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Il trattato VI 1-3 [42-44]: categorie stoiche e sostanza aristotelica

2. Plotino e la dottrina stoica dell’ἰδίως ποιόν

2.4 Il trattato VI 1-3 [42-44]: categorie stoiche e sostanza aristotelica

Che Plotino conoscesse la dottrina stoica delle categorie è indubbio: essa infatti viene menzionata esplicitamente nel trattato Sui generi dell’essere (VI 1-3 [42-44]) 169, e in particolare in VI 1, dedicato in generale alla dottrina delle categorie. La maggior parte di questo testo è occupata dalla confutazione della teoria aristotelica, con una rassegna critica delle dieci categorie peripatetiche; verso la fine si ha poi la presentazione critica di un’altra dottrina categoriale: quella stoica, che Plotino introduce nel modo che segue:

Πρὸς δὲ τοὺς τέτταρα τιθέντας καὶ τετραχῶς διαιροῦντας εἰς ὑποκείμενα καὶ ποιὰ καὶ πὼς ἔχοντα καὶ πρός τί πως ἔχοντα, καὶ κοινόν τι ἐπ’ αὐτῶν τιθέντας καὶ ἑνὶ γένει περιλαμβάνοντας τὰ πάντα, ὅτι μὲν κοινόν τι καὶ ἐπὶ πάντων ἓν γένος λαμβάνουσι, πολλὰ ἄν τις λέγοι.170

Contro coloro che pongono quattro generi e una quadruplice ripartizione in sostrati, qualità, modi d’essere e modi d’essere in relazione ad altro, ponendo al di sopra di essi un qualcosa comune e includendo tutte le cose in un unico genere, ci sarebbero molte cose da dire, per il fatto che ammettono un qualcosa comune e un genere unico al di sopra di tutte le cose.

Il riferimento agli Stoici sembra evidente, in particolare in relazione alla perfetta concordanza con la testimonianza di Simplicio a cui ho fatto riferimento in precedenza, in cui ricorrere la stessa terminologia a proposito delle quattro categorie.171 Per quanto riguarda

poi il genere comune del τι, una tale dottrina è ricavabile in particolare dalle testimonianze di Alessandro di Afrodisia, Sesto Empirico e Seneca172. Ad ogni modo, dal passo presentato sembra emergere un problema particolare: da esso si ricava effettivamente che Plotino conosceva la dottrina stoica delle categorie, ma si ricava anche che egli muove una critica a tale dottrina. Ciò sembra essere in contrasto con quanto detto finora a proposito del trattato V 7 [18], in cui, secondo la presente interpretazione, si ha una ripresa dell’ἰδίως ποιόν: il punto è che, criticando la dottrina categoriale in generale, anche la singola teoria dell’ἰδίως ποιόν tende inevitabilmente ad essere messa in discussione. Tanto più che la critica plotiniana non riguarda solo i termini generali della questione, ma è piuttosto dettagliata e

169 Anche se in realtà non si ha a che fare con tre trattati, ma con un unico trattato diviso in tre da Porfirio

in funzione dell’ordinamento enneadico. Per quanto riguarda il rapporto fra la dottrina stoica delle categorie e la posizione di Plotino cfr. soprattutto Graeser A., Plotinus and the Stoics. A preliminary study, cit., pp. 87- 100.

170 VI 1 [42], 25, 1-5.

171 Simplicio, in Aristot. categ. f. 16 ed. Bas. (=SVF II, 369). 172 Cfr. SVF II, 329-332.

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passa in rassegna le singole categorie, evidenziando le problematiche interne a ciascuna di esse. Ad essere criticato è dapprima il τι173, in quanto, secondo Plotino, un tale termine risulta

del tutto incomprensibile agli stessi Stoici, e inoltre, ad una attenta analisi, si mostra inapplicabile e inadatto sia per i corpi che per gli incorporei. Per quanto riguarda invece la prima categoria174, si evidenzia una contraddizione di fondo, in quanto gli Stoici mettono su uno stesso piano gli ὑποκείμενα e la materia, collocando così al primo posto tanto il primo principio quanto ciò che da esso deriva. Seguono alcuni capitoli contenenti una critica alla visione stoica della divinità, interamente basata sui concetti aristotelici di potenza e atto175, dopo i quali si arriva all’esame della seconda categoria, che mi interessa più da vicino176. Ad essere accusata a livello generale è la stessa distinzione fra ὑποκείμενα e ποιὰ: se infatti i ποιὰ sono diversi dagli ὑποκείμενα, essi devono essere semplici, entità senza materia, incorporei ed efficaci. Se invece essi non hanno queste caratteristiche (come sembra sia il caso nello stoicismo), è un errore includerli nella stessa classe degli ὑποκείμενα (quella dei “generi dell’essere”). Vengono poi mosse altre due obiezioni a questa categoria, che, come fa notare Graeser177, indicano la volontà da parte di Plotino di mostrare una sorta di inadeguatezza e di ambiguità del concetto stoico di ὕλη πως ἔχουσα: si sottolinea infatti che, da una parte, i λόγοι materiali stoici non possono funzionare come forme razionali se i ποιὰ sono identici alla ὕλη πως ἔχουσα, e, dall’altra, che se gli Stoici vogliono indentificare questi λόγοι con la ὕλη πως ἔχουσα, «they ought to regard the ποιὰ in their relation to the substrate itself»178, cosa che comporta un’inclusione di essi nella terza categoria.

Si potrebbe a questo punto far notare che la critica di Plotino riguarda in generale la distinzione stoica di quattro categorie, e che l’attacco è connesso con la categoria generale dei ποιὰ e non in particolare con l’ἰδίως ποιόν. Ad ogni modo, è evidente che una critica della categoria della qualità di questo tipo comporta inevitabilmente una critica di una sua specificazione particolare. Ma soprattutto sembra che Plotino faccia esplicitamente riferimento a questa dottrina stoica in fine di trattato: qui, dopo aver preso in esame le prime due categorie, egli si rivolge contro quella del πως ἔχον, che è assurdo porre come terza e facente riferimento a una classe diversa da quella degli ὑποκείμενα, dal momento che tutte

173 VI 1 [42], 25, 6-11.

174 Cfr. ivi, 25, 12-33. 175 Ivi, 26-28. 176 Ivi, 29.

177 Cfr. Graeser A., Plotinus and the Stoics. A preliminary study, cit., pp. 95-97. 178 Ivi, p. 96.

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le cose sono πως ἔχοντα in riferimento alla materia. Su questo punto gli Stoici potrebbero obiettare che c’è una differenza fra i vari πως ἔχοντα, e in particolare che:

ἄλλως πως ἔχειν τὴν ὕλην ὡδὶ καὶ οὕτως, ἄλλως δὲ ἐν τοῖς πως ἔχουσι, καὶ ἔτι τὰ μὲν ποιὰ περὶ τὴν ὕλην πως ἔχοντα, τὰ ἰδίως δέ πως ἔχοντα περὶ τὰ ποιά179

.

un conto è dire che la materia è atteggiata in questo o in quell’altro modo, un altro dire che essa rientra nei modi d’essere, e un altro ancora dire che le qualità in riferimento alla materia sono modi d’essere, mentre le qualità particolari sono modi d’essere in riferimento alle qualità.

A questo Plotino obietta che allora il πως ἔχον, trovandosi ad avere a che fare con un insieme di differenze così grande, difficilmente potrà costituire una categoria unitaria al modo stoico, e critica infine anche la quarta categoria, quella del πρός τι πως ἔχον, in quanto è a suo avviso assurdo riunire sotto un unico genere (quello del τι) ciò che si aggiunge ad esseri già esistenti e questi stessi esseri, che esistono prima di esso. Ad ogni modo, quello che mi interessa maggiormente sottolineare è che viene menzionata l’espressione tecnica di ιδίως ποιὰ (caratterizzata come una sorta di specificazione del πως ἔχον), ed è un richiamo che difficilmente può essere casuale in questo contesto, e che dunque sembra dimostrare una conoscenza da parte di Plotino di questo particolare concetto stoico.

È da notare inoltre che la dottrina dell’ἰδίως ποιόν è stata anche collegata con quanto detto da Plotino nella parte finale del trattato Sui Generi dell’Essere (quello che noi conosciamo come il trattato VI 3 [44]), ancora una volta con uno sviluppo in senso critico. Lloyd in particolare180 fa riferimento alla dottrina porfiriana dell’ἄθροισμα, a cui mi sono

richiamato precedentemente, secondo la quale l’individuo è costituito da un unico insieme di qualità, mostrando come tale termine sia di origine stoica e si riconnetta in particolare al concetto di συνδρομὴ. Egli però intende rilevare il retroterra platonico di questa affermazione, che si richiama a un passo del Teeteto in cui lo stesso termine ἄθροισμα è adoperato da Platone per indicare i particolari sensibili, che egli nega possano essere sostanze181, e ne conclude che Porfirio assimila gli ιδίως ποιὰ stoici a questo punto di vista, che è, come si è visto, pienamente platonico. Il punto è che questa dottrina porfiriana, come fa notare Lloyd, oltre a basarsi su un lessico stoico e su una tesi platonica, si trova in qualche

179 VI 1 [42], 30, 4-7.

180 Cfr. Lloyd A. C., «Neo-platonic logic and Aristotelian logic II», Phronesis 1 (1995), pp. 146-159, in

partic. 158-159. Cfr. anche Id., «Neo-platonic logic and Aristotelian logic I», Phronesis 1 (1995), pp. 58-72.

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modo già espressa nel trattato VI 3 [44] di Plotino. In questo scritto l’attacco di Plotino è rivolto in generale contro la sostanza sensibile aristotelica. Come ha fatto notare Chiaradonna182, la strategia argomentativa qui adoperata è piuttosto complessa ed è articolata in tre passi diversi: in primo luogo Plotino ammette in via preliminare la concezione peripatetica della sostanzialità del sensibile (VI 3, 4-5) sulla base di argomenti propriamente aristotelici; successivamente introduce il concetto di sostanza intellegibile, cioè trascendente e separata dal sensibile (VI 3, 6-7), per poi arrivare infine in VI 3, 8, sulla base della propria visione dell’οὐσία intellegibile, a criticare la concezione di sostanza sensibile aristotelica, da intendersi come un ammasso di materia e qualità, e che dunque propriamente non è sostanza in quanto costituita da cose che non sono sostanze. Essa è piuttosto da intendersi come un semplice riflesso inessenziale dell’οὐσία intellegibile. Per usare le parole di Plotino:

Ἀλλὰ ἆρά γε ἡ αἰσθητὴ οὐσία συμφόρησίς τις ποιοτήτων καὶ ὕλης […]. Καὶ οὐ δυσχεραντέον, εἰ τὴν οὐσίαν τὴν αἰσθητὴν ἐξ οὐκ οὐσιῶν ποιοῦμεν· οὐδὲ γὰρ τὸ ὅλον ἀληθὴς οὐσία, ἀλλὰ μιμούμενον τὴν ἀληθῆ, ἥτις ἄνευ τῶν ἄλλων τῶν περὶ αὐτὴν ἔχει τὸ ὂν καὶ τῶν ἄλλων ἐξ αὐτῆς γινομένων, ὅτι ἀληθῶς ἦν· ὡδὶ δὲ καὶ τὸ ὑποβεβλημένον ἄγονον καὶ οὐχ ἱκανὸν εἶναι ὄν, ὅτι μηδὲ ἐξ αὐτοῦ τὰ ἄλλα, σκιὰ δὲ καὶ ἐπὶ σκιᾷ αὐτῇ οὔσῃ ζωγραφία καὶ τὸ φαίνεσθαι.183

Insomma, la sostanza sensibile verrebbe ad essere una confluenza di qualità e materia […]. E non deve disturbare se facciamo venire la sostanza sensibile da non sostanze: l’intero non è vera sostanza, ma imita quella vera, che ha l’essere senza le altre cose che di essa si dicono e senza le altre che da essa vengono ad esistere, perché quella era veramente. Quaggiù, invece, ciò che soggiace è sterile e non sufficiente per essere realmente, perché il resto non proviene da esso; è ombra, ombra su cui anche l’apparire è pittura.

Da quanto presentato, sembra che la visione di Lloyd sia corretta: sembrano esservi infatti notevoli somiglianze fra questa concezione di οὐσία αἰσθητὴ come συμφόρησις ποιοτήτων καὶ ὕλης e la dottrina porfiriana del fascio individuante di qualità, e, del resto, un’analogia di questo tipo è stata ripresa anche da altri studiosi, in particolare da Sorabji184,

che rintraccia negli autori neoplatonici una visione generale dell’individuo aristotelico come

182 Chiaradonna R., «ΟΥΣΙΑ ΕΞ ΟΥΚ ΟΥΣΙΩΝ. Forma e sostanza sensibile in Plotino (Enn. VI 3 [44], 4-

8)», Documenti e Studi sulla Tradizione Filosofica Medievale 10 (1999), pp. 25-57.

183 VI 3 [44] 8, 30-37.

184 Sorabji R, Matter, space and motion. Theories in Antiquity and their sequel, Duckworth, London 1988.

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un mero conglomerato di qualità, e fa risalire questa visione alla critica plotiniana della sostanza sensibile, che, a sua volta, sarebbe da ricollegare con la filosofia di Epicuro185, il quale in effetti faceva menzione di una teoria del genere, ma solo per criticarla. Qualcosa di simile secondo Sorabji è possibile trovarlo anche negli Stoici, in particolare nella concezione di Crisippo secondo la quale un individuo è distinto da tutti gli altri grazie a un’unica qualità individuante o a una συνδρομὴ di qualità. Va detto però che lo stesso Lloyd, tornando sulla questione, tenderà a rivedere la sua posizione, criticando la tesi espressa in precedenza186 e considerando fuorviante il collegamento da lui stesso operato fra la posizione espressa da Plotino e la dottrina porfiriana dell’ἄθροισμα, ritenendo che l’argomento delle Enneadi sia troppo estraneo dalla logica aristotelica per poter essere stato accettato e ripreso in un commentario ad Aristotele quale è l’Isagoge. Un argomento di questo tipo inoltre trascurerebbe il fatto che l’insieme di qualità che caratterizza una sostanza comprende anche le proprietà specifiche e sostanziali, cosa che «left the individuals still Aristotelian substances»187. Chiaradonna188 riprende questa seconda concezione di Lloyd, mostrando

come per Plotino non sia possibile trovare un criterio di sostanzialità all’interno del mondo sensibile, e come per questo, nella sua filosofia, cada ogni tipo di distinzione fra le proprietà costitutive dell’essenza di una cosa e i predicati accidentali. Al contrario, la teoria dell’ἄθροισμα, secondo lo studioso italiano, deve essere riferita all’aristotelismo di Porfirio, che riprende sistematicamente quello che Plotino ha criticato, ovvero la dottrina peripatetica della sostanza e la distinzione fra qualità essenziali e qualità accidentali, integrando questi elementi con il concetto platonico dell’intellegibilità. Del resto, secondo lo studioso italiano la dottrina dell’ἄθροισμα sarebbe da intendere semplicemente come risposta a un problema

185 Cfr. in partic. Epicuro, Lettera a Erodoto, in Diogene Laerzio, Vite 10, 68-69: «Ἀλλὰ μὴν καὶ τὰ σχήματα

καὶ τὰ χρώματα καὶ τὰ μεγέθη καὶ τὰ βάρη καὶ ὅσα ἄλλα κατηγορεῖται σώματος ὡς ἂν ἀεὶ συμβεβηκότα ἢ πᾶσιν ἢ τοῖς ὁρατοῖς καὶ κατὰ τὴν αἴσθησιν αὐτῶν γνωστοῖς, οὔθ’ ὡς καθ’ ἑαυτάς εἰσι φύσεις δοξαστέον—οὐ γὰρ δυνατὸν ἐπινοῆσαι τοῦτο—οὔτε ὅλως ὡς οὐκ εἰσίν, οὔθ’ ὡς ἕτερ’ ἄττα προσυπάρχοντα τούτῳ ἀσώματα, οὔθ’ ὡς μόρια τούτου, ἀλλ’ ὡς τὸ ὅλον σῶμα καθόλου ἐκ τούτων πάντων τὴν ἑαυτοῦ φύσιν ἔχον ἀίδιον, οὐχ οἷον δὲ εἶναι συμπεφορημένον—ὥσπερ ὅταν ἐξ αὐτῶν τῶν ὄγκων μεῖζον ἄθροισμα συστῇ ἤτοι τῶν πρώτων ἢ τῶν τοῦ ὅλου μεγεθῶν τοῦδε τινὸς ἐλαττόνων» («Ma, inoltre, anche le figure, i colori, le grandezze e i pesi, e quanti altri caratteri sono predicati di un corpo – in quanto si accompagnano o a tutti i corpi o a quelli visibili – e sono conoscibili mediante la percezione dello <stesso> corpo, non bisogna giudicare che siano nature di per sé – ciò infatti è impensabile –, ma neppure negare che esistano, oppure che siano alcune altre realtà incorporee che si aggiungono al corpo, o parti di quest’ultimo; invece, bisogna ritenenere che l’intero corpo, nel suo complesso, tragga la propria natura durevole da tutti questi caratteri, e non possa essere costituito <dalla> loro aggregazione, come se un aggregato maggiore fosse costituito da queste particelle, siano esse primarie o <semplicemente> parti del tutto, più piccole di esso»).

186 Lloyd A.C., The anatomy of Neoplatonism, Clarendon Press, Oxford 1988, in partic. pp. 43-47. 187 Ivi, p. 46.

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interno dell’aristotelismo di Porfirio, quello cioè di distinguere fra loro più individui appartenenti alla stessa specie.

A mio avviso, il difetto di studi di questo tipo è quello di concentrarsi unicamente sul rapporto fra Porfirio e Plotino (e talora su quello che intercorre fra i due filosofi neoplatonici e Dexippo), trascurando però il legame fra Plotino e lo stoicismo. Se la concezione plotiniana della sostanza aristotelica come συμφόρησις ποιοτήτων καὶ ὕλης ha evidenti punti di contatto con la dottrina porfiriana dell’ἄθροισμα, mi sembra d’altra parte che abbia altrettanto evidenti richiami con la dottrina stoica dell’ἰδίως ποιόν così come riportata da Dexippo e così come sembra che venga ripresa da Plotino nel trattato V 7 [18]. Se infatti l’interpretazione che abbiamo dato di questo trattato è corretta, Plotino arriva a concepire il singolo individuo come determinato e caratterizzato da un particolare insieme di qualità, riconducibile a un λόγος intellegibile (mutuando questa concezione dall’ἰδίως ποιόν stoico, inteso come una συνδρομὴ ποιοτήτων). D’altra parte, in VI 3 [44] la sostanza sensibile aristotelica è concepita come un insieme di materia e qualità. Mi sembra che il legame tra le due concezioni sia evidente: in un primo caso il riferimento implicito è alla concezione stoica della qualità, nel contesto di un trattato che contiene continui richiami allo stoicismo, mentre nel secondo caso il riferimento esplicito è ad Aristotele, in un contesto di polemica contro la concezione peripatetica della sostanza e delle categorie, ma in entrambi i casi la teoria ripresa è la stessa, quella cioè del collegamento fra criterio di identità e insieme di qualità. La presenza di questa teoria nei due trattati è però altamente problematica: si potrebbe infatti facilmente obiettare che, nel caso di V 7, Plotino fa propria questa teoria, mentre invece, in VI 3, egli la sottopone a critica, considerandola inadeguata a rendere ragione della dimensione sostanziale.

La questione, tuttavia, è più complessa, e analizzando correttamente il trattato 18 si riuscirà a superare una difficoltà di questo tipo. Il fatto è che non ritengo che da una parte vi sia un’accettazione di una determinata teoria e dall’altra un rifiuto di essa, (cosa che ci porterebbe a postulare un’«inconsistency» plotiniana come voleva Blumenthal). A mio avviso, in entrambi i casi abbiamo un rifiuto di una particolare concezione e la formulazione di una nuova teoria, che è la stessa accettata in entrambi i trattati. Non credo infatti che in V 7 [18] Plotino stia facendo propria la dottrina stoica dell’ἰδίως ποιόν senza riserve: piuttosto, egli la sta riprendendo sotto un determinato aspetto, per poi criticarla da un punto di vista essenziale, secondo un procedimento tipico del filosofo neoplatonico, che anche con le dottrine di Aristotele mostra un atteggiamento ambiguo di questo tipo, tendendo a riprenderle per quello che gli interessa e per quanto è funzionale ad esprimere e argomentare

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la propria personale visione del platonismo, e rigettandole invece in alcuni punti essenziali, là dove si vede più chiaramente la distanza fra aristotelismo e platonismo, in riferimento in particolare alla dimensione intellegibile. In questo caso Plotino riprende l’idea che il singolo individuo sia caratterizzato da un insieme di qualità. Tuttavia, senza ulteriori specificazioni, una visione del genere non può in alcun modo essere accettata: in VI 3 [44] infatti ad essere criticata è una visione analoga, la concezione aristotelica secondo la quale la sostanza sensibile è costituita da una συμφόρησις ποιοτήτων καὶ ὕλης. Tale concezione risulta inadeguata, dal momento che porta a far derivare l’οὐσία «ἐξ οὐκ οὐσιῶν»189, da qualità

accidentali e inessenziali. La tesi che Plotino sta sostenendo in entrambi i trattati è che un individuo non può essere semplicemente un conglomerato di qualità inessenziali. Quello che manca in una concezione di questo tipo è il legame con la dimensione intellegibile, che risulta essere necessaria e indispensabile per la determinazione dell’individualità.

In V 7 infatti le qualità di un singolo individuo sono collegate a un λόγος intellegibile e tutti gli individui peraltro, oltre ad essere determinati da questo λόγος, partecipano alla forma intellegibile di Uomo. Lo stesso discorso può essere fatto a proposito del trattato VI 3: anche in questo caso infatti, come si è visto nel passo riportato in precedenza190, compare con forza la dimensione intellegibile: la vera οὐσία non è quella sensibile, che è invece un semplice riflesso inessenziale dell’ἀληθὴς οὐσία, ovvero quella intellegibile, di cui l’οὐσία αἰσθητὴ non è altro che σκιὰ. È la dimensione dell’intelligibilità ciò che rende un ammasso di materia e qualità una sostanza: come afferma Plotino infatti le sostanze intellegibili derivano il loro essere sostanze dalla partecipazione all’ἀληθὴς οὐσία. L’operazione di Plotino è dunque duplice, e si configura come una critica sia alla filosofia stoica che a quella aristotelica: ad essere riprese sono infatti, da un lato, la dottrina stoica dell’ἰδίως ποιόν, e, dall’altro, la concezione aristotelica di sostanza sensibile, concezioni simili fra loro in quanto fanno risiedere il criterio di identità dell’individuo in un insieme di qualità. Plotino si serve di entrambe queste dottrine per presentare la propria versione del platonismo: Aristotele e gli Stoici non arrivano a una soluzione del problema dell’individualità e della sostanzialità, rimanendo prigionieri di visioni che possono essere sottoposte a profonde critiche strutturali, perché manca nella loro filosofia la dimensione intellegibile, centrale invece nella filosofia di Platone. Non mi sembra dunque che ci sia alcuna incoerenza da parte di Plotino, che anzi a distanza di anni continua a sostenere la stessa concezione di individualità e di sostanzialità:

189 VI 3 [44] 8, 31. Cfr. supra p. 65. 190 Ibidem.

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l’unica differenza fondamentale fra i due trattati è una differenza di bersaglio polemico: nel primo caso gli Stoici, nel secondo Aristotele, portatori di visioni molto simili tra loro e alle quali si rimprovera l’assenza di un piano intellegibile della realtà191.

Da notare poi che, se concepita in questi termini, una simile ipotesi interpretativa potrebbe aiutare a gettar luce sulla complessa problematica della reale portata dell’ἰδίως ποιόν stoico, di cui si è discusso brevemente all’inizio di questo capitolo: se infatti si ricollega la critica alla sostanza sensibile come ammasso di materia e qualità con la critica alla filosofia stoica presente in V 7, si potrebbe propendere per un’effettiva identificazione dell’ἰδίως ποιόν con quella συνδρομὴ ποιοτήτων di cui parla Dexippo, che dunque in tal caso si rivelerebbe un testimone attendibile. Del resto, le critiche mosse a questa identificazione da Sedley e Lewis sono concepite più da filosofi che da storici della filosofia: le loro osservazioni sono infatti assolutamente pertinenti, e mostrano difficoltà a cui realmente si può andare incontro con una concezione di questo tipo, ma non portano nessun argomento per dimostrare l’impossibilità che una tesi di questo tipo sia stata effettivamente sostenuta dagli Stoici. Che una concezione filosofica dell’antichità comporti una serie di problematiche e possa essere sottoposta a un certo numero di critiche rilevanti non determina infatti l’impossibilità che questa concezione sia stata effettivamente sostenuta. Chiaramente, data la scarsità dei frammenti a nostra disposizione, è difficile poter sostenere una tesi di questo tipo con ragionevole certezza; essa rivela piuttosto il suo carattere di mera ipotesi interpretativa, sebbene creda, posta la correttezza di quanto detto finora, che un filo rosso che lega l’ἰδίως ποιόν alla critica di Plotino e questa alla teoria dell’ἄθροισμα di Porfirio e alla testimonianza di Dexippo si possa effettivamente trovare. In particolare, mi sembra che la concezione dell’ἰδίως ποιόν riportata da Dexippo sia la stessa concezione in parte fatta propria e in parte corretta da Plotino, e questo potrebbe portare a vedere nella συνδρομὴ ποιοτήτων l’effettivo contenuto della tesi stoica, a noi non accessibile direttamente a causa della frammentarietà della tradizione. Per quanto riguarda il collegamento fra Plotino e Dexippo, l’anello di congiunzione è costituito da Porfirio. Si è visto che Chiaradonna chiama

191 Va detto comunque che non si deve considerare in modo troppo rigido ed esclusivo una tale distinzione.

Nel trattato Sui generi dell’Essere il bersaglio polemico principale è Aristotele, ma tuttavia, come si è visto, sono presenti anche precisi riferimenti diretti contro la dottrina stoica delle categorie. Parallelamente, anche nel trattato V 7, sebbene il riferimento polemico principale sia lo stoicismo, non sono da escludere allusioni