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La propaganda politica e l'epigrafia: il caso della dinastia Gupta

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA IN ORIENTALISTICA: EGITTO, VICINO E MEDIO ORIENTE

PROVA FINALE

La propaganda politica e l'epigrafia: il caso della dinastia Gupta

Relatore:

Prof. Saverio Sani

Candidato:

Valentina Zanaboni

ANNO ACCADEMICO 2015-2016

Correlatore:

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Indice

Introduzione ... 3

Capitolo 1: La dinastia Gupta ... 6

1.1. Inquadramento storico ... 6

1.1.1. Le origini della dinastia ... 6

1.1.2. Una stirpe di Mahārājādhirāja ... 9

1.1.3. Il tramonto della dinastia ... 14

1.2. Contesto socio-culturale ... 17

1.2.1. La letteratura durante l’età dell’oro e la sua influenza nella composizione delle epigrafi regali... 18

1.2.2. L’eclettica dimensione religiosa durante l’epoca Gupta ... 20

1.3. Le iscrizioni ... 22

1.3.1. Un tentativo di classificazione ... 23

1.3.2. Il principale veicolo di trasmissione del volere del re: le iscrizioni dei re Gupta. 25

1.3.3. L’attività monetaria degli imperatori Gupta: un capolavoro artistico ... 32

Appendice I: Lista delle iscrizioni dei re Gupta ... 35

Capitolo 2: Come veniva chiamato il re? Analisi e descrizione dei titoli onorifici e degli epiteti ascritti ai sovrani Gupta ... 41

2.1. Titoli sovrani ... 42

2.2. Gli Epiteti regali: il riflesso delle qualità di un re ... 49

2.2.1. Le iscrizioni private e praśasti ... 49

2.2.2. Sigilli e Monete ... 60

2.3. Conclusioni ... 63

Appendice II: L’Iconografia Gupta e il suo significato nella rappresentazione del sovrano ideale ... 76

Capitolo 3: La divulgazione della propaganda imperiale attraverso l’analisi delle epigrafi 87 3.1. Le epigrafi praśasti: l’approccio ... 88

3.1.1. SamudraGupta: dall’iscrizione su pietra di Allahabad a quella di Eran, il riflesso del più grande Mahārājādhirāja ... 89

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3.1.3. SkandaGupta e l’iscrizione di Bhitari ... 100

3.1.4. Un confronto delle iscrizioni praśasti ... 102

3.2. Le epigrafi commissionate da individui privati ... 104

3.2.1. CandraGupta II e la sua testimonianza nel Madhya Pradesh ... 104

3.2.2. KumaraGupta, le iscrizioni di Mandsor e Tumain ... 106

3.2.3. SkandaGupta: dal cuore del regno ai suoi confini più remoti con l’iscrizione di Junagadh ... 107

3.2.4. Un confronto delle epigrafi private ... 110

3.3. Confronto con le iscrizioni regali: analogie e differenze ... 112

3.4. La doppia natura del re: una linea sottile tra un buon filantropo e un terribile conquistatore ... 113

3.5. L’immagine ideale dei feudatari e dei Mahārāja contemporanei agli imperatori Gupta 115

3.6. Le iscrizioni Gupta: un approccio linguistico ... 118

3.7. Conclusioni ... 119

Capitolo 4: Conclusioni ... 122

4.1. La regalità indiana: i lavori precedenti ... 122

4.2. La regalità indiana: un tentativo di analisi ... 124

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Introduzione

Tra il 300 al 550 d.C. circa si può affermare che la dinastia Gupta fu forse la protagonista assoluta all’interno dello scenario geopolitico dell’India del nord. Sotto l’ala protettrice dei suoi sovrani fiorirono le arti e le scienze; tal epoca venne infatti ricordata con nostalgia nei periodi successivi e considerata da molti studiosi una vera e propria “età dell’oro”. Una delle epoche più importanti per la storia indiana è spesso paragonata all’impero Maurya, il quale qualche secolo prima, aveva esteso il suo dominio su gran parte dell’India.

La supremazia Gupta, a differenza dell’impero precedente, fu però tutt’altro che centralizzata. Infatti il loro controllo politico nel sub continente indiano poteva considerarsi di fatto solo apparente: gran parte dei territori sotto la loro egemonia erano costituiti da regni semi indipendenti o addirittura indipendenti, i quali avevano verso i Gupta un rapporto di tipo vassallatico. Il tentativo di fornire l’immagine di un regno coeso e forte trova la sua realizzazione nelle epigrafi regali, nelle quali il regno è idealmente sotto il controllo di un re potente e invincibile. Una figura che incarna principalmente il modello di un re eroe, che distrugge l’orgoglio dei suoi nemici e la cui fama si estende oltre i confini del regno grazie alle formidabili gesta in battaglia. Attribuendosi in più di un’occasione l’appellativo di “signore del mondo” e usando titoli supremi, i sovrani Gupta tentano di porsi al di sopra delle gerarchie di potere esistenti.

Viene dunque da chiedersi se la figura del re descritta nelle iscrizioni sia un riflesso della cultura dell’epoca o un’immagine che rimane scolpita su pilastri, restando del tutto estranea all’immaginario collettivo. Purtroppo le fonti disponibili non permettono di rispondere in modo esaudiente a tale domanda. Infatti, le iscrizioni redatte durante l’epoca Gupta sono commissionate per lo più da feudatari non facenti parte della famiglia imperiale; di queste epigrafi sono davvero poche le informazioni estrapolabili riguardo la figura del re. Inoltre tra le epigrafi disponibili non vi sono purtroppo iscrizioni composte durante la fase di declino della dinastia. Con la prima parte dell’elaborato si tenterà quindi di fornire un quadro il più possibile completo del contesto politico e culturale, rivolgendo particolare attenzione alle fonti che verranno analizzate. Le iscrizioni e le monete costituiscono infatti l’unica testimonianza dell’epoca.

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Nella seconda parte sarà quindi dedicata un’analisi approfondita agli epiteti e ai titoli regali che vengono ascritti agli imperatori Gupta durante tutta la durata della loro egemonia. All’interno di ogni iscrizione infatti accanto al nome del sovrano Gupta in carica vi è sempre la presenza di un titolo regale, talvolta, soprattutto per quanto riguarda la figura di SamudraGupta, anche di epiteti. La varietà e artificiosità di tali attributi permette, sebbene in parte, di ricostruire com’erano designati i monarchi. L’idea di regalità proposta dai re Gupta si può riassumere soprattutto nel titolo supremo Mahārājādhirāja. Osservando però che non tutte le iscrizioni usano tale qualifica per introdurre il nome del sovrano, è possibile cercare di individuare le zone nelle quali il potere imperiale fosse meno influente. Un altro importante spunto di riflessione emerge dall’osservazione dell’iconografia incisa sulle monete. Nonostante il fatto che l’incredibile ricchezza di motivi iconografici e simboli nella battitura tradisca l’influenza di tradizioni pregresse, emerge prepotentemente la volontà di seguire una linea propagandistica volta ad enfatizzare, non solo gli aspetti eroici che caratterizzano la figura del sovrano Gupta, ma anche allusioni all’opulenza regale nella quale la famiglia imperiale risiedeva.

Ovviamente dal punto di vista di un approfondito studio sulla figura del sovrano è fondamentale affrontare un’analisi testuale delle epigrafi. Sarà questo il tema trattato nella terza e ultima parte dell’elaborato. Oltre alle celebri iscrizioni regali, vi sono alcuni riferimenti nei confronti dei monarchi Gupta anche in alcune iscrizioni commissionate da individui privati. Tra le caratteristiche che accomunano gli imperatori, emerge in modo preponderante la descrizione del confuso rapporto sia con le divinità sia con i nemici della corona. In particolare l’ambiguità di com’era rappresentato il legame tra il re e il sovrannaturale è stato oggetto di svariate analisi; le quali hanno portato alcuni studiosi a teorizzare persino una pretesa da parte degli imperatori Gupta di arrogarsi una natura divina.

L’insieme di tutti i riferimenti, contenuti sia nelle iscrizioni sia nella battitura, permette di contestualizzare la figura del sovrano sia in relazione della propaganda imperiale attuata dal regime, sia dell’assimilazione della stessa da parte della popolazione1. E dunque di individuare, nei limiti delle testimonianze disponibili, i cambiamenti dell’idea di regalità

1 Per popolazione si intende ovviamente quell’esigua parte dei sudditi che poteva fruire attivamente delle

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avvenuti nel corso dell’epoca Gupta e di conseguenza il cambiamento dell’autorità imperiale nelle diverse zone del regno.

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Capitolo 1: La dinastia Gupta

Prima di iniziare un’analisi approfondita delle iscrizioni a proposito della figura del re e del ruolo della regalità, mi sembra doveroso incominciare fornendo una rapida prospettiva innanzitutto storica, quindi socio-culturale, concernente il periodo noto come l’epoca Gupta. Tale descrizione è fondamentale per cercare di comprendere, nei limiti delle fonti dirette a nostra disposizione sfortunatamente non abbastanza esaurienti, com’era percepita dal popolo dell’epoca l’idea della regalità e la figura del monarca stessa.

1.1.

Inquadramento storico

1.1.1. Le origini della dinastia

Quella dei Gupta fu una gloriosa stirpe che governò tra il IV e metà del VI secolo circa, un periodo di massimo splendore per cultura indiana che sarà ricordata a lungo.

Le fonti però non forniscono notizie soddisfacenti riguardo ai primi re della dinastia, di essi infatti non sono giunte ne iscrizioni ne altre fonti dirette. La loro esistenza è attestata soltanto attraverso le genealogie contenute in alcune epigrafi regali2 e nei sigilli3 dei loro discendenti successivi, nei quali ne viene menzionato soltanto il nome. Ricordati come semplici Mahārāja4, dei due capostipiti Gupta e GhaṭotKācha sono disponibili davvero pochissime informazioni.

Fu appunto Gupta che, verso la fine del III secolo, approfittando di un provvisorio collasso socio-politico5, riuscì a tentare con successo un’ascesa sociale: da semplice generale alle dipendenze del regno di Kauśāmbī6 fino ad assumere un controllo diretto sulla zona di

2 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, Archeological Survey of India

Janpath, 1981,pp.214, 227, 269, 253, 314-315, 359-360. Sircar D. C., “Select Inscriptions bearing on Indian history and civilization” Vol. I, Calcutta, University of Calcutta, 1965, p.321.

3 Sircar D. C., “Select Inscriptions bearing on Indian history and civilization” Vol. I, Calcutta, 1965, p.329.

Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum”Vol.III, New Delhi, 1981, pp.351, 355, 357-358, 359-360.

4 Mahārāja composto determinativo formato dall’unione dell’aggettivo mahā ovvero “grande” e del

sostantivo rāja, “re”. Letteralmente infatti significa “grande re”. Veniva usato per indicare sia sovrani che godevano di piena indipendenza che dei vassalli più o meno potenti come ad esempio nell’iscrizione nelle cave di Udayagiri di CandraGupta II. Si veda anche: Fleet J.F., CII Vol.III, New Delhi, 1981, pp.243-244 Linee 1-2.

5 Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, Kusumanjali Book World,

2005, p.106.

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Prayāga, nucleo originale del futuro impero7

diventando il primo Mahārāja del suo lignaggio. Alcuni studiosi si sono interrogati su quanto questo dominio sia stato davvero indipendente8. Le liste dinastiche contenute nelle iscrizioni riservano infatti ai primi due re della dinastia il semplice titolo di Mahārāja mentre ai successivi re viene conferita la carica più prestigiosa di Mahārājādhirāja9.

Anche riguardo alla vastità dei possedimenti di Gupta si possono azzardare solo delle ipotesi. Si è tentato10 infatti di ricostruirne la geografia basandosi sui racconti del pellegrino cinese I-Tsing11, il quale descrive la presenza di un tempio riservato ai viandanti e ne attribuisce la costruzione a un antico re chiamato “ŚrīGupta”. Generalmente si è concordi12 a identificare questo generoso monarca con il primo re della dinastia. Ad ogni modo, qualsiasi tentativo resta impreciso poiché la testimonianza di I-Tsing non è seguita da altre fonti che ne possano confermare la veridicità.

Le liste dinastiche contenute nelle epigrafi regali affiancano al nome di Gupta l’aggettivo

śrī, lucente. Alcuni studiosi13

avevano erroneamente preso in considerazione l’idea che tale

7 Generalmente si è concordi a identificare la culla della dinastia Gupta proprio con il territorio

corrispondente al Uttar Pradesh orientale.

8 Dandekar R.N., “A history of the Guptas”, Poona, Oriental Book agency, 1941, pp.21-22. Altekar A.S.,

“The coniage of the Gupta Empire”, Varanasi, Numismatic society of India, 1957 pp.1-2. Singh Bhatia O.P, “The imperial Guptas”, Delhi, Surjeet Book Depot, 1962, p.140. Maity S. K., “The imperial Guptas and their times, cir A.D. 300-550”, New Delhi, Munshiram Manoharlai, 1975, p.21. Sharma T. R., “Personal and Geographical names in Gupta inscriptions”, Delhi, Concept Publishing Company, 1978, p.15. Gli autori menzionati si sono pronunciati a sostegno dell’ipotesi che vedeva i primi due re della dinastia come dei semplici feudatari.

9

Il titolo onorifico Mahārājādhirāja letteralmente “Grande re sopra i re” è un composto determinativo volto a definire una figura di rango imperiale.

10 Mookerji R., “The Gupta Empire”, Delhi, Motilal Banarsidass , 1959, p.11. Singh Bhatia O.P, “The

imperial Guptas”, Delhi, 1962 p.18. Maity S. K., “The imperial Guptas and their times, cir A.D. 300-550”, New Delhi, 1975, pp.18-19. Agrawal A., “Rise and fall of the Gupta Empire”, Delhi, Motilal Banarsidass, 1989, pp. 80-82. Sharma T. R., “A political history of the imperial Guptas: from Gupta to Skandagupta”, New Delhi, 1989, pp.36-40.

11 Beal S., “The Life Of Hiuen Tsiang”, Shaman Hwui li, Londra, 1911, p.XXXVI.

12 Singh Bhatia O.P, “The imperial Guptas”, Delhi, 1962 p.139. Maity S. K., “The imperial Guptas and their

times, cir A.D. 300-550”, New Delhi, 1975, p.17. Ganguly D. K., “The imperial Guptas and their times”, New Delhi, 1987, p.9. Agrawal A., “Rise and fall of the Gupta Empire”, Delhi, 1989, p.79. Sharma T. R., “A political history of the imperial Guptas: from Gupta to Skandagupta”, New Delhi, 1989, p.37. In Majumdar R. C., Altekar A.S., “Vakataka-Gupta age: circa 250-550 A.D.”,Delhi, 1986, p.119 gli autori rimangono agnostici sulla questione.

13 Smith V.A., “A classified and detailed catalougue of the gold coins of the imperial Gupta dynasty of

norther Indi, with an Introductory essay”, in “Journal of the Asiatic society of Bengal” Vol. LIII, Calcutta, 1884, p. 119. Esso basava la sua teoria principalmente su due elementi: il primo, di natura letteraria, ovvero che il pellegrino cinese I-Tsing citato sopra, nelle sue memorie menziona la presenza di un re, chiamato appunto ŚrīGupta identificandolo come il fondatore della dinastia. Mentre il secondo elemento, di tipo linguistico, poggiava sul fatto che il nome “Gupta” isolato, non fosse mai stato trovato nell’onomastica indiana.

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titolo facesse parte del nome del re, mentre ora sappiamo quasi per certo che śrī era invece una semplice titolatura regale, in quanto viene menzionata, non solo accanto al capostipite Gupta, ma anche ai nomi di altri discendenti della dinastia14 e non soltanto accanto ai re ma come epiteto ad altre importanti figure15.

A Gupta successe suo figlio Ghaṭotkacha. Un’iscrizione in particolare16 fa iniziare la dinastia proprio con il suo regno, trascurando quello precedente di Gupta. Ad ogni modo anche a Ghaṭotkacha era ascritto il modesto titolo di Mahārāja. Di lui non conosciamo né conquiste né tantomeno battaglie, fu però il fautore della famosa e vantaggiosa alleanza con il vicino regno Licchavi

La maggior parte degli studiosi tende a far coincidere l’inizio dell’“Epoca Gupta17” con

L’ascesa di CandraGupta I. Il suo matrimonio con la regina Kumaradevi, erede della corona Licchavi, sancì l’alleanza tra i due popoli. Tale unione matrimoniale fu un evento d’importanza fondamentale per la storia della dinastia poiché il futuro figlio della coppia reale, sarebbe stato l’erede a pieno titolo della fortuna di entrambe le famiglie. Ad ogni modo questa intesa portò un prestigio tale alla dinastia Gupta18 che spinse Candra Gupta a proclamarsi, per primo nella storia dell’India, Mahārājādhirāja 19 titolo cui nemmeno Aśoka aveva ambito20

. Il matrimonio con la regina Kumaradevi sembra quindi essere la circostanza fondamentale che abbia permesso a CandraGupta di considerarsi al di sopra degli altri Mahārāja.

14 Alcuni esempi, Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, pp.214-215, 240,

243, 245, 250,253, 269.

15 Ibid, p.264, No. 14 plate XIV, e p.267, No. 15 plate XV: in queste due iscrizioni ad esempio, viene

chiamato con l’epiteto śrī un feudatario di CandraGupta II, Naravarman.

16

Sircar D.C., “Epigrafia Indica” Vol.XXXIII, Archeological Survey of India government of India, Delhi, 1959, p.306. L’iscrizione però è un documento privato e dunque può essere attribuito ad un errore causato dell’ignoranza dello scriba.

17 Mookerji R., “The Gupta Empire”, Delhi, 1959, p.15. Majumdar R. C., Altekar A.S., “Vakataka-Gupta

age: circa 250-550 A.D.”,Delhi, 1986, p.121. Sharma T. R., “A political history of the imperial Guptas: from Gupta to Skandagupta”, New Delhi, Concept Publishing Company, 1989, pp.45-46. Goyal s., “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.126. Quest’ultimo sostiene che l’epoca Gupta abbia inizio con CandraGupta II.

18

Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.117.

19 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.214, No.1 plate I, linea.28 È

doveroso precisare che tecnicamente, fu SamudraGupta ad assegnare il titolo di Mahārājādhirāja al suo predecessore. Di CandraGupta I infatti, come affermato sopra, non possediamo alcuna fonte diretta.

20

Ashoka infatti si fa chiamare semplicemente rāja. Si veda ad esempio: Sircar D. C., “Select Inscriptions bearing on Indian history and civilization” Vol. I, Calcutta, 1965, pp.15-76. Per una traduzione in italiano degli editti di Ashoka si veda invece: Carratelli G. P., a cura di, “Gli editti di Ashoka”, Milano, Adelphi Edizioni, 2003.

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Su CandraGupta, come per i suoi più stretti predecessori, non si possiedono fonti dirette. Il monarca è il primo della storia della dinastia che viene però raffigurato su delle monete d’oro; le quali commemoravano la sua unione matrimoniale con la regina Kumaradevi. Nella battitura i due sono mostrati in piedi uno difronte all’altro a figura intera, mentre nel lato opposto è incisa una divinità seduta con un leone ai piedi. Alcuni studiosi ritenevano21 che le monete fossero state coniate da CandraGupta I in persona. Adesso invece sappiamo22 che furono foggiate durante il regno di SamudraGupta suo figlio e diretto erede. Nelle iscrizioni lasciate dai suoi successori mancano anche notizie riguardo le sue conquiste, quindi nonostante si è a conoscenza di un allargamento dei confini del regno, non è chiaro se tale estensione sia dovuta a campagne militari o all’unione matrimoniale con i Licchavi. In ogni caso si può affermare che, già prima dell’ascensione di SamudraGupta, la dinastia Gupta era uno dei poteri dominanti nell’india del nord23.

1.1.2. Una stirpe di Mahārājādhirāja

SamudraGupta sarà il primo grande re della storia della dinastia del quale possediamo fortunatamente copiose fonti dirette. L’orgoglio di appartenere a due grandi lignaggi sarà ampiamente dimostrato in più di un’occasione. Infatti sia egli24 che i suoi successori25 vanteranno la loro appartenenza alla stirpe Licchavi, conferendo a SamudraGupta l’appellativo Licchavi-dauhitra26

ulteriore segno del prestigio27 che comportava questa unione dinastica. Vi è un interessante avvenimento riguardo l’ascesa al trono di

21

Altekar A.S., “The coniage of the Gupta Empire”, 1957 p.26. Maity S. K., “The imperial Guptas and their times, cir A.D. 300-550”, New Delhi, 1975, p.21. Agrawal A., “Rise and fall of the Gupta Empire”, 1989, pp.19-20.

22 Mookerji R., “The Gupta Empire”, Delhi, 1959, pp.14-15 Dikshitar V. R. R., “The Gupta polity”, Delhi,

Motilal Banarsidass, 1993, p.56. Banerjee M., “Historical and Social interpretations of Gupta inscriptions”, Calcutta, Sanskrit pustak Bahandar, 1989, p.39. Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, 2005, pp.139-140.

23 Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.122. 24 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.214.

25

Ibid, per citare alcuni esempi, pp.253, 315.

26Licchavi-dauhitra: composto da dauhitra che letteralmente significa “nipote” o “figlio della figlia” e

Licchavi, nome del lignaggio materno. Sulla valenza terminologica del composto Licchavi-dauhitra è interessante notare la spiegazione che ci fornisce S. Goyal (The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.118.). Riassumendo: SamudraGupta, sarebbe stato ufficialmente il legittimo erede dei territori Licchavi. A CandraGupta I venne assegnata solamente l’amministrazione di tale domini, formalmente di proprietà della regina Kumaradevi, in qualità di reggente fino all’incoronazione del figlio.

27Maity S. K., “The imperial Guptas and their times, cir A.D. 300-550”, New Delhi, Munshiram Manoharlai,

1975, p.22-23. Majumdar R. C., Altekar A.S., “Vakataka-Gupta age: circa 250-550 A.D.”,Delhi, Motilal Banarsidass, 1986, p.117. Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.116-117.

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SamudraGupta: egli infatti non era il primogenito. Dalla celebre iscrizione su pilastro di pietra ad Allahabad28 si evince che fu CandraGupta I a scegliere SamudraGupta come suo diretto successore, a discapito di altri aspiranti al trono. Secondo alcuni studiosi la descrizione della scena dell’incoronazione di SamudraGupta abbia voluto rappresentare un evento non ancora verificatosi, in quanto la cerimonia viene descritta in maniera forzatamente commuovente29.

La menzionata iscrizione di Allahabad è un documento dall’indubbia importanza, poiché presenta anche una narrazione dei successi militari per merito di SamudraGupta. Inoltre di notevole importanza fu la conquista della famosa Paṭaliputra, antica capitale del glorioso regno di Aśoka. Un risultato che sembra abbia voluto portare un ritorno alle origini, quasi a voler richiamare una sorta di tacita continuità tra i due imperi. È bene ricordare che la memoria dell’impero Maurya era ancora vivida nell’immaginario collettivo. A riprova di ciò l’iscrizione stessa di Allahabad: infatti la stessa colonna di pietra, fu utilizzata secoli prima come supporto ad un’iscrizione di Aśoka.

La ritrovata grandezza di un nuovo impero si può costatare anche nelle conquiste di SamudraGupta. Egli riuscì ad assoggettare numerose tribù30 e, sebbene tali conquiste non possono essere paragonate a quelle di Aśoka, a ricreare comunque un grande regno. I diversi potentati locali formavano un cerchio di alleanze attorno a quello che era il cuore del regno direttamente gestito da SamudraGupta31. I rapporti di questi regni semi-indipendenti con il nucleo del potere centrale differivano di poco da quelli di un qualsiasi feudatario occidentale32, tant’è che si può parlare di vero e proprio feudalesimo. I regni locali avevano verso SamudraGupta, l’obbligo di fornire un tributo, di recarsi periodicamente per rendere omaggio al sovrano e ovviamente, obbedire ai suoi ordini. È molto probabile che non tutti i regni fossero assoggettati dal Mahārājādhirāja nel medesimo modo: la stessa iscrizione infatti sembra voglia trasmettere delle sfumature

28

Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.212, v.4, Linea. 8 dell’iscrizione su pietra di Allahabad, p.222, Linee. 16-17 dell’iscrizione su pilastro di Eran. Entrambe composte da SamudraGupta.

29 Majumdar R. C., Altekar A.S., “Vakataka-Gupta age: circa 250-550 A.D.”,Delhi, 1986, p.126: “It may,

no doubt, be argued that the poet’s dramatic account was a bit exaggerated, and the words put in the mouth of the king were to refer to a future events.”

30 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.212-213 Linee 19-23. 31 Goyal S., “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.176. 32 Ibid, p.177.

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diverse sul dominio del sovrano verso le tribù conquistate33. Alcuni studiosi34 parlano addirittura di cinque livelli, o categorie di dipendenza di tipo concentrico. Con l’impero Gupta si può parlare di controllo centrifugo: dai regni “cuscinetto” un assoggettamento al potere centrale A differenza del grande impero Maurya, dove l’amministrazione da parte del re era capillare all’interno dei suoi territori35

, esercitando quindi un controllo di tipo centripeto.

L’eredità di SamudraGupta era di un regno forte la cui influenza si estendeva per parecchi kilometri; un regno che possedeva elementi di continuità con le tradizioni precedenti ma sostanzialmente rinnovato nel suo nucleo sia amministrativo sia culturale.

Fino a poco tempo fa non vi era alcun dubbio circa una successione diretta36 tra il regno di SamudraGupta e quello di CandraGupta II. Infatti le liste dinastiche dei successivi re della dinastia37 confermano saldamente tale genealogia. A creare confusione tra gli storici fu però la presenza di un monarca dal nome RāmaGupta, attestata attraverso alcuni estratti di un dramma38 che permise di avanzare nuove ipotesi circa la successione dinastica. L’opera descrive RāmaGupta come un monarca debole che accettò di consegnare la sua sposa in mano agli invasori, identificati con gli Śaka. Sarà quindi l’intervento del fratello minore, CandraGupta II appunto, che salverà il regno e si istituirà come nuovo re. Questo racconto, chiaramente romanzato e tutt’altro che neutrale, descrive una vicenda che trova si riscontro

33 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum”Vol.III, New Delhi, 1981, pp.212-213 Linee 19-23.

34 Maity S. K., “The imperial Guptas and their times, cir A.D. 300-550”, New Delhi, 1975, p.28. Banerjee

M., “Historical and Social interpretations of Gupta inscriptions”, Calcutta, 1989, p. 35. Goyal S., “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.178.

35 Sharma T. R., “Aspect of political ideas and institutions in ancient India”, Delhi, Motilal Banarsidass,

1996, p.323. Chattopadhyaya B., “Studying Early India: Archaeology, Texts, and Historical Issues”, Delhi, Permanent Black, 2003, p.237-238. Ad esempio il terzo editto su roccia di Girnal fa riferimento a dei funzionari governativi i quali avevano il compito di compiere un giro quinquennale di ispezione. Carratelli G. P., “Gli editti di Aśoka”, Milano, 2003, p.43.

36 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum”Vol.III, New Delhi, 1981, p.253, Linee 9-10. L’iscrizione su

pietra di Mathura ad opera di CandraGupta II descrive chiaramente una scelta da parte di SamudraGupta nel designare CandraGupta II come erede al trono: ŚrīSamudraguptasya putreṇa tat parigṛihītena. Inoltre elenca la successione genealogica dinastica dagli albori della dinastia fino al presente omettendo completamente RāmaGupta.

37 Sircar D. C., “Select Inscriptions bearing on Indian history and civilization” Vol. I, Calcutta, 1965, p.321,

Iscrizione su pilastro di pietra di SkandaGupta, Bhitari, p.329, Sigillo di di KumaraGupta II, Bhitari. Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum”Vol.III, New Delhi, 1981, p.269, Pilastro di pietra di KumaraGupta I, Bilsaḍ.

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in altre opere letterarie legate alla figura di CandraGupta II39, ma in nessun documento ufficiale.

La scoperta, durante la fine degli anni ’60, di tre iscrizioni provenienti da Durjanpur, ha però permesso di porre una nuova luce sull’esistenza di RāmaGupta. Un’indagine paleografica40 le colloca intorno al IV secolo. Come si può leggere dalle iscrizioni41, RāmaGupta è menzionato con il titolo di Mahārājādhirāja, segno inequivocabile di una titolatura di rango imperiale. Tuttavia la presenza di queste iscrizioni non fornisce una prova inconfutabile per cambiare la genealogia della dinastia Gupta, ma possono essere considerate dei punti di partenza da cui elaborare speculazioni le più possibili vicine alla realtà dei fatti. Alcuni studiosi42 ritengono che RāmaGupta sia stato il discendente designato da SamudraGupta, spodestato dal fratello minore quindi in seguito rimosso dalla memoria futura. Tale teoria è avvalorata dalle iscrizioni di Durjanpur e dai testi letterari. Oppure interessante l’ipotesi di Goyal43, il quale ritiene più credibile un tentativo d’indipendenza e legittimazione da parte di RāmaGupta. Egli sarebbe stato il governatore della provincia di Malwa e, alla morte del padre, avrebbe dichiarato il suo regno indipendente rivendicando il diritto di successione al trono rispetto a CandraGupta II. Ad ogni modo CandraGupta II sconfisse il fratello e ne sposò la moglie, la regina Dhruvadevī dalla quale ebbe KumaraGupta I, suo futuro successore.

CandraGupta II salì al trono nell’anno 56 dell’epoca Gupta44. Come il suo predecessore SamudraGupta si occupò di ampliare la sua sfera d’influenza all’interno dello scenario politico dell’India del nord rivolgendo le sue conquiste verso la zona nord-occidentale, precisamente annettendo tra le sue provincie la parte del Malwa occidentale ancora

39 Goyal S. , “Ancient Indian inscriptions: recent finds and new interpretations”, Jodhpur, Kusumanjali Book

World, 2005, pp.132-133. L’autore menziona alcune opera letterarie che descrivono la vicenda tra cui ad esempio Harshacharita e Kāvyamīmāṁsā.

40 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.232. 41

Ibid, p.233 Linee 1-2.

42

Mookerji R., “The Gupta Empire”, Delhi, 1959, p.64. Singh Bhatia O.P, “The imperial Guptas”, Delhi, 1962, p.213. Pathak H.,“ Cultural history of the Gupta period” Varanasi, Bharata Pub. House, 1978, p.13.

43 Maity S. K., “The imperial Guptas and their times, cir A.D. 300-550”, New Delhi, Munshiram Manoharlai,

1975, p.36-37. Goyal S. , “Ancient Indian inscriptions: recent finds and new interpretations”, Jodhpur, 2005, pp134-135. Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, pp. 265-266,272-273.

44 Secondo l’iscrizione di Mathura, datata nel anno 61 dell’era Gupta egli si trovava al suo quinto anno di

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indipendente e ponendovi come tutore della nuova provincia un membro della famiglia reale. La provincia in questione rimase comunque fortemente autonoma.

Inoltre durante il suo regno di grande rilevanza, sebbene non menzionata esplicitamente nelle iscrizioni45, la guerra contro gli Śaka: l’ennesima conquista Gupta portò ad un ampiamento delle rotte commerciali ed una discreta apertura verso il commercio con l’impero Romano46

.

Al suo regno si deve inoltre l’alleanza con il vicino regno Vākāṭaka. Accordo suggellato ovviamente dall’unione matrimoniale tra la figlia di CandraGupta II, Prabhāvatīguptā, con il principe ereditario Vākāṭaka, Rudrasena II. L’esito di tale sodalizio fu tutt’altro che fortunato: la perdita prematura di Rudrasena II richiese che la regina governò nei panni di reggente del figlio Divākarasena all’incirca per vent’anni. L’ascendente politico da parte della dinastia Gupta, senza dubbio presente, è tuttavia difficile da determinare47.

Il regno di CandraGupta II viene ricordato come estremamente florido, una vera e propria età dell’oro, la quale continuerà anche sotto la guida di KumaraGupta I. Egli infatti, nei suoi quarant’anni di regno, riuscì a mantenere alto il livello di ricchezza e prosperità raggiunto dai suoi avi, confermato da un cospicuo aumento nella coniazione di monete d’oro48

.

A lui si deve anche il merito di aver conservato intatti i domini acquisiti dai suoi predecessori. Per quanto riguarda invece particolari successi militari, il nutrito numero d’iscrizioni attribuibili al suo regno, non forniscono in sostanza nessuna informazione utile riguardo particolari conquiste sotto la sua corona. La questione tuttavia rimane oggetto di dibattito: il fatto che molte delle monete coniate durante il suo regno sono state trovate anche a sud, fino al Gujarat ha permesso di avanzare l’ipotesi che l’egemonia regale avesse ampliato il suo raggio di influenza fino alle regioni meridionali. Inoltre

45 Viene però chiamato con l’appellativo Śakāri, ovvero nemico degli Śaka, nella giù citata opera

DeviCandraGupta.

46

Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.282-284.

47

In che misura la dinastia Gupta riuscì ad influenzare le decisioni della corte Vākāṭaka durante la reggenza di Prabhāvatīguptā è una questione decisamente complessa e non sarà trattata in questa sede. Per ulteriori approfondimenti si veda in particolare: Singh Bhatia O.P, “The imperial Guptas”, Delhi, 1962, p.216. Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, pp. 274-281 e “Ancient Indian inscriptions: recent finds and new interpretations”, Jodhpur, 2005, pp. 146-152. Prabhat P., “Prabhavati Gupta- The regent queen of Vakataka Dynasti”, International Journal of Innovative Social Science & Humanities Research, Vol. 2, 2015, pp.124-127.

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14

KumaraGupta aveva svolto il sacrificio dell’Aśvamedha e per alcuni studiosi49 l’esecuzione di tale sacrificio costituiva la prova definitiva del fatto che il sovrano avesse compiuto delle conquiste rilevanti in quanto l’Aśvamedha era un rito vedico che andava svolto dopo il conseguimento di successi militari. Tuttavia se KumaraGupta avesse veramente allargato i confini del regno, avrebbe certamente commemorato tal evento nelle sue iscrizioni. In mancanza di altre conferme epigrafiche le ipotesi avanzate quindi restano delle supposizioni.

Per quanto concerne la politica amministrativa invece, la pratica di porre a capo di alcune provincie dei membri della famiglia reale, iniziata da SamudraGupta e continuata dal suo predecessore, divenne più sistematica durante il suo regno. Ciò gli garantì un governo funzionante e dei fedeli alleati, anche se questa prassi inevitabilmente portava dei segni di fragilità. Dopo l’episodio di RāmaGupta infatti vi fu un altro caso di ribellione da parte di un membro della famiglia che ricopriva posizioni politiche di rilievo. La pace che regnava durante gli ultimi anni del regno di KumaraGupta I fu minacciata ancora una volta dalla rivolta da parte di un membro stretto della famiglia reale, GhaṭotkachaGupta, probabilmente50 fratello o genero di KumaraGupta I, governatore dell’est Malwa. Il quale nell’iscrizione di Tumain51

è menzionato come alleato di KumaraGupta, tuttavia successivamente si servì dell’aiuto dei Vākāṭaka per dichiararsi indipendente e assumere un rango imperiale, confermato dalle monete d’oro che coniò. La ribellione fu comunque repressa e il dominio di KumaraGupta I poté continuare pacifico fino alla fine dei suoi giorni, decretando con la sua dipartita, l’inizio di un periodo di crisi che terminerà solamente con la fine della dinastia stessa.

1.1.3. Il tramonto della dinastia

CandraGupta II e KumaraGupta regnarono complessivamente per circa ottant’anni, garantendo quindi un periodo di stabilità e di pace. Un equilibrio che, per quanto solido, negli anni è destinato a trascinare con sé seppure ancora impercettibilmente i semi di una decadenza comunque inevitabile. L’egemonia di SkandaGupta è considerata da molti

49 Mookerji R., “The Gupta Empire”, Delhi, 1959, pp.74-75. Majumdar R. C., Altekar A.S.,

“Vakataka-Gupta age: circa 250-550 A.D.”,Delhi, 1986, p.160.

50 Secondo Majumdar R. C., Altekar A.S., “Vakataka-Gupta age: circa 250-550 A.D.”,Delhi, 1986, p.160

Egli sarebbe il fratello o figlio di KumaraGupta. Mentre Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.315 presenta GhaṭotkachaGupta o come il fratello di KumaraGupta I oppure come suo genero.

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l’ultimo baluardo del potere Gupta sarà, infatti, dopo la sua dipartita di che l’impero inizierà a decadere definitivamente.

Per quanto concerne le modalità della successione dinastica le iscrizioni a nostra disposizione sono decisamente ambigue: non sappiamo infatti se avvenne direttamente e pacificamente52, oppure se regnò per breve tempo PuruGupta53, un altro figlio di KumaraGupta I. Recentemente è stata proposta l’ipotesi che PuruGupta non sia altro che il secondo nome di CandraGupta III54. Vi è anche l’ipotesi55 che SkandaGupta sia diventato imperatore mentre il padre era ancora in vita proprio perché gravemente indisposto, e che PuruGupta abbia governato in un successivo momento. Ovviamente è possibile soltanto avanzare teorie al riguardo, cercando di interpretare al meglio le poche iscrizioni reperibili. Il regno di SkandaGupta fu fin dal principio segnato dalla presenza di una moltitudine di avversari. Grazie all’iscrizione su pilastro di pietra di Bhitari di SkandaGupta56 si evince che il neo-regnante dovette affrontare una serie di scontri, dai quali ovviamente SkandaGupta uscì sempre vittorioso. Il verso otto è particolarmente importante in quanto menziona il nome di una delle popolazioni a lui ostili, ovvero il popolo nomade degli Hūṇa. La loro presenza era già stata attestata tempo prima, nell’iscrizione su pilastro di ferro a Merahuli57, fu però certamente durante il regno d SkandaGupta che la loro minaccia divenne più concreta.

Come ci informa l’iscrizione su pilastro di pietra di SkandaGupta a Kahāum58

, gli ultimi anni del suo regno, dopo una serie di turbolenze sia di natura interna sia esterna, furono contraddistinti da un periodo di assoluta pace e serenità.

Nel 467 d.C. SkandaGupta morì riuscendo a conservare intatto il regno dei suoi avi, purtroppo però senza lasciare eredi, di conseguenza l’identità del suo immediato

52 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.299. L’iscrizione su roccia a

Junagadh di SkandaGupta allude infatti ad una successione diretta avvenuta tra KumaraGupta I e SkandaGupta.

53

Sircar D. C., “Select Inscriptions bearing on Indian history and civilization” Vol. I, Calcutta, 1965 p.329. Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.315.

54 Tandon P., “The succession after KumāraGupta I”, The Royal Asiatic Society, Volume 24, 2014,

pp.557-572.

55

Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.328,335.

56 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.315, Verso 8. 57 Ibid, p.259.

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successore rimane tuttora nell’ombra. Come scritto sopra si possono avanzare solo delle ipotesi.

Il sigillo di KumaraGupta III, insieme ai sigilli trovati a Nālandā appartenenti rispettivamente a PuruGupta59 e a KumaraGupta III60, offrono un importante aiuto nel delineare la successione dinastica successiva a SkandaGupta. Benché quest’ultimo non sia stato menzionato nella genealogia, siamo in grado di tracciare, sebbene senza certezza assoluta, la successione del Mahārājādhirāja: ovvero il figlio di PuruGupta Narasiṁhagupta I.

La successione di regni poco longevi deve aver aggravato non di poco la situazione politica all’interno dell’impero Gupta. BudhaGupta, infatti, il quale salì al trono dopo KumaraGupta II, si trovò ad affrontare un crescendo di difficoltà. Il fragile equilibrio di alleanze e compromessi creato da SamudraGupta circa un secolo prima cominciò a frantumarsi: i regni che un tempo dipendevano, sebbene non in egual misura, dalla corona dei Gupta, via via acquistarono una sempre maggiore autonomia, come ad esempio la perdita del Gujarat.

La confusione circa l’identità del successore di BudhaGupta pone una conferma ulteriore sul disordine che oramai si era creato nel regno. Gli ultimi imperatori Gupta, così confermati dalle genealogie61, furono molto probabilmente Narasiṁhagupta II e KumaraGupta III. Fu in quel periodo che sappiamo dell’esistenza di un regno che, formatosi vicino alla capitale Paṭaliputra, stava acquistando sempre più autonomia: ad esempio nelle iscrizioni commissionate da Antavarman e situate nella cava di Nagarjuni62, distante quattrocento kilometri da Allahabad, non viene menzionata nemmeno l’esistenza della dinastia Gupta.

ViṣṇuGupta fu l’ultimo re della dinastia. Egli governò fino a metà del secolo ancora su gran parte dell’India e grazie al contributo della placca di rame a lui attribuita rinvenuta a Dāmōdarpur63

abbiamo testimonianza che la presenza dell’impero era ancora presente nel

59 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.355. 60

Ibid, pp.357-358, 359-360.

61 Si veda le pagina 6 in particolare le note 2 e 3.

62 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, Calcutta, 1888, pp.224-225, 227. 63 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum”Vol.III, New Delhi, 1981, p.360.

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Bengala del nord. Purtroppo però non sono pervenute altre epigrafi dalle quali si possa ricavare altre informazioni riguardo al suo regno.

Ad ogni modo siamo ben lontani dagli antichi splendori della dinastia e quello che troviamo è un regno in completo sfacelo. Con la dipartita di ViṣṇuGupta all’incirca nel 550 d.C., in altre parole nel 231 dell’Era Gupta64, la gloriosa generazione di Mahārājādhirāja giunse al termine. Non sappiamo se vi fu un nuovo successore e se la dinastia continuò quindi, ancora per qualche tempo, a regnare. Ad ogni modo sappiamo che, nonostante la presenza di membri della famiglia Gupta in alcune zone dell’India65

, il titolo imperiale di

Mahārājādhirāja passò poi ad altri regnanti66

.

1.2.

Contesto socio-culturale

Generalmente si tende a identificare l’epoca Gupta come una sorta di amena età dell’oro, o età classica, dell'India. Ovviamente nonostante molti studiosi concordino nel definirla come un’età di massimo splendore e ricchezza, le fonti a nostra disposizione non permettono una valutazione completamente soddisfacente; le epigrafi e le monete, unici documenti giunti fino ai giorni nostri, non avevano certo come scopo quello di ragguagliare sulla vita dei sudditi dell’impero. Dunque ogni possibile congettura rimane una speculazione in quanto ogni riferimento contenuto all’interno della letteratura dell’epoca potrebbe comunque non rispecchiare le condizioni reali.

Studiosi come Mailty67 e Dandekar68 si sono pronunciati a favore di una prosperità condivisa durante l’impero Gupta. Forti della testimonianza delle memorie del pellegrino cinese Fa-hisien, il quale visitò parte del territorio indiano nel quinto secolo e dell’iscrizione a Junagadh di SkandaGupta69

. Entrambi i documenti, infatti, elogiano l’alto livello dello stile di vita del quale pare godessero gli abitanti dell’impero. Tant’è che quella

64

Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, pp.361-363.

65

Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, Calcutta, 1888, p.212.

66 Ganguly D. K., “The imperial Guptas and their times”, New Delhi, 1987, p.128. Agrawal A., “Rise and

fall of the Gupta Empire”, Delhi, 1989, p.265. Agrawal ci informa che a prendere il titolo di Mahārājādhirāja saranno I re della dinastia Aulikara.

67

Maity S. K., “Gupta Civilization: a study”, Sanskrit pustak Bahandar, Calcutta, 1974, p.7, 50. “The imperial Guptas and their times, cir A.D. 300-550”, New Delhi, 1975 pp. 33, 44.

68 Dandekar R. N., “The age of the Guptas and other essays”, Delhi, Ajanta Publications, 1982, p. 36. 69 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, pp.299-300.

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della svarṇavarṣā70, divenne un motivo letterario volto a dimostrare lo splendore di cui godeva l’epoca Gupta.Una prova di questa prosperità è banalmente riscontrabile nell’alta attività di conazione di monete d’oro, ovvero nella quantità d’oro presente in ogni moneta, il quale rimane pressoché invariato e la cospicua varietà di tipologie di moneta emesse per sovrano . Tuttavia si tende ovviamente a ridimensionare notevolmente questa idea di “età dell’oro”: la prosperità tanto decantata era certo esistente ma riservata soltanto agli strati più agiati della popolazione71.

Contrapposta a tale visione positivistica, le evidenze archeologiche mostrano una realtà diversa: ovvero che l’epoca Gupta, tutt’altro che amena, era caratterizzata da un crescente decadimento urbano72. Anche se, al contrario, sappiamo per certo che crebbero comunque degli importanti centri cittadini come testimoniano alcune iscrizioni73, all’interno dei quali vi fu una considerevole diffusione culturale in ogni sua diversa sfumatura. Addirittura durante il regno di CandraGupta II sappiamo della presenza di ben tre città di particolare importanza: oltre alla già citata Paṭaliputra, si aggiunsero due capitali non ufficiali, Ayodya74 e Ujjaini75. La seconda era la capitale del Malwa e probabilmente patria del celebre scrittore Kalidasa76.

1.2.1.

La letteratura durante l’età dell’oro e la sua influenza nella

composizione delle epigrafi regali.

La fioritura delle arti e delle scienze, accompagnate da un incremento delle opere letterarie, sono alcuni di quegli elementi che hanno fatto guadagnare all’epoca Gupta l’appellativo di età dell’oro. Infatti, è in questo periodo che la lingua sanscrita acquista la sua forma perfetta e cristallizzata e vengono inoltre fissati i canoni letterari che assicurarono all’arte

70 Svarṇavarṣā composto da pioggia in sanscrito varṣā, e l’aggettivo oro, Svarṇa. Letteralmente pioggia

d’oro.

71 Pathak H.,“ Cultural history of the Gupta period” Varanasi, 1978, p.89, 124-125. Goyal S., “A critique of

Professor D.N. Jha’s Evaluation of the classicism of the Gupta Age” pp.61-73 e Gopal L., “Economic decline in the golden age?” pp.334-341 in “Reappraising Gupta History for S.R. Goyal”, New Delhi, 1992.

72 Gopal L., “Economic decline in the golden age?” in “Reappraising Gupta History for S.R. Goyal”, New

Delhi, 1992, p.334-341. Chattopadhyaya B., “Studying Early India: Archaeology, Texts, and Historical Issues”, Delhi, 2003, pp.242-243.

73 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, Calcutta, 1888, pp.81-84.

74 Dandekar R. N., “The age of the Guptas and other essays”, Delhi, Ajanta Publications, 1982, p.36. 75 Maity S. K., “Gupta Civilization: a study”, Calcutta, 1974, p. 62, “The imperial Guptas and their times, cir

A.D. 300-550”, New Delhi, 1975, p.42. Goyal S., “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, p.259. Entrambi I testi riportano il fatto che la città in questione viene chiamata Ujjaini Puravara Adhiśvara.

(21)

19

dell’epoca l’aggettivo di “classico”. Per quanto riguarda la letteratura, tra le opere di maggiore rilevanza, oltre ai tre drammi romantici di Kalidasa vissuto appunto a quei tempi, troviamo anche la commedia di Śudraka, il dramma di Viśākhadatta e con ogni probabilità anche il primo lavoro sulla drammaturgia di Bharata, meglio noto come Nāṭyaśāstra77. La popolarità di cui godevano le epiche, sia a loro contemporanee sia quelle più antiche come ad esempio il Mahabarata e il Ramayana, avrà certamente influenzato non poco la stesura delle iscrizioni regali. Vi è motivo di pensare che alcune di tali opere fossero conosciute non solo dai compositori delle iscrizioni ma anche da gran parte della popolazione e che rientrino in un patrimonio culturale in parte condiviso dalla collettività. Questo è sicuramente vero per quelle che erano definite dṛśyakāvya78, in altre parole le opere poetiche che venivano messe in scena davanti ad una platea. Inoltre per avvicinare il pubblico ancor di più all’ambiente letterario alcuni poemi erano stilizzati affinché fossero trasformati in opere teatrali. Era consigliabile che il re stesso, come suggerisce Bharata nel suo trattato, provvedesse a far in modo che i suoi sudditi potessero godere gratuitamente del piacere di assistere alla messa in scena di tali spettacoli79.

L’importanza di alcune opere letterarie è di estrema rilevanza per delineare la percezione della figura del re all’interno delle epigrafi. Una dipendenza imprescindibile sia per quanto riguarda la ripresa di alcuni motivi letterari, recuperati per descrivere la figura del re sia per il ruolo sia la regalità doveva e avrebbe dovuto avere all’interno della politica indiana. Un esempio evidente si può trovare nella descrizione tipo dell’eroe: secondo i canoni letterari egli doveva essere un buon conoscitore dell’arte e della bellezza. Come vedremo in seguito tale topos è riscontrabile ampiamente all’interno di molte iscrizioni. Per quanto riguarda una mera questione stilistica, la poesia, nota in sanscrito come kāvya, era presente nelle sue diverse sfaccettature all’interno di varie epigrafi. Infatti, alcune iscrizioni sono composte in versi e per quanto riguarda Hariṣena, l’autore che compose l’iscrizione su pilastro ad Allahabad, era un artista conosciuto e stimato a corte. Tuttavia poiché lo scopo delle iscrizioni rimaneva principalmente quello di rivolgersi a un pubblico, accanto al sanscrito

77 Miller B. S., “Microcosmos of a complex world: classical drama in the Gupta Age” in Smith B. L.,

“Essays on Gupta Culture” Delhi, Motilal Banarsidass, 1983, pp.158-160.

78 Termine composto dall’unione di dṛśya, visivo e kāvya, poesia. Ovvero un dramma che veniva recitato

davanti ad un pubblico.

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20

classico ed elaborato possiamo costatare l’influenza del pacrito ed errori grammaticali di vario genere.

Le nozioni contenute nei Dharmaśāstras80, in altre parole i libri che contenevano al loro

interno le norme legali, furono un modello ideale per le iscrizioni che avevano a tutti gli effetti valore giuridico e amministrativo. Infatti esse, del tutto slegate dalla ricercatezza letteraria e quindi libere dai motivi letterari presenti nelle iscrizioni celebrative, rimasero comunque dipendenti dalla letteratura per quanto riguarda elementi di tipo contenutistico. Un'altra opera di estrema rilevanza riguardo insegnamenti preziosi sulla gestione politica di un regno è l’Arthaśāstra, attribuita al brahmano Kauṭilya vissuto durante la corona di CandraGupta Maurya. Entrambi i testi letterari offrono un importante riassunto sui ruoli che doveva ricoprire un re che agisse in armonia con il Dharma, il compito fondamentale del sovrano era di mantenere l’ordine sociale dei suoi sudditi cioè di proteggere le quattro

varṇas ovvero le quattro caste le quali erano alla base dell’intera struttura sociale su cui

poggiava lo stato dell’epoca81

. Anche Kalidasa nella sua opera Raghuvamśa82 ricorda questo concetto fondamentale, segno che le opere del passato erano ancora fortemente attuali e veniva conferita loro grande importanza e considerazione.

1.2.2. L’eclettica dimensione religiosa durante l’epoca Gupta

L’impero di Aśoka era saldamente riunito sotto la guida della fede buddista e ciò si può costatare largamente all’interno di molti dei suoi editti83. Inoltre il sovrano non si limitò solamente di divulgare la sua adesione alla fede buddista ma anche di fornire una sorta di filosofia etica: un insieme di precetti e norme, sintetizzati nel termine generico di dharma, che tutti i sudditi erano tenuti a seguire indistintamente. Benché fossero tollerate tutte le religioni all’interno del regno, Aśoka attraverso la sua riforma morale cercò di creare un credo comune, una forma di pensiero che trascendesse le diverse dottrine e in cui tutti potessero aderire.

80 Dharma, parola che indica legge mentre śāstra, teoria. Quindi un testo che si occupa di codificare il diritto. 81 McKnight J. M., “Kingship and religion in the Gupta age”, McMaster University, 1976, p.48. Pathak H.,

“Cultural history of the Gupta period” Varanasi, 1978, pp.41-42. Karashima N., “Kingship in Indian history”, New Delhi, Manohar Publishers & Distributors, 1999, pp.18-33.

82 Kalidasa, “La stirpe di Raghu”, traduzione ad opera di Formichi Carlo, Fratelli Melita Edizioni, 1992,

p.246. Canto XVII, verso XXXIX.

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Per quanto riguarda l’epoca Gupta è risaputa una rinascita nella fede Hindūista84

popolare anche tra i sovrani Vākāṭaka. In molte epigrafi si evince che i sacerdoti brahamani sono destinatari privilegiati di molteplici concessioni regali85 e non solo86. Tuttavia all’interno della corte Gupta il contesto religioso risulta molto più articolato. Trovo interessante il punto di vista di Narain87 il quale suggerisce che la religione all’interno della corte reale agiva attraverso tre “livelli” utilizzati a seconda delle situazioni richieste dal loro status regale: per legittimare il loro potere veniva usato il culto di Viṣṇu, per la loro realizzazione personale potevano scegliere il credo a loro più gradito mentre il ruolo pubblico vedeva una politica di tolleranza totale.

Come testimonia il pellegrino cinese Fa-hisien la figura di Viṣṇu era particolarmente cara ai componenti della famiglia imperiale. Infatti, da metà del quarto fino alla fine del quinto secolo ciò è riscontrabile dal fatto che il dio compare ampiamente all’interno della letteratura contemporanea, nelle iscrizioni88 e nelle monete89. Era adorato in misura certamente minore anche Śiva90, tuttavia il suo culto si sviluppò poi ampiamente soltanto dopo la dipartita della dinastia Gupta91. Oltre alla presenza di nomi appartenenti alla religione vedica all’interno dell’onomastica regale92 è attraverso svariate epigrafi che è possibile constatare allusioni precise le quali possono essere intese come un tentativo di divinizzazione della figura del re. Basti pensare che CandraGupta II, in un’iscrizione93, viene definito Dēvarāja ovvero re-dio. Appellativo decisamente pretenzioso che nemmeno Aśoka aveva impiegato. Durante questa epoca la religione diventa quindi uno degli strumenti fondamentali della propaganda imperiale.

84 Maity S. K., “Gupta Civilization: a study”, Calcutta, 1974, p.65. Dandekar R. N., “The age of the Guptas

and other essays”, Delhi, 1982, p.69. Goyal S., “A critique of Professor D.N. Jha’s Evaluation of the classicism of the Gupta Age” pp.61-73 in “Reappraising Gupta History for S.R. Goyal”, New Delhi, 1992.

85 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, pp. 281-282. 86 Ibid, pp.275-276.

87

Narain A. K., “Religious policy and toleration in ancient India with particular reference to the Gupta Age”, in Smith B. L., “Essays on Gupta Culture” Delhi, 1983, p.34.

88 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, pp. 227, 240, 243-244, 259.

Nell’iscrizione di Merahuli Candra installa il pilastro nella collina chiamata Viṣṇupada in onore di Viṣṇu.

89

Altekar A.S., “The coniage of the Gupta Empire”, Varanasi, 1957, p.251-254, 256.

90 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, pp. 240, 255-256.

91 Bisschop P., “Saivism in the Gupta- Vākāṭaka Age”, in The Royal Asiatic Society, Volume 20, 2010,

p.477.

92

Sharma T. R., “Personal and Geographical names in Gupta inscriptions”, 1978, pp. 107-111.

93 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.250. Invece nelle iscrizioni

Vākāṭaka il sovrano viene chiamato DēvaGupta, Mirashi V., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol. V, Ootacamund, 1963, pp.12,18.

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22

Il buddismo era già presente in india prima dell’ascesa dei Gupta, benché avesse perso popolarità nel corso dei secoli, era ancora piuttosto seguito da parte della popolazione; tant’è che il tempio buddista costruito da Śrī Gupta, come informa il pellegrino I-Tsing, nel VII secolo era ancora in piena attività. La fede buddista quindi non era solo tollerata ma anche incoraggiata, infatti, durante tutto il corso dell’epoca Gupta è possibile trovare donazioni di ricchi privati94 verso i monasteri buddisti. Inoltre tali comunità potevano essere considerate delle vere e proprie scuole: un esempio rimane il monastero di Nālandā sede di una grande università buddista. Sia la fede buddista sia le credenze vediche subirono un’influenza reciproca per quanto riguarda la prima essa sviluppò dei cambiamenti dal punto di vista della sfera cerimoniale, la quale si alimentò di una maggiore ritualità. Mentre per quanto riguarda la seconda, fu il culto di Śiva quello che subì maggiori influssi dal buddismo, soprattutto per quanto concerne la dimensione artistica. Inoltre è interessante notare che una delle prime citazioni di un testo legato all’adorazione di Śiva il Pāśupatasūtra si trovi in uno scritto buddista95

.

Ad ogni modo la moltitudine di fedi presenti all’interno del regno non ha compromesso la serenità di cui godevano i suoi abitanti. Infatti come descrive, seppur brevemente il pellegrino Fa-hisien nei suoi racconti di viaggio e come informa l’iscrizione di Junagadh96, l’impero Gupta era caratterizzato da un clima generale di pace e tolleranza religiosa97

.

1.3.

Le iscrizioni

Le iscrizioni e le monete sono gli unici strumenti a nostra disposizione che ci permettono di fare chiarezza riguardo la storia dell’epoca Gupta. Purtroppo i riferimenti prettamente storici ivi contenuti non consentono di delineare una precisa cronologia degli eventi. Come menzionato nel primo paragrafo,98 vi sono dei casi non del tutto chiari e dunque impossibili da verificare, dove l’unico modo per tentare di fare luce sui fatti del passato è

94 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p. 250.

95 Gokhale B. G., “Buddhism in the Gupta Age” in Smith B. L., “Essays on Gupta Culture” Delhi, 1983,

p.143. Bisschop P., “Saivism in the Gupta- Vākāṭaka Age”, in The Royal Asiatic Society, Volume 20, 2010, p.486.

96 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol. III, New Delhi, 1981, p.299.

97 Banerjee M., “A study of important Gupta inscriptions”, Calcutta, Sanskrit Pustak Bhandar, 1976, p.16.

Narain A. K., “Religious policy and toleration in ancient India with particular reference to the Gupta Age”, Gokhale B. G., “Buddhism in the Gupta Age” p.146, in Smith B. L., “Essays on Gupta Culture” Delhi, 1983, p.34,48. Sharma T. R., “A political history of the imperial Guptas: from Gupta to Skandagupta”, New Delhi, 1989. p.162 Dikshitar V. R. R., “The Gupta polity”, Delhi, 1993, p.328.

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quello di proporre delle supposizioni.Inoltre alcune di queste iscrizioni, proprio per il loro scopo di tipo prettamente celebrativo, non riportano gli avvenimenti in maniera oggettiva e una particolare analisi incrociata con altri documenti è impossibile. La figura del re, e la regalità stessa, trova però una naturale collocazione in questa tipologia di iscrizioni in quanto il loro principale scopo era quello di celebrare il monarca in quanto tale.

1.3.1.

Un tentativo di classificazione

99

Si può dire che le epigrafi, ovviamente mi riferisco a quelle appartenenti a questo periodo storico, si possono dividere in due categorie: i documenti commissionati direttamente dal re e quelli privati. Entrambe le tipologie avevano sia diversi tipi d’interlocutori privilegiati che differenti scopi specifici. Ed è a causa della loro natura testuale che non tutte le iscrizioni possono essere prese in considerazione per determinare il concetto di regalità. Infatti ad esempio, una semplice concessione regale, la quale aveva come scopo unico quello di essere un atto legale e che di conseguenza aveva una sua precisa struttura testuale, non può ovviamente essere comparata ad un epigrafe celebrativa che elogiava le imprese di un Mahārājādhirāja.

Le iscrizioni per merito di privati rappresentano la testimonianza epigrafica più consistente. Il loro scopo principale è quello di attestare una donazione fatta da un cittadino privato verso una qualche istituzione, il più delle volte religiosa. La donazione in questione poteva essere di vario tipo, la più comune era un’immagine di culto, e spesso l’iscrizione era incisa proprio sull’oggetto donato, oppure veri e propri finanziamenti per la costruzione di templi, in questo caso l’iscrizione era posta direttamente sulle mura dell’edificio.

Tali iscrizioni potevano contenere una genealogia regale nella quale il sovrano era chiamato, il più delle volte100, con l’epiteto di Mahārājādhirāja e in alcuni casi ne erano menzionate anche le gesta101. Tuttavia non erano iscrizioni commissionate direttamente dal

99

Sircar D. C., “Indian Epigraphy”, Delhi, Motilal Banarsidass, 1965. Banerjee M., “Historical and Social interpretations of Gupta inscriptions”, Calcutta, 1989 pp.311-321. Solomon R., “Indian Epigraphy”, New York, Oxford University press, 1998 pp.110-126. Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, pp.33-35.

100

Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol.III, New Delhi, 1981, p.293, 318. In entrambi gli esempi ai re KumaraGupta e BudhaGupta viene dato eccezionalmente il titolo di semplice Mahārāja.

101 Ibid, ad esempio l’iscrizione su pilastro a Kahāum e la placca di rame di Indore rispettivamente a pp.307,

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re quindi per quanto fonti preziose di informazioni non possono essere considerate documenti completamente attendibili. La già menzionata102 iscrizione su pilastro incisa durante il regno di SkandaGupta a Supia ne è un valido esempio: come documento privato, infatti, riguardava prettamente la commemorazione di alcuni membri di una famiglia benestante, dunque era certamente tollerata una negligenza da parte dell’autore dell’iscrizione circa la genealogia Gupta o una disattenzione riguardo alla corretta titolatura regale.

Tra le iscrizioni regali, ovvero come menzionato sopra quelle commissionate direttamente dal re, si possono individuare due categorie: la prima identificata con il termine praśasti, mentre la seconda con quello delle Rāja-śāsanas. Per quanto riguarda le iscrizioni di tipo

praśasti hanno come scopo principale quello di glorificare il re, le sue innumerevoli qualità

ed enumerarne le conquiste. Molte volte in esse è contenuta anche una genealogia regale. Inoltre alcuni individuano in tale categoria un vero e proprio genere letterario; infatti, al loro interno spesso intercorrono dei motivi usati nelle opere letterarie dell’epoca103. Le iscrizioni di tipo praśasti erano inoltre impiegate anche per commemorare l’edificazione di opere pubbliche particolarmente rilevanti e la costruzione di templi commissionati dal re. Mentre l’altra categoria delle iscrizioni regali è quella delle Rāja-śāsanas104

, con esse siamo ben lontani dalla ricercatezza letteraria che si può trovare nelle praśasti. Le concessioni regali, infatti, sono per lo più documenti dal valore legale e amministrativo quindi documenti di tipo piuttosto tecnico, dallo stile spoglio e conciso, e i destinatari erano i proprietari terrieri i quali ricevevano dal re favori o possedimenti. Con questa tipologia s’intende raggruppare tutti gli editti ad opera del re e dei rapporti con i suoi feudatari. Vi sono dunque ulteriori sotto-tipologie, legate alla funzione specifica che possono incorporare un ambiti molto vari che potevano riguardare la una donazione di un terreno, categoria della quale disponiamo numerosi esempi, sia regolare una disputa tra vassalli, sia dei favori di vario tipo che il re elargiva n ei confronti dei suoi fedeli feudatari.

102 Si veda la pagina 8. 103

Il discorso viene apporfondito nei volumi di : Solomon R., “Indian Epigraphy”, New York, 1998, pp.235-238. E in Goyal S. , “The imperial Gupta’s: a multidisciplinary political study”, Jodhpur, 2005, pp.36-37.

104 Śāsanas , sostantivo neutro, letteralmente “ordine, commando o istituzione”, unito a Rāja genera un

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