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Appendice I: Lista delle iscrizioni dei re Gupta

Capitolo 2: Come veniva chiamato il re? Analisi e descrizione dei titoli onorifici e degl

2.1. Titoli sovrani

Da una prima osservazione riguardante tutte le iscrizioni a nostra disposizione composte durante l’epoca Gupta, dal regno di SamudraGupta a quello di ViṣṇuGupta, risulta lampante che l’assegnazione dei titoli regali non subisce alcun cambiamento: la titolatura conferita ai re rimane sempre di rango imperiale, non rispecchiando quindi la situazione politica effettiva. Nella maggior parte delle iscrizioni private il re in carica viene semplicemente ricordato, mentre in alcuni casi nella stesura dell’iscrizione viene solo menzionata la data. L’era Gupta divenne per moltissimi anni il metodo di datazione in voga sia nei territori sotto la diretta egemonia imperiale sia nei regni a loro confinanti. Ciò che accomuna tutte le epigrafi che menzionano un sovrano è la titolatura regale: il nome dell’imperatore viene sempre preceduto da titoli supremi, anche se questi ultimi talvolta sono stati usati senza citare apertamente l’imperatore147.

Il titolo più importante e prestigioso, riscontrato ampiamente sia nei documenti ufficiali sia in quelli commissionati da privati è certamente quello di Mahārājādhirāja148. La scelta di

questo termine, per quanto mai utilizzato prima da nessun regnante indiano, non fu del tutto originale: mentre la titolatura Mahārāja era già stata utilizzata da sovrani durante

147 Chakravarti N. P., Epigraphia Indica, Vol. XXIII, Delhi, Manager of publications, 1935-36, p.52. Sastri

H., Epigraphia Indica Vol. XXI, Delhi, Manager of publications, 1931-32, p.80. Griffiths A., “New Documents for the Early History of Pupdravardhana: Copperplate Inscriptions from the Late Gupta and Early Post-Gupta Periods”, New Series Vol.6, Kolkata, 2015 pp. 19-20.

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l’impero Maurya post-Aśoka149, senza tuttavia indicare l’intento di esprimere un’egemonia

più o meno marcata nei confronti di altri monarchi, l’espressione Mahārāja-rajatiraja150 venne usata, quale secolo più avanti, in alcune iscrizioni sia dagli Śaka151

sia dai Kushana152 con lo scopo preciso di manifestare un ruolo predominante rispetto agli altri

Mahārāja. SamudraGupta si ritrovò, dopo innumerevoli e vittoriose campagne militari, a

capo di un grande impero in piena ascesa, fu l’unico dopo secoli ad avvicinarsi all’ampiezza del regno Maurya. La necessità di autolegittimarsi divenne quindi di primaria importanza. Proclamandosi dei Mahārājādhirāja i re Gupta cercarono di definire al meglio la loro posizione con il chiaro scopo di distinguersi ponendosi al di sopra sia degli altri sovrani confinanti sia dai primi capostipiti della loro stessa dinastia, i quali come sappiamo, nelle liste dinastiche portano il semplice titolo di Mahārāja. Probabilmente non perché avessero uno status subordinato bensì perché l’ammontare dei loro territori non poteva aspirare a un rango imperiale. Ritengo sia di discreta rilevanza osservare che il titolo di Mahārājādhirāja sia quello che segue più fedelmente le fasi del potere della dinastia: durante il suo periodo ascendente, il quale può essere considerato l’intervallo che intercorre tra i governi di CandraGupta I fino a BudhaGupta, il titolo rimase appannaggio della sola dinastia e non fu usato da sovrani di regni attigui, mentre durante la sua fase discendente, nella quale la crisi di potere della dinastia diviene più acuta, il termine inizia a essere utilizzato altrove153, per poi diventare un titolo si di sovranità suprema ma quasi esautorato del suo valore come fu per il titolo Mahārāja. Naturalmente vi sono delle eccezioni, come ad esempio il caso di RāmaGupta. Sia nelle iscrizioni sia nelle monete da lui coniate non esita ad arrogarsi il titolo di Mahārājādhirāja. Curiosamente la potenza dell’impero Gupta era nel pieno del suo apice e la figura di RāmaGupta sappiamo essere avvolta ancora nel mistero154. Comunque è certo che egli era un membro molto stretto della famiglia imperiale. Un’altra eccezione riguarda il sovrano di Kadamba, con tutta

149

Sircar D. C., “Indian Epigraphy”, Delhi, 1996, p.331, nota 6. Per il testo intero si veda, Sircar D. C., Epigraphia Indica Vol. XXXV, Delhi, Manager of publications, 1963-64, p.67.

150 All’interno delle iscrizioni dell’Epoca pre-Gupta, viene infatti usato il termine in pacrito. Si veda: Sharma

R. S., “Aspects of political idea and institutios in Ancient Indian” Delhi, Motilal Banarsidass, 1996, pp.292- 293.

151 Sircar D.C., “Select Inscriptions bearing on Indian history and civilization” Vol. I, Calcutta, 1965,

pp.149-150, 153-154.

152 Cunningham A., “Archaeological Survey of India: report for the year 1871-72” Vol. III, Calcutta, Office

of the Superintendent of Government Printing, 1873 pp.32-33, 35. Sircar D.C. ,“Select Inscriptions bearing on Indian history and civilization” Vol. I, Calcutta, 1965, pp. 139, 144, 142, 155.

153 Si veda la pagina 17 in particolare la nota 66. 154 Si vedano le pagine 12-13.

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probabilità un quasi contemporaneo di SamudraGupta, al quale nell’iscrizione di Malavalli155 gli fu assegnato il termine Dharma-Mahārājādhirāja. Questo fu comunque un caso assolutamente isolato. Infatti per quanto riguarda i suoi successori156 e i monarchi dei territori vicini157, almeno finché la dinastia non rimase in auge, continuò ad essere usato il titolo Mahārāja. Un’interessante testimonianza dell’uso del titolo di sovranità suprema ascritto ai re della dinastia Gupta riguarda le iscrizioni regali appartenenti ai sovrani Vākāṭaka. Al loro interno il titolo di sovranità suprema viene usato per designare i

Mahārājādhirāja del lignaggio Gupta. Rispetto però alla tradizione genealogica dei

monarchi Gupta i Vākāṭaka riconoscono uno status di superiorità imperiale solo nei confronti di SamudraGupta e CandraGupta II. Con la sola irregolarità dell’iscrizione di Riddarpur commissionata da Prabhāvatīguptā, nella quale SamudraGupta viene chiamato semplicemente Mahārāja ed il titolo di sovranità suprema viene riservato solamente a CandraGupta II158. Tuttavia non è la sola irregolarità presente all’interno delle iscrizioni Vākāṭaka nei confronti dei Gupta: la genealogia imperfetta, la quale, infatti, inizia con il regno di GhaṭotKācha e non con quello di Śrī-Gupta può essere una prova che i kāyasthas, in altre parole la classe di coloro che si occupavano di comporre le epigrafi159, non provenivano dalla corte Gupta160.

Tuttavia non è semplice trarre conclusioni in merito alla vera natura e utilizzo di tale titolo poiché spesso non è usato ne in alcune praśasti161 e nemmeno all’interno di alcune iscrizioni private: come ad esempio la già citata iscrizione di Supia o quella composta durante il regno di KumaraGupta a Mankuwar162. All’interno di tali epigrafi nei confronti del sovrano regnante vengono comunque ascritti titoli ed epiteti di rango elevato.

Come accennato nello scorso capitolo, è possibile riscontrare il prefisso onorifico Śrī come accompagnamento a tutti i membri della dinastia, quasi come un’estensione del loro nome tant’è che questo ha generato confusione circa la titolatura stessa del primo dei sovrani

155 Sircar D. C., “Indian Epigraphy”, Delhi, 1996, p.336.

156 Hultzsch E., Epigraphia Indica Vol.VIII, Calcutta, 1905-06, p.235. Thomas F.W., Epigraphia Indica

Vol.XV, New Delhi , 1919-20 p.254.

157

Garbini R., “Indo-Nepalese Epigraphy II The Patan Inscription of Year 411 (=AD 489), an Example of the ‘Compartment’ Type.” Annali dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, 1997, pp.348-349.

158 Mirashi V., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol. V, Ootacamund, 1963 pp.35-36.

159 Gupta C., “The writers’ class of ancient India - a case study in social mobility”, The Indian Economic and

Social History review, Vol.20, 1983, p.195.

160 Goyal Shankar, “Aspects of ancient Indian history and historiography”, New Delhi, 1993 p.39. 161 Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.259. 162 Ibid, pp.293, 318-319.

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Gupta 163. Tale prefisso è presente anche accanto ad altri nomi di sovrani i quali presentano legami con la religione vedica, come ad esempio i Pallava164 e i Licchavi165 entrambi contemporanei dei Gupta. Il sostantivo Śrī presenta molteplici sfumature nella traduzione. Innanzitutto Fleet lo tradusse semplicemente come “glorioso166”. Letteralmente come nome puramente astratto può essere espresso attraverso i concetti di “bellezza” o “bella apparenza” 167

o mediante l’aggettivo “luminoso” 168 . Tuttavia come sottolineato da McKnight169 vi sono diverse connotazioni che possono tutte essere riscontrate all’interno delle iscrizioni Gupta. Per convenzione viene tradotto con l’aggettivo “glorioso”. Il prefisso Śrī è intimamente connesso alla figura di Viṣṇu170, tant’è che uno dei nomi del Dio è appunto “Śrīman” possessore di Śrī, prova del solido legame che univa la dinastia Gupta al culto di tale divinità. Inoltre tale prefisso è anche la personificazione della dea della fortuna, della bellezza e del benessere, in altre parole Śrī-Laksimi.

Un altro titolo molto frequente all’interno delle iscrizioni è quello di Paramabhaṭṭāraka171

,

il quale precede il nome del re in sostituzione172 o in concomitanza173 a Mahārājādhirāja. Decisamente meno esclusivo del titolo supremo di “grande re sopra i re” viene infatti usato anche da altri sovrani174 specialmente nella sua versione più sintetica di Bhaṭṭāraka anche prima dell’ascesa dei Gupta175

. Il termine deriva infatti dal sostantivo pacrito bhartṛ176. Spesso venne applicato anche ai sacerdoti dell’ordine di Śiva177

. In tempi successivi tale termine acquisirà anche delle sfumature linguistiche del tutto diverse come ad esempio per

163 Si veda la pagina 7. 164

Krishnamacharlu C. R., “South Indian inscriptions Vol.XII”, Madras, 1943 p.1. Hultzsch E., Epigraphia Indica Vol.VIII, Calcutta, 1905-06, p.235. Thomas F.W., Epigraphia Indica Vol.XV, New Delhi , 1919-20 p.254.

165 Garbini R., “Indo-Nepalese Epigraphy II The Patan Inscription of Year 411 (=AD 489), an Example of

the ‘Compartment’ Type.” Annali dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, 1997, pp.348-349.

166

Fleet J.F., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.259.

167 Ivi. 168 Ivi.

169 McKnight J. M., “Kingship and religion in the Gupta age”, 1976, pp.169-170. Gonda j., “Aspects of early

Viṣṇuism”, Delhi, Motilal Banarsidass, 1969, pp.189-195.

170 Gonda j., “Aspects of early Viṣṇuism”, Delhi, Motilal 1969, pp.209, 226.

171 Sircar D. C., “Indian epigraphical glossary”, Delhi, 1966, p.235. Il significato che ne da il dizionario è

quello di “re”, “grande signore” o “venerabile” mentre parama si può tradurre come “supremo”.

172

Ad esempio la placca di rame rinvenuta a Nandapur. Chakravarti N. P., “Epigraphia Indica”, Vol. XXIII, Delhi, manager of publications, 1935-36, p.54.

173Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981,

pp.243,273,275,283,289,336,343.

174

Mirashi V., “Corpus inscriptionum Indicarum” Vol. IV pt.1, Ootacamund, 1955, pp.9, 11.

175 Ibid, p.7.

176 Sircar D. C., “Indian epigraphical glossary”, Delhi, 1966, p.52. 177 Ivi.

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indicare gli insegnanti della religione giainista178. È interessante notare che le iscrizioni che portano la titolatura Bhaṭṭāraka, e che sono datate all’epoca Gupta, non menzionano mai il nome del re179. Spesso il titolo supremo se riscontrato da solo, ovvero senza

Mahārājādhirāja, viene inserito all’interno dell’espressione pādānduhyāta Paramabhaṭṭāraka180, comunemente tradotta “che medita sui piedi del grande signore”181. Alcuni studiosi hanno messo in discussione la traduzione del composto a favore di “favorito dal grande signore”182

. Volto a indicare sia la relazione tra padre e figlio183 che quella tra feudatario e sovrano184. Sebbene tale titolo possa essere considerato di tutto rispetto all’interno della gerarchia dei titoli imperiali, lo si riscontra ampiamente nelle epigrafi sia private sia regali ma non nelle monete dei sovrani Gupta, i quali preferiscono ascriversi il titolo di Mahārājādhirāja.

Per tutta la durata dell’impero Gupta la famiglia reale sostenne costantemente una liea religiosa sempre fedele a Viṣṇu. Con il titolo Paramabhāgavata185 essi si dichiarano “supremi adoratori dell’unico”, in altre parole Viṣṇu. L’adesione al suo culto è confermata anche nelle innumerevoli lodi e preghiere presenti nelle iscrizioni186. La ragione di questo schieramento religioso è ovviamente da ricercare in scelte di natura sia politica sia culturale. Nello scorso capitolo si è affrontato il fenomeno della “rinascita Brahamanica”: un revival di fattori culturali e politici che certo giustificano pienamente tale scelta ideologica da parte della dinastia Gupta. Il titolo paramabhāgavata accompagna il nome di ogni monarca da CandraGupta II a ViṣṇuGupta nelle iscrizioni private, regali, nei sigilli e nelle monete. Per la prima volta però nella placca di rame rinvenuta a Dhanāidaha187

e datata durante il 113 della Gupta Era, corrispondente al regno di KumaraGupta, il titolo

paramabhāgavata sempre associato ai titoli supremi come quello di Paramabhaṭṭāraka e Mahārājādhirāja venne sostituito con quello più ambiguo di Paramadaivata188

. Esso

178 Sircar D. C., “Indian epigraphical glossary”, Delhi, 1966, p.52. 179

Sastri H., Epigraphia Indica Vol. XXI, Delhi, Manager of publications, 1931-32, p.80. Sircar D.C., Epigrafia Indica Vol.XXXVIII, part V, Delhi, Manager of publications, 1978 p.250.

180 Sircar D. C., “Indian epigraphical glossary”, Delhi, 1966, p.349. 181

Ferrier C., Törzsök J., “Meditating on the king’s feet? Some remarks on the expression pādānudhyāta” Indo-Iranian Journal , Vol.51, 2008, pp.93-113.

182 Ibid, pp.93-113. Sircar D. C., “Indian epigraphical glossary”, Delhi, 1966, pp.93-113. 183 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.315. 184 Ibid, p.215.

185

Sircar D. C., “Indian epigraphical glossary”, Delhi, 1966, p.235.

186 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981 p.259. 187 Ibid, pp.275-276.

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compare successivamente anche nelle placche di rame, rinvenute da Dāmōdarpur189

e datate 124 e 128 della Gupta Era nel regno di KumaraGupta e in seguito anche nelle placche di rame del regno di BudhaGupta, rinvenute anche esse nella zona di Dāmōdarpur. L’ambiguità del termine sta nel fatto che l’aggettivo daivata può significare sia “divino” sia “devoto”, quest’ambivalenza ha suscitato quindi delle perplessità circa la traduzione del composto. Secondo Sircar190 il termine era usato dai sovrani Gupta come sinonimo di

Paramabhāgavata quindi con il significato di “Grande devoto dei Davata” con l’intento di

autoproclamarsi come dei credenti e non delle divinità. Invece alcuni studiosi hanno visto in questo titolo una sorta di tentativo da parte del re di arrogarsi una qualsivoglia natura divina191. Senza per ora entrare in merito alla questione più complessa riguardo al tentativo della dinastia di rivendicare una natura divina nella figura del re, per quanto concerne il solo titolo paramadaivata l’ipotesi della “divinizzazione” resta insostenibile per due ragioni. Innanzitutto il termine paramadaivata si ritrova anche in iscrizioni, dove gli autori sono semplici funzionari regali192 e di sovrani non aventi pretese imperiali193. È dunque impensabile che dei feudatari che non si fanno ascrivere neppure il titolo di mahārāja potessero arrogarsi qualsivoglia attributo divino. Inoltre se i sovrani Gupta avessero voluto usare il titolo Paramadaivata come tramite per porsi al pari del divino l’avrebbero certamente utilizzato nei documenti ufficiali, ovvero nelle iscrizioni praśasti e nelle monete. Invece all’interno di tali documenti continua a comparire il titolo

paramabhāgavata. L’ipotesi più probabile ritengo sia che la scelta di usare il termine Paramadaivata a discapito di quello “ufficiale” Paramabhāgavata sia di tipo geografico-

culturale più che politico: tutte e cinque le iscrizioni rinvenute a Dāmōdarpur presentano uno stile e uno schema del tutto identico, mentre quella di Dhanāidaha differisce per struttura e schema testuale ma la vicinanza geografia al sito di Dāmōdarpur può certamente spiegare la scelta terminologica. Il titolo non fu usato dai soli sovrani Gupta, infatti, fu utilizzato anche re Pallava194. Inoltre Bhagavat si riscontra in altre epigrafi usato per

189 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, pp.285-286, 289-290. 190

Sircar D. C., “Studies In The Political And Administrative Systems In Ancient And Medieval India” ,Delhi, 1995, pp.265-266.

191 Ghoshal U.N.,“A history of political ideas: the ancient period and the period of transition to the middle

ages” Londra, 1966, p.308.

192 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, pp.285-286, 289-290. 193

Gnoli R., “Napalese inscriptions in Gupta Characters” Vol.X, Roma, 1956, p.18.

194 Krishnamacharlu C. R., “South Indian inscriptions Vol.XII”, Madras, 1943 p.1. Hultzsch E., Epigraphia

Indica Vol.VIII, Calcutta, 1905-06, p.235. Thomas F.W., Epigraphia Indica Vol.XV, New Delhi , 1919-20 p.254.

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indicare fedi diverse da quella Viṣṇuitica195. Solo in un secondo momento, e in rarissimi casi, il termine acquisirà nel tempo la sfumatura di “venerabile” conferendo al sovrano in carica un’accezione di santità196

.

Molto più raro rispetto ai titoli precedenti è quello di Prthivipatau197 il quale ha come

significato letterale “signore della terra” 198

. Il titolo è riscontrato anche in due varianti:

nṛipatau199 all’interno dell’iscrizione di Tumain ad opera di un feudatario di KumaraGupta e bhupatau200 nell’iscrizione di BudhaGupta ad Eran, entrambi con lo stesso

significato di Prthivipatau. Da tali titoli il concetto base che emerge da una semplice lettura è che i sovrani Gupta si dipingevano, o erano dipinti, non soltanto come grandi imperatori regnanti su altri re all’interno dell’India, ma sull’intero mondo. I re Gupta, infatti, fedeli alla tradizione indiana non menzionano mai nelle loro iscrizioni un regno reale cui fare riferimento. Il vocabolo pṛthivī 201 venne usato tempo prima anche dai Maurya202 per indicare i loro possedimenti mentre i vicini Pallava203, contemporanei al regno di SamudraGupta, si definiscono “unici eroi sulla superficie della terra204”. Nonostante l’uso già fatto del sostantivo pṛthivī, il titolo più esteso Prthivipatau varianti comprese, lo si vede usato per la prima volta all’interno delle iscrizioni della dinastia Gupta, poi utilizzato da altri sovrani nel corso dei secoli. Tuttavia l’origine di tale titolo è da ricercare nelle tradizioni letterarie, pṛthivipati è, infatti, il nome di Yama205.

195 Saverio S., “Dizionario sanscrito-italiano : con un'introduzione alla lingua e grammatica sanscrita”,

Comitato Dizionario sanscrito-italiano, 2009, p.1117.

196 Sircar D. C., “Indian epigraphical glossary”, Delhi, 1966, p.48.

197 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, pp. 285-286, 289-290,

336-337, 343-344.

198

Tecnicamente nṛipatau singolarmente può significare solo “re”, “signore del uomini”. Acquista il significato “signore della terra” se accompagnato al sostantivo pṛithivī

199 Fleet J.F., “Corpus Inscriptionum Indicarum” Vol. III, reprint. New Delhi, 1981, p.278. 200

Ibid, pp.340-341.

201

Sircar D. C., “Indian epigraphical glossary”, Delhi, 1966, p.264.

202 Sircar D. C., “Select Inscriptions bearing on Indian history and civilization” Vol. I, Calcutta, 1965Aśoka 203 Thomas F.W., Epigraphia Indica Vol.XV, Archeological Survey of India Janpath, New Delhi , 1919-20,

p.254. Krishnamacharlu C. R., “South Indian inscriptions Vol.XII”, Madras, 1943, p.1.

204

Utilizzano il composto vasundhātalaikaviriasya. Costituito da vasundhātala, superficie della terra, il numerale eka ovvero uno, unico e da eroe, vira. Oppure il composto pṛthivītalaikaviriasya.

205 Saverio S., “Dizionario sanscrito-italiano : con un'introduzione alla lingua e grammatica sanscrita”,

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2.2.

Gli Epiteti regali: il riflesso delle qualità di un re