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Appendice I: Lista delle iscrizioni dei re Gupta

Capitolo 2: Come veniva chiamato il re? Analisi e descrizione dei titoli onorifici e degl

2.3. Conclusioni

Quello che affiora dalla revisione degli epiteti e dei titoli regali è innanzitutto il fatto che, come è stato detto, l’ascrizione di titoli dalla sovranità suprema, oltre all’adesione alla fede Viṣṇuitica reso dal termine paramabhāgavata, rimangono cristallizzati per tutta la durata dell’impero. Infatti, i sigilli composti durante il regno di ViṣṇuGupta, ultimo sovrano della dinastia, portano lo stesso formulario e gli stessi termini delle iscrizioni private composte ai tempi di CandraGupta II. Un’altra caratteristica emersa da tale analisi è che la varietà e pretenziosità degli epiteti e titoli è tipica della dinastia Gupta e nonostante vi siano delle influenze ed emulazioni dai regni vicini, non ha eguali tra i contemporanei.

Sebbene molti degli epiteti e dei titoli siano stati ideati ex novo, ovviamente non sono esenti eccezioni. Innanzitutto alcuni biruda furono si ripresi dalla letteratura, ma utilizzati per la prima volta dai sovrani Gupta, come ad esempio l’epiteto acintya. Tal epiteto si può trovare prima dell’uso da parte di SamudraGupta all’interno dei testi come attributo a Śiva e Viṣṇu. Altri invece furono recuperati soprattutto dal formulario Kushana e Śaka ma dandogli una sfumatura del tutto nuova e originale: come ad esempio Mahārājādhirāja il quale deriva dal titolo Mahārāja-rajatiraja oppure l’epiteto apratiratha il quale presenta

283 Si vedano le pagine 56-57. 284

Altekar A.S., “The coniage of the Gupta Empire”, Varanasi, 1957, p.212.

285 Ibid, p.206.

286 Chierichetti P., “L’aśvamedha nella storia: un’indagine sulle testimonianze storiche della celebrazione

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delle forti similitudini con quello pacrito apracaraja. Altro elemento di novità risiede nella varietà degli epiteti che sia i privati sia i sovrani Gupta rilasciano nelle iscrizioni.

Inoltre è evidente l’influenza che deriva dall’adesione alla fede Viṣṇuitica a proposito della creazione della figura del sovrano-tipo ideale: gli imperatori Gupta vennero infatti investiti da epiteti direttamente ripresi dalla figura del re degli Dei, come ad esempio il secondo nome di KumaraGupta Mahendra. Inoltre ne è un chiaro rimando anche il prefisso onorifico śrī. Ovviamente tale rapporto è stato interpretato da molti studiosi come un chiaro parallelismo tra il re degli dei e gli imperatori. Viṣṇu investito da qualità regali regnava nei cieli mentre i re sulla terra, ovvero i sovrani Gupta, personificavano perfettamente la controparte divina. Il concetto di divinizzazione vera e propria circa la figura del sovrano, almeno per quanto concerne l’ascrizione degli epiteti, non è contemplata. La figura degli imperatori Gupta, infatti, nonostante l’ascrizione di alcuni attributi prettamente divini come ad esempio acintya, mantengono sempre uno stretto legame con la realtà e la concretezza. Supposizione che potrebbe essere avvalorata dal fatto che i sovrani Gupta sono devoti al Dio Viṣṇu. Essere devoto a una divinità dimostra un legame più verticale che orizzontale. Inoltre tutti gli epiteti ascritti ai sovrani hanno in comune l’aggettivo di “forza” espressa attraverso i vocaboli parakrama, vikrama e

vyaghra.

Emerge inoltre il fatto che l’insieme degli epiteti crea una sorta di stereotipizzazione della figura del sovrano: ovvero è presente un susseguirsi di formule fisse che accompagnano i re Gupta durante tutto il corso della loro egemonia. Dal regno di SamudraGupta a quello di ViṣṇuGupta, ovvero dall’apice al decorso che segue l’andamento della dinastia, non si verifica cambiamento alcuno nell’ascrizione di epiteti verso i sovrani. La figura di SamudraGupta resta però quella più soggetta ad incorrere in cliché, come abbiamo visto, i

biruda a lui ascritti infatti vengono riproposti in blocco più e più volte finché la sua

ascrizione non cade nella spersonalizzazione: basti pensare che i suoi stessi epiteti vennero attribuiti anche a CandraGupta II in più di un’occasione. Viene a prodursi quindi un modello di tipizzazione del sovrano ideale, il quale finisce per esautorare completamente la figura del re inteso come individuo lasciando spazio al mito dell’istituzione stessa che la monarchia incarna.

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Secondo il professor Bhattacharya nel suo articolo “Issues of Power and Identity” 287

la regalità incorpora alcune essenziali caratteristiche. Per quanto riguarda gli epiteti e i titoli di prerogativa della dinastia Gupta, le caratteristiche elencate da Bhattacharya non sono tutte presenti, come ad esempio la sua fertilità, o il compito di proteggere l’ordine delle caste. Le caratteristiche della regalità Gupta che si palesano nell’ambito dell’ascrizione di titoli ed epiteti possono essere sintetizzati in tre “macro-schemi” i quali coprono tre ambiti che possono essere considerati “cardine” circa la costruzione della figura della regalità. Nello specifico quello che emerge come prima caratteristica base è la dimensione fisica e concreta delle qualità del re sintetizzate nel concetto di “Rama-tipo”, successivamente una dimensione religiosa ed infine la dimensione che riguarda il sovrano, in quanto figura che esercita la sua regalità in relazione al suo regno.

Il primo elemento è quindi intimamente connesso alle caratteristiche fisiche e mentali possedute dal sovrano e sintetizzate nel concetto che McKnight288 nella sua tesi chiama “Rama-Tipo”. Il Rama-tipo descritto da McKnight si distingue dagli altri sovrani nell’essere una figura terrena la quale però possiede delle caratteristiche eccezionali, un vero e proprio superuomo capace di incarnare all’interno della sua persona i più alti valori umani, senza però verificarsi una qualsiasi forma di divinizzazione. Al sovrano sono attribuiti alcuni epiteti i quali furono attribuiti anche a dei come ad esempio acintya tuttavia non vi sono ulteriori elementi volti a far pensare che il re sia stato identificato come una divinità. Come abbiamo visto, anche il titolo paramadaivata non possiede la pretesa di fornire al sovrano particolari accezioni sovraumane. Questo elemento è, infatti, particolarmente riscontrabile riguardo alla moltitudine di epiteti ascritti a SamudraGupta. Egli, infatti, fu l’unico monarca ad avere il privilegio di essere ricordato nelle iscrizioni sia di privati sia dei vicini sovrani Vākāṭaka, le sue gesta vennero, infatti, riassunte all’interno di epiteti cristallizzati all’interno di uno schema fisso che accompagna sempre il suo nome. Più degli altri re è, infatti, SamudraGupta il solo che riesce a incorporare presso di se delle caratteristiche quasi mitiche e a tramandarle attraverso i secoli. Si può dire quindi che SamudraGupta incarna un mito: un sovrano Gupta che ha compiuto delle gesta fuori dall’immaginabile, un modello di forza e coraggio, colui che incarna perfettamente l’ideale del Dharmavijayin ovvero il giusto conquistatore. Infatti, attraverso l’iscrizione di

287 Bhattacharya S., “Issues of Power and Identity”, Indian Historical review, Vol. 41, 2014, p.32. 288 McKnight J. M., “Kingship and religion in the Gupta age”, McMaster University, 1976 p.179.

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Allahabad è noto che SamudraGupta ricollocò al trono i re sconfitti, pratica considerata dagli scrittori dell’epoca del tutto apprezzabile e degna di rispetto289

.

Il secondo elemento cardine riguarda la sfera religiosa, non in rapporto ad una possibile identificazione con il dio Viṣṇu, ma riguardo alla fede che caratterizza i sovrani della dinastia. La presenza di titoli come paramabhāgavata e paramadaivata dimostrano entrambi un rapporto privilegiato con la branca Viṣṇuita del brahamanesimo. Il monarca in più di un’occasione è rappresentato come “devoto al primo” ovvero Viṣṇu. Come abbiamo detto, nonostante un clima di tolleranza generalizzata durante l’impero Gupta, la famiglia reale dichiara in più di un’occasione il suo schieramento religioso290

. Tale scelta presuppone la presenza di un chiaro intento politico la cui natura ed entità sono difficili da determinare e del quale hanno tentato di occuparsene alcuni studiosi291. Il sovrano Gupta resta per tutta la durata della dinastia un sovrano devoto e credente. Ciò è vero per tutti i sovrani tranne che per SamudraGupta al quale pare non venne mai ascritto ne il titolo

paramabhāgavata ne paramadaivata. L’eccezione è costituita dalle iscrizioni di Gayā e

Nālandā delle quali si è propensi quasi indiscutibilmente di decretarne la loro veridicità e dell’iscrizione di Merahuli, della quale non si ha una certa attribuzione292

.

Il terzo elemento riguarda invece il concetto di universalità della figura del re determinato da una volontà di legittimazione: l’uso di titoli di grande levatura da parte del sovrano, connesso al mantenimento di titoli meno altisonanti per indicare i feudatari, dimostra l’intento evidente di voler creare una gerarchia e di porsi al di sopra. Inoltre l’espressione Cakravarti-tulyaḥ la quale è data a CandraGupta II nell’iscrizione di Sāñchi293 ha come scopo preciso quello di collegare il monarca a un concetto di universalità. I confini dell’impero Gupta sono segnati dai quattro oceani, caturudabhisalilāsvadita294

, mentre

nell’iscrizione di Allahabad295

l’espressione sarvaprthivivijaya296 dichiara la conquista del

289

Bhattacharya S., “Issues of Power and Identity”, Indian Historical review, Vol. 41, 2014 , p.32.

290 Si vedano le pagine 20-22.

291 McKnight J. M., “Kingship and religion in the Gupta age”, McMaster University, 1976, pp.223. Lodzen

D., de Palma Pastor D., “La ideologia de la Realeza Gupta”, Estudios de Asia y Africa, Vol. 24, 1989, pp. 240-254.

292 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.259. Tuttavia la stessa

iscrizione di Merahuli ha lo scopo di glorificare il Dio Viṣṇu..

293 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.250. 294

Vajpeyi R., “A note of Catussamudrānta-Pṛthivi in The Mandasor Stone Inscription of KumaraGupta I”, Annals of the Bhandarkar Oriental Research Institute, Vol. 53, 1972, pp.212-220.

295 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.215. 296 Tale espressione significa: Sarva ogni, pṛthivi terra, vijaya vittoria.

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mondo parte di SamudraGupta. Quindi i monarchi Gupta al pari degli altri sovrani si dichiarano re del mondo297. L’uso di indicare i confini del regno attraverso il sostantivo

Pṛthivī, spesso abbinato alle diverse varianti di pati, non è assolutamente un elemento di

novità nelle iscrizioni composte durante l’India antico-medievale298. L’elemento di continuità con i Maurya è quindi da ricercare solo nell’intento di inquadrare il dominio all’interno di una dimensione universale mentre l’elemento d’innovazione riguarda il cercare di porre gli imperatori Gupta a capo del mondo intero rispetto agli altri rāja, i quali nelle iscrizioni imperiali, sono presentati come sovrani di un regno preciso e circoscritto299. Uno dei problemi della storia dell’India è la mancanza di fonti storiografiche che permettano di definire precisamente quelli che erano i confini del regno durante l’impero Gupta. Anche osservando la dislocazione delle epigrafi private e regali è difficoltoso cercare di comprendere quali domini fossero di diretta pertinenza dei sovrani300. Mentre i testi delle stesse iscrizioni, come abbiamo visto, non cercano mai di inquadrare la vastità né dei domini regi e nemmeno dei feudatari. L’iscrizione di Allahabad postula la presenza di varie forme di dominio che SamudraGupta esercitava all’interno del sub continente indiano. Tuttavia non vi è menzione alcuna di quali fossero i confini di tali regni. Attraverso la titolatura sovrana presente nelle iscrizioni private e la loro posizione si potrebbe cercare di definire l’esistenza dei domini diretti degli imperatori Gupta e del loro mutamento nel corso dei secoli.

Il primo interessante elemento riguarda la zona del Madhya Pradesh. Dopo il regno di CandraGupta II e fino al regno di BudhaGupta, ultima testimonianza epigrafica in quella zona, è interessante costatare che le iscrizioni commissionate da privati riportano sì la datazione della Gupta Era ma non ascrivono al re in carica alcun titolo supremo301. A questo proposito l’iscrizione di Eran302 datata 165 G.E.: in questo caso infatti BudhaGupta viene denominato bhūpatau, oppure nell’iscrizione all’interno delle cave di Udayagiri303

297 Thomas F.W., Epigraphia Indica Vol.XV, Archeological Survey of India Janpath, New Delhi , 1919-20,

p.254. Krishnamacharlu C. R., “South Indian inscriptions Vol.XII”, Madras, 1943, p.1.

298

Identificare il mondo come il regno di un re è anche un topos epigrafico presente anche nelle iscrizioni di feudatari semi-indipendenti contemporanei ai sovrani Gupta. Per ulteriori approfondimenti si veda: Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, Calcutta, India, 1888, pp.72, 79.

299 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, pp. 212-213. 300

Figura. 9.

301 Figura 11.

302 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, pp.340-341. 303 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, 1888, pp.258-259.

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nelle quali il nome di KumaraGupta non viene nemmeno menzionato. Un’altra osservazione interessante riguarda le due iscrizioni di Mankuwar304 e di Tumain305 entrambe composte durante il regno di KumaraGupta. L’iscrizione di Mankuwar sebbene accenni al sovrano KumaraGupta chiamandolo Mahārāja non utilizza come metodo di datazione l’Era Gupta bensì la Kṛta Era, questo potrebbe dimostrare che quella zona non era di pertinenza diretta dell’egemonia Gupta. Oppure una dimostrazione della presenza di differenti tipi di dominio che i Gupta esercitavano, come indicato nell’iscrizione di Allahabad. Ad avvalorare tale teoria l’iscrizione di Tumain, la quale nonostante sia datata Epoca Gupta, è commissionata da Airikiṇa fedele feudatario di una provincia imperiale, quindi una conferma che il territorio non sia stato di diretto dominio dei Gupta. Inoltre dopo il regno di KumaraGupta non vi è più stata rinvenuta nessuna iscrizione datata Epoca Gupta in quell’area. L’iscrizione di Junagadh di SkandaGupta potrebbe essere quindi ritenuto un tentativo da parte del sovrano di legittimare territori dei quali o aveva perso egemonia o di recente acquisizione.

Durante i regni di SkandaGupta e BudhaGupta si può notare che vi sono solo due iscrizioni nella zona del Bhiar fino all’Uttar Pradesh, ovvero quella su pilastro a Kahāum306

di SkandaGupta e la placca di rame rinvenuta a Nandapur307 di BudhaGupta. Entrambe datate all’epoca Gupta non ne menzionano però il sovrano regnante. Ciò potrebbe essere una prova del fatto che vi sia stata un’ulteriore perdita di dominio, durante gli ultimi sovrani Gupta, nell’area nord-est308

.

La vicinanza di trenta kilometri circa che separa la placca di rame a Indore composta dal sovrano Vākāṭaka Pravarasena II309

e l’iscrizione, sempre su placca di rame, di Baigram310 datata secondo l’Era Gupta può portare ad un’ulteriore affascinante supposizione: il fatto che la prima sia stata composta intorno al primo decennio del quinto secolo, mentre la seconda quasi trent’anni dopo può indurre a pensare che durante la composizione della placca di rame di Baigram KumaraGupta sia riuscito a condurre un allargamento dei confini del regno in quella zona. Ciò rimane ovviamente un’ipotesi suggestiva la quale

304 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.293. 305 Ibid, p.278.

306 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.307. 307

Chakravarti N. P., “Epigraphia Indica”, Vol. XXIII, Delhi, manager of publications, 1935-36, p.54.

308 Figura 12.

309 Mirashi V., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol. V, Ootacamund, 1963 pp.40-41. 310 Sastri H., Epigraphia Indica Vol. XXI, Delhi, Manager of publications, 1931-32, p.80.

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tuttavia spiegherebbe l’esecuzione del sacrificio vedico dell’aśvamedha da parte del sovrano Gupta.

Ad ogni modo le ipotesi sopra citate restano una mera congettura, soprattutto perché un cambiamento di titolatura all’interno di aree diverse può essere causato o dalle tendenze in voga tra i kāyasthas in una determinata zona, oppure trattarsi di un’altra prova che in alcune zone la presenza della dinastia rimase più marcata per tutta la sua durata. Le placche di rame rinvenute a Dāmōdarpur possono essere un esempio poiché riportano sempre epiteti altisonanti, indifferentemente dal sovrano in carica, mentre nelle aree appena circostanti il re è chiamato solo Paramabhaṭṭāraka 311. Oppure nella zona di Gadhwa dove tutte le iscrizioni utilizzano la stessa formula Paramabhāgavata Mahārājādhirāja312.

Alla luce della moltitudine di elementi, i quali possono anche essere considerati contradditori, è quindi possibile solo fare delle supposizioni: nonostante molte iscrizioni private non chiamano il re con i titoli supremi a lui riservati potrebbe anche non significare necessariamente un calo dell’egemonia imperiale. Alcuni compositori d’iscrizioni, specialmente per quanto concerne le praśasti, erano importanti artisti dunque gente colta e informata. I kāyasthas che si occupavano di comporre le epigrafi commissionati da individui privati invece è molto probabile che abbiano avuto un’istruzione meno completa. La circolazione delle monete lungo tutto il regno comunque avrebbe fornito sicuramente un importante spunto da cui era possibile attingere. Tuttavia tracciare l’esatta circolazione delle monete nell’impero ai tempi della dinastia, è pressoché impossibile. Un confronto tra le epigrafi private e monete dimostra che ad ogni modo vi è una corrispondenza: i compositori delle iscrizioni private potrebbero aver attinto dal corpus di monete in modo attivo. Un esempio ci viene dato dall’epiteto sarvarajocchetta il quale forse venne ascritto ad una figura altra rispetto a SamudraGupta, ma a lui attribuito in un secondo momento. Inoltre c’è da considerare che la dimensione geografia legata all’ubicazione delle iscrizioni è più complessa: per quanto con tutta probabilità il sito di ritrovamento di alcune epigrafi rispecchia la collocazione originale data da chi l’ha composta, ciò è assicurato

311

Sircar D. C., Epigrafia Indica Vol.XXXI, Delhi, Manager of publications, 1960 p.57. Sircar D.C. ,“Select Inscriptions bearing on Indian history and civilization” Vol. I, Calcutta, University of Calcutta, 1965, pp.359-360.

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specialmente per quanto riguarda le iscrizioni su pilastro o su pietra certamente più difficili da rimuovere e ricollocare delle placche di rame.

Non vi è invece nessuna correlazione tra epigrafi di pertinenza religiosa e titolatura regale. Le epigrafi commissionate o destinate a individui appartenenti a religioni affini alla casta Brahamana, quindi più precisamente dedite al culto solare o a quello di Viṣṇu oppure Śiva, o rispetto alle iscrizioni che ad esempio vedono la destinazione a templi buddisti o giainisti non presentano cambiamenti nella tipologia di titolatura nei confronti del sovrano313. Tuttavia è interessante notare che quasi tutte le epigrafi destinate a templi buddisti o che fanno da didascalia a un’immagine buddhista, fatta eccezione per l’iscrizione di Sāñchi314

, riportano sì dei titoli sovrani ma non assegnano ne una genealogia dinastica ne epiteti regali e nemmeno particolari elogi verso il sovrano in carica. Ciò può essere causato non da un rapporto tra religione e titolatura, piuttosto da un collegamento tra titolatura regale e il tipo di supporto che caratterizza un’iscrizione e la destinazione dell’iscrizione stessa. Ad esempio molte iscrizioni che fungono da didascalia a un’immagine sacra chiamano il re solo mahārāja. Tale corrispondenza può essere frutto di una scelta legata a una tipologia testuale diversa quindi alla destinazione dell’iscrizione.

Nel corso dei secoli si susseguirono dunque diversi sovrani a capo dell’impero Gupta e a tutti furono ascritti i medesimi titoli supremi ma epiteti diversi. Inizialmente con CandraGupta I si ha solo come unica informazione l’attribuzione, tra l’altro da parte del figlio, del titolo supremo Mahārājādhirāja. Poi vi sarà una diversificazione più articolata e il caso più emblematico rimane la figura di SamudraGupta. La forza, che in sanscrito si esprime attraverso gli aggettivi vyaghra e vikrama, è inoltre una caratteristica che insieme al coraggio, parakrama, perdurano all’interno della titolatura dei sovrani Gupta fino a SkandaGupta l’ultimo sovrano del quale disponiamo di epiteti315. Un confronto tra le epigrafi reali e quelle private dimostra che ad ogni modo gli epiteti erano usati indistintamente e che i privati riconoscevano tali qualità ascrivendoli all’interno delle loro epigrafi. Le monete rispecchiano la terminologia delle iscrizioni private.

Per concludere purtroppo non si hanno a disposizione elementi evidenti per determinare quali cause esattamente abbiano comportato la scelta di un titoli piuttosto che un altro

313 Tabella 1.

314 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.250. 315 Ibid, pp.318-319.

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all’interno delle iscrizioni di epoca Gupta. Le epigrafi regali, i sigilli e le monete chiaramente rispettano con coerenza gli epiteti che ogni sovrano scelse di assegnarsi. Per quanto concerne le epigrafi private e il loro rapporto con la titolatura è dimostrato che sia per quanto una dimensione geografia sia religiosa non vi sono particolari relazioni inconfutabili. Tuttavia nemmeno le iscrizioni regali usano sempre i titoli supremi quali

Mahārājādhirāja o Paramabhaṭṭāraka per designare il sovrano in carica, ciò può essere

causato dal fatto che i compositori delle iscrizioni private possono esser stati guidati da un semplice disinteresse verso una precisa ascrizione degli epiteti. Tale disattenzione ha