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Il dibattito moderno sull’ἰδίως ποιόν

2. Plotino e la dottrina stoica dell’ἰδίως ποιόν

2.1 Il dibattito moderno sull’ἰδίως ποιόν

Una simile questione è in realtà molto più complessa di quello che si possa pensare, in quanto gli scarsi frammenti che possediamo102 contengono alcune ambiguità di fondo che

aprono le porte a possibilità interpretative diverse, cosa che ha portato tanto gli studiosi moderni quanto i commentatori antichi a fornire descrizioni dell’ἰδίως ποιόν fra loro inconciliabili. Del resto, come hanno fatto notare gli studiosi103, le fonti principali per la logica stoica, ovvero Sesto Empirico, Diogene Laerzio e Galeno, non forniscono importanti informazioni sulla dottrina stoica delle categorie, informazioni che derivano invece in gran parte dai commentatori aristotelici, che spesso sono stati considerati come «relatively unreliable»104. Un punto di partenza può essere costituito dall’enumerazione dell’ἰδίως ποιόν fra le quattro categorie stoiche. Nel suo Commento alle Categorie, Dexippo afferma che gli Stoici, insieme ai Platonici, hanno mosso una precisa critica alle categorie aristoteliche105;

Essences», in Torrance A.-Zachhuber J. (eds.), Individuality in Late Antiquity, Ashgate, Farnham 2014, pp. 47-61.

102 Cfr. soprattutto SVF II, 369-398.

103 Cfr. in partic. Mates B., Stoic Logic, University of California Press, Berkeley 1953, p. 18 (proprio a

causa della scarsità dei frammenti e dell’inaffidabilità delle testimonianze, Mates dedica, in questo suo libro incentrato sulla logica stoica, appena una pagina alla dottrina delle categorie) e Rist J. M., «Categories and their Uses», in A. A. Long (ed.), Problems in Stoicism, The Athlone Press, London 1971, pp. 38-57. Contro l’opinione di Mates, che cita esplicitamente, Rist afferma, a proposito delle testimonianze sulle categorie di autori quali Simplicio e Plotino, che «there is no reason to believe them to be inaccurate» (ivi p. 40).

104 Mates B., op. cit., p. 18.

105 Cfr. Dexippo, in Aristot. categ. p. 5, 18 Busse (=SVF II, 370). Cfr. inoltre ivi, p. 23, 25 Busse (=SVF II,

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tale critica viene esplicitata in modo particolare da Simplicio e da Plotino106, i quali affermano che lo stoicismo opera una riduzione delle categorie, fino ad arrivare ad individuare quattro γένη πρῶτα107, indicati rispettivamente come ὑποκείμενα, ποιὰ, πὼς

ἔχοντα e πρός τί πως ἔχοντα, a cui fa capo il τι, da intendersi come γένος κοινόν108 che li

raccoglie tutti. A sua volta, la categoria dei ποιὰ comprende, come si è già visto, sia κοινῶς ποιά che ἰδίως ποιά. L’unico ad indicare in modo esplicito questa distinzione è Siriano109, il

quale, peraltro, si limita a segnalarla, senza analizzarla compiutamente e senza specificare in cosa consistano rispettivamente le qualità generali e quelle specifiche. A questo vanno aggiunti alcuni passaggi in cui si parla specificamente di ἰδίως ποιά110 (che appaiono peraltro piuttosto oscuri e sono soggetti a diverse interpretazioni da parte degli studiosi), mentre è molto difficile trovare passi che si riferiscano specificamente ai κοινῶς ποιά, così che si è arrivati alla conclusione che la filosofia stoica si interessa soprattutto dei particolari e che è portata a sottolineare soprattutto quegli aspetti che fanno di un particolare un particolare, piuttosto che quegli aspetti che fanno di esso un membro di una classe111.

Sulla dottrina stoica delle categorie, sulla loro importanza e sul loro significato, gli studiosi dello stoicismo divergono112: Delacy considera le categorie come dei veri e propri «methodological principles» applicabili a qualsiasi soggetto113; Rist114, che come si è detto sottolinea molto l’importanza del particolare nella filosofia stoica, le vede come necessarie per arrivare alla comprensione dello statuto delle cose particolari, sottolineando che «they give us the proper series of philosophical questions»115; Reesor e Virieux-Reymond le

106 Cfr. SVF II, 369; 371.

107 L’espressione è usata da Simplicio (in SVF II, 369). Plotino invece fa solo un generico riferimento

«Πρὸς δὲ τοὺς τέτταρα τιθέντας» (Enn. VI 1, 25, 1=SVF II; 371).

108 Il riferimento è ancora una volta a Plotino: cfr. SVF II, 371; 373. 109 Cfr. Siriano, in Aristot. Metaph. Acad. (Aristot. V 862a3)=SVF II, 398.

110 Cfr. in particolare Plutarco, De comm. not. cp. 36, p. 1007d (=SVF II, 396) e Filone di Alessandria, De

incorrupt. mund. 236,6b (=SVF II, 397).

111 Cfr. Rist J. M., «Categories and their Uses», cit., p. 35.

112 Per una rapida presentazione delle diverse posizioni cfr. Graeser A., «The Stoic Categories», in Les

stoiciens et leur logique. Actes du colloque de Chantilly 18-22 septembre 1976, Vrin, Paris, 1978, pp. 199-221.

Graeser inoltre mette l’accento sul fatto che, oltre ai termini che sono diventati noti per indicare i nomi delle categorie (sostanza, qualità, modo di essere, modo di essere relativo), esiste «another set of terms, i. e. ‘that which exists by itself’, ‘that which is according to the differentia’, ‘that which is relative’, and ‘that which is relatively disposed’».

113 Cfr. Delacy P., «The Stoic Categories as Methodological Principles», in Transactions and Proceedings

of the America Philological Association 76 (1945), pp. 245-263.

114 Cfr. Rist J. M., «Categories and their Uses», cit., e Id., Stoic Philosophy, Cambridge University Press,

Cambridge 1969. A questo proposito cfr. inoltre Christensen J., An Essay on the Unity of Stoic Philosophy, Museum Tusculanum Press, Copenhagen 1962, in cui si esprime un’idea piuttosto simile a quella che sarà espressa da Rist.

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collegano alla fisica più che alla logica116, mentre Lloyd cerca di riconnetterle al λεκτόν, e quindi all’ambito degli incorporei117. Cercare di indagare la genesi e la posizione della

dottrina delle categorie all’interno della filosofia stoica è un lavoro che esula dal presente contesto, e pertanto bastino allo scopo della trattazione attuale questi pochi cenni che mostrano la complessità del problema. Quello che invece sarà utile approfondire è precisamente il concetto di ἰδίως ποιόν, che ancora oggi si presenta come non del tutto chiaro. I vari studi che sono stati dedicati alla seconda categoria stoica spesso hanno infatti il limite di indagare più i legami e le relazioni fra questo concetto e quelli paralleli di κοινῶς ποιά e di ποιά che non il significato effettivo da attribuire alle qualità specifiche118; il primo

studioso ad affrontare sistematicamente la questione riguardante l’effettivo contenuto dell’ἰδίως ποιόν stoico è stato solo David Sedley agli inizi degli anni ’80 del XX secolo119.

Sedley parte da quella che definisce «Uniqueness Thesis»120, ovvero la convinzione da

parte degli Stoici (testimoniata dai frammenti a noi pervenuti) che non esistano due oggetti identici fra loro, essendo ogni oggetto individuale qualitativamente unico. Infatti, se due oggetti particolari fossero qualitativamente indistinguibili, ne conseguirebbe che lo stesso oggetto qualificato particolarmente occuperebbe allo stesso tempo due sostanze differenti, il che è chiaramente impossibile121: una qualità particolare non può appartenere allo stesso tempo a due sostanze diverse fra loro, perché in questo modo diventerebbe una qualità comune. A una tesi di questo tipo gli Accademici opponevano il cosiddetto «αὐξανόμενος λόγος» (o «argomento crescente»)122. L’origine di questo argomento sembra risalire ad

Epicarmo, commediografo siciliano vissuto fra VI e V secolo a.C123, e può essere riassunto in questi termini: ci sono due personaggi, A e B, il primo dei quali ha contratto un debito con il secondo. B pretende il pagamento da parte di A, il quale, essendo a corto di soldi, tenta di aggirare l’ostacolo con alcune considerazioni di carattere filosofico: così come,

116 Cfr. Reesor M. E., «The Stoic Concept of Quality», American Journal of Philology 75 (1954), pp. 40-

58; Ead. «The Stoic Categories», American Journal of Philology 78 (1957), pp. 63-83; Virieux-Reymond A.,

La logique et l’epistémologie des Stoiciens, Lausanne 1949.

117 Lloyd A. C., «Grammar and Metaphysics in the Stoa», in A. A. Long (ed.), op. cit., pp. 58-74.

118 Oltre agli studi segnalati nelle note 14-19, cfr. anche Reesor M. E., «Poion and Poiotes in Stoic

Philosophy», Phronesis 17 (1972), pp. 279-285, in cui i concetti di ἰδίως ποιόν, κοινῶς ποιόν, ἰδία ποιότης e κοινὴ ποιότης vengono ricollegati alla diaresi descritta da Boezio nel suo Commento al De Interpretatione di

Aristotele fra proposizioni possibili e necessarie nella filosofia stoica.

119 Cfr. Sedley D., «The Stoic Criterion of Identity», Phronesis 27 (1982), pp. 255-275. 120 Ivi, p. 264.

121 Cfr. Plutarco, Comm. not. 1077 d-e. 122 Cfr. ivi, 1083b-c (=SVF II, 762).

123 Cfr. Epicarmo, fr.170 Kaibel (D.L. 3;12). Nella sua ricostruzione Sedley si avvale inoltre di Anonimo,

In Plat. Thaet. (ed. Diels-Schubart, Berliner Klassikertexte 2, 1905), 71.12 ss. e di Plutarco, De sera numinis vindicta 559B.

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aggiungendo un ciottolo a un determinato numero di ciottoli otterremo un numero diverso dal numero di partenza, e così come aggiungendo o sottraendo una determinata lunghezza a una misura di un cubito otterremo una misura differente, allo stesso modo si dovrà dire che l’uomo di oggi non è lo stesso di ieri e non sarà lo stesso di domani, in quanto costantemente coinvolto in un processo di crescita e di cambiamento. Pertanto, conclude A, egli non è più lo stesso uomo che ha contratto il debito il giorno precedente, e dunque non ne è responsabile. Per tutta risposta B sferra un pugno ad A, e, alle proteste di quest’ultimo asserisce che, secondo il suo stesso ragionamento, non è più l’uomo che lo ha appena colpito, e pertanto non può essere considerato il responsabile di tale gesto. Al di là dello sfondo comico, il punto filosofico è evidente; come scrive Plutarco, nel riportare la formulazione di questo argomento da parte degli Accademici:

δύο ἡμῶν ἕκαστός ἐστιν ὑποκείμενα, τὸ μὲν οὐσία τὸ δὲ <ποιότης>· καὶ τὸ μὲν ἀεὶ ῥεῖ καὶ φέρεται, μήτ’ αὐξόμενον μήτε μειούμενον, μήθ’ ὅλως οἷόν ἐστι διαμένον, τὸ δὲ διαμένει καὶ αὐξάνεται καὶ μειοῦται, καὶ πάντα πάσχει τἀναντία θατέρῳ, συμπεφυκὸς καὶ συνηρμοσμένον καὶ συγκεχυμένον καὶ τῆς διαφορᾶς τῇ αἰσθήσει μηδαμοῦ παρέχον ἅψασθαι.124

Ognuno di noi consta di due componenti: la sostanza e la qualità; e di questi l’uno è un flusso sempre in moto, che però non è suscettibile né di aumento né di diminuzione, senza per questo restare nel suo complesso quel che è; l’altro invece permane, cresce, diminuisce, insomma subisce le affezioni contrarie rispetto a quelle che l’altro subisce, pur essendo della stessa natura dell’altro, con esso in sintonia e addirittura in commistione, tant’è vero che ai sensi la differenza fra i due non risulta mai.125

Gli Stoici pertanto, a giudizio di Sedley, per difendere la loro tesi dell’unicità qualitativa di ogni oggetto individuale e per rispondere ai problemi dell’αὐξανόμενος λόγος che conduceva gli Accademici alla formulazione dell’ἀπαραλλαξία (quella che Sedley chiama l’ «Indistinguishability Thesis»126), avevano bisogno di trovare per ciascun individuo una qualità individualizzante che durasse tutta la vita, preservasse la sua identità nello scorrere del tempo e lo rendesse riconoscibile per l’individuo che è. È chiaro che una qualità di questo tipo non può essere ritrovata nella prima categoria, quella dello ὑποκείμενον, in quanto tale

124 Plutarco, Comm. not. 1083d 1-7 (=SVF II, 762).

125 La traduzione riportata è quella di Roberto Radice in Stoici antichi, Tutti i frammenti, secondo la raccolta

di H. von Arnim, a cura di R. Radice, Bompiani, Milano 2002.

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sostrato deve essere concepito come la materia costitutiva della cosa; in questo rispetto, ciascuno di noi sarà semplicemente un determinato “pezzo di materia”, differente di momento in momento, in pieno accordo con l’impossibilità di una durata nel tempo sancita dall’αὐξανόμενος λόγος. In altre parole, si può dire che gli Stoici arrivano a rifiutare la materia come principium individuationis, per sostituirvi la qualità. Ciascun “pezzo di materia” possiede infatti una serie di qualità, sia comuni che particolari; ora, dal momento che nessuna qualità comune, per definizione, potrà mai essere sufficiente per individuare un singolo individuo, il criterio di identità dovrà essere assegnato alla qualità particolare, l’ἰδίως ποιόν. Il punto è stabilire in che cosa consista esattamente questo criterio di identità, capire cioè che cosa sia effettivamente questo ἰδίως ποιόν, cosa che sembra che gli Stoici non abbiano mai effettivamente precisato esplicitamente (il che giustificherebbe almeno in parte la reticenza dei vari studiosi a proposito)127. Tuttavia, secondo Sedley, è possibile fare alcune

ipotesi a riguardo.

Una prima possibilità è che l’ἰδίως ποιόν sia da connettere con l’idea di una continuità spazio-temporale. Il fatto che le fonti non dicano nulla su tale questione deve tuttavia far rimanere piuttosto cauti a proposito, e Sedley è convinto che un criterio di questo tipo non venga preso in esame dagli Stoici, a causa di una difficoltà di fondo nel distinguere fra la continuità spazio-temporale e la semplice individuazione materiale, già sottoposta alle critiche dell’argomento crescente. Pertanto, sebbene secondo Sedley la continuità spazio- temporale possa essere un buon criterio, è difficile ritenere che una tale teoria sia stata fatta propria dagli Stoici. Una seconda possibilità invece è che l’ἰδίως ποιόν sia da considerare come «a unique set of memories»128, possibilità che però deve essere scartata, in quanto la memoria potrebbe essere adoperata come criterio distintivo solo in relazione ad alcuni esseri viventi (l’uomo in particolare), mentre la sfida posta dall’αὐξανόμενος λόγος dovrebbe riguardare tutti i tipi di viventi. Inoltre, come si è detto in precedenza, un requisito essenziale è che le qualità particolari durino tutta la vita, e nel caso dei ricordi questo risulta essere particolarmente problematico. Ugualmente da scartare è la terza possibilità che viene proposta, ossia che l’ἰδίως ποιόν abbia a che fare con le relazioni mediante le quali una persona può essere definita (ad. es. Socrate può essere definito come «marito di Santippe» o come «il più sapiente dei Greci»): è infatti fin troppo evidente che descrizioni di questo tipo possono essere alterate in ogni momento, e, del resto, le relazioni esterne andrebbero a

127 O meglio, non vi è una chiara esplicitazione di questo concetto nei pochi frammenti che ci rimangono e

che sono stati selezionati da Von Arnim.

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riguardare la quarta categoria, quella del πρός τί πως ἔχον. Secondo Sedley, piuttosto, l’ἰδίως ποιόν dovrebbe essere considerato come una sorta di caratteristica unica di carattere non razionale, qualcosa di simile alle moderne impronte digitali, o, meglio ancora, una sorta di programmazione genetica unica per ogni essere vivente, una configurazione unica caratterizzante l’individuo. Scrive infatti lo studioso inglese: «It could, for all I known, be arguable […] that what for many purposes constitutes the enduring essence of an individual person is his unique genetic programming, and that the individual’s fingerprints are just externally accessible manifestations of that programming. The Stoics, at any rate, would have welcomed such a theory»129.

Va detto che, sebbene sia genericamente ritenuta un punto di partenza fondamentale, non tutti gli studiosi si sono espressi favorevolmente a proposito di questa analisi fornita da Sedley, e Lewis in particolare si è dimostrato piuttosto critico nei suoi confronti130. Lewis

sostiene che ci sono «good ‘Stoic’ reasons»131 per rigettare la proposta di Sedley di una

identità fra ἰδίως ποιόν e qualcosa di simile alle impronte digitali: infatti esse non sono che caratteristiche incidentali e non essenziali della nostra individualità, come è testimoniato dal fatto che, anche se tagliassi le mie dita (e non avessi più un’impronta digitale a caratterizzarmi), rimarrei comunque la stessa persona. Inoltre, anche per il criterio della continuità spazio-temporale ci potrebbero essere dei problemi, in quanto per gli Stoici gli individui non sono spazio-temporalmente continui, e questo è testimoniato secondo Lewis dalla teoria dei ritorni ciclici e da quella della commistione dei corpi. Lewis propone allora di riprendere il problema dall’inizio, chiedendosi quali caratteristiche debbano avere le qualità particolari, e individuando nello specifico tre punti: esse devono durare per tutta la vita, devono essere uniche e, almeno in certe condizioni, devono essere percepibili. Considerando che le impronte digitali sono da scartare in quanto vengono meno al primo punto in questione, Lewis ritiene che un candidato autorevole per l’ἰδίως ποιόν sia l’anima, in quanto capace di soddisfare tutti i criteri richiesti. È infatti chiaro, in primo luogo, che la durata dell’anima è la stessa della vita di un individuo, e che nessuno cambia anima durante la propria vita. Parallelamente, la morte delle entità animate consiste nella separazione dell’anima dal corpo. Se l’anima è da identificarsi come criterio di identità di un individuo, ci si dovrebbe allora aspettare che la persistenza dell’anima dopo la morte comporti anche, di necessità, la persistenza dell’individuo, e, in effetti, secondo Lewis gli Stoici hanno

129 Ivi. p. 266.

130 Cfr. Lewis E., «The Stoics on Identity and Individuation», Phronesis 40 (1995), pp. 89-108. 131 Ivi, p. 93.

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sostenuto più volte una dottrina del genere132. Infine, molti frammenti suggeriscono che l’anima abbia una sorta di «individuating powers»133: il riferimento è in particolare alla

descrizione di Filone delle tre forme assunte dal πνεῦμα (ἕξις, φύσις e ψυχὴ) che hanno la funzione di unificare i corpi e dare origine alle loro qualità134. Da ciò si può concludere che «it is soul, or the persistence of an individual soul, which is responsibile for, and is, the peculiar quality of ensouled beings»135.

Da parte mia, non ritengo che la critica mossa a Sedley da parte di Lewis sia particolarmente probante. Il limitarsi all’osservazione che, tagliando le dita a una persona, questa continuerà a rimanere la stessa, non mi sembra possa inficiare l’intuizione di Sedley, che non afferma che l’ἰδίως ποιόν è un’impronta digitale, usando piuttosto questo esempio per rendere l’idea, come si è detto, di una caratteristica unica di carattere non razionale caratterizzante un singolo individuo. Sedley parla piuttosto di una configurazione genetica, di cui le impronte digitali non sono che una manifestazione esterna, e che è evidentemente destinata a permanere anche qualora venga a mancare una tale specie di manifestazione esteriore. Per quanto riguarda poi la critica al criterio di continuità spazio-temporale, lo stesso Sedley aveva detto chiaramente che non era dell’opinione che un tale criterio potesse essere stato usato dagli Stoici, e che solo in linea del tutto teorica poteva essere considerato un buon criterio (prescindendo quindi dal fatto che gli Stoici credessero o meno in una continuità spazio-temporale degli individui).

Ad ogni modo, non è questo il punto in questione. Non è scopo di questa trattazione stabilire in che cosa consista effettivamente l’ἰδίως ποιόν (anche se proverò a fare qualche considerazione a riguardo in chiusura di capitolo), quanto piuttosto quello di vedere in che modo Plotino utilizzi questo concetto. Quello che ho cercato di mostrare è la sua profonda ambiguità, dovuta probabilmente anche al carattere frammentario della tradizione filosofica stoica, e che si ripercuote tutt’ora sugli studi moderni, in cui non c’è ancora un accordo unanime a questo proposito.

132 Lewis fa riferimento in particolare a Eusebio, Evang. prep. 15.20.6f, a Plutarco, CC 1077e, e a id., SC

1052c-d; 1053b.

133 Lewis E., op. cit. p. 99.

134 Cfr. Filone, Leg. Alleg. II 22-23 e id., Quod deus sit immut. 35-36 (=SVF II, 458). 135 Lewis E., op. cit., p. 100.

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