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Il trattato V 7 [18] di Plotino: introduzione, traduzione e commento

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea in Filosofia e Forme del Sapere

TESI DI LAUREA

IL TRATTATO V 7 [18] DI PLOTINO: INTRODUZIONE,

TRADUZIONE E COMMENTO

RELATORE CANDIDATO

Prof.ssa Cristina D’Ancona Roberto Zucchi

CORRELATORE

Prof. Bruno Centrone

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INDICE

INTRODUZIONE ... 4

1. Lo status quaestionis: l’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα ... 5

1.1 Una questione platonica. ... 5

1.2 Due paradigmi ermeneutici ... 10

1.3 Esistono idee di καθ’ἕκαστα... 26

1.4 L’individualità nel mondo intellegibile: idee, anime, λόγοι ... 32

2. Plotino e la dottrina stoica dell’ἰδίως ποιόν ... 40

2.1 Il dibattito moderno sull’ἰδίως ποιόν ... 41

2.2 L’ἰδίως ποιόν in Dexippo e Porfirio ... 48

2.3 L’ἰδίως ποιόν in V 7 [18] ... 52

2.4 Il trattato VI 1-3 [42-44]: categorie stoiche e sostanza aristotelica ... 62

3. Il metodo di Plotino: l’analogia strutturale con VI 1-3 [42-44] ... 72

3.1 La dottrina ilemorfica di Alessandro di Afrodisia ... 73

3.1.1 De anima 1,1-6,6: priorità della forma o del composto? ... 75

3.1.2 Quaestiones: la forma non è nella materia come in un sostrato ... 80

3.1.3 Mantissa 5: un compendio delle ambiguità alessandriste ... 94

3.1.4 De anima 6,6-26,30: alcuni passi problematici ... 101

3.1.5 De anima 80,16-91,6: la questione delle forme immateriate ... 109

3.2 Plotino e l’aristotelismo alessandrista. ... 116

3.2.1 VI 1 [42], 2: il dibattito fra Alessandro e Boeto ... 121

3.2.2 VI 3 [44], 4-5: le contraddizioni di Alessandro ... 126

3.2.3 VI 3 [44], 8: la sostanza aristotelica e l’ἰδίως ποιόν stoico ... 135

3.3 Conclusione: il rapporto fra VI 1-3 [42-44] e V 7 [18] ... 141

TESTO E TRADUZIONE DI V 7 [18] ... 148 COMMENTO DI V 7 [18] ... 156 Capitolo 1. ... 159 Capitolo 2 ... 201 Capitolo 3 ... 233 BIBLIOGRAFIA ... 265

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INTRODUZIONE

Lo scopo di questo saggio introduttivo, premesso al commento puntuale del trattato V 7 [18], è quello di realizzare una sorta di indagine preliminare che cerchi di determinare quale sia il tema centrale affrontato da Plotino con questo scritto. Un obiettivo di questo genere potrebbe sembrare a prima vista facilmente raggiungibile, ma la questione è in realtà più complessa, a causa della brevità e dell’ambiguità generale di questo trattato, che si presta all’applicazione di differenti paradigmi ermeneutici.

Esso è stato oggetto di studio da parte di numerosi interpreti, che hanno sostenuto nel corso del tempo posizioni fra loro profondamente differenti, e che lo hanno inserito all’interno di una riflessione su di una problematica più generale della filosofia plotiniana, riguardante l’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα. Nel primo capitolo di questo saggio cercherò di ricostruire le origini e gli sviluppi di questo dibattito che prosegue fino ai giorni nostri, e che non ha ancora trovato una conclusione soddisfacente e definitiva. Tale capitolo fornirà dunque un’illustrazione dello status quaestionis, che permetterà di comprendere la posizione generale degli studiosi plotiniani a proposito della natura di questo scritto, che sarà poi messo in relazione con altri trattati ad esso affini per tematica.

Nel secondo capitolo di questo saggio procederò invece a collegare questo trattato plotiniano a un contesto solo apparentemente estraneo, quello della dottrina stoica dell’ἰδίως ποιόν. Ritengo che tale collegamento, solitamente trascurato dagli studiosi plotiniani, possa gettare luce su punti particolarmente problematici del trattato, e aiutare così a comprendere meglio il punto di vista di Plotino. In particolare, la tesi che cercherò di sostenere in questo secondo capitolo è quella che il tema generale di V 7 non è tanto, come generalmente si ritiene, quello dell’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα, quanto piuttosto quello dello statuto dell’individualità, e, più in particolare, del rapporto fra il principium individuationis (così come concepito da Plotino sulla base della dottrina stoica) e la dimensione intellegibile.

Cercherò inoltre di mostrare come tale posizione plotiniana sia da riferire polemicamente alla concezione dell’individuo propria sia degli Stoici che di Aristotele: con un procedimento tipico delle Enneadi Plotino riprende aspetti generali di questa concezione, criticandola però da un punto di vista strutturale, da riferire alla mancanza di un legame col piano intellegibile. Per cercare di illustrare questo aspetto, nel terzo capitolo di questo saggio introduttivo collegherò la riflessione plotiniana presente in V 7 al trattato Sui Generi dell’Essere (VI 1-3 [42-44]), in quanto ritengo che un tale collegamento possa essere

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particolarmente istruttivo per comprendere il particolare metodo di indagine adottato da Plotino in V 7, permettendo in tal modo di cogliere la reale portata della discussione presentata in questo trattato.

1. Lo status quaestionis: l’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα

1.1 Una questione platonica

È con una precisa domanda che si apre il trattato V 7 [18] di Plotino: «Εἰ καὶ τοῦ καθέκαστόν ἐστιν ἰδέα;», domanda che sembra assumere una grande rilevanza per questo lavoro plotiniano, considerando che lo stesso Porfirio se ne serve per assegnarvi un titolo. Tale domanda si ricollega a una problematica centrale del platonismo, in quanto concernente la teoria delle idee, e si richiama a un interrogativo posto dallo stesso Platone nel Parmenide: «di che cosa esistono idee nel mondo intellegibile?»1; è evidente infatti che la questione

posta da Plotino all’inizio di V 7 altro non è che un caso particolare di quella problematica più generale che riguarda l’estensione del cosmo eidetico. Va detto, a scanso di equivoci, che sembra che Plotino eluda completamente il problema, che tornerà ad essere classico nel platonismo a lui successivo, di stilare una sorta di “catalogo delle forme”, e questo per una profonda ragione epistemologica: non è possibile infatti, partendo dal mondo sensibile, chiedersi di che cosa ci sia un corrispettivo nel mondo intellegibile, se non a patto di violare il principio secondo cui il mondo intellegibile deve essere colto «ἐξ ἀρχῶν τῶν οἰκείων»2. Ad ogni modo, se è vero che dal corpus plotiniano è assente una considerazione complessiva in relazione al problema del Parmenide, è altrettanto vero che sono presenti dei passi in cui Plotino prende in esame la possibilità dell’esistenza di determinati tipi di forme, come le forme di animali irrazionali3 e, per l’appunto, quelle di particolari4.

A una prima riflessione, senza conoscere ancora nulla del contenuto del trattato, si potrebbe essere portati a pensare che la risposta di Plotino alla domanda riguardante la possibilità dell’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα sia negativa: sarebbe difficile, infatti, per quello che è generalmente considerato l’iniziatore del neoplatonismo, andare contro un

1 Cfr. Parm., 127d6-135c7.

2 Cfr. in partic. VI 5 [23], 2,5-6. Il riferimento di Plotino è agli Analitici Secondi di Aristotele (I 2, 71b23;

72a6).

3 Cfr. VI 7 [38], in partic. 8-10. 4 Cfr. V 7 [18].

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punto così centrale della filosofia di Platone, che, come è noto, asseriva l’universalità delle forme. I tratti generali della filosofia di platonica appaiono infatti piuttosto chiari su questo tema: le idee sono perfette, immutabili e uniche per ogni classe di co.se, e sono necessarie per rispondere al problema del divenire e della molteplicità del sensibile. Basti pensare, a questo proposito, al celebre passo della Repubblica in cui Socrate asserisce in modo particolarmente chiaro l’universalità dell’idea, che è unica per ogni gruppo di particolari: «εἶδος γάρ πού τι ἓν ἕκαστον εἰώθαμεν τίθεσθαι περὶ ἕκαστα τὰ πολλά, οἷς ταὐτὸν ὄνομα ἐπιφέρομεν»5. Lo stesso Aristotele, del resto, nella sua critica alla teoria delle idee, sottolinea

il carattere universale di queste ultime, e, in un famoso passo della Metafisica, afferma che i platonici, a differenza di Socrate, hanno posto gli universali (τὰ καθόλου) come separati dalle cose, dando ad essi il nome «ἰδέαι»6. Peraltro, gli stessi presupposti della teoria delle

idee sembrerebbero condurre a un rifiuto delle forme di particolari: sarebbe assurdo pensare che, oltre all’idea di Uomo, esista l’idea di Socrate, in quanto la teoria delle idee è nata proprio per dare risposta al problema della molteplicità sensibile, e se Platone postulasse l’esistenza di idee di particolari, non farebbe altro che trasportare il problema a un livello più elevato (quello intellegibile), e in tal caso avrebbe piena ragion d’essere la critica aristotelica, che vede nelle idee degli inutili “doppioni” della realtà sensibile. Più correttamente si dovrebbe dire che Socrate partecipa dell’idea di Uomo, e che è proprio in questa μέθεξις che vengono fuori le differenze individuali, senza che ci sia bisogno di postulare idee anche per i singoli particolari.

Va detto comunque che la posizione platonica è in realtà molto più complessa, e che, specialmente nei dialoghi tardi, la teoria delle idee sembra essere oggetto di revisione, o, quantomeno, sembra sottoposta a una certa tensione contrastante. Non è certo questa la sede per approfondire il tema della posizione platonica a proposito delle forme7, basti per la presente analisi tenere presente alcune coordinate generali che permetteranno di comprendere meglio il contesto nel quale Plotino si colloca con la composizione di V 7. Il dialogo più emblematico a proposito di questa presunta “revisione” della teoria delle idee è il Parmenide, a cui accennavo poco fa. All’inizio del dialogo8 un giovane Socrate, per

superare le difficoltà derivanti dalla concezione della predicazione di Parmenide e Zenone,

5 Resp. X, 596a6-7.

6 Cfr. Metaph. M4, 1078b30-4.

7 Per alcuni importanti contributi di sintesi mi limito in questa sede a rinviare ai saggi contenuti in

Fronterotta F.-Leszl W., Eidos-Idea. Platone, Aristotele e la tradizione platonica, Academia Verlag, Sankt Augustin 2005.

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formula quella che si potrebbe definire la «versione standard» della teoria delle idee9, che Parmenide è interessato a sapere per quali tipi di realtà possa valere. Socrate non ha difficoltà ad ammettere che la sua teoria sia valida per categorie logiche e razionali quali quelle di «somiglianza» (ὁμοιότης), «uno» (ἓν) e «molti» (πολλὰ), così come per i valori etici, ma ha difficoltà e si trova in imbarazzo, per sua stessa esplicita ammissione, nel porre idee di entità naturali, come per esempio l’uomo, il fuoco o l’acqua. Per quanto riguarda poi le realtà naturali di basso rango, come il capello, il fango e lo sporco, Socrate non ha dubbi: non possono in questo caso esistere idee ad esse corrispondenti. Parmenide, al contrario, sembra voler estendere a qualsiasi realtà l’ipotesi delle forme, e attribuisce le incertezze e i rifiuti di Socrate alla sua giovane età. È vero che, come sostiene Ferrari10, l’identificazione della posizione di Parmenide con quella di Platone potrebbe essere, in relazione a questo dialogo, problematica, e che Platone potrebbe stare polemizzando contro una versione radicale della teoria delle idee, ma credo che questa tensione tra la posizione di Socrate e quella di Parmenide a proposito dell’estensione del cosmo eidetico possa riflettere più in generale la tensione che è presente tra due dialoghi come il Parmenide e come il Timeo, in cui, a proposito del mondo intellegibile, Platone fa riferimento a uno «ζῴον παντελής»11, un vivente perfetto che contiene in sé tutti gli esseri viventi, e in cui sono comprese tutte le forme che vede l’Intelletto.

Questa tensione doveva essere certamente nota a Plotino, come traspare in modo particolarmente chiaro, ad esempio, dal trattato VI 7 [38], in cui è presente una riflessione sul come sia possibile che nell’Intellegibile siano presenti animali senza ragione12. Nei primi capitoli di questo trattato Plotino affronta quella che Hadot definisce una prima «questione platonica»13, ovvero la preesistenza della sensazione nell’Intelletto, e arriva alla conclusione che, essendo la sensazione dell’uomo sensibile un riflesso della conoscenza dell’uomo intellegibile, gli oggetti sensibili devono preesistere in modo incorporeo nel mondo intellegibile; da ciò ne consegue che anche le sensazioni preesisteranno nel mondo intellegibile, ma in una forma trascendente, di cui la sensazione di quaggiù non è che una pallida immagine14. Da questa prima conclusione segue un’importante aporia, che è quella

9 Cfr. Ferrari F., «L’enigma del Parmenide», in Parmenide, a cura di Id., BUR, Milano 2004, pp. 9-161, in

partic. pp. 34-44.

10 Ivi. Cfr. anche Ferrari F., «Esistono forme di καθ’ἕκαστα? Il problema dell’individualità in Plotino e

nella tradizione antica», Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino, Scienze Morali, 131, 1997, pp. 23-63, in partic. pp. 26-31.

11 Cfr. Tim. 30c; 31b; 39e. 12 Cfr. in partic. VI 7 [38], 8-10.

13 Cfr. Hadot P., Plotin. Traité 38 (VI, 7). Introduction, traduction, commentaire et notes, Paris 1987. 14 Cfr. VI 7 [38], 7.

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a cui ho appena fatto riferimento: come è possibile che oggetti sensibili, e in particolare animali senza ragione, siano nel mondo intellegibile. La complessa risposta fornita da Plotino fa riferimento alla struttura diadica dell’Intelletto, che è uno e molti, πάντα ὁμοῦ, e che è una realtà corale, una totalità sistematica e un insieme di vite. A tale proposito è particolarmente interessante notare l’utilizzo della stessa espressione trovata nel Timeo: gli animali razionali sono nell’Intellegibile in quanto, in ultima analisi, esso è uno ζῴον παντελής15. Merita poi di essere sottolineato il fatto che Plotino, una volta risolta questa

aporia, la riproponga nuovamente più volte, cercando di specificare in misura sempre migliore le linee generali della propria soluzione (facendo riferimento in particolare a una sorta di “principio di compensazione” di aristotelica memoria16 e riducendo la differenza fra

«razionale» e «senza ragione» a una mera differenza di grado17), a testimonianza della

delicatezza di questo passaggio, essendo di fronte a una profonda tensione insita nella posizione platonica in riferimento all’estensione del mondo delle idee. In questo contesto Plotino sembra interpretare il testo del Parmenide alla luce delle posizioni espresse da Platone nel Timeo, estendendo l’ipotesi delle forme anche agli animali irrazionali, cosa che il Socrate del Parmenide aveva negato, mostrando un deciso imbarazzo18.

Si può ben capire pertanto come la questione sollevata da Plotino all’inizio di V 7 sia problematica, andando ad inserirsi in questa più ampia questione, fondamentale nel platonismo, riguardo a ciò di cui ci sono forme. Riguardo a un’estensione del cosmo eidetico

15 Ivi, 8, 31.

16 Cfr. De part. anim. 663a1-19; 663b36-664a3. Questo principio di compensazione è formulato da

Aristotele in ambito biologico: a tutti quegli animali che non possiedono le corna, la natura fornirà per compensazione altri strumenti di difesa, ad esempio la velocità ai cavalli, ai cervi, ai bufali e alle gazzelle e la grandezza del corpo ai cammelli e agli elefanti. Plotino sembra far proprio questo principio, ma lo decontestualizza profondamente, applicandolo al dominio dell’intellegibile, e in particolare alla forma dell’Animale, per la quale dovrà valere la stessa legge di compensazione e lo stesso ristabilimento dell’equilibrio che secondo Aristotele vale tra i diversi animali del dominio sensibile. Questa riflessione è svolta da Plotino in relazione alla problematica dell’esistenza nell’intellegibile di animali senza ragione: secondo questo principio, tali animali “senza ragione” in realtà mostrano di avere semplicemente un “meno” di ragione, che deve essere necessariamente compensato da un “più” in un altro ambito (per esempio, nota Plotino a V 7 [18], 9, 38-46, gli animali, a differenza dell’uomo, possiedono artigli, unghie ricurve, corna e denti aguzzi), così che anche la forma dell’Animale risulterà avere in sé la totalità dell’Intellegibile, secondo il principio generale plotiniano, richiamato in precedenza, dell’Intelletto che è πάντα ὁμοῦ e che è presente nella sua totalità in ciascuna forma. Sul rapporto fra il principio di compensazione aristotelico e l’utilizzo che ne fa Plotino nel trattato 18 cfr. Hadot P., op. cit., in partic. pp. 239-241.

17 Ivi, 9-10.

18 Da notare che questa estensione risulta possibile sulla base della lettera del Timeo, cosa piuttosto curiosa,

se si considera che nel corso dei primi capitoli di VI 7 Plotino tenta costantemente di mostrare come il Timeo non debba essere interpretato letteralmente, e come si debba leggere il Timeo alla luce del Fedone in relazione al problema della causalità delle forme. Va detto comunque che, come è chiaro dal capitolo 8, quello che qui Plotino sta facendo è interpretare il Timeo alla luce della struttura del παντελῶς ὄν del Sofista e che, inoltre, il rifiuto di interpretare letteralmente il Timeo non è seguito sistematicamente da Plotino, il quale tende piuttosto a conservare la lettera di alcune espressioni che sembrano spingere in direzione della sua visione del platonismo.

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che arrivi a comprendere anche idee di καθ’ἕκαστα la questione si fa particolarmente complessa, perché, come è stato fatto notare, dai dialoghi di Platone manca una vera e propria discussione sul tema. Anche nel Parmenide, come si è visto, si parla di idee di categorie logiche, di valori, di entità naturali, di realtà spregevoli, ma non si fa un riferimento esplicito a idee di particolari. Ad ogni modo, vi sono buone ragioni per credere che la questione posta da Plotino a V 7, 1,1 venne affrontata all’interno dell’Accademia: Kalligas19 e Ferrari20 si

richiamano giustamente a un particolare argomento presentato da Aristotele nel trattato perduto Sulle idee, l’argomento «ὁ ἀπὸ τοῦ νοεῖν», secondo il quale il nostro pensiero deve necessariamente riguardare qualcosa che sia al di là delle cose particolari, in quanto esso permane anche quando le cose particolari mutano e periscono. Aristotele ribatte che questo argomento porta ad ammettere l’esistenza di idee anche «delle cose particolari e corruttibili, per esempio di Socrate, di Platone»21. È evidente, da come è formulata l’obiezione, che tale

conseguenza sarebbe inaccettabile per i platonici dell’Accademia, e questo può far concludere con ragionevole certezza che nell’ambito del platonismo antecedente a Plotino venne formulato un esplicito rifiuto in merito alla possibilità dell’esistenza di idee di individui, come provato anche dal Didaskalikos, in cui si afferma esplicitamente che la maggioranza dei platonici è risoluta nel rifiutare l’esistenza di idee di individui22.

Ci si potrebbe dunque aspettare che anche Plotino rifiuti le idee di καθ’ἕκαστα, in accordo con i platonici dell’Accademia e con i princìpi logici generali della teoria platonica delle forme. La questione tuttavia è più complessa, in quanto, nel trattato oggetto di indagine in questa sede, come si vedrà, Plotino, attraverso un’argomentazione complessa e a tratti poco perspicua e lineare, sembra ammettere se non addirittura presupporre l’esistenza di idee di questo tipo, facendo pensare a una sua risposta implicitamente affermativa alla domanda iniziale. La questione dell’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα in Plotino in relazione alle affermazioni presenti in V 7 è stata oggetto di numerosi studi e dibattiti. Essa venne affrontata per la prima volta da Capone Braga23, ma fu soprattutto a partire dagli anni ’60 del XX secolo, e in particolare a partire dal dibattito critico fra Rist e Blumenthal, che tale

19 Cfr. Kalligas P., «Forms of Individuals in Plotinus: A Re-examination», Phronesis 42, 1997, pp.

206-227, in partic. pp. 206-207.

20 Ferrari F., art. cit., in partic. pp. 27-28; cfr. Id., «La collocazione dell'anima e la questione dell'esistenza

di idee di individui in Plotino», Rivista di Storia della filosofia 53, 1998, pp. 629-53, in partic. pp. 632-633.

21 Fr. 3 Ross. La traduzione è quella presente in Leszl W., Il “De Ideis” di Aristotele e la teoria platonica

delle idee, edizione critica del testo a cura di D. Harlfinger, Firenze 1975, pp. 43-50, in partic. p. 45.

22 Cfr. Didask. IX, 2, 163, 24-28.

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questione divenne oggetto di un’accesa discussione che si protrae fino ai giorni nostri e di cui cercherò ora di riassumere le tappe principali.

1.2 Due paradigmi ermeneutici

Rist24, ripercorrendo la struttura argomentativa di V 7, fa notare che Plotino introduce immediatamente due importanti argomenti a favore di una risposta affermativa alla domanda posta all’inizio del trattato. Il primo argomento menzionato da Rist è quello delle righe 3-5: «Ἢ εἰ μὲν ἀεὶ Σωκράτης καὶ ψυχὴ Σωκράτους, ἔσται Αὐτοσωκράτης, καθὸ ᾗ ψυχὴ καθέκαστα καὶ <ὡς λέγεται> ἐκεῖ [ὡς λέγεται ἐκεῖ]»25: se l’anima di Socrate è eterna, allora

dovrà esserci una forma di Socrate nel mondo Intellegibile (l’assunto non esplicitato sarebbe che esistono forme corrispondenti a tutto ciò che è eterno). A questo argomento tuttavia Plotino pone subito un’obiezione connessa con la dottrina della reincarnazione, che sappiamo essere accolta esplicitamente in diversi testi enneadici: «Εἰ δ’ οὐκ ἀεί, ἀλλὰ ἄλλοτε ἄλλη γίγνεται ὁ πρότερον Σωκράτης, οἷον Πυθαγόρας ἤ τις ἄλλος, οὐκέτι ὁ καθέκαστα οὗτος κἀκεῖ.»26. Si ricorre allora a un secondo argomento, che potrebbe fungere quasi da

“controargomento” all’obiezione appena esplicitata: «Ἀλλ’ εἰ ἡ ψυχὴ ἑκάστου ὧν διεξέρχεται τοὺς λόγους ἔχει πάντων, πάντες αὖ ἐκεῖ· ἐπεὶ καὶ λέγομεν, ὅσους ὁ κόσμος ἔχει λόγους, καὶ ἑκάστην ψυχὴν ἔχειν.»27. Vengono quindi prese in esame, secondo Rist, alcune

obiezioni che possono venire mosse a questo secondo argomento.

La prima obiezione fa riferimento a un tema di matrice stoica: il ripetersi del mondo secondo cicli periodici, ognuno dei quali ha fine mediante una conflagrazione universale,

24 Cfr. Rist J. M., «Forms of Individuals in Plotinus», Classical Quarterly 13 (1963), pp. 223-231. 25 Il testo greco riportato in questo passaggio corrisponde a quello stabilito nell’edizione Plotini Opera

ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, Tomus II, Enneades IV-V, Oxonii e typographeo clarendoniano 1977. Anche per i successivi testi greci tratti dalle Enneadi si farà riferimento a questa edizione critica, se non diversamente specificato.

26 V 7 [18], 1,5-7. Rist vede in «εἰ μὲν ἀεὶ Σωκράτης καὶ ψυχὴ Σωκράτους» un richiamo al fatto che Socrate,

cioè la sua anima, è eterno, e legge pertanto l’«Εἰ δ’ οὐκ ἀεί» di riga 5 come: «se [l’anima di Socrate] non è sempre eterna». A mio avviso una traduzione più aderente a quello che credo essere il senso di quanto detto a riga 3 potrebbe assumere la seguente forma: «se Socrate e l’anima di Socrate rimangono sempre tali»: più che l’eternità di Socrate mi sembra che il punto di Plotino sia il fatto che l’anima di Socrate rimane sempre l’anima di Socrate, e non passa ad altri individui. Che il riferimento di Plotino sia di questo tipo mi sembra essere testimoniato dalle righe seguenti, in cui si fa accenno alla teoria della trasmigrazione delle anime. Mi sembra che questo sia il significato di «Εἰ δ’ οὐκ ἀεί»: se l’anima di Socrate non è sempre l’anima di Socrate, ma diventa, ad esempio, l’anima di Pitagora, allora non potrà valere (sembra) l’argomento proposto nelle righe immediatamente precedenti. La sottolineatura di Plotino sembra dunque essere la permanenza dell’anima in un singolo individuo determinato più che la sua eternità. Su questo cfr. infra, pp. 26-28, in cui si presenta l’analisi concettuale di questo passo proposta da Mamo.

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alla quale segue una sorta di reintegrazione che dà origine a un nuovo ciclo, che ripeterà gli avvenimenti del ciclo precedente28. Plotino si richiama brevemente a questa dottrina, limitandosi ad accennare al fatto che il mondo ripieghi in cicli periodici, per mostrare come non si arrivi ad una ἀπειρία a proposito del numero dei λόγοι: se infatti si ripetono periodicamente le stesse cose, basterà pensare a un numero limitato di λόγοι che si ripete sempre uguale in ciascun ciclo. Da questa concezione segue la prima obiezione possibile al secondo argomento: se infatti gli stessi λόγοι si ripetono ciclicamente, ne consegue che essi sono di numero inferiore rispetto a ciò che, a partire da essi, nasce nei differenti cicli del mondo; se le cose stanno così, e se dunque le cose che nascono sono più numerose rispetto al loro modello, afferma Rist, «it would appear that one Form can in fact account for more than one particular, even in the case of mankind»29. È da notare qui, a mio avviso, lo

slittamento semantico di Plotino a proposito dei λόγοι e delle ἰδέαι. Plotino scrive infatti, alle righe 14-16: «Εἰ οὖν ὅλως πλείω τὰ γινόμενα τοῦ παραδείγματος, τί δεῖ εἶναι τῶν ἐν μιᾷ περιόδῳ πάντων γινομένων λόγους καὶ παραδείγματα;». Qui Rist non pone come problematico il fatto che, mentre nelle righe precedenti si è parlato sempre e solo di λόγοι a proposito della dottrina stoica dei cicli periodici del mondo, ora si passi a parlare di παραδείγματα, termine che sembra richiamarsi all’ipotesi delle forme, che infatti verrà messa in campo nelle righe immediatamente successive, là dove Plotino si domanda che bisogno ci sia di ricorrere a più di una idea di uomo (e quindi a idee di uomini particolari) per rendere ragione di tutti gli uomini diversi che si trovano ad essere in un determinato periodo cosmico: «Ἀρκεῖν γὰρ ἕνα ἄνθρωπον εἰς πάντας ἀνθρώπους» scrive Plotino, «ὥσπερ καὶ ψυχὰς ὡρισμένας ἀνθρώπους ποιούσας ἀπείρους.»30. Sull’importanza di questo

slittamento terminologico e su questa duplicità di termini, così come sul significato esatto da assegnare al termine λόγος tornerò in seguito, a partire dal secondo capitolo di questa Introduzione31; qui vale invece la pena di sottolineare la struttura argomentativa di questo trattato, che, come è tipico di Plotino, procede continuamente per obiezioni e risposte, spesso eccessivamente sintetiche ed ellittiche e non sempre distinguibili tra loro. Plotino, dopo aver posto questa obiezione, ne riconosce immediatamente la debolezza. In questo caso, a

28 Cfr. in partic. SVF II 585-632. Della relazione fra Plotino e questa teoria storica si parlerà meglio nel

secondo capitolo di questa Introduzione.

29 Rist J. M., art. cit., p. 225. 30 V 7 [18] 1, 16-18.

31 Cfr in partic. infra, pp. 52-61, dove esporrò la mia interpretazione generale sul significato della struttura

argomentativa di questo trattato. Qui mi limito a esporre la ricostruzione operata da Rist dell’andamento dell’argomentazione plotiniana, ricostruzione che, come si vedrà, sarà oggetto di critica da parte degli studi successivi, già a partire da Blumenthal e Mamo. Sul concetto di λόγος cfr. infra, il commento a 1.8: τοὺς λόγους.

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giudizio di Rist, il riconoscimento della debolezza dell’obiezione mancherebbe di una premessa fondamentale, da riferirsi al fatto che, mentre due uomini in differenti cicli cosmici possono essere identici, così non può accadere per due uomini in uno stesso ciclo cosmico. Da questo ne consegue, da una parte, che un singolo λόγος è insufficiente per rendere ragione delle differenze tra i vari uomini particolari, e, dall’altra, che non è sufficiente un solo uomo come modello di una molteplicità di uomini, dal momento che gli uomini di uno stesso ciclo periodico si distinguono non solo per la materia ma anche per innumerevoli differenze di forma. Come scrive esplicitamente Plotino, facendo riferimento ai molti uomini di uno stesso periodo cosmico: «οὐ γὰρ ὡς αἱ εἰκόνες Σωκράτους πρὸς τὸ ἀρχέτυπον, ἀλλὰ δεῖ τὴν διάφορον ποίησιν ἐκ διαφόρων λόγων»32. Sembrerebbe trovarsi in questa frase un terzo

indizio riguardo alla possibilità che Plotino ammetta in questo trattato l’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα: da qui si può evincere infatti che Plotino creda che l’idea platonica non sia in grado di giustificare la molteplicità dell’universo sensibile, molteplicità che deve essere spiegata con riferimento alla presenza di diversi λόγοι.

Ad ogni modo, continuando a seguire la struttura del trattato V 7, una seconda obiezione al secondo argomento proposto nelle prime righe del capitolo 1 si trova nel secondo capitolo, piuttosto complesso da intendere e a tratti decisamente oscuro. L’interpretazione di Rist vede in questo secondo capitolo la presenza di una seconda e di una terza obiezione all’argomento delle righe 7-9. La seconda obiezione farebbe riferimento, secondo Rist, al fatto che ogni individuo nasce in virtù dell’unione dei λόγοι dei suoi genitori: questo sembrerebbe implicare che non c’è necessità di introdurre un nuovo λόγος proprio del figlio, la cui individualità sarebbe spiegata facendo ricorso ai λόγοι dei genitori. Tale obiezione è risolta da Plotino con l’affermazione che i λόγοι si implicano a vicenda gli uni con gli altri, dal momento che ogni anima contiene i λόγοι di tutte le cose; come viene detto a proposito della generazione del figlio ad opera dei genitori: «Ἢ οὐδὲν κωλύει καὶ κατὰ διαφόρους [λόγους] τῷ τοὺς πάντας ἔχειν αὐτούς, ἄλλους δὲ ἀεὶ προχείρους»33. Il punto è che nessun bambino

sarà esattamente uguale all’altro, perché in ogni bambino si avrà il dominio di un particolare λόγος su tutti gli altri. Detto in altri termini: le singole anime dei singoli bambini contengono tutte lo stesso numero di λόγοι, ma solo un λόγος o solo determinati λόγοι eserciteranno il dominio sulle singole anime, che dunque saranno diverse a seconda del λόγος che le domina. Una nuova obiezione, simile alla precedente, viene allora presentata sul finire di capitolo:

32 Ivi 1, 21-23.

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non è necessario che ci sia una corrispondenza biunivoca tra λόγοι e particolari, dal momento che è lo stesso λόγος nei genitori a presiedere alla formazione di un nuovo essere umano (il figlio). Plotino in questo caso si limita, secondo Rist, a riproporre lo stesso argomento che era stato utilizzato per controbattere all’obiezione precedente, e cioè che è vero che il λόγος è lo stesso, ma il particolare principio dominante sarà di volta in volta diverso nei differenti figli, dal momento che, come detto prima, ogni anima possiede la totalità dei λόγοι, ma solo alcuni sono di volta in volta dominanti.

Nel terzo capitolo del trattato, infine, Plotino pone una nuova questione, portando l’esempio dei gemelli: in questo caso, si dovrà ammettere un solo λόγος o λόγοι diversi? La risposta è piuttosto chiara: se i gemelli sono identici e assolutamente indistinguibili tra loro, allora si dovrà ammettere che c’è un solo λόγος per entrambi (e pertanto, a giudizio di Rist, che opera una sovrapposizione di piani tra forme e princìpi razionali, «only one Form required to account for their existence»34); ad ogni modo, rimane il fatto che ogni differenza

deve essere spiegata facendo riferimento a una pluralità di λόγοι (e dunque di forme, secondo la lettura di Rist). Plotino pone poi un’altra domanda, strettamente collegata con la precedente: ammettendo che ci siano esseri assolutamente indistinguibili fra loro (e Plotino è molto cauto su questo punto, e, con un probabile riferimento alla tesi stoica secondo cui non vi sono nel mondo due sole cose che siano assolutamente identiche35, aggiunge molto significativamente: «Εἴπερ τινὰ ὅλως ἐστὶ πάντη ἀδιάφορα»36), che cosa impedisce di pensare che anche per due esseri particolari di questo tipo vi siano λόγοι (e forme) differenti?37 Segue in risposta una contrapposizione esplicativa: da una parte abbiamo un

34 Rist J.M., art. cit., p. 226. Come in precedenza Rist tende a non distinguere fra l’utilizzo plotiniano dei

termini λόγοι e ἰδέαι, sovrapponendone il significato. Personalmente ritengo che un tale modo di procedere sia errato, in quanto penso che lo slittamento terminologico che si ha in questo trattato sia particolarmente significativo e debba essere tenuto in considerazione ai fini di una corretta interpretazione del pensiero plotiniano. In molti saranno gli studiosi che rifiuteranno questo approccio, e a distinguere nettamente fra questi due piani saranno in particolare Remes e Aubry: cfr. a questo proposito infra pp. 35-39. Nel secondo capitolo di questo saggio introduttivo tenterò a mia volta di mostrare come la differenza fra λόγοι e ἰδέαι sia centrale per l’argomentazione plotiniana e come l’interpretazione di Rist possa risultare fuorviante per la comprensione del trattato.

35 Di questo punto tratterò più diffusamente nel secondo capitolo della presente Introduzione: cfr. infra in

partic. pp. 57-61.

36 V 7 [18], 3,7. Per l’analisi di questa espressione si veda il commento a 3.6-7: ἢ τί κωλύει ... πάντη

ἀδιάφορα.

37 Va detto che in realtà in questo passaggio il testo di Plotino è piuttosto complesso, e non è sempre chiaro

se faccia riferimento ai λόγοι oppure alle forme. Le righe 1-7 del capitolo 3 del trattato recitano infatti: «Πῶς οὖν ἐπὶ πολλῶν διδύμων διαφόρους φήσομεν τοὺς λόγους; Εἰ δὲ καὶ ἐπὶ τὰ ἄλλα ζῷά τις ἴοι καὶ τὰ πολύτοκα μάλιστα; Ἤ, ἐφ’ ὧν ἀπαράλλακτα, εἷς λόγος. Ἀλλ’ εἰ τοῦτο, οὐχ, ὅσα τὰ καθέκαστα, τοσοῦτοι καὶ οἱ λόγοι. Ἢ ὅσα διάφορα τὰ καθέκαστα, καὶ διάφορα οὐ τῷ ἐλλείπειν κατὰ τὸ εἶδος. Ἢ τί κωλύει καὶ ἐν οἷς ἀδιάφορα; Εἴπερ τινὰ ὅλως ἐστὶ πάντη ἀδιάφορα». Una prima traduzione letterale potrebbe essere: «Come dunque potremo dire che i logoi sono differenti tra più gemelli? E se qualcuno si rivolgesse anche agli altri animali e in particolare a quelli che sono molto prolifici? Certamente, se essi sono indistinguibili, ci sarà un solo logos.

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artigiano (τεχνίτης) che fabbrica una molteplicità di oggetti tutti uguali fra loro in quanto copie esatte di uno stesso modello, e che, secondo la lettura di Rist, deve essere quantomeno in grado di cogliere una differenza tra l’oggetto che produce e il suo modello; dall’altra abbiamo la natura (φύσις), in cui la diversità non nasce per mezzo del ragionamento (λογισμός) ma per mezzo dei λόγοι: in base a questo principio, pertanto, la differenza di un particolare ente rispetto a tutti gli altri enti dello stesso tipo dovrà essere contenuta nel suo εἴδος, sebbene noi non siamo in grado di coglierla. Sembra qui tornare, anche secondo Rist, un riferimento a quella tesi stoica a cui facevo riferimento poco fa, e sulla quale tornerò più avanti, ovvero al fatto che non è possibile trovare due enti che siano assolutamente indifferenti (ἀδιάφορα nel senso stoico del termine, ovvero “privi di differenze”), in quanto essi, quantomeno numericamente, devono essere due oggetti, e in quanto tali distinti.

Pur tenendo conto della complessità della struttura argomentativa qui adoperata e della sua ambiguità di fondo, una cosa è certa secondo Rist: Plotino nel suo ragionamento tende ad ammettere l’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα. In un primo momento sembra ammettere l’esistenza di idee solo di particolari individui, e infatti i due argomenti principali individuati da Rist in V 7 fanno leva sulla natura dell’anima di un individuo particolare (e si parla precisamente di un «Αὐτοσωκράτης»38). Tuttavia, nel capitolo 3, a proposito della questione relativa ai gemelli, viene fatta una precisazione importante: «Εἰ δὲ καὶ ἐπὶ τὰ ἄλλα ζῷά τις ἴοι καὶ τὰ πολύτοκα μάλιστα;»39, e anche sul finire di trattato troviamo un’ultima questione

il cui oggetto è particolarmente significativo: «Ἆρ’οὖν καὶ ἐπὶ τῶν ἄλλων ζῴων, ἐφ’ ὧν πλῆθος ἐκ μιᾶς γενέσεως, τοσούτους τοὺς λόγους;»40. Plotino pertanto, all’epoca della

composizione di V 7, sarebbe arrivato ad affermare definitivamente l’esistenza di forme corrispondenti non solo a particolari esseri umani, ma in generale a tutti i particolari.

Un passaggio problematico in relazione a questa interpretazione di Rist proviene da un altro trattato fondamentale nel dibattito sull’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα: esso è uno dei

Ma se è così, non ci saranno tanti logoi quante cose particolari. Oppure [ci sono tanti logoi] quante cose particolari differenti ci sono, e differenze non dovute a una mancanza secondo la forma. Certo cosa impedisce che anche in quelle cose che non sono differenti [ci siano differenti logoi]? Se è vero che esistono, in generale, delle cose assolutamente indifferenti». Come si vede, in punti chiave dell’argomentazione, è necessario sottintendere qualcosa per dare un senso a delle frasi profondamente ellittiche, e non è sempre chiaro se l’oggetto della discussione che deve essere sottointeso siano i λόγοι, le forme o entrambi. Ad ogni modo, mi pare che il contesto in cui queste frasi problematiche sono collocate sia un contesto di riflessione a proposito dei λόγοι, che infatti vengono citati esplicitamente più volte, e pertanto riterrei più appropriato, nella parafrasi di queste complesse righe plotiniane, considerare i λόγοι come il soggetto concettuale di tutta la discussione. Rist, come ho già sottolineato, tende a equiparare questi due piani, che invece a mio avviso devono rimanere differenti: di questo si parlerà più diffusamente nel secondo capitolo di questo saggio introduttivo.

38 V 7 [18] 1, 4.

39 Ivi, 3,2-3. Il corsivo è mio. 40 Ivi, 3,18-20. Il corsivo è mio.

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primi trattati ad essere stati composti, il quinto secondo la cronologia porfiriana (il V 9 secondo la sistemazione enneadica ad opera dello stesso Porfirio). Il passo problematico è costituito in particolare dal capitolo 12 di questo scritto, in cui si afferma che:

Εἰ δὲ ἀνθρώπου ἐκεῖ καὶ λογικοῦ ἐκεῖ καὶ τεχνικοῦ καὶ αἱ τέχναι νοῦ γεννήματα οὖσαι, χρὴ δὲ καὶ τῶν καθόλου λέγειν τὰ εἴδη εἶναι, οὐ Σωκράτους, ἀλλ’ ἀνθρώπου. Ἐπισκεπτέον δὲ περὶ ἀνθρώπου, εἰ καὶ ὃ καθέκαστα· τὸ δὲ καθέκαστον, ὅτι [μὴ] τὸ αὐτὸ ἄλλο ἄλλῳ· οἷον ὅτι ὁ μὲν σιμός, ὁ δὲ γρυπός, γρυπότητα μὲν καὶ σιμότητα διαφορὰς ἐν εἴδει θετέον ἀνθρώπου, ὥσπερ ζῴου διαφοραί εἰσιν· ἥκειν δὲ καὶ παρὰ τῆς ὕλης τὸ τὸν μὲν τοιάνδε γρυπότητα, τὸν δὲ τοιάνδε. Καὶ χρωμάτων διαφορὰς τὰς μὲν ἐν λόγῳ οὔσας, τὰς δὲ καὶ ὕλην καὶ τόπον διάφορον ὄντα ποιεῖν.41

Ma se lassù esiste la forma dell’uomo, sia dell’uomo razionale che dell’uomo artista, ed esistono le arti quando siano generate dall’Intelletto, bisogna comunque dire che esistono le forme degli universali: non la forma di Socrate ma quella dell’uomo. Ma riguardo all’uomo, bisogna in realtà indagare se lassù esista anche la forma dell’individuo. L’individuale esiste in quanto lo stesso tratto è diverso in diversi uomini; per esempio, poiché un uomo ha il naso camuso e un altro ha il naso aquilino, bisogna considerare aquilinità e camusità come differenze della forma umana, così come esistono diverse specie dell’animale. Ma il fatto che un uomo abbia un tipo particolare di naso aquilino e un altro ne abbia un altro ancora, questo dipende anche dalla materia. Quanto poi alle differenze di colore, alcune sono contenute nel principio razionale, altre sono prodotte dalla materia e dalle differenze dei luoghi.42

La posizione di Plotino in questo passo sembrerebbe a prima vista chiara ed inequivocabile: come egli afferma nelle prime righe, non esiste un’idea di Socrate, ma solo un’idea dell’uomo (οὐ Σωκράτους, ἀλλ’ ἀνθρώπου), e dunque non sembra esserci spazio nel cosmo eidetico per qualcosa di simile a un Αὐτοσωκράτης. In linea con la visione platonica, si affermerebbe che ad esistere sono solo le idee di universali, e non quelle dei particolari. Tuttavia, come fa notare Rist, subito dopo questa affermazione Plotino pone una nuova questione, e questo è indice del fatto che la problematica non deve essere frettolosamente archiviata: «Ἐπισκεπτέον δὲ περὶ ἀνθρώπου, εἰ καὶ ὃ καθέκαστα». Ci si chiede nuovamente, come se si considerasse l’affermazione precedente come non definitiva o comunque non

41 V 9 [5], 12, 1-10.

42 La traduzione italiana dei passi enneadici, se non diversamente specificato, è quella presente in Enneadi

di Plotino, traduzione introduzione e note di M. Casaglia, C. Guidelli, A. Linguiti, F.Moriani, 2 voll., UTET,

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risolutiva, se, nel caso dell’uomo, ci siano forme di καθέκαστα, e la cosa più significativa è che questa volta, seguendo l’analisi di Rist, la risposta plotiniana non appare in linea con quella risoluta negazione che si incontra nelle righe immediatamente precedenti: Plotino sembra infatti affermare la possibilità dell’esistenza di idee di individui sulla base della considerazione che ci sono caratteristiche che cambiano da uomo a uomo.

Un argomento che pare eccessivamente debole, afferma Rist, in quanto come esempi di καθέκαστον all’interno della specie uomo vengono menzionate solo caratteristiche fisiche che potrebbero essere considerate inessenziali (l’aquilinità o la camusità del naso), ed è una debolezza di cui sembra rendersi conto lo stesso Plotino, allorché scrive che «ἥκειν δὲ καὶ παρὰ τῆς ὕλης τὸ τὸν μὲν τοιάνδε γρυπότητα, τὸν δὲ τοιάνδε.». Il fatto è che, secondo Rist, Plotino si rende conto del fatto che non è necessario postulare un’idea di Socrate o un’idea di Platone se l’unica differenza tra questi due individui della stessa specie “uomo” è l’aquilinità o la camusità del naso, in quanto in tal caso basterebbe la semplice materia a rendere ragione delle loro differenze. L’argomento nel resto del trattato non viene sviluppato, e le riflessioni a proposito dell’esistenza di idee di particolari si arrestano quindi a questo livello. Rist ne conclude che il problema è lasciato insoluto e che la risposta alla questione oggetto di indagine è ancora incerta: si pone il problema ma senza che sia presentata una soluzione soddisfacente. Questa soluzione sarà trovata precisamente in V 7, in cui si riscontra un vero e proprio salto di qualità, dovuto alla comprensione che le differenze tra due individui non si riducono a un livello meramente fisico ma devono essere riconnesse ai λόγοι e alla natura stessa dell’anima. Si avrebbe dunque uno sviluppo ben definito nel pensiero plotiniano tra V 9 [5] e V 7 [18], sviluppo che condurrà all’affermazione che esistono idee non solo di uomini particolari, ma di tutti i καθ’ἕκαστα.

Decisamente critico nei confronti di questa visione appare Blumenthal43, che ritrova invece in Plotino una «inconsistency» di fondo nei confronti della possibilità che esistano idee di καθ’ἕκαστα. Secondo lo studioso inglese non c’è alcuno sviluppo lineare, in quanto a mancare è una risposta definitiva e coerente alla domanda se esistono idee di particolari, e se uno sviluppo in un certo senso c’è stato, esso è in ogni caso profondamente differente da quello che individuava Rist: secondo Blumenthal bisogna sottolineare che, nonostante l’incoerenza di fondo di Plotino a questo proposito, negli ultimi scritti la tendenza generale è quella di rifiutare l’esistenza di idee di individui e di cose particolari. Per mostrare questa

43 Cfr. Blumenthal H. J, «Did Plotinus Believe in Ideas of Individuals?», Phronesis 11 (1966), pp. 61-80, e

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«inconsistent view» Blumenthal prende in esame un ventaglio di testi molto più ampio rispetto ai soli trattati V 7 e V 9, e li suddivide in tre gruppi: un primo gruppo di testi in cui si vede chiaramente che la tendenza generale è quella di ammettere l’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα, un secondo gruppo di testi in cui si riscontra una tendenza opposta, e un terzo gruppo di testi in cui la posizione è ambigua, ma sembra allinearsi più a un rifiuto che a un’ammissione di esistenza.

Nel primo gruppo di testi Blumenthal inserisce il trattato V 7, sul quale in linea generale concorda con Rist: qui Plotino afferma chiaramente l’esistenza di idee di individui44. Insieme a questo testo, lo studioso cita anche, sempre in supporto di questa visione, il trattato IV 3 [27], e in particolare l’affermazione che:

ἐπεὶ κἀκεῖ οἱ νόες οὐκ ἀπολοῦνται, ὅτι μή εἰσι σωματικῶς μεμερισμένοι, εἰς ἕν, ἀλλὰ μένει ἕκαστον ἐν ἑτερότητι ἔχον τὸ αὐτὸ ὅ ἐστιν εἶναι. Οὕτω τοίνυν καὶ ψυχαὶ ἐφεξῆς καθ’ ἕκαστον νοῦν ἐξηρτημέναι, λόγοι νῶν οὖσαι καὶ ἐξειλιγμέναι μᾶλλον ἢ ἐκεῖνοι, οἷον πολὺ ἐξ ὀλίγου γενόμεναι, συναφεῖς τῷ ὀλίγῳ οὖσαι ἀμερεστέρῳ ἐκείνων ἑκάστῳ, μερίζεσθαι ἤδη θελήσασαι καὶ οὐ δυνάμεναι εἰς πᾶν μερισμοῦ ἰέναι, τὸ ταὐτὸν καὶ ἕτερον σῴζουσαι, μένει τε ἑκάστη ἓν καὶ ὁμοῦ ἓν πᾶσαι.45

Anche lassù gli intelletti non si dissolvono in unità per il fatto di non essere corporalmente divisi, ma ognuno mantiene la propria diversità rispetto agli altri, conservando lo stesso essere essenziale. Tali sono, pertanto, anche le anime, che dipendono direttamente dai singoli intelletti e che sono espressioni degli intelletti, più dispiegate rispetto a quelli, una sorta di molteplice derivato dal poco; legate a quel poco per la loro parte meno divisa, poiché hanno ormai voluto dividersi, senza però poter essere completamente divise, conservando in sé identità e differenza; inoltre, una resta ogni anima, e una sono tutte insieme.

In questo caso in realtà l’affermazione non è così chiara come in V 7, ma è presente un’ambiguità: quando si afferma che: «Οὕτω τοίνυν καὶ ψυχαὶ ἐφεξῆς καθ’ ἕκαστον νοῦν ἐξηρτημέναι» si potrebbe star facendo riferimento sia al fatto che ogni νοῦς è collegato ad una singola ψυχή che dipende direttamente da esso, sia al fatto che ogni νοῦς produce un gruppo di ψυχαὶ, accomunate dalla comune dipendenza a un determinato νοῦς. Blumenthal,

44 Tuttavia, bisogna rilevare che Blumenthal muove alcune critiche alla ricostruzione di Rist della struttura

argomentativa plotiniana: su questo cfr. infra, pp. 26-28.

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ad ogni modo, ritiene più probabile che Plotino faccia riferimento alla prima alternativa, e che dunque stia asserendo l’esistenza di idee di particolari, come nel caso di V 7.

In un articolo del 197046 Rist torna sui passi presi in esame da Blumethal che non aveva preso in considerazione ai tempi dell’articolo del 196347, rispondendo punto per punto alle osservazioni fatte da Blumenthal. Sarà dunque utile, per ogni passo, ricostruire le opinioni dei due studiosi, per vedere come si vadano a delineare due visioni radicalmente differenti a proposito del problema dell’esistenza di idee di particolari in Plotino. A proposito del passo in questione, Rist sottolinea che, se anche Plotino facesse riferimento alla seconda alternativa, si limiterebbe a richiamare la teoria delle forme così come esposta nella Repubblica di Platone: tutti gli uomini particolari dipendono dall’idea di Uomo posta nell’Intellegibile. Il fatto che si sottolinei l’esistenza di un’idea di Uomo di cui tutti gli uomini particolari partecipano, non implica secondo Rist (al contrario di quanto pensa invece Blumenthal) un’esclusione immediata dell’esistenza di idee di uomini particolari, in quanto nulla impedisce che, accanto all’idea di Uomo, vi sia anche l’idea di Socrate, che partecipa dell’idea di Uomo come può partecipare, ad esempio, dell’idea di giustizia. La visione di Blumenthal invece è di tipo esclusivo, e vede nell’affermazione dell’esistenza di idee di universali la negazione dell’esistenza di idee particolari: se Plotino afferma che esiste l’idea di Uomo, è come se stesse dicendo che esiste solo l’idea di Uomo, e non anche le idee di uomini particolari, le cui differenze sono spiegate in termini di partecipazione all’unica idea di Uomo esistente.

Nel secondo gruppo di testi proposti da Blumenthal, in cui egli trova una negazione dell’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα, ritorna il trattato V 9 già preso in esame da Rist. In questo passo lo studioso non vede un punto di partenza per successivi sviluppi: Plotino afferma chiaramente che esistono idee di universali e non di particolari: non esiste un’idea di Socrate, ma esiste unicamente l’idea di Uomo. Inoltre, «going on to ask whether individual characteristics, such as being snub-nosed or hook-nosed, come from the Ideal archetype, he answers that they are included in the Idea of Man as differentiae. But that a particular man should have a particular snub nose is due to matter»48. Un altro testo in cui si può trovare un

esplicito rifiuto dell’esistenza di idee di particolari, al pari di V 9, è VI 5 [23], in particolare là dove si afferma che:

46 Rist J. M.., «Ideas of Individuals: A Reply to Dr Blumenthal», Revue Internationale de Philosophie 92

(1970), pp. 298-303.

47 Id., «Forms of Individuals in Plotinus», cit.

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19 Καὶ οὐκ ἔδωκε μὲν ἑαυτῆς οὐδὲν τῇ ὕλῃ ἡ ἰδέα ἀσκέδαστος οὖσα, οὐ μὴν ἀδύνατος γέγονεν ἓν οὖσα τὸ μὴ ἓν τῷ ἑνὶ αὐτῆς μορφῶσαι καὶ παντὶ αὐτοῦ οὕτω τοι παρεῖναι, ὡς <μὴ> ἄλλῳ μὲν μέρει αὐτῆς τόδε, ἄλλῳ δὲ ἄλλο μορφῶσαι, ἀλλὰ παντὶ ἕκαστον καὶ πᾶν. Γελοῖον γὰρ τὸ πολλὰς ἰδέας πυρὸς ἐπεισφέρειν, ἵν’ ἕκαστον πῦρ ὑφ’ἑκάστης ἄλλης, τὸ δὲ ἄλλης, μορφοῖτο· ἄπειροι γὰρ οὕτως ἔσονται αἱ ἰδέαι. Εἶτα πῶς καὶ μεριεῖς τὰ γινόμενα συνεχοῦς ἑνὸς πυρὸς ὄντος; Καὶ εἰ προσθείημεν τῇ ὕλῃ ταύτῃ ἄλλο πῦρ μεῖζον ποιήσαντες αὐτό, καὶ κατ’ἐκεῖνο αὖ τὸ μέρος τῆς ὕλης φατέον τὴν αὐτὴν ἰδέαν τὰ αὐτὰ εἰργάσθαι· οὐ γὰρ δὴ ἄλλην. 49

L’idea non dà nulla di sé alla materia, non potendo disperdersi; non è, però, incapace, essendo una, di dare forma con la propria unità a ciò che non è uno e di essere presente nella totalità di ciò che non è uno, in modo da dare forma con parte di sé ad una parte e con altra ad un’altra, ma con tutta se stessa a ciascuna parte e tutto. Del resto, sarebbe ridicolo moltiplicare le idee del fuoco, perché un fuoco abbia forma da un’idea, un altro da un’altra. Così le idee sarebbero infinite; e poi come divideresti i fuochi, posto che ci sia il fuoco uno e continuo? E se aggiungessimo a questa materia un altro fuoco, facendolo più grande, bisognerebbe dire che anche in quella parte di materia la stessa idea opera le stesse cose, perché un’altra non ce n’è.

Il tono del passo è secondo Blumenthal poco fraintendibile: in questo trattato Plotino starebbe rifiutando esplicitamente l’esistenza di idee di particolari, portando l’esempio dei fuochi particolari: sarebbe ridicolo (γελοῖον) postulare l’esistenza di più idee particolari per i singoli fuochi, in quanto in tal modo si arriverebbe a un’infinità di idee (ἄπειροι γὰρ οὕτως ἔσονται αἱ ἰδέαι); del resto, lo stesso fuoco viene definito come ἕν e συνεχές, attributi che rendono poco plausibile l’ipotesi che esso possa dividersi in una molteplicità di idee particolari. Rist replica alla tesi di Blumenthal che in questo passo non si rifiuta esplicitamente l’esistenza di idee di qualsiasi tipo καθ’ἕκαστον. Quello di cui si sta occupando Plotino in questa sezione del trattato sono infatti i quattro elementi, di cui si prende, come esempio, il fuoco, di cui vi è solo un’idea generale (l’idea di Fuoco), mentre non esistono idee di fuochi particolari. Questo però è solo il caso dei quattro elementi secondo Rist, non essendovi nel testo alcun indizio del fatto che la tesi qui esposta si possa estendere anche al di là degli elementi stessi: quello che si può concludere da questo passo è che Plotino rifiuta l’esistenza di idee di particolari se questi particolari differiscono tra loro solo numericamente (come è il caso dei fuochi particolari). Va detto peraltro che questa nuova tesi di Rist dimostra uno sviluppo della posizione espressa nell’articolo del 1963: là

49 VI 5 [23], 8, 35-46

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sosteneva infatti che Plotino era arrivato, con V 7, ad ammettere l’esistenza di idee per tutte le cose particolari; ora, invece, ritiene che Plotino ammetta in linea di massima l’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα, ad eccezione però del caso in cui i singoli particolari differiscano fra loro solo per numero, o, come si può ricavare da V 9, solo per differenze fisiche imputabili alla materia.

Blumenthal infine, nel terzo gruppo di testi, quello contenente passi ambigui, pone quattro trattati diversi. Il primo di essi è il trattato VI 4-5 [22-23]50. L’ambiguità in questo caso deriva da due passi riguardanti la condizione dell’essere umano nel mondo Intellegibile. In VI 4 si può infatti leggere:

Ἡμεῖς δέ—τίνες δὲ ἡμεῖς; Ἆρα ἐκεῖνο ἢ τὸ πελάζον καὶ τὸ γινόμενον ἐν χρόνῳ; Ἢ καὶ πρὸ τοῦ ταύτην τὴν γένεσιν γενέσθαι ἦμεν ἐκεῖ ἄνθρωποι ἄλλοι ὄντες καί τινες καὶ θεοί, ψυχαὶ καθαραὶ καὶ νοῦς συνημμένος τῇ ἁπάσῃ οὐσίᾳ, μέρη ὄντες τοῦ νοητοῦ οὐκ ἀφωρισμένα οὐδ’ ἀποτετμημένα, ἀλλ’ ὄντες τοῦ ὅλου· οὐδὲ γὰρ οὐδὲ νῦν ἀποτετμήμεθα. Ἀλλὰ γὰρ νῦν ἐκείνῳ τῷ ἀνθρώπῳ προσελήλυθεν ἄνθρωπος ἄλλος εἶναι θέλων· […] καὶ γεγενήμεθα τὸ συνάμφω καὶ οὐ θάτερον, ὃ πρότερον ἦμεν, καὶ θάτερόν ποτε, ὃ ὕστερον προσεθέμεθα ἀργήσαντος τοῦ προτέρου ἐκείνου καὶ ἄλλον τρόπον οὐ παρόντος.51

E noi, chi siamo noi? Siamo quello lassù oppure ciò che gli si accosta e ciò che diviene nel tempo? Prima che avvenisse questa generazione noi eravamo lassù ed eravamo uomini differenti ed alcuni perfino dèi, eravamo anime pure e l’intelletto era congiunto a tutta l’essenza, eravamo parti dell’intellegibile né determinate né scisse, ma dell’intero. Del resto, neppure ora ne siamo scissi. Ma ora a quell’uomo di lassù si è associato l’altro uomo che vuole esistere. […] Siamo così diventati un’unica coppia e non più quell’uno che eravamo prima; semmai, nell’inerzia e, in altri termini, nell’assenza del primo uomo, siamo quell’altro uomo che ci si è aggiunto in un secondo tempo.

Il problema è che in VI 5 la condizione umana sembra essere espressa in termini diversi:

Ἢ ὅτι παντὶ προσῆλθες καὶ οὐκ ἔμεινας ἐν μέρει αὐτοῦ οὐδ’εἶπας οὐδὲ σὺ «τοσοῦτός εἰμι», ἀφεὶς δὲ τὸ «τοσοῦτος» γέγονας πᾶς, καίτοι καὶ πρότερον ἦσθα πᾶς· ἀλλ’ ὅτι καὶ ἄλλο τι προσῆν σοι μετὰ τὸ «πᾶς», ἐλάττων ἐγίνου τῇ προσθήκῃ· οὐ γὰρ ἐκ τοῦ παντὸς ἦν ἡ

50 Si tratta di un unico trattato diviso in due da Porfirio per ragioni di ordinamento enneadico. 51 VI 4 [22], 14, 16-31.

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προσθήκη—οὐδὲν γὰρ ἐκείνῳ προσθήσεις—ἀλλὰ τοῦ μὴ ὄντος. Γενόμενος δέ τις καὶ ἐκ τοῦ μὴ ὄντος ἐστὶν οὐ πᾶς, ἀλλ’ ὅταν τὸ μὴ ὂν ἀφῇ.52

È perché hai raggiunto il tutto e non sei rimasto in una sua parte; non hai mai detto di te ‘io sono tanto grande’, anzi, ti sei astenuto da questa qualifica e sei diventato tutto, quel tutto che eri anche prima. Ma al tutto ti si era aggiunta qualche altra cosa, e l’aggiunta ti aveva diminuito. Perché l’aggiunta non veniva da ciò che è—cui, in effetti, nulla si può aggiungere— ma da ciò che non è. Ma quando qualcuna viene da ciò che non è, non è tutto fino a quando non abbia respinto ciò che non è.

L’ambiguità deriva essenzialmente dal fatto che, mentre da un lato Plotino ci dice che, prima della nostra nascita, eravamo ἄνθρωποι ἄλλοι τινες, pure anime e parti dell’Intellegibile, e che a quest’uomo originario che eravamo si è aggiunto un ἄνθρωπος ἄλλος, che ha determinato il fatto che, attualmente, siamo l’unione di questi due uomini; dall’altra egli sostiene che nell’Intellegibile non eravamo τινες, ma πᾶς, e che siamo diventati τινες in virtù dell’aggiunta del τὸ μὴ ὂν. Il fatto è che, se così stanno le cose, nel primo passo citato si avrebbe la presenza di un’individualità a livello dell’Intellegibile, mentre nel secondo passo questa individualità sparirebbe facendo spazio all’idea che i particolari esistono solo a livello sensibile. Blumenthal ritiene che questo sia un ulteriore segno della mancanza di coerenza della visione plotiniana, mentre Rist si limita a sottolineare come in questo passo non si parli di idee di particolari, ma di anime di particolari: esso sarebbe dunque irrilevante per la questione dell’esistenza di idee di καθ’ἕκαστα.

Un secondo passo ambiguo è costituito dal trattato VI 2 [43], in cui Plotino, discutendo la struttura del mondo intellegibile, afferma che:

Ὅλως δὲ οὐκ ἔστι τὸ ἓν ἀριθμῷ λαβεῖν καὶ ἄτομον· ὅ τι γὰρ ἂν λάβῃς, εἶδος· ἄνευ γὰρ ὕλης. Διὸ καὶ τοῦτο αἰνιττόμενος ὁ Πλάτων εἰς ἄπειρά φησι κατακερματίζεσθαι τὴν οὐσίαν. Ἕως μὲν γὰρ εἰς ἄλλο εἶδος, οἷον ἐκ γένους, οὔπω ἄπειρον·περατοῦται γὰρ τοῖς γεννηθεῖσιν εἴδεσι· τὸ δ’ ἔσχατον εἶδος ὃ μὴ διαιρεῖται εἰς εἴδη, μᾶλλον ἄπειρον.53

In ogni caso, però, non è dato cogliere l’uno per numero e individuo. Ciò che eventualmente si coglie è specie, perché senza materia. Il che significò Platone, per enigma: ‘l’essenza si sminuzza all’infinito’. Finché la divisione muove verso una specie ulteriore, partendo, per

52 VI 5 [23], 12, 16-23.

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esempio, da un genere, non si tratta ancora di infinito, perché trova un limite nelle forme generate. L’ultima forma, però, non suscettibile di ulteriore divisione in forme, è più infinito.

Il passo a prima vista sembrerebbe chiaro, e porterebbe nella direzione di una negazione dell’esistenza di idee di individui: si afferma chiaramente, infatti, che nell’Intellegibile non si può afferrare niente che sia τὸ ἓν ἀριθμῷ καὶ ἄτομον. L’ambiguità deriva dal fatto che, come fatto notare da Trouillard54, questo passo è inserito all’interno di un contesto di discussione di vari testi platonici, e pertanto questa affermazione di Plotino potrebbe essere una sorta di “concessione” temporanea fatta a Platone. Questa ipotesi è tuttavia poco plausibile secondo Blumethal, che fa notare giustamente che Plotino non è certo alieno dal sostenere tesi che contrastano fortemente con la lettera dei testi platonici55: è quindi decisamente più probabile che in questo passo Plotino stia prendendo posizione contro la possibilità dell’esistenza di idee di particolari. Rist è d’accordo con Trouillard nel valutare al meglio il contesto di questa affermazione, ma giunge a risultati parzialmente diversi: il punto è che, a suo avviso, il contesto in cui deve essere inserita questa presa di posizione è un argomento che mira a sottolineare la natura diadica dell’Intelletto, che è al tempo stesso uno e molti, e che ha una struttura non gerarchica ma a spirale, secondo la quale in ogni forma sono contenuti in scala tutti gli elementi che costituiscono la totalità del mondo intellegibile; detto in altri termini: l’Intellegibile è tutto in ciascuna forma, è πάντα ὁμοῦ, e ogni forma ha in sé la totalità dell’Intelletto. Pertanto, quello che qui l’autore sta facendo, secondo Rist, non è tanto escludere l’esistenza di idee particolari, quanto piuttosto sottolineare questa struttura di unità molteplice che caratterizza l’Intelletto. E del resto per Rist non fa problema nemmeno l’affermazione che «ὅ τι γὰρ ἂν λάβῃς, εἶδος» in quanto, come direbbe Leibniz, nulla vieta che una specie possa consistere di un unico membro.

Un terzo trattato ambiguo è VI 7 [38], a cui ho già fatto riferimento in precedenza56. In particolare, dal capitolo 1 al capitolo 7 di questo trattato si fa riferimento alla problematica della preesistenza della sensazione nell’Intellegibile, e si arriva alla conclusione che, come

54 In particolare in Trouillard J., La Purification Plotinienne, Paris 1955 (in partic. pp. 76-77). Cfr. anche

Id., «Plotin et le moi», in Horizons de la personne (éd. par A. Jagu, R. Cailleau, H. Derouet, L. Gallard), Paris 1965, pp. 59-75.

55 Si pensi ad esempio al trattato VI 7 [38], di cui si è parlato in precedenza, in cui Plotino nei primi capitoli

(1-14) tenta precisamente di andare contro quei platonici che sostengono un’interpretazione letterale del Timeo, per arrivare a concludere che non si può parlare di un vero e proprio λογισμός a proposito del demiurgo: se si parla di un ragionamento è solo per far capire che vi è una razionalità, ma quella a cui Plotino fa riferimento è la razionalità delle forme e dell’Intellegibile, non certo la causalità del demiurgo, figura che in Plotino quasi scompare, essendo interpretata sulla base della dottrina della causalità delle forme del Fedone.

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gli oggetti sensibili preesistono in modo incorporeo nel mondo intellegibile, così anche le sensazioni che a loro corrispondono devono preesistere nel mondo intellegibile in una forma trascendente di cui la sensazione di quaggiù non è che una pallida immagine. Pertanto, l’uomo ideale non è solo Intelletto, ma è già αἰσθητικός, possiede cioè la sensazione e possiede anche tutto ciò che gli sarà utile nel mondo sensibile (come ad esempio gli organi di senso e le facoltà ad essi corrispondenti). L’ambiguità deriva dal fatto che non è chiaro se qui Plotino stia parlando dell’ἄνθρωπος ideale intendendolo come idea di specie (la forma Uomo che sta nell’Intellegibile), o se stia facendo riferimento all’idea di un singolo ἄνθρωπος particolare. Anche andando avanti nel corso del trattato, in particolare nei capitoli 8-10, si incorre nella stessa ambiguità: in questo caso non si parla della forma dell’uomo, ma di quella degli altri animali, in particolare di quella del cavallo, ma il problema è lo stesso: capire cioè se il riferimento sia l’idea di specie o l’idea del particolare. Secondo Blumenthal è più probabile che qui Plotino stia parlando in termini di specie, ma è comunque cauto in quanto, a suo avviso, è anche possibile sostenere una tesi contraria. Egli sembra scorgere tuttavia un argomento che proverebbe che la prima ipotesi è quella da prendere come vera: il passo cruciale è il capitolo 11, in cui Plotino parla dell’idea di pianta, e descrive dei rapporti che ci riportano alla teoria delle idee in quella concezione di “uno a molti” che veniva espressa in modo particolarmente chiaro nella Repubblica. Quello che Plotino afferma è che vi è un’idea di pianta, la pianta in sé, di cui partecipano le singole, molteplici e particolari piante sensibili di quaggiù:

Καὶ γὰρ ἐκεῖνο ἕν, ταῦτα δὲ πολλὰ καὶ ἀφ’ ἑνὸς ἐξ ἀνάγκης. Εἰ δὴ τοῦτο, δεῖ πολὺ πρότερον ἐκεῖνο ζῆν καὶ αὐτὸ τοῦτο φυτὸν εἶναι, ἀπ’ ἐκείνου δὲ ταῦτα δευτέρως καὶ τρίτως καὶ κατ’ ἴχνος ἐκείνου ζῆν.57

Non per nulla quella prima pianta è uno, ma queste piante di qui sono molti e procedono necessariamente dalla prima pianta. Se così stanno le cose, quella prima pianta deve vivere in senso pieno e deve essere la pianta in sé, da cui prendono vita le piante di qui, al secondo ed al terzo posto in conformità della traccia che recano.

Se letta in questi termini, questa sezione del trattato affermerebbe che non esistono idee di particolari, ma solo idee di universali. Rist tuttavia non è convinto, e fa valere lo stesso argomento già adoperato per risolvere l’ambiguità di VI 2 [43]: il fatto che le piante

57 VI 7 [38], 11, 14-17.

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