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Plotino e l’aristotelismo alessandrista

3. Il metodo di Plotino: l’analogia strutturale con VI 1-3 [42-44]

3.2 Plotino e l’aristotelismo alessandrista

Il quadro che è emerso dal capitolo precedente è profondamente frammentario e problematico, e mostra la presenza, nella riflessione di Alessandro, di molteplici tensioni interne in riferimento al tema della sostanzialità, che in parte derivano dai testi aristotelici delle Categorie, di Metafisica Δ e Z e del De anima, e che in parte sono amplificate dall’Esegeta in relazione al contesto polemico in cui si trova ad operare. Tali tensioni possono in definitiva essere ricondotte a due livelli principali:

(a) La necessità di asserire e giustificare la priorità sostanziale della forma per contrastare la linea esegetica di Boeto, che considera sostanze a pieno titolo solo la materia e il composto.

(b) La necessità di non conferire alla forma aristotelica lo stesso statuto di un’idea platonica.

Tali necessità sono contrastanti e difficilmente armonizzabili fra di loro, e quello che ne risulta, come si è visto, è una serie di affermazioni disorganiche e in contraddizione fra loro che rendono difficile ricostruire una dottrina alessandrista unitaria, lineare e coerente a proposito della sostanza. Tuttavia, vi è stato fra gli studiosi chi ha cercato di sanare almeno in parte queste contraddizioni e di restituire un’immagine quanto più possibile coerente della riflessione di Alessandro: è il caso in particolare di Marwan Rashed, che tenta di conciliare

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fra loro le diverse esposizioni alessandriste legate al tema della sostanzialità323. L’idea generale è che l’obiettivo ultimo dell’Esegeta sia quello di affermare la priorità sostanziale della forma sulla materia e sul composto, ed è secondo questa chiave ermeneutica che lo studioso approccia i diversi testi. Per quanto riguarda il De anima, Rashed ammette che in esso vi sono molte espressioni rigidamente dualiste in relazione alla distinzione fra materia e forma e ammette anche che la tendenza generale è quella di privilegiare il composto sulla forma, ma considera in generale l’inizio del De anima come nient’altro che una spiegazione di base molto semplificata dell’ilemorfismo aristotelico, adottata con intento pedagogico ad uso e consumo degli studenti di Alessandro. Sarebbe dunque sbagliato ricercare nelle affermazioni di questo testo tesi alessandriste vere e proprie; in esso si può trovare solo un’esposizione introduttiva delle idee del De anima aristotelico piegata a un’esigenza di chiarezza e semplicità, e connessa con una polemica antistoica che impone di irrigidire la distinzione fra materia e forma (in relazione alla divisione stoica fra corpi e incorporei)324.

Un analogo irrigidimento dell’ilemorfismo aristotelico si avrebbe secondo Rashed in Mantissa 3, in cui le affermazioni alessandriste devono essere inserite nel contesto di una confutazione della tesi stoica della materialità dell’anima: qui Alessandro sta polemizzando con gli Stoici, e deve dunque fare alcune concessioni per poter ingaggiare il dibattito con i suoi avversari, essendo pertanto «contraint de […] ne bien sûr pas trop insister sur les raffinements de l’hylémorphisme»325. Parlando invece di Mantissa 5, Rashed vede bene le

contraddizioni e le tensioni interne che vi emergono, e risolve il problema considerando il testo o come il risultato di una giustapposizione da parte di un allievo di Alessandro non troppo brillante di elementi diversi decontestualizzati ed estrapolati da varie opere alessandriste, oppure come una raccolta di note incompiute e confuse realizzata dallo stesso Esegeta326. Per quanto riguarda infine il complesso problema dell’argomento delle parti della sostanza, che ha il suo fulcro, come si è visto in precedenza, in De an. 6, 2-6, e che si può ritrovare in diverse Quaestiones, Rashed da una parte cerca di limitare la portata di un tale argomento, con un’impostazione opposta a quella di Chiaradonna327, dall’altra nota

323 Cfr. in partic. Rashed M., Essentialisme. Alexandre d’Aphrodise entre logique, physique et cosmologie,

Walter de Gruyter, Berlin-New York 2007.

324 Cfr. ivi, pp. 36-38.

325 Ivi, p. 40. Qui Rashed polemizza apertamente con Wurm, che considera particolarmente problematico

all’interno di un quadro che è aristotelico l’irrigidimento della dottrina ilemorfica operato da Alessandro in

Mantissa 3 (cfr. Wurm K., Substanz und Qualität. Ein Beitrag zur Interpretation der plotinischen Traktate VI 1, 2 und 3, Walter de Gruyter, Berlin 1973, in partic. pp. 182-193).

326 Cfr. Rashed M., op.cit., p. 50.

327 Chiaradonna ritiene infatti che, al contrario, un tale argomento svolga un ruolo centrale nelle opere di

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come in esso, in effetti, si possa ritrovare una certa tensione interna, motivata dalla necessità, da parte di Alessandro, di proteggere la sua lettura essenzialista (con l’affermazione della sostanzialità della forma contro l’esegesi materialista di Boeto) da una possibile deriva platonica.

In generale si può dire che Rashed vede nelle espressioni contrastanti di Alessandro la ricerca di una via intermedia fra il platonismo e il materialismo di Boeto, ma allo stesso tempo egli tende ad attenuare almeno in parte le tensioni alessandriste facendo riferimento ai contesti polemici e pedagogici delle varie opere, e arriva pertanto a considerare l’operazione dell’Esegeta come sistematica e nel complesso coerente. Rashed polemizza contro coloro che considerano contraddittorio il progetto stesso di un aristotelismo essenzialista e che pensano che la visione di Alessandro risulti confusa e mostri il carattere impraticabile di una via intermedia fra platonismo e aristotelismo materialista. È vero che ci sono delle tensioni contrastanti, ma tali tensioni non sono contraddittorie in termini: esse si inseriscono piuttosto all’interno di un progetto ben chiaro e definito, che, peraltro, è perseguito da Alessandro solo in alcune opere; alcune di esse infatti, come si è visto, hanno piuttosto finalità polemiche o sono a carattere pedagogico-introduttivo, e pertanto non deve esservi ricercato il vero pensiero dell’autore. Come conclude Rashed: «Toute cela, et d’autres choses encore, prouvent qu’Alexandre travaille avec une thèse ontologique forte, qu’il défend partout où le besoin s’en fait sentir –ce qui ne veut pas dire partout»328.

È un’interpretazione piuttosto impegnativa, che non credo sia possibile condividere interamente. Bisogna ricordare infatti che spesso le contraddizioni di Alessandro non si trovano solo fra un’opera e l’altra, ma, come ho cercato di mostrare, all’interno di una stessa opera, e spesso a distanza di poche righe l’una dall’altra. È vero che si potrebbe risolvere il problema considerando il carattere spurio e composito delle Quaestiones e della Mantissa, ma per quanto riguarda il De anima non ci sono vie di fuga in questo senso: essa infatti è un’opera la cui autorialità è certa, e in cui, come si è visto in precedenza, si alternano affermazioni di segno opposto. Il punto non è solamente l’irrigidimento della dottrina ilemorfica di Aristotele; il problema principale riguarda piuttosto l’attribuzione della sostanzialità ora alla forma, ora alla materia e ora al composto. In altre parole, il

(Enn. VI 3 [44], 8.12-37)», in Canone E., Metafisica logica filosofia della natura. I termini delle categorie

aristoteliche dal mondo antico all’età moderna, Agorà, La Spezia 2005, pp. 137-154; Id., «Hylémorphysme et

causalité des intelligibles. Plotin et Alexandre d’Aphrodise», Les études philosophiques 2008/3, pp. 379-397. Cfr. inoltre Wurm K., op. cit., in cui si può già trovare una lettura per certi versi simile a quella che darà Chiaradonna. Peraltro lo stesso Rashed, consapevole di questa distanza interpretativa, cita brevemente, e in chiave polemica, tanto Chiaradonna quanto Wurm: cfr. Rashed M., op. cit., pp. 79-80 n. 263.

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ragionamento che Rashed fa per De an. 6, 2-6 dovrebbe essere esteso all’intero De anima, e la somiglianza tra le contraddizioni interne a quest’opera e quelle trovate nelle Quaestiones e in Mantissa 5 mi fa pensare che un discorso analogo si possa fare anche per questi ultimi testi, senza necessariamente far leva sul loro carattere spurio e disorganizzato. Del resto le tensioni fra le diverse concezioni di sostanzialità che emergono dagli scritti alessandristi sono endemiche, in quanto derivano dal fatto che lo stesso Aristotele sembra dire in passi diversi delle sue opere cose diverse a proposito dell’οὐσία. Si potrebbe dire pertanto che le contraddizioni interne all’opera di Alessandro sono in qualche modo ineliminabili per chiunque tenti di ricavare una dottrina sistematica e coerente sulla sostanzialità a partire dal pensiero di Aristotele. Sono d’accordo con Rashed là dove pensa che Alessandro si sforzi di sostenere una dottrina unitaria e coerente sulla sostanza329, ma proprio per questo penso che,

necessariamente, in tutti gli scritti dell’Esegeta su questo tema, e non solo in alcuni, emergano tensioni e contraddizioni difficilmente sanabili, giacché implicate profondamente nella riflessione aristotelica. Tali tensioni sono poi ulteriormente enfatizzate da Alessandro giacché il suo focus riguarda soprattutto la sostanzialità della forma, asserita con forza per correggere gli errori esegetici di Boeto: si tratta, in definitiva, di ricostruire una dottrina aristotelica unitaria e coerente che punti ad affermare che l’εἶδος è sostanza a pieno titolo. Il problema è che nel far questo si devono tenere presenti non solo Metafisica Δ e Metafisica Ζ, ma anche le Categorie: in questo senso, le tensioni esegetiche sono difficilmente eliminabili, tanto più che l’Aristotele di Metafisica Z potrebbe essere confutato adottando i criteri di sostanzialità dell’Aristotele delle Categorie.

329 In questo mi schiero contro l’impostazione di altri importanti studiosi, quali Sharples e Moraux. Per

Sharples infatti Alessandro non avrebbe un approccio sistematico ai testi di Aristotele, ma si limiterebbe a commentare e spiegare volta per volta i singoli testi, senza operare nessun tipo di confronto, e senza sostenere la propria posizione in modo unitario: «It […] seems characteristic of Alexander’s approach that he tends to consider particular points one by one, rather than being concerned to establish his own position on the whole of a topic in a systematic way» (Sharples R. W., «Alexander of Aphrodisias. Scholasticism and Innovation», in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, 36.2, Walter de Gruyter, Berlin 1987, p. 1181). Anche Moraux sostiene un’intepretazione di questo tipo: cfr. Moraux P., Alexandre d’Aphrodise, exégète de la noétique

d’Aristote, Faculté de philosophie et lettres-Les belles lettres, Paris-Liège 1942 (si veda in particolare ivi, p.

56, in cui Moraux definisce Alessandro «commentateur qui, trop souvent, note des détails au lieu de pénétrer l’esprit d’une théorie»; a proposito del De anima, cfr. inoltre ivi, p. 48,: «il [i.e. Alexandre] n’a pas le puissant esprit de synthèse d’Aristote; il n’est pas un véritable métaphysicien: c’est pourquoi il n’a pas été frappé par la monstrueuse alliance réalisée dans son de Anima entre un matérialisme grossier et la théorie hylémorphique d’Aristote»); Id., «Le De anima dans la tradition grecque. Quelques aspects de l’interprétation du traité, de Théophraste à Thémistius», in Lloyd G.E.R.-Owen G.E.L., Aristotle on mind and the senses, Cambridge University Press, Cambridge 1978, pp. 281-324. Di un Alessandro sistematico e rigoroso parla invece Donini (cfr. in partic. Donini P. L., «L’anima e gli elementi del De anima di Alessandro di Afrodisia», Atti

dell’Accademia delle Scienze di Torino 105 (1971), pp. 61-107), per il quale una caratteristica centrale

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Ad ogni modo, per quanto riguarda il presente lavoro, quello che è importante non è tanto cercare di spiegare e giustificare le contraddizioni interne all’aristotelismo di Alessandro; quello che realmente importa è piuttosto la semplice constatazione della presenza di contraddizioni. L’oggetto di questo terzo capitolo è infatti la ricezione plotiniana dell’ilemorfismo di Alessandro di Afrodisia, e quello che vorrei mostrare è come Plotino abbia buon gioco nel riprendere la formulazione dell’aristotelismo offerta dall’Esegeta, per accentuarne le contraddizioni e le tensioni e per far vedere come sia impossibile giustificare il primato dell’εἶδος senza adottare una prospettiva platonica330. In definitiva, il punto di

Plotino è mostrare l’autocontraddittorietà della posizione degli aristotelici, i quali, se non vogliono cadere in aporia, devono, di necessità, essere soccorsi dall’ontologia di Platone: come si vedrà infatti Plotino metterà l’accento sulle tensioni di Alessandro per costringerlo ad ammettere, in un ipotetico scambio dialettico, che l’unico modo per confutare l’esegesi di Boeto è fare della forma aristotelica un’idea platonica. Questa lettura plotiniana è particolarmente evidente nel trattato Sui generi dell’essere (VI 1-3 [42-44])331, il cui nucleo

centrale è costituito dalla critica alla nozione aristotelica di οὐσία αἰσθητὴ. Nello spazio limitato di questa Introduzione, come già rilevato, sarebbe impossibile andare a fornire un esame accurato dell’intero trattato, molto lungo, di difficile comprensione e pieno di molteplici problematiche; mi accontenterò pertanto, in questa sede, di esaminare alcuni passi che ritengo particolarmente significativi per la questione ora in esame, e che credo che mostrino con particolare chiarezza la consapevolezza che Plotino aveva del dibattito interno all’aristotelismo sulla nozione di sostanza e la sua abilità nel mettere in risalto le contraddizioni interne della posizione alessandrista.

330 Del resto, un simile procedimento è tipico del modo di argomentare di Plotino, che molto spesso, nei

suoi trattati, non si accontenta di affermare la superiorità del pensiero di Platone rispetto alla filosofia aristotelica, ma si sforza di mostrare che all’interno dello stesso aristotelismo sono presenti aporie e contraddizioni che possono trovare una risoluzione solamente all’interno del platonismo. La filosofia platonica è dunque presentata come l’esisto naturale a cui devono approdare gli aristotelici se vogliono essere coerenti con i loro stessi presupposti. Questa complessa strategia argomentativa è stata analizzata in modo molto chiaro e preciso da Chiaradonna: cfr. in partic. Chiaradonna R., Sostanza, movimento, analogia. Plotino critico di

Aristotele, Bibliopolis, Napoli 2002. Quanto al fatto che Plotino fosse a conoscenza degli scritti di Alessandro

di Afrodisia, è attestato già da Porfirio, che nella Vita Plotini riferisce come Plotino, durante le lezioni, fosse solito farsi leggere passi di Platone o di Aristotele o dei loro commentatori, fra i quali è citato Alessandro (Vita

Plotini 14, 13). Vari studiosi hanno inoltre dedicato diverse opere a mostrare la particolare influenza di

Alessandro su determinati trattati plotiniani, a partire da Armstrong (cfr. Armstrong A. H., «The background of the Doctrine That the Intelligibles Are Not outside the Intellect», in Les Sources de Plotin, Fondation Hardt, Vandoeuvres-Genève 1957, pp. 391-425) e da Henry (cfr. Henry P.,«Une comparison chez Aristotle, Plotin et Alexandre d’Aphrodise», ivi, pp. 427-449). Sulla questione generale dei rapporti fra Plotino e Alessandro di Afrodisia cfr. Sharples R. W., op. cit., pp. 1220-1224.

331 Parlo di trattato in quanto in realtà non si ha a che fare con tre trattati differenti, ma con un unico trattato

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3.2.1 VI 1 [42], 2: il dibattito fra Alessandro e Boeto

Il primo passo che ritengo particolarmente importante per l’indagine attuale è costituito da VI 1 [42], 2. Ci troviamo proprio all’inizio del trattato plotiniano, che si è aperto con un riferimento ai filosofi presocratici, i quali già avevano indagato il numero e la natura delle cose che sono, ma le cui opinioni non saranno prese in esame da Plotino, in quanto già indagate da altri filosofi a loro successivi (ovvero, come diventerà evidente dallo sviluppo del trattato, Platone, Aristotele e gli Stoici)332. Oggetto dell’indagine plotiniana saranno proprio le opinioni di questa seconda categoria di filosofi, che hanno in comune l’idea che esista un numero limitato di esseri. In primo luogo Plotino si propone di esaminare la dottrina degli aristotelici, che suddividono gli esseri in dieci generi, e si chiede se questi generi, secondo gli aristotelici, siano presenti allo stesso modo nel mondo sensibile e nel mondo intellegibile, o se invece ci siano delle differenze a questo proposito, e riconosce immediatamente che una tale domanda non ha in realtà alcun senso, giacché gli aristotelici, nella loro suddivisione in dieci γένη, non fanno alcuna menzione dell’intellegibile. Questa è la prima grande critica di Plotino alla filosofia aristotelica: di non aver operato una divisione completa degli esseri, avendo trascurato ciò che è essere nel più alto grado. Forse una simile distinzione in dieci generi potrebbe anche essere valida, ma limitatamente al piano sensibile, mentre per l’intellegibile valgono altre regole, ed è necessario che esso sia trattato ἐξ ἀρχῶν τῶν οἰκείων333. Va detto che, così formulata, una simile critica sembrerebbe piuttosto

superficiale e facilmente confutabile: è assurdo infatti criticare la dottrina aristotelica delle categorie partendo da presupposti platonici, giacché gli aristotelici potrebbero facilmente replicare a Plotino che non hanno considerato l’intellegibile nella loro indagine in quanto, per loro, l’unico mondo realmente esistente è quello sensibile: la critica plotiniana si ridurrebbe così a una semplice petitio principii priva di qualsiasi efficacia, piuttosto simile alle critiche che alla dottrina peripatetica avevano già mosso dei medioplatonici quali Lucio, Nicostrato e Attico334. È anche a partire da simili osservazioni che molti studiosi, in passato,

332 Bisogna precisare come Plotino, secondo il suo consueto modo di procedere, non nomini esplicitamente

alcun filosofo con cui polemizza in VI 1-3, né Aristotele né gli Stoici (mentre Platone è menzionato a VI 2, 1, 5; 14; 23; 22, 1; 13 e a VI 3, 1, 2; 16, 23). Le posizioni anonime che sono riportate nei vari capitoli del trattato sono tuttavia facilmente riconoscibili.

333 L’espressione non è tratta da VI 1, ma è tipica della riflessione plotiniana. Cfr. in partic. VI 5 [23], 2, 5-

6. Il riferimento di Plotino è agli Analitici Secondi di Aristotele (I 2, 71b23; 72a6).

334 Per quanto riguarda Lucio e Nicostrato, si veda la testimonianza di Simplicio, In cat. 73, 15-28; per

Attico invece ci si basa in particolare su un frammento contenuto nella Praeparatio Evangelica di Eusebio, il numero 9 della raccolta di des Places (des Places É., Atticus. Fragments. Texte étabili et traduit, Les Belles Lettres, Paris 1977). Sulle critiche di questi filosofi ad Aristotele si veda in partic. Chiaradonna R., «Plotino e la corrente anti-aristotelica del platonismo imperiale. Analogie e differenze», in Bonazzi M.-Celluprica V. (eds.), L’eredità platonica. Studi sul platonismo da Arcesilao a Proclo, Bibliopolis, Napoli 2005, pp. 235-274).

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hanno fortemente criticato la posizione espressa da Plotino nel trattato Sui generi dell’essere, considerata piuttosto confusa, oscura e filosoficamente debole335. Tuttavia, come si vedrà sin da subito, la portata della critica plotiniana è ben più ampia e più profonda, e punta ad una critica dall’interno della filosofia aristotelica.

All’inizio di VI 1, 2 Plotino afferma di voler iniziare l’indagine sulle categorie aristoteliche partendo dall’οὐσία. Ricorda in primo luogo che, sulla base di quanto stabilito in precedenza, è impossibile che vi sia un unico genere comune di sostanza per l’intellegibile e per il sensibile; tuttavia egli vede parimenti la necessità, a questo proposito, di esaminare cosa abbiano in comune materia, forma e composto, ciò che fa sì che tutti e tre possano essere posti sotto la categoria di οὐσία:

Οὐ μὴν ἀλλὰ ἐπ’αὐτῶν τῶν τῇδε οὐσιῶν ζητητέον, τί κοινὸν ἐπὶ τῆς ὕλης καὶ τοῦ εἴδους καὶ τοῦ ἐξ ἀμφοῖν. Πάντα γὰρ ταῦτα οὐσίας λέγουσιν εἶναι, καὶ οὐ τὸ ἴσον εἰς οὐσίαν ἔχειν, ὅταν μᾶλλον λέγηται τὸ εἶδος οὐσία ἢ ἡ ὕλη· καὶ ὀρθῶς· οἱ δ’ἂν εἴποιεν τὴν ὕλην μᾶλλον.336

Nondimeno, nelle stesse sostanze di quaggiù, dobbiamo ricercare ciò che sia comune alla materia, alla forma e al composto che da entrambe risulta. Affermano infatti che tutte queste cose sono sostanza, ma non attribuiscono loro lo stesso grado di sostanza nel momento in cui

L’elemento comune alle critiche di Lucio, Attico e Nicostrato è essenzialmente «una polemica rigida e quasi “confessionale” contro Aristotele, al quale viene in sostanza contestato di aver tradito i principi della filosofia platonica» (ivi, p. 241). Chiaradonna nel suo articolo cerca di confutare (a ragione, come si vedrà nel corso di questo capitolo) le posizioni di studiosi come Praechter e Merlan, che pensano che le critiche di Plotino siano sullo stesso livello di quelle di questi filosofi appartenenti alla corrente del platonismo imperiale ostile ad Aristotele, pur riconoscendo a Plotino una conoscenza delle argomentazioni di Lucio, Nicostrato e Attico. L’idea di Chiaradonna, che accolgo pienamente, è che non si debba guardare a Plotino come all’ultimo esponente della corrente anti-aristotelica del platonismo imperiale, ma che si debba piuttosto osservare la novità dei procedimenti argomentativi da lui portati per contrastare l’aristotelismo di Alessandro di Afrodisia: «egli [i.e. Alessandro], più di ogni altro, è il vero interlocutore di Plotino, non in quanto quest’ultimo ne riprenda le conclusioni, ma in quanto Alessandro di Afrodisia è il massimo rappresentante di quell’aristotelismo sistematico che Plotino si propone di scardinare mettendone in luce le difficoltà intrinseche» (ivi, p. 270).

335 Si vedano a questo proposito opinioni come quelle di Trendelenburg (cfr. Trendelenburg F. A.,

Geschichte der Kategorienlehre, G. Bethge, Berlin 1846, p. 232), Prantl (cfr. Prantl C., Geschichte der Logik im Abendlande, Hirzel, Leipzig 1855, p. 613 ss.), Zeller (cfr. Zeller E., Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung, Reisland, Leipzig 19034, p. 578), e Inge (cfr. Inge D., The Philosophy of Plotinus,

Longmans, Green and co., London-New York-Toronto 1918, p. 58). Un utile e dettagliato status quaestionis