐν δὲ τῇ φύσει μὴ λογισμῷ γινομέ- νου τοῦ ἑτέρου, ἀλλὰ λόγοις μόνον, συνεζεῦχθαι δεῖ τῷ εἴδει τὸ διάφορον· ἡμεῖς δὲ λαμβάνειν τὴν διαφορὰν ἀδυ- νατοῦμεν. καὶ εἰ μὲν ἡ ποίησις ἔχει τὸ εἰκῆ τοῦ ὁποσαοῦν, ἄλλος λόγος· εἰ δὲ μεμέτρηται, ὁπόσα τινὰ εἴη, τὸ ποσὸν 15 ὡρισμένον ἔσται τῇ τῶν λόγων ἁπάντων ἐξελίξει καὶ ἀνα- πλώσει· ὥστε, ὅταν παύσηται πάντα, ἀρχὴ ἄλλη· ὁπόσον γὰρ δεῖ τὸν κόσμον εἶναι, καὶ ὁπόσα ἐν τῷ ἑαυτοῦ βίῳ δι- εξελεύσεται, κεῖται ἐξ ἀρχῆς ἐν τῷ ἔχοντι τοὺς λόγους. ἆρ’οὖν καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων ζῴων, ἐφ’ ὧν πλῆθος ἐκ μιᾶς 20 γενέσεως, τοσούτους τοὺς λόγους; ἢ οὐ φοβητέον τὸ ἐν τοῖς σπέρμασι καὶ τοῖς λόγοις ἄπειρον ψυχῆς τὰ πάντα ἐχούσης. ἢ καὶ ἐν νῷ, ᾗ ἐν ψυχῇ, τὸ ἄπειρον τούτων ἀνά- παλιν τῶν ἐκεῖ προχείρων.

153 V 7 [18]

Se esistono idee anche di particolari

1. 1-7 Esiste un’idea anche di ciascuna cosa particolare? Certamente se io e ciascun

individuo abbiamo la possibilità di compiere l’ascesa alla realtà intellegibile, anche il principio di ciascuno di noi si troverà lassù. Certamente se Socrate e l’anima di Socrate rimangono sempre tali, lassù ci sarà, come si dice, un “Socrate in sé”, così che l’anima esisterà in modo individuale anche lassù. Se invece non rimangono sempre tali, ma quello che prima era Socrate nasce ora qua ora là, come Pitagora o come qualcun altro, questo individuo particolare non sarà più anche lassù.

7-14 Ma se l’anima di ciascuno possiede i logoi di tutti gli individui che attraversa, tutti a

loro volta saranno lassù; dal momento che diciamo anche che, quanti logoi possiede il cosmo, anche l’anima individuale li possiede. Se dunque anche il cosmo possiede i logoi non solo dell’uomo, ma anche di tutti gli animali particolari, così sarà anche per l’anima; infinito sarebbe dunque il numero dei logoi, se il cosmo non ripiegasse in periodi ciclici, e così l’infinità avrà un limite, quando si riprodurranno le stesse cose.

14-23 Se dunque nel complesso dei periodi le cose che nascono sono più numerose rispetto

al modello, perché è necessario che ci siano logoi e modelli per tutte quante le cose che nascono in un periodo? Infatti un solo uomo è sufficiente per tutti gli uomini, così come anche delle anime limitate di numero producono infiniti uomini. Certamente non è possibile che ci sia lo stesso logos per individui differenti, né è sufficiente un uomo come modello di molti uomini che differiscono tra loro non solo per la materia ma anche per innumerevoli differenze formali; essi infatti non stanno al loro modello come i ritratti di Socrate all’originale, ma è necessario che la loro differente composizione derivi da differenti logoi.

23-27 L’intero periodo ciclico possiede tutti i logoi, e in seguito si ripetono di nuovo le stesse

cose secondo gli stessi logoi. Dell’infinità che si trova nel mondo intellegibile non è il caso di avere timore; essa infatti si trova tutta quanta in un’unità indivisibile, e, per così dire, esce fuori, quando agisce.

154

2. 1-5 Ma se le mescolanze dei logoi del maschio e della femmina producono differenti figli,

non ci sarà più un logos per ciascun individuo che nasce, e ciascuno dei due genitori, ad esempio il maschio, non li produrrà secondo differenti logoi, ma secondo uno solo, il suo o quello di suo padre.

5-6 Certamente niente impedisce che li producano anche secondo logoi differenti, in quanto

essi li possiedono tutti, ma quelli disponibili sono sempre diversi.

7-13 Ma quando dagli stessi genitori nascono figli differenti? Certamente è a causa del

disuguale dominio dei logoi. Ma vi è questo da considerare, che, anche se apparisse in questo modo, non è che (a) la maggior parte del logos è trasmessa ora secondo l’elemento maschile, ora secondo l’elemento femminile, o che (b) ciascuno dei due trasmette il logos secondo la stessa parte, ma (c) ciascuno dei due lo trasmette interamente ed esso è presente interamente, ma domina sulla materia la parte di uno dei due o un’altra parte. E quelli che sono concepiti in differenti regioni della materia, in che modo sono differenti? Dunque non è forse la materia che genera la differenza, non essendo dominata allo stesso modo?

13-17 Tutti allora, tranne uno, sarebbero contro natura. Ma se la differenza comporta, sotto

vari aspetti, la bellezza, la forma non sarà una. Ma solo alla bruttezza è da attribuire ciò che è secondo la materia, dal momento che anche lassù i logoi perfetti sono nascosti, ma dati interamente.

17-23 Ma siano differenti i logoi; perché è necessario che siano tanti quanti gli individui nati

in uno stesso periodo ciclico, se è vero che è possibile che, essendo dati gli stessi logoi, appaiano differenze dall’esterno? Certo, questo è stato ammesso poiché i logoi sono dati interamente, ma ora ci si chiede se lo è nel caso in cui siano gli stessi logoi a dominare. Forse dunque sono necessari logoi diversi, visto che l’assolutamente identico si presenta in un altro periodo ciclico, mentre in questo non c’è niente di assolutamente identico?

155

3. 1-6 Come dunque potremo dire che i logoi sono differenti tra più gemelli? E se qualcuno

si rivolgesse anche agli altri animali, e in particolare a quelli che sono molto prolifici? Certamente, se essi sono indistinguibili, ci sarà un solo logos. Ma se è così, non ci saranno