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La dottrina ilemorfica di Alessandro di Afrodisia

3. Il metodo di Plotino: l’analogia strutturale con VI 1-3 [42-44]

3.1 La dottrina ilemorfica di Alessandro di Afrodisia

In tempi recenti si è avuta una progressiva crescita di interesse nei confronti della figura di Alessandro di Afrodisia, e le sue opere sono state esaminate con maggiore accuratezza e precisione rispetto a quanto non fosse stato fatto in passato. Questa maggiore attenzione ai testi di Alessandro ha portato a una rivalutazione generale della sua posizione, che è stata messa strettamente in relazione con il contesto esegetico e polemico proprio di quel tempo. Negli ultimi anni in particolare Rashed197 ha proposto una lettura “essenzialista”198 della filosofia di Alessandro, intesa come ricerca una via di mezzo fra i due poli opposti del materialismo e nominalismo di Boeto di Sidone e dell’idealismo platonico. La posizione di Boeto199 è ricostruibile nelle sue linee generali grazie a un passo del commento alle

197 Cfr. Rashed M., Essentialisme. Alexandre d’Aphrodise entre logique, physique et cosmologie, Walter

de Gruyter, Berlin-New York 2007.

198 Rashed (ivi, p.31) definisce la sua posizione in questi termini: «J’appelle en effet ‘essentialiste’ une ligne

doctrinale selon laquelle: 1) l’eidos est le lieu unique de l’être et de l’unité, i.e. de la réalité ; 2) l’individu ne lui ajoute rien qui, véritablement, soit ; 3) la genre est pour autant qu’il est un constituant de l’eidos ; 4) l’analogie n’est qu’un mode de l’examen ; 5) la définition spécifique coïncide avec la définition hylémorphique».

199 Sulla quale, oltre al libro di Rashed, si veda in partic. Chiaradonna R., «ΟΥΣΙΑ ΕΞ ΟΥΚ ΟΥΣΙΩΝ.

Forma e sostanza sensibile in Plotino (Enn. VI 3 [44], 4-8)», Documenti e Studi sulla Tradizione Filosofica

Medievale 10 (1999), pp. 25-57, in partic. pp. 25-33; Id., Sostanza, movimento, analogia. Plotino critico di Aristotele, Bibliopolis, Napoli 2002; Id., «Hylémorphysme et causalité des intelligibles. Plotin et Alexandre

d’Aphrodise», Les études philosophiques 2008/3, pp. 379-397 ; Id., «Alexander, Boethus and the Other Peripatetics: The theory of Universals in the Aristotelian Commentators», in Universals in Ancient Philosophy, ed. by R.Chiaradonna-G.Galluzzo, Edizioni della Normale, Pisa 2013, pp. 299-328 ; Sharples R.W., «Peripatetics on Soul and Intellect», in Greek and Roman Philosophy, 100BC to 200AD, ed. by R. Sorabji-

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Categorie di Simplicio200, che attesta una riflessione del peripatetico sulla problematica di riconciliare i criteri di sostanzialità delle Categorie e le tre accezioni della sostanza (materia, forma e composto) che Aristotele esprime «ἐν ἄλλοις». La tesi sostenuta da Boeto è che la definizione della «πρώτη οὐσία» si può applicare sia alla materia che al composto, in quanto non si dicono di un sostrato e non sono in un sostrato, ma non alla forma, in quanto essa inerisce alla materia; Boeto infatti afferma chiaramente, in riferimento al composto, che: «τὸ μὲν σύνθετον […] ἔχει τὸ εἶδος τὸ ἐν ἑαυτῷ ἐν ἄλλῳ ὄντι τῇ ὕλῃ»201. Sebbene eterodossa

rispetto alla riflessione di Aristotele di Metafisica Ζ, la posizione di Boeto aveva indubbiamente i suoi vantaggi: in particolare, essa scongiurava la possibilità di una ricaduta nell’ambito della filosofia platonica, che è un rischio che si potrebbe correre asserendo il primato dell’εἶδος sulla materia e il suo essere χωριστὸν sulla scorta di quanto detto da Aristotele in Metafisica Z 2-3, in cui si arriva peraltro a negare la sostanzialità della ὕλη, affermata invece con forza da Boeto, le cui tesi di fondo ricordano molto da vicino il materialismo stoico. Alessandro, secondo Rashed, cerca di mediare proprio fra questi due estremi: «faire droit à l’eidos sans sombrer dans le platonisme, faire droit à la matière sans sombrer dans l’aristotélisme boéthisant»202. Il punto non era affatto semplice: cercare di

confutare Boeto per evitare di tornare a un materialismo stoico da cui era necessario prendere le distanze e, allo stesso tempo, giustificare la priorità della forma nell’ontologia aristotelica senza però ricadere nell’idealismo platonico e nell’assolutizzazione dell’εἶδος. La linea di confine fra questi estremi è molto sottile, e Alessandro stesso in molti passi non riesce a sfuggire a un’ambiguità di fondo che ha portato gli studiosi, nel corso degli anni, alle interpretazioni più disparate, da quella materialista di Moraux203 a quella idealista di Wurm204 e Steinfath205, fino ad arrivare alla lettura essenzialista di Rashed, che trova una sua anticipazione, per stessa ammissione dell’autore, in Sharples206, e che sarà accettata negli

R.W. Sharples, Institute of Classical Studies (BICS Suppl. 94), London, 2007, pp. 607-620; Rashed M., «Boethus’ Aristotelian Ontology», in Aristotle, Plato and Pythagoreanism in the First Century BC: New

Directions in Philosophy, ed. by M. Schofield, Cambridge University Press, Cambridge 2012, pp. 53-77.

200 Simplicius, In Cat., 78, 5-20. 201 Ivi, 13-14.

202 Rashed M., Essentialisme, cit., p. 324.

203 Cfr. in partic. Moraux P., Der Aristotelismus bei den Griechen von Andronikos bis Alexander von

Aphrodisias, 3 voll., Walter de Gruyter, Berlin 1973-2001.

204 Cfr. Wurm K., Substanz und Qualität. Ein Beitrag zur Interpretation der plotinische Traktate VI 1, 2

und 3, Walter de Gruyter, Berlin 1973, in partic. pp. 181-193.

205 Cfr. Steinfath H., Selbständigkeit und Einfachheit. Zur Substanztheorie des Aristoteles, Frankfurt am

Main 1991, in partic. p. 236 n. 1.

206 Cfr. Sharples R.W., «Alexander of Aphrodisias. Scholasticism and Innovation», in Aufstieg und

Niedergang der römischen Welt, 36.2, Walter de Gruyter, Berlin 1987, pp. 1176-1243. Si veda anche quanto

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anni successivi da Chiaradonna207. C’è dunque chi ha visto Alessandro aderire a un materialismo simile a quello di Boeto, chi lo ha visto fare ampie concessioni al platonismo, e chi lo ha visto tentare di mediare fra queste due posizioni: una simile divergenza di opinioni si può spiegare solo alla luce delle evidenti contraddizioni fra le varie formulazioni di Alessandro in diversi passi delle sue opere. Per cercare di fare chiarezza e di provare a giungere a una conclusione su quale sia l’interpretazione più corretta fra quelle che sono state proposte dagli studiosi nel corso di questo lungo dibattito, credo che la strategia migliore sia quella di dare la parola allo stesso Alessandro. Ritengo infatti che, a partire da un esame accurato dei testi alessandristi, sia possibile confermare almeno in parte il nuovo paradigma proposto da Rashed, in particolare per quanto riguarda la presenza di espressioni ambigue che sembrano andare ora in direzione materialista, ora in direzione idealista, e che in un’ultima analisi riflettono e amplificano ambiguità e discrepanze già presenti all’interno delle varie opere aristoteliche208.

3.1.1 De anima 1,1-6,6: priorità della forma o del composto?

Sfortunatamente, i testi fondamentali di Alessandro per la questione oggetto d’esame, quali il commento ai libri centrali della Metafisica, alle Categorie e al secondo libro del De anima, sono andati perduti209. Questo potrebbe rappresentare un notevole ostacolo per

207 Cfr. i testi di Chiaradonna citati alla nota 3.

208 Al di là di questa convergenza generale, ritengo che si possano muovere varie critiche a Rashed

sull’analisi dei singoli passi, che saranno di volta in volta precisate nel corso del testo. Inoltre, per quanto riguarda l’impostazione generale dell’indagine, sembra che spesso lo studioso francese voglia far dire ai testi di Alessandro più di quanto essi dicano effettivamente, facendo ricorso a categorie del pensiero filosofico contemporaneo per spiegare l’impostazione di un filosofo di età tardoantica, andando così a fare un’operazione assolutamente estrinseca e poco appropriata. Inoltre la stessa divisione generale del testo di Rashed (Essentialisme, cit.) in tre parti, una dedicata alla logica dell’eidos, una alla fisica e una alla cosmologia, risulta piuttosto artificiosa e poco funzionale a una comprensione globale dei testi. Pertanto il libro di Rashed, che pure è molto utile in relazione al delineamento della ricerca da parte di Alessandro di una via intermedia fra platonismo e materialismo stoicizzante, deve nondimeno essere letto con una certa cautela.

209 Per quanto riguarda il commentario alla Metafisica, bisogna precisare che in realtà esiste un commento

completo alla Metafisica tramandato sotto il nome di Alessandro di Afrodisia. Tuttavia, gli studiosi sono da tempo concordi nel riconoscere l’autentica paternità alessandrista solo al commento ai primi cinque libri dell’opera aristotelica, mentre per quanto riguarda il commento ai libri VI-XIV l’ipotesi più probabile è che siano opera del bizantino Michele di Efeso (XI-XII d.C.), secondo una proposta formulata già all’inizio del ‘900 da Praechter («Review of CAG 22.2, Michael of Ephesus in de part. an., etc.», Göttingische Gelehrte

Anzeigen 168 (1906), pp. 861-907). Sulla questione generale cfr. Sharples R.W., «Alexander of Aphrodisias.

Scholasticism and Innovation», cit., pp. 1182-1183 e Luna C., Trois études sur la tradition des commentaires

anciens à la Métaphysique d’Aristote, Brill, Leiden-Boston-Köln 2001. Per quanto riguarda invece il

commento alle Categorie, Sharples ha ipotizzato che il palinsesto di Archimede ne possa conservare una parte (cfr. Sharples R., «The New Commentary on Aristotle’s Categories in the Archimedes Palimpsest»,

http://archimedespalimpsest.org/about/scholarship/commentary-aristotle.php). Nel palinsesto infatti sono presenti alcuni fogli che contengono parte di un anonimo commento alle Categorie di Aristotele, che Sharples ritiene probabile attribuire ad Alessandro di Afrodisia, sebbene riconosca che non ci siano motivazioni

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arrivare a una chiarificazione della sua posizione in merito alla nozione di sostanzialità e al rapporto tra materia, forma e composto, ma, cionondimeno, è possibile cercare di colmare questa lacuna facendo riferimento ad altri testi particolarmente significativi. L’opera fondamentale da prendere in considerazione è il De anima di Alessandro, un trattato che sembrerebbe presupporre il commento all’omonimo scritto aristotelico da parte dello stesso Alessandro, per noi oggi perduto. Accattino e Donini arrivano addirittura ad affermare che questo trattato potrebbe essere considerato per gran parte una sorta di “ricucitura” di passi tratti dal perduto commento al De anima, e, in misura minore, da altri commenti di Alessandro, in particolare il De sensu: prova di questo è che i temi del De anima alessandrista riprendono linearmente la struttura dei libri II e III del De anima aristotelico, fatta eccezione per la conclusione e per le prime 26 pagine210. La prima sezione del libro è proprio quella su

cui vorrei incentrare la mia attenzione, in quanto costituita da un’indagine approfondita sulla nozione di forma, che non trova alcun riscontro diretto nel testo di Aristotele, e che ha il suo punto di partenza nella concezione aristotelica di anima come forma del corpo.

All’inizio di questa sezione Alessandro afferma che la causa principale a cui possono essere ricondotti tutti i problemi legati all’anima riguarda la difficoltà di conciliare la sua natura corporea con le attività che le attribuiamo, e che consideriamo come «ἔργα […] θειότερά τε καὶ μείζω πάσης σωματικῆς δυνάμεως»211. Come fa giustamente notare

Caston212, una simile espressione costituisce una ripresa delle parole usate da Socrate nel Fedone per descrivere la posizione di Simmia, che, pur considerando l’anima come qualcosa di più divino e nobile del corpo, teme che essa possa dissolversi al momento della morte, dal momento che la sua natura è quella di essere armonia delle potenze corporee213. Una simile reminiscenza all’inizio del De anima alessandrista mi sembra particolarmente significativa, in quanto indicativa di una difficoltà da parte di Alessandro di conciliare una supposta

particolarmente stringenti in tal senso. Altre possibilità fanno riferimento a un commento di Galeno o di Giamblico o all’Ad Gedalium di Porfirio. Sulla questione cfr. Chiaradonna R.-Rashed M.-Sedley D., «A Rediscovered Categories Commentary», Oxford Studies in Ancient Philosophy, 44 (2013) pp. 129-94 (l’articolo, che si schiera a favore dell’ipotesi dell’Ad Gedalium di Porfirio, contiene anche un’edizione del testo greco e una sua traduzione inglese).

210 Cfr. Alessandro di Afrodisia, L’anima, traduzione, introduzione e commento a cura di P.Accattino e

P.Donini, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. V-XXXVI.

211 de an. 2, 17-18. Il testo greco delle opere di Alessandro, se non diversamente specificato, è quello di

riferimento stabilito da Ivo Bruns in Commentaria in Aristotelem Graeca, Supplementum Aristotelicum II.1- II.2, Alexandri Aphrodisiensis praeter commentaria scripta minora, ed. I. Bruns, Reimer, Berlin 1887-1892.

212 Cfr. Alexander of Aphrodisias, On the Soul. Part 1: Soul as Form of the Body, Parts of the Soul,

Nourishment and Perception, translated with an introduction and commentary by V.Caston, Bloomsbury,

London-New Delhi-New York-Sydney 2002, pp. 3-4 e 74.

213 Cfr. Phaed. 91c7-d2: «Σιμμίας μὲν γάρ, ὡς ἐγᾦμαι, ἀπιστεῖ τε καὶ φοβεῖται μὴ ἡ ψυχὴ ὅμως καὶ

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“superiorità” dell’anima, concezione di stampo platonico, con l’idea, materialista, della sua natura corporea: una tensione interna all’aristotelismo che si giustifica con la necessità, da una parte, di accordare una priorità all’εἶδος, seguendo l’insegnamento della Metafisica e del De anima e andando contro un materialismo di stampo stoico confluito in Boeto nell’idea che ad essere sostanza sia in primo luogo la ὕλη, e, dall’altra, di evitare di ricadere nella dottrina platonica delle idee già ampiamente criticata dallo stesso Aristotele. La soluzione prospettata da Alessandro in questo passo sembra seguire una sorta di via intermedia, mantenendo sia la superiorità dell’anima che la sua natura corporea nella comprensione della straordinaria superiorità della natura nei confronti dell’arte e della tecnica: «μαθόντες γὰρ ὁποῖόν τί ἐστιν ἡ φύσις καὶ πεισθέντες ὅτι παντὸς τοῦ κατὰ τέχνην γινομένου θαύματος παραδοξότερα τὰ ἔργα αὐτῆς, ῥᾷον πιστεύσομεν τοῖς μέλλουσι περὶ ψυχῆς λέγεσθαι»214.

Tuttavia, se sembra chiara la volontà di Alessandro di sanare la contraddizione posta a fondamento di tutti i problemi relativi all’anima preservando entrambi i membri della dicotomia iniziale, quello che non è ancora chiaro è la modalità esatta con cui tenterà di approdare a questa soluzione.

Nel prosieguo del trattato215, Alessandro riprende la concezione centrale dell’ilemorfismo aristotelico, secondo cui ogni sostanza corporea (sia naturale che artificiale) è composta da materia e forma, e dirige la sua attenzione verso i corpi naturali, che si distinguono in corpi semplici e corpi composti (in cui la materia è anch’essa un corpo naturale, e dunque ha a sua volta una propria materia e una propria forma). A questo proposito si deve distinguere fra due diverse concezioni della materia: materia in senso proprio e assoluto (κυρίως καὶ ἁπλῶς) sarà infatti solo la materia dei corpi semplici, mentre il sostrato dei corpi composti è detto materia solo impropriamente, dal momento che anch’esso è costituito da una materia e da una forma. Un primo punto particolarmente rilevante per la presente indagine è dato dal fatto che, a proposito della materia dei corpi semplici, Alessandro afferma che è impossibile che essa esista καθ’αὑτὴν, in quanto è sempre necessariamente congiunta a una forma, dalla quale può essere separata solo col pensiero (τῇ νοήσει μόνῃ); tale materia, a questo proposito, è paragonata a un pezzo di cera, che è necessario che abbia una certa figura e che non potrebbe essere concepito senza tale figura. La materia in senso proprio non può dunque esistere senza una forma, né può essere separata da essa: si potrebbe allora pensare, conseguentemente, all’affermazione da parte di

214 de an. 2, 12-15.

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Alessandro di un primato della forma, che si differenzia dalla materia grazie alla sua possibilità di sussistenza autonoma. Tuttavia, il nostro autore si affretta a precisare che quanto vale per la materia vale anche per l’εἶδος, che è incapace di sussistere per sé, slegato da una qualche materia; anzi, precisa Alessandro, l’impossibilità da parte della forma di sussistere senza la materia è anche più grande dell’impossibilità da parte della materia di sussistere senza la forma: per quanto riguarda la materia infatti, si potrebbe dire che questa impossibilità vale unicamente per la materia dei corpi semplici, mentre la materia dei corpi composti (che non è materia in senso proprio, in quanto composta a sua volta da materia e forma) ha una sussistenza autonoma. Per la forma, al contrario, Alessandro non sembra ammettere eccezioni: «τῶν δὲ εἰδῶν τῶν ἐν ὕλῃ γινομένων οὐδὲν οἷόν τε καθ’αὑτὸ ὑποστῆναί ποτε, οὔτ’ἂν ᾖ σώματος ἁπλοῦ οὔτ’ἂν συνθέτου»216. Da ciò ne consegue che né

la forma né la materia possono essere considerati dei corpi, dal momento che il corpo è qualcosa che sussiste di per sé, indipendentemente da altro; ad ogni modo, sia la forma che la materia sono sostanze a pieno titolo:

οὐσία μέντοι ἑκάτερον αὐτῶν. ὡς γὰρ ἡ ὕλη, οὕτως δὲ καὶ τὸ φυσικὸν εἶδος217

οὐσία. οὐσίαι γὰρ τὰ μέρη τῆς οὐσίας, μᾶλλον δέ, διότι ἑκάτερον ἐκείνων οὐσία, καὶ τὸ ἐξ ἀμφοῖν οὐσία καὶ μία τις φύσις, οὐχ ὡς τὰ κατὰ τέχνην γινόμενα, ἃ κατὰ τὸ ὑποκείμενόν τε καὶ τὴν ὕλην εἰσὶν οὐσίαι, κατὰ δὲ τὰ εἴδη ποιότητες.218

Tuttavia ciascuno dei due è sostanza: come infatti lo è materia, così anche la forma naturale è sostanza. Sono sostanze, infatti, le parti della sostanza o meglio, poiché ciascuna di quelle due è sostanza, anche ciò che risulta da entrambe è sostanza ed è una sola natura: non come i prodotti delle arti, che quanto al sostrato e alla materia sono sostanze, ma quanto alla forma qualità219.

216 Ivi 4, 26-27.

217 Alessandro parla di φυσικὸν εἶδος giacché, poco prima del passo in esame (5,1-4), ha precisato che la

forma artificiale non può essere considerata οὐσία, in quanto la stessa arte non è una sostanza, a differenza della natura (il riferimento probabilmente è alla Metafisica di Aristotele: cfr. in partic. Metaph. Λ 3, 1070a 13 sgg.). Anche alla fine del passo qui presentato, Alessandro afferma che la forma delle sostanze artificiali non è sostanza in senso proprio, ma qualità. Su questo punto tornerò più approfonditamente in seguito: cfr. infra, p. 109.

218 Ivi 6, 2-6.

219 La traduzione italiana del De anima di Alessandro di Afrodisia, se non diversamente specificato, è quella

presente in Alessandro di Afrodisia, L’anima, traduzione, introduzione e commento a cura di P.Accattino e P.Donini, cit.

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Il passo di Alessandro non è chiarissimo, e presenta un’ambiguità piuttosto importante. In prima istanza infatti si afferma che la materia e la forma sono sostanze in quanto μέρη τῆς οὐσίας: la priorità dunque è conferita al composto, che è la vera οὐσία, mentre εἶδος e ὕλη sono sostanze solo in senso derivato, e solo perché le parti della sostanza sono anch’esse a loro volta sostanze. Questo peraltro sembrerebbe in accordo con quanto detto in precedenza, in relazione in particolare all’affermazione che a sussistere di per sé è solo la materia dei corpi composti, e dunque, in definitiva, il sinolo di materia e forma (giacché la materia dei corpi composti è costituita a sua volta di materia e forma). Tuttavia, Alessandro si corregge immediatamente, e precisa la sua posizione affermando che materia e forma in realtà sono sostanze in senso primario: adesso l’Esegeta sembra dire che la priorità spetta all’εἶδος e alla ὕλη, e che il composto è da considerarsi οὐσία solo in senso derivato, dal momento che deriva la sua sostanzialità dalla sostanzialità (che è dunque originaria) dei suoi due costituenti (materia e forma). Il passo è piuttosto controverso e l’ambiguità di fondo è stata spesso trascurata dagli interpreti, e solo Rashed in tempi recenti ha affrontato in modo sistematico la questione, seguito in un secondo momento da Chiaradonna220. Per cercare di chiarire il punto di Alessandro sarà opportuno indagare in prima istanza il primo criterio di sostanzialità proposto nel passo appena presentato: sono sostanze le parti della sostanza. Un tale criterio infatti potrebbe destare qualche perplessità, in quanto Alessandro si limita ad enunciarlo senza preoccuparsi di argomentarlo, sembrando dare quasi per scontata la sua validità generale, il che è in realtà abbastanza problematico, se si pensa che alcuni studiosi (Wurm in particolare), hanno visto in un tale criterio un profondo snaturamento delle dottrine aristoteliche221. Tuttavia, da un’attenta analisi del corpus filosofico del nostro autore, si potrà rilevare come un tale criterio sia una vera e propria costante di Alessandro, che lo adotta con precise motivazioni esegetiche e polemiche.

220 Nel loro puntuale commento al testo Accattino e Donini sorvolano sulla questione, e Caston (Alexander

of Aphrodisias, On the Soul, cit., p. 82) si limita a rinviare a Rashed, per il quale si veda Essentialisme, cit., in partic. pp. 35-81. Per quanto riguarda Chiaradonna, che riprende l’interpretazione del passo data da Rashed, si veda «Hylémorphysme et causalité des intelligibles», cit., pp. 380-389.

221 Cfr. Wurm K., Substanz und Qualität, cit., pp. 184-185. Anche Barnes (Id., Porphyry, Introduction,

Clarendon Press, Oxford 2003, pp. 354-355) è piuttosto critico nei confronti di un simile argomento, considerando come vaga e inadeguata le stessa nozione di “parte della sostanza”. Rashed invece si oppone nettamente a questa visione (cfr. Essentialisme, cit., pp. 51-52), e in questo verrà seguito da Chiaradonna («Hylémorphysme et causalité des intelligibles», cit., p. 385).

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3.1.2 Quaestiones: la forma non è nella materia come in un sostrato

A questo proposito può essere utile prendere in esame alcuni passi tratti dalle Quaestiones, un insieme di testi la cui paternità non può essere attribuita in modo sicuro ad Alessandro, ma che tuttavia, con ogni probabilità, riflettono l’attività della sua scuola, come la maggior parte degli studiosi è ormai disposta ad ammettere222. Per quanto concerne la presente trattazione, particolare interesse assumono le quaestiones I.8, I.17 e I.26, che dovrebbero probabilmente essere lette insieme, dal momento che affrontano la stessa tematica: l’inerenza della forma nella materia. Più in particolare, le quaestiones I.8 e I.17 argomentano che la forma non è nella materia come in un sostrato (con un chiaro intento anti-boetiano), mentre la quaestio I.26, dopo aver ripreso queste considerazioni, tenta di stabilire positivamente le modalità in cui la forma è effettivamente presente nella materia.

Il punto di riferimento su cui si innesta la riflessione di Alessandro è il ben noto passo delle Categorie in cui Aristotele definisce l’essere in un sostrato: «ἐν ὑποκειμένῳ δὲ λέγω