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L’individualità nel mondo intellegibile: idee, anime, λόγοι

1. Lo status quaestionis: l’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα

1.4 L’individualità nel mondo intellegibile: idee, anime, λόγοι

Particolarmente sensibile alla problematica di questa identificazione tra forme e anime proposta da Cherniss e da Kalligas e contrastata da Rist e Armstrong sembra essere Ferrari80,

che mostra come in Plotino esistano due punti di vista differenti attraverso i quali la questione dell’esistenza di καθ’ἕκαστα viene affrontata81, punti di vista che si incontrano per la prima volta, nella loro diversità, nel trattato V 9. Il primo punto di vista trova la sua espressione nel capitolo 12, ed è il punto di vista, per così dire, “tradizionale”, relativo all’estensione del cosmo eidetico. Per quanto riguarda l’interpretazione di questo capitolo, Ferrari si muove sulla stessa linea di Igal e Armstrong: il «χρὴ λέγειν» indica soltanto che, sulla base delle premesse dei capitoli precedenti, risulta necessario affermare l’esistenza di forme solo per entità universali; subito dopo, tuttavia, si pone esplicitamente la questione se, a proposito dell’uomo, si possa parlare di idee di καθ’ἕκαστα, e a questa domanda non viene data una risposta soddisfacente, con la questione che viene lasciata aperta e accantonata nel trattato V 9. Tuttavia, Ferrari fa notare che nel capitolo successivo una tale questione è in

79 Ivi, pp. 633-634.

80 Cfr. soprattutto Ferrari F., «Esistono forme di καθ’ἕκαστα? Il problema dell’individualità in Plotino e

nella tradizione platonica antica», cit. e Id., «La collocazione dell'anima e la questione dell'esistenza di idee di individui in Plotino», cit.

81 In realtà, più precisamente, i punti di vista individuati da Ferrari sono tre: l’estensione del cosmo eidetico

e la problematica dell’ascesa dell’anima verso il mondo intellegibile sono solo due angolazioni possibili; ad essi vanno aggiunti alcuni «accenni da cui è desumibile l’assegnazione all’Anima-ipostasi della funzione di rappresentare le istanze dell’individualità a livello intellegibile» (Ferrari F., «Esistono forme di καθ’ἕκαστα? Il problema dell’individualità in Plotino e nella tradizione platonica antica», cit, p. 24): il riferimento sarebbe dunque alla funzione dell’Anima intesa come luogo ontologico dell’individualità.

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realtà ripresa da Plotino, ma da un punto di vista differente, collegato questa volta non tanto all’estensione del cosmo noetico, ma piuttosto alla problematica dell’ascesa dell’anima verso l’Intellegibile. Plotino all’inizio del capitolo 13 pone una nuova questione: se tutto ciò che compone il mondo sensibile sia immagine di un modello intellegibile, e dà ad essa una risposta negativa, adducendo come esempio di eccezioni a questa regola la ψυχὴ, che non può essere considerata in alcun modo come εἴδωλον αὐτοψυχῆς, dal momento che le anime si distinguono tra loro per valore (τιμιότητι), e pertanto già nel mondo sensibile (ἐνταῦθα) esse possono rappresentare delle “anime in sé”. Le anime del resto non possono essere considerate come dei normali abitanti di questo mondo, appartenenti esclusivamente al sensibile, in quanto sono in possesso di una “relazione strutturale” con il mondo intellegibile, secondo la tipica concezione plotiniana della “mobilità ontologica” della ψυχὴ, che, a giudizio di Ferrari, può essere ritrovata in numerosi passi enneadici82.

È precisamente questo secondo punto di vista che, per Ferrari, predomina nel trattato V 7. Molti interpreti hanno avuto il torto, secondo lo studioso italiano, di pensare che in questo scritto Plotino affronti il problema dell’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα dallo stesso punto di vista di V 9, 12, cioè dal punto di vista dell’estensione del cosmo noetico. Secondo Ferrari invece Plotino definisce subito, già a partire da riga 2, l’angolatura da cui affrontare la questione: quell’ἀναγωγὴ ἐπὶ τὸ νοητὸν che si riconnette con la riflessione di Kalligas esaminata in precedenza. Pertanto, lo sfondo teorico di questo trattato, che studiosi come Rist, Blumenthal e Mamo hanno avuto il torto di trascurare, è quello della dottrina dell’anima non discesa. Le forme di particolari di cui parla Plotino non sarebbero altro che le parti non discese delle nostre anime, e a tale proposito la critica mossa da Rist a Cherniss perde consistenza argomentativa, in quanto, se è vero che la distinzione tra l’ipostasi dell’Anima e quella dell’Intelletto in Plotino è piuttosto netta, è altrettanto vero che proprio nella dottrina dell’anima non discesa si mostra quella che Cherniss avrebbe considerato una “confusione” di piani, in quanto nelle Enneadi si afferma chiaramente che la parte superiore dell’anima, che non è discesa nel corpo con il resto dell’anima, è eternamente presente nell’Intellegibile.

82 Cfr. in part. III 4 [15], 3, in partic. 21-27: «Ἔστι γὰρ καὶ πολλὰ ἡ ψυχὴ καὶ πάντα καὶ τὰ ἄνω καὶ τὰ κάτω

αὖ μέχρι πάσης ζωῆς, καὶ ἐσμὲν ἕκαστος κόσμος νοητός, τοῖς μὲν κάτω συνάπτοντες τῷδε, τοῖς δὲ ἄνω καὶ τοῖς κόσμου τῷ νοητῷ, καὶ μένομεν τῷ μὲν ἄλλῳ παντὶ νοητῷ ἄνω, τῷ δὲ ἐσχάτῳ αὐτοῦ πεπεδήμεθα τῷ κάτω οἷον ἀπόρροιαν ἀπ’ἐκείνου διδόντες εἰς τὸ κάτω, μᾶλλον δὲ ἐνέργειαν, ἐκείνου οὐκ ἐλαττουμένου». («L’anima è infatti molte cose, anzi tutte: le superiori e le inferiori, fino a comprendere tutta la vita. E ciascuno di noi è un cosmo intellegibile, in contatto con questo mondo attraverso i poteri inferiori, ma anche con l’intelligibile attraverso i poteri superiori o quelli del cosmo; e se con tutto il resto della nostra parte intellegibile restiamo lassù, con il lembo estremo di essa siamo legati al mondo di quaggiù, spandendo da quel mondo superiore a questo inferiore una sorta di emanazione, o piuttosto un’attività, per la quale la parte intelligibile non risulta diminuita»).

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Del resto, questa presunta “confusione” è anche connessa con quella mobilità ontologica a cui ho fatto riferimento poco fa e con la necessità, propria della filosofia plotiniana, che ogni ipostasi mantenga un contatto con l’ipostasi che l’ha generata.

Vanno fatte comunque alcune precisazioni in merito a questa linea interpretativa, per evitare fraintendimenti. In primo luogo, è bene mettere l’accento sul fatto che questa identificazione tra forme di individui e anime non discese non deve trarre in inganno: le anime non discese devono essere considerate “forme” a pieno titolo, in virtù dell’assoluta identità tra pensante e pensato che si ha al livello della seconda ipostasi. Inoltre è bene ricordare che queste anime producono a livello sensibile più individui diversi: infatti, come già ricordato in precedenza, nel trattato V 7 Plotino sostiene la dottrina della reincarnazione, che sembrerebbe contrastare con la corrispondenza biunivoca fra anima e individuo sensibile. Questa difficoltà, come già anticipato, viene risolta facendo ricorso ai λόγοι: ogni anima possiede tutti i λόγοι esistenti, ma solo alcuni sono di volta in volta attivi, e pertanto ogni individuo risulta essere costituito da un determinato “set” di λόγοι, e quindi da un determinato insieme di proprietà qualificanti. Infine, va detto che, per Ferrari, se da un lato va ammessa l’esistenza di forme individuali per gli uomini (le anime non discese), d’altra parte non è possibile pensare che Plotino asserisca l’esistenza di forme anche per enti particolari privi di intelletto, come è testimoniato chiaramente dalla discussione sul fuoco (e in generale sugli elementi) di VI 5.

Come si può vedere, la questione sull’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα in Plotino è ancora ben lontana dall’aver trovato una soluzione soddisfacente e condivisa universalmente dagli studiosi. Il fatto è che, per quanto si cerchi di salvare una certa «consistency» plotiniana contro il parere di Blumenthal, contraddizioni piuttosto importanti rimangono nei passi delle Enneadi presi in esame, soprattutto a causa di un lessico piuttosto “fluido” di Plotino e di una sostanziale oscurità di fondo del trattato V 7. Una critica generale all’impostazione degli studi finora presi in esame è stata mossa da Cristina D’Ancona83, che fa notare che tutta la

questione potrebbe derivare da una sorta di inadeguatezza terminologica: il punto infatti è che «the intelligible individuals Plotinus takes into account in order to explain the fact that one and the same Socrates both grasps the intelligible realities and arranges the reasonings are not Forms»84. In linea di massima quella che qui viene ripresa è l’interpretazione

83 Cfr. D’Ancona C., «“To Bring Back the Divine in Us to the Divine in the All”. Vita Plotini 2,26-27 Once

Again», in Metaphysik und Religion. Zur Signatur des spätantiken Denkens. Akten des Internationalen Kngresses vom 13.–17. März 2001 in Würzburg. Herausgegeben von Th. Kobusch und M. Erler unter Mitwirkung von I. Männlein-Robert, K. G. Saur, München-Leipzig 2002, pp. 517-565.

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proposta da Kalligas: le forme di individui di cui parla Plotino devono essere identificate con le parti non discese delle nostre anime. Ma la studiosa italiana va oltre: non solo deve essere operata questa identificazione, ma si deve mettere l’accento sul fatto che queste anime non discese non sono Forme e non hanno lo stesso statuto ontologico delle idee platoniche, come sosteneva invece Ferrari. Quello di «Αὐτοσωκράτης» è piuttosto un ossimoro, che mostra una difficoltà di espressione ben motivata. Plotino infatti si sta esprimendo in modo inadeguato all’ipotesi delle forme, e questo a causa dell’inadeguatezza delle nostre possibilità conoscitive85: noi tutti siamo anime dianoetiche, e non possiamo illuderci di cogliere in misura adeguata la struttura dell’Intellegibile e di scorgere la grandezza dell’Intelletto. Plotino, secondo questa interpretazione, starebbe pertanto facendo riferimento alla dottrina della parte non discesa dell’anima, e si starebbe esprimendo in modo non appropriato all’ipotesi delle forme in quanto è l’unico modo che hanno le anime dianoetiche di esprimere la struttura dell’Intellegibile, che risulta così composto da forme e anime. Secondo Cristina D’Ancona dunque quello dell’esistenza di forme individuali in Plotino è semplicemente un “falso problema”, in quanto originato da un’interpretazione troppo rigida della terminologia plotiniana. Va precisato inoltre che dietro all’ossimoro Αὐτοσωκράτης sarebbe da individuare non solo una difficoltà di espressione terminologica motivata da profonde ragioni epistemiche, ma anche una sottile polemica diretta contro Aristotele in riferimento alla problematica della sostanza individua, di cui si può effettivamente affermare l’esistenza, ma solo a patto di assegnarle lo statuto di una causa intellegibile. Plotino starebbe dunque mantenendo fermo un punto centrale della filosofia platonica, ovvero la struttura dell’Intellegibile come insieme di anime e forme, riadattandolo però alle obiezioni aristoteliche: quello che Plotino sta cercando è infatti l’individualità presente nell’intellegibile, l’anima non discesa, il nostro vero io che ha dei caratteri individuali non derivanti dalla materia.

Va detto che l’interpretazione di Cristina D’Ancona, per quanto convincente su alcuni punti su cui tornerò con maggior precisione più avanti86, non è stata universalmente accettata

dagli studiosi, anzi è stata oggetto di numerose risposte polemiche, confluite in particolare

85 A questo proposito si pensi ad esempio alla celebre affermazione di Plotino nel trattato VI 7 (2, 1-2):

«Διὸ καὶ ἐντεῦθεν ἄν τις οὐχ ἧττον καταμάθοι τὴν νοῦ φύσιν, ἣν καὶ πλέον τῶν ἄλλων ὁρῶμεν» (nella traduzione di Cristina D’Ancona: «Anche a partire da qui, perciò, uno comprenderebbe non meno la natura dell’intelletto, quella natura che, pur vedendola noi più ampiamente delle altre cose, non vediamo però sino al punto di vedere che grande cosa è l’Intelletto»).

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negli studi di Remes, Aubry e Tornau87. Remes e Aubry in particolare fanno riferimento alla problematica dei λόγοι, per proporre una posizione che è in linea generale tendenzialmente contraria all’identificazione delle forme di καθ’ἕκαστα con le parti non discese delle nostre anime. Paulina Remes88 mette l’accento sul fatto che non è necessario postulare l’esistenza di idee di individui per rendere ragione delle differenze fra uomini particolari: queste differenze derivano piuttosto dal fatto che ogni uomo istanzia un determinato set di λόγοι89. Se vogliamo definire questo insieme di proprietà come “forma” possiamo anche farlo, ma dobbiamo essere consapevoli che esso è forma solo in un senso molto libero della parola: “forma” non indica infatti in questo caso un particolare Socrate avente lo stesso statuto ontologico della forma Uomo, ma piuttosto una determinata collezione di λόγοι propria di Socrate che è determinata dall’Intelletto e attualizzata in stadi più bassi dell’emanazione. Del resto, propriamente parlando, i λόγοι sono vere e proprie “parti” logiche delle forme, possibilità all’interno della forma Uomo. Per Paulina Remes è questo il grande tema del trattato V 7: trovare il principium individuationis che permetta di distinguere i singoli uomini fra loro, principio che viene trovato senza far ricorso a forme di particolari (che sarebbero in contrasto con le tesi platoniche) e nemmeno alla materia (cosa che Plotino non sembra disposto ad accettare, dal momento che spesso essa è considerata semplicemente come non essere, privazione, qualcosa incapace di generare e priva di azione causale90), ma riferendosi, per l’appunto, al fatto che i singoli individui sono caratterizzati da un insieme di princìpi formativi diversi. Alcuni princìpi formativi potranno anche essere uguali tra più uomini diversi, ad essere differente è piuttosto l’insieme di tali princìpi, la loro combinazione, lo specifico set di λόγοι. Va detto che c’è anche un secondo nucleo teorico in V 7, che oltrepassa i problemi legati al principium individuationis: esso riguarda specificamente lo statuto delle

87 Va segnalato a questo proposito anche Chiaradonna, che generalmente concorda con l’idea che Plotino

non ammetta l’esistenza di “idee di individui”, facendo piuttosto riferimento alle anime non discese (cfr. Chiaradonna R., Plotino, Carocci, Roma 2009, in cui lo studioso italiano afferma che nel trattato V 7 «Plotino non ammette tanto l’esistenza di idee di individui, quanto di ‘individui intellegibili’, i quali altro non sono se non le anime nella loro condizione non discesa nei corpi. Pertanto, nell’intellegibile non vi sono solo Forme, ma Forme e anime, le quali sono presenti en tôi noêtôi mediante la loro ‘parte’ superiore e intellettuale», ivi, p. 105), ma che pure avanza alcune critiche particolari all’interpretazione di Cristina d’Ancona (cfr. Chiaradonna R., «Plotino: il ‘noi’ e il Nous (Enn. V 3 [49], 8, 37-57)», in Aubry G.-Ildefonse F. (eds.), Le moi

et l’intériorité. Philosophie, Antiquité, Anthropologie, Vrin, Paris 2008, pp. 277-294).

88 Cfr. Remes P., «Plotinus on the Unity and Identity of changing particulars», Oxford Studies in Ancient

Philosophy 28, 2005, pp. 273-301 e Id., Plotinus on Self. The Philosophy of the “We”, Cambridge 2007.

89 Sui dettagli di questa argomentazione tornerò nel capitolo successivo: cfr. infra, in partic. pp. 52-61, dove

muoverò una critica ad un punto particolare della ricostruzione di Paulina Remes.

90 Cfr. in partic. II 4 [12] e III 6 [26]. Va detto comunque che la concezione plotiniana della materia è molto

complessa e non sempre coerente: in particolare, se la tendenza generale è quella appena descritta, in altri trattati la materia viene concepita quasi come un principio dotato di una propria azione causale. Per una presentazione sintetica del problema cfr. Chiaradonna, Plotino, Carocci, Roma 2009, pp. 158-162 e Linguiti A., «La materia dei corpi: sullo pseudoilomorfismo plotiniano», Quaestio 7 (2007), pp. 105-122.

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anime individuali e la problematica dell’ascesa dell’anima razionale nel mondo intellegibile. Molti studiosi, secondo Remes sbagliando, hanno tentato di conciliare questi due grandi temi del trattato introducendo una semplicistica equazione tra forme individuali e anime individuali, e arrivando così a postulare l’esistenza di «forme-intelletti»; per la studiosa svedese si tratta invece di tenere separate le due questioni. Un conto sono le differenze tra i vari individui, risolte mediante il ricorso ai λόγοι, un altro invece lo statuto delle anime individuali, che, in linea con la tradizione platonica, rimane in definitiva ambiguo. Sarebbe infatti un fraintendimento delle intenzioni di Plotino affermare senza riserve che le anime sono abitanti del mondo intellegibile per loro proprio diritto; quello che si può dire è che esse sono simili alle forme: sono infatti atemporali, immortali, incorruttibili, indivisibili, autosufficienti e assolutamente semplici. Non per questo però si deve concluderne che le anime sono forme. È la stessa ambiguità dei testi platonici: anche nel Fedone, fa notare Paulina Remes, Platone mostra la somiglianza delle anime alle forme, ma non fa niente per suggerire che queste anime che conoscono le forme siano anch’esse forme. In questa interpretazione Plotino si mostra dunque platonico fino all’ultimo, mantenendo la stessa natura ambigua dell’anima umana, che anzi in alcuni trattati arriva quasi esplicitamente a negare possa essere la natura di una forma91. Ad ogni modo va ricordato che, secondo Remes, quella dell’anima è una questione in qualche modo secondaria nello sviluppo di V 7, mentre il vero problema è quello dei λόγοι. Del resto non è un caso che, cronologicamente, questo trattato venga preceduto immediatamente da II 6 [17], Sulla Sostanza o Qualità, che ha come scopo quello di mostrare che le differenze essenziali non possono essere concepite in termini di qualità aristoteliche, ma al contrario devono essere viste come attività di sostanze e princìpi formali (λόγοι). Da questo punto di vista, il trattato V 7 [18] segue logicamente questa discussione, concentrandosi sulle qualità specifiche presenti nei particolari esseri umani. Remes arriva addirittura a sostenere che Porfirio ha forse commesso un errore nel collocare questo trattato tra quegli scritti che riguardano l’Intelletto e le forme, in quanto il punto centrale è la questione del principio di individuazione92.

91 Remes cita soprattutto VI 9, 1,20-26.

92 Sul collegamento tematico fra i trattati 17 e 18, che ritengo particolarmente significativo e convincente,

così come in generale l’interpretazione di Paulina Remes (che però, come avrò modo di sottolineare, non condivido interamente), cfr. infra, pp. 52-61. Tale collegamento sarà ripreso anche da Chiaradonna, il quale sottolinea a questo proposito la natura di quaestio scolastica del trattato 18 e il carattere fuorviante del titolo assegnatogli da Porfirio sulla base del suo incipit (cfr. Chiaradonna R., «Plotino: il ‘noi’ e il Nous (Enn. V 3 [49], 8, 37-57)», in Aubry G.-Ildefonse F. (eds.), Le moi et l’intériorité. Philosophie, Antiquité, Anthropologie, Vrin, Paris 2008, pp. 277-294, in part. p. 285 nota 25)

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Alla centralità dei λόγοι nella problematica dell’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα si richiama anche Aubry93, la cui tesi centrale è che in V 7 Plotino asserisce la presenza dell’individualità e dell’individuo a livello intellegibile. Il problema è come debba essere intesa effettivamente questa presenza. Nelle prime righe di V 7 si trova in effetti una pluralità di termini differenti fra loro: la questione iniziale (così come il titolo di Porfirio) si richiama all’ἰδέα τοῦ καθέκαστον, ma in una prima risposta si parla dell’ἀρχὴ di ciascuno di noi che deve trovarsi nell’Intellegibile, e la questione poi slitta al piano della ψυχὴ. Infine, per risolvere le problematiche derivanti dall’accettazione della teoria della reincarnazione, si fa ricorso alla presenza nell’anima dei λόγοι. Vi sono dunque almeno tre candidati possibili per l’identificazione con quella generica “presenza” dell’individualità nell’Intellegibile di cui si è appena parlato: Plotino parla in effetti di un principio intellegibile (ἀρχὴ) dell’individuo, ma non specifica se questo ἀρχὴ debba essere identificato con un’ἰδέα, con una ψυχὴ o con un λόγος, ed è proprio una confusione di tal genere che avrebbe portato alla nascita di un ventaglio di interpretazioni così diversificate tra di loro quali quelle che ho cercato di riportare sinteticamente in questa prima parte dell’Introduzione. A giudizio di Aubry questa “presenza” deve essere identificata con un λόγος: se è infatti vero che, per un platonico, non possono esistere forme di universali ma solo di particolari, è altrettanto vero che Plotino sembra postulare in questo trattato l’esistenza di un «principe intelligible de distinction» da indentificare non con la forma ma con il λόγος, che porta allo stesso tempo le differenze specifiche e le differenze individuali, le quali tuttavia non si attualizzano nella materia. Accanto a questo principio intellegibile di distinzione, tuttavia, Aubry sente la necessità di introdurre, per parlare in termini leibniziani, un «principe sensible d’individuation», da identificarsi non con la materia ma con il corpo vivente. Questa duplicità di principi sarebbe giustificata secondo Aubry da un passo che ho già considerato in precedenza in quest’analisi94, ovvero VI 4, 14,16-31: qui si parla infatti di un primo uomo Intellegibile che

eravamo, pura anima e puro νοῦς (a cui si deve connettere pertanto il principio intellegibile di distinzione), contrapposto a un secondo uomo, l’uomo sensibile, soggetto al divenire del tempo, che si è aggiunto in seguito a questo primo uomo (e a cui è legato il principio sensibile di individuazione). Inoltre, e questo secondo Aubry non è stato notato dai precedenti commentatori, Blumenthal e Rist in particolare, si parla qui di un terzo livello di umanità:

93 Cfr. Aubry G., «Individuation, particularisation et détermination selon Plotin», Phronesis 53 (2008), pp.

271-289 e Id., “Un moi sans identité? Le hêmeis plotinien”, in G. Aubry e F. Ildefonse (ed.), Le moi et

l’intériorité, coll. “Textes et Traditions” 17, Paris 2008, pp. 107-127.

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l’ἡμεῖς, il «noi», che deve essere inteso come la persona umana in quanto soggetto della coscienza e della libertà, che è costituito dall’unione dei primi due uomini e che può scegliere di elevarsi verso l’Intellegibile o di abbassarsi verso il sensibile. Secondo Aubry con il principio intellegibile di distinzione e con il principio sensibile di individuazione non si raggiunge ancora questo terzo livello dell’ἡμεῖς, in quanto manca ancora l’elemento